3. Everything has changed
La mano sinistra gli stringeva
le spalle,
la destra si
perdeva nei suoi capelli scuri, gli occhi chiusi, esausti, il viso
rilassato. Non potevo davvero credere di essere riuscita a scovarlo.
Ad essere sinceri, dopo aver pensato al globo magico, si era rivelato
tutto piuttosto semplice: l'anello, e la pozione di Gold, mi avevano
condotto da lui, e adesso potevo nuovamente stringerlo a me.
Eppure c'era qualcosa che non mi quadrava. Non lo
riconoscevo, lo sentivo diverso, cambiato. Una settimana passata
lontano dalla persona che si amava non poteva modificare alcun tipo
di sentimento, quello mi sembrava abbastanza ovvio e scontato.
E allora perché non ricambiava quell'abbraccio?
Se ne stava lì, inerme, come spiazzato.
Ci stava lo stupore, potevo capirlo, ma il Killian che
conoscevo non avrebbe perso tempo e mi avrebbe catturata tra le sue
braccia, mi avrebbe preso il viso fra le mani e avrebbe gustato il
sapore delle mie labbra.
Girò appena la testa verso di me, lanciandomi
un'occhiata.
« Ci conosciamo? »
Due parole. Due semplicissime parole, che mi fecero
crollare il mondo addosso nel giro di un secondo.
Aprii gli occhi, spaesata, e mi staccai leggermente.
« Killian... stai scherzando, vero? Sono io... »
Lo osservai attentamente: gli occhi smarriti, la fronte
aggrottata, la bocca semi aperta non davano l'impressione di uno che
stesse scherzando. Si portò lentamente una mano fra i
capelli,
grattandosi appena il capo. Mi squadrava dalla testa ai piedi,
sembrava cercasse di non tralasciare nessun dettaglio. I suoi occhi
cielo si immersero nei miei, verdi smeraldo. Si incontrarono di
nuovo, a distanza di sette giorni. Sembrava si vedessero per la prima
volta. Avvertii una scossa, lui non fece una piega.
« Io... mi dispiace, credo di non ricordarmi di te.
»
Il mio cuore perse un battito. No, non potevo credere a
quello che ascoltavo. Neanche Gold era tanto crudele. O forse
sì?
Forse era anche capace di peggio? Dovevo aspettarmelo, dovevo
conoscerlo.
« Killian, sono Emma. » Affermai speranzosa,
accarezzandogli la guancia con le dita. Un gesto che non dovevo fare.
Lo sentii irrigidirsi, alzò un sopracciglio e con la mano mi
prese
il polso, allontanandolo dal suo viso. Prese un respiro profondo e mi
guardò serio.
« Senti, non so come tu faccia a conoscermi- » Con
un
gesto deciso, alzai velocemente la mano destra, più o meno
alla
stessa altezza della sua bocca, per zittirlo. Me l'avvicinai poi alla
tempia, massaggiandomela lentamente e socchiudendo appena gli occhi.
Come facevo a conoscerlo, mi chiedeva. Non credevo di avere le forze
per affrontare quel discorso, però dovevo comunque provarci.
Riaprii gli occhi e ritrovai il suo sguardo fisso su di
me. Ebbi l'impulso di baciarlo, subito, senza troppi giri di parole.
I miei occhi si posarono sulle sue labbra, ma sapevo che dovevo
trattenermi. Se il bacio non avesse funzionato, sarebbe stato peggio.
Ricordavo come avevo reagito io, quando mi aveva baciata dopo essersi
presentato alla mia porta, a New York, per la prima volta. Lo avevo
preso per un maniaco, lui mi avrebbe preso per una schizzata. Scossi
la testa per abbandonare quel pensiero.
« Ascolta, so che adesso non riesci a ricordare, ma
devi fidarti di me, o almeno provarci. » Non disse niente, mi
lasciava parlare e basta. Non era un cattivo segno, pensai, almeno mi
stava dando una possibilità quando avrebbe potuto
allontanarmi
facilmente. « Noi ci conosciamo da tempo, ne abbiamo passate
veramente tante insieme. » Alzò un sopracciglio,
cominciava a
fidarsi meno e questo fece scattare una sorta di allarme nella mia
testa che mi mandò in panico. « Per quanto ti
risulta impossibile
da credere, tu non sei di queste parti. »
« Ma davvero? » Commentò ironico,
mostrandomi un
sorriso sghembo. Stavo sbagliando tutto, ma l'ansia non mi permetteva
di ragionare come avrei voluto.
« Non ti ricordi chi sei... » cercai di continuare,
capendo, ancora una volta troppo tardi, che non avevo usato le parole
migliori che potessi trovare.
« Io lo so chi sono! » Esclamò allora
lui,
visibilmente irritato. Stava cominciando a stufarsi di me, ebbi il
sospetto che stesse pensando di portarmi in ospedale per farmi
controllare. Dio, ero negata per quelle cose. Ero brava a trovare le
persone, il mio talento iniziava e finiva lì, convincerle di
essere
in realtà qualcun altro non rientrava nelle mie
capacità.
Probabilmente non rientrava nelle capacità di nessuno.
Eppure
Killian ce l'aveva fatta, era riuscito a mettermi nella testa
abbastanza dubbi da farmi prendere la pozione della memoria. Avrei
tanto voluto essere come lui, avere la sua testardaggine. Mi avrebbe
sicuramente aiutata a mantenere il sangue freddo in quella
situazione.
« Tu sei Killian Jones- » provai, prima di essere
interrotta.
« Sul serio? Credevo di essere Sherlock Holmes! »
Ora
faceva il sarcastico, davvero divertente Jones.
« Ho passato l'ultima settimana a cercarti senza sosta.
Sei molto più di questo, guardati dentro. Tu sei Hook, ti
chiamano
tutti così per via dell- » uncino, avrei voluto
dire, peccato che
le parole mi morirono in gola non appena gli ebbi scoperto il braccio
sinistro.
« Moncone, già. » Completò
lui la frase per me,
guardandomi preoccupato. Ero rimasta come pietrificata, mentre
continuavo a darmi della stupida. Cosa mi aspettavo? Di vederlo
andare in giro per Londra, tutto tranquillo, con un uncino affilato
al posto della mano? Gold aveva pensato a tutto, probabilmente avrei
dovuto aspettarmi anche dell'altro. « Mi chiamano tutti in
quel modo
dal college, divertente no? » Aggiunse poco dopo, facendomi
tornare
in me. College,
con quanti
altri ricordi falsi avrei avuto a che fare? Ero terrorizzata, le
gambe cominciarono a tremare. Non smettevo di fissarlo, ma nel
mentre indietreggiavo, decisa ad allontanarmi il più
possibile da
lui, almeno per il resto di quella giornata.
Distolsi finalmente lo sguardo e mi girai, dandogli le
spalle. Non dissi niente, la mia mente era troppo impegnata a
disperarsi e pensare ad un altro piano per riportarlo da me.
L'obiettivo non era più quello di riportarlo a
Storybrooke, a casa, ma quello di fargli ricordare di me. Mi domandai
se fossi in grado di trovare una soluzione e una vocina nella mia
testa cominciava a darmi della povera illusa.
La vista mi si annebbiò per qualche istante. Portai la
mano destra sugli occhi, me li strofinai appena e li riaprii.
Sembravo stare meglio.
Barcollai e mi aggrappai al cancello a pochi passi da
me. Non riuscivo a reggermi in piedi, all'improvviso le mie gambe non
si dimostravano più in grado di sopportare il peso del corpo.
« Emma? »
Killian mi chiamò e mi girai all'istante. Aveva una
mano tesa verso di me e un'espressione sinceramente preoccupata. Si
mosse per raggiungermi, deciso ad aiutarmi e sorrisi istintivamente,
prima di crollare a terra, vinta dalla stanchezza e dallo stress.
*Killian Pov*
« Emma! »
La chiamai ancora una volta, urlando, mentre scattai di
corsa verso di lei, vedendola mentre le forze la abbandonavano. Mi
chinai verso di lei, scostandole qualche ciocca di capelli che le era
andata sul volto e la girai mettendola a pancia sopra. Mi sedei sulle
ginocchia mentre la prendevo tra le mie braccia, inerme.
« Ehi, ehi Emma! Emma! »
La scuotevo con insistenza ma non si decideva a
riprendersi, ad aprire gli occhi e a guardarmi ancora una volta con
quelle iridi verdi che celavano sofferenza.
« Maledizione! »
Solamente io potevo ritrovarmi in una situazione del
genere. Andiamo, quante persone potevano affermare di essere usciti
di casa, un giorno, per recarsi al lavoro e di ritrovare, al ritorno,
una sconosciuta che ribatteva di saperne più di loro, che
per di più
perdeva i sensi, lasciandoli di conseguenza nel panico più
totale?
“Ad occhio e croce” pensai “direi
nessuno. Congratulazioni,
Killian, vinci il premio per l'uomo più fortunato
dell'anno”.
Non sapevo chi fosse, né come facesse a conoscermi,
benché meno come mi avesse trovato. Ma era successo e dovevo
ammettere di essere piuttosto curioso dal conoscerne di più.
La presi in braccio, il che non risultò molto semplice
per via della mia unica mano, e mi tirai su lentamente: non l'avrei
comunque mai lasciata lì a terra, senza prestarle il minimo
soccorso, sarebbe stato da barbari.
Con la spalla destra aprii il cancello, chiudendolo
subito dopo con la medesima gamba. Arrivato davanti la porta di casa
mi resi conto dell'impossibilità di recuperare le chiavi
dalla tasca
interna della mia giacca, così, stando attento a non lasciar
cadere
la ragazza, stringendola di più a me, con il gomito suonai
il
campanello.
« Killian! Cos'è successo?! » Mi
domandò la rossa
che comparve da dietro la porta, osservando me e la ragazza che avevo
in braccio, sbigottita.
« Mi è svenuta davanti, dovevo soccorrerla.
» Risposi
con semplicità, dando per scontato l'ovvietà
della cosa.
Mi diressi velocemente al piano di sopra, stando bene
attento a dove mettevo i piedi e a salire le scale lentamente,
così
da non rischiare di spaccare l'osso del collo a me e alla bionda. Nel
mentre, l'altra ragazza mi seguiva come fosse la mia ombra, ponendo
domande a cui io, però, non rispondevo, nel vano tentativo
di
capirci qualcosa.
Raggiunsi la camera degli ospiti -ora sì che quella
camera si dimostrava avere una qualche utilità- che si
trovava
proprio accanto alla mia, vi entrai e adagiai la ragazza sul letto.
« Fai piano, Hook. Attento alla testa. » Mi sentivo
rimproverare, mentre la rossa corse ad aiutarmi come meglio poteva.
« Rose, calmati, faresti agitare perfino un morto!
»
Ribattei io, guardandola spazientito. Lei sbuffò,
allontanandomi
visibilmente irritata, prima di cominciare a tastare il corpo
della sconosciuta.
« Non sembra aver riportato traumi o fratture, hai
detto che non ha battuto la testa, vero? »
« In realtà non l'ho detto, comunque no, non l'ha
fatto. » Affermai, poggiandomi alla parete, portando il peso del corpo
sulla
spalla, incrociando le braccia al petto e osservando la scena: ormai
non mi restava da fare più niente.
« Beh, si sveglierà presto. Probabilmente ha perso
i
sensi per via dello stress. A proposito, si era presentata qui poco
fa, sembrava abbastanza agitata. La conosci? » Feci spallucce
e
scossi la testa, omettendo il fatto che lei si ostinava ad affermare
il contrario. Rose sorrise appena « Devo andare a prepararmi,
stai
tu qui con lei? » Annuii e la osservai uscire dalla stanza.
Mi guardai intorno, non entravo quasi mai in quella
stanza, spesso dimenticavo quante cianfrusaglie tenevo lì
dentro.
Puntai la scrivania e mi diressi verso di essa, prendendo la sedia
che le stava accanto. La portai affianco al letto e mi ci sedei a
cavalcioni, incrociando le braccia allo schienale e poggiando il
mento su di esse.
Osservavo quella strana ragazza in silenzio,
domandandomi da dove spuntasse fuori. Non l'avevo mai vista in giro
e, seppur Londra fosse una città enorme, ero certo che non
fosse
quello il motivo per cui il suo volto non mi risultava familiare. Era
americana, ne ero certo, il suo accento non mi lasciava il minimo
dubbio.
Aveva dei lineamenti delicati, i capelli biondissimi e
gli occhi grandi e color dello smeraldo. Gambe lunghe, di certo non
messe in risalto dai jeans che indossava, infilati dentro degli
stivali marroni. Stivali che in quel momento teneva sulla mia
trapunta a quadri blu, cosa che mi fece fare una smorfia, ma cercai
di non pensarci visto che non era stata lei a programmare
ciò.
Era senz'altro una bella ragazza, l'avevo pensato fin da
subito. Prima di trovarla abbastanza irritante per i suoi modi.
Continuava a dire di conoscermi da tempo, ma ero certo che non fosse
così. Continuavo a sforzarmi di ricordare, ma il suo viso
non mi
diceva nulla. Sapeva il mio nome, ma quello non voleva dire niente.
E mi era anche saltata addosso! Non avevo fatto in tempo
a girarmi verso di lei che mi aveva circondato con le sue braccia.
E lì c'era stata quella scossa. Come un brivido, come
un segnale mandato dal mio corpo per farmi capire che un pizzico di
verità nelle sue parole c'era.
Era per quello che cercavo di notare un qualche
dettaglio che riportasse a galla un qualsiasi ricordo di lei, ma non
ci riuscivo, era come se qualcosa me lo impedisse.
« Killian, vado a lavoro. Ci vediamo più tardi?
»
Alzai la testa, una volta finito di pensare a quelle stupidaggini e
mi girai verso Rose.
« Ma certo, tesoro, vedrò di farti trovare una
bella
cenetta per quando tornerai. » Mi sorrise, si
avvicinò e mi lasciò
un bacio sulla fronte prima di uscire in fretta e furia dalla stanza.
Ascoltai i suoi passi che scendevano le scale di corsa,
la porta che si apriva e si chiudeva subito dopo, il motore della sua
auto che veniva messa in moto. E poi silenzio.
Tornai a concentrarmi sulla ragazza. Sembrava così
indifesa, in quel momento dov'era priva di sensi. Eppure avevo
riconosciuto una certa luce negli occhi, la luce di una vera
guerriera.
Chinai leggermente il capo e sospirai. Il mio sguardo
cadde su un distintivo che teneva attaccato alla cintura dei
pantaloni, non lo avevo notato prima. Mi sporsi appena per osservarlo
meglio, più da vicino. “Sceriffo”,
questo c'era scritto.
Un'informazione in più che cominciava a farmi capire
qualcosa.
Non feci in tempo ad allontanarmi che un tremito scosse
il suo corpo.
« Mh... » mugugnò, catturando appena la
mia
attenzione. « Killian » chiamò il mio
nome.
« Emma » pronunciai, allora, il suo, con una
spontaneità che mi disarmò: solamente chiamarla
per nome, in quel
momento, mi era suonata come la cosa più naturale che
potessi fare
nella mia vita.
*Emma Pov*
« Emma »
Mi irrigidii ed aprii lentamente gli occhi. La figura sfocata di Killian Jones mi osservava preoccupata, seduta a cavalcioni su una sedia accanto al mio letto. Amavo il suono della sua voce che chiamava il mio nome, sembrava essere fatto apposta per essere detto da lui soltanto.
Piano, piano cominciai a metterlo a fuoco, e con lui anche il resto della stanza dove mi trovavo. Non ero a casa mia, il letto dove ero sdraiata non era il mio, così come l'intera camera. Cominciai a ricordare di quello che era successo nelle ultime ore: il globo magico, il viaggio, Londra, l'incontro con Killian.
Rumpelstiltskin gli aveva cancellato non solo il ricordo di me, ma quello di Storybrooke, dei suoi abitanti e, peggio, della sua vita da pirata, Neverland, Milah, forse persino di suo fratello Liam. Lo guardai con una smorfia, dispiaciuta, confusa e, soprattutto, imbarazzata per le cose che gli avevo detto prima. Avevo agito nel modo sbagliato, non dovevo mettergli subito in testa l'idea di vivere una vita che non gli apparteneva, sarebbe stato meglio raggirarlo, come prima cosa. Mi domandai cosa pensasse di me, mentre mi guardava senza proferire parola. Sicuramente non dovevo avere tutte le rotelle apposto, secondo il suo parere. Me lo meritavo, alla fine. Io stessa prendevo tutti per pazzi durante il mio primo periodo a Storybrooke.
« Sei svenuta, proprio qui fuori, così ti ho portato dentro. » Interruppe il silenzio che si era creato, abbozzando un mezzo sorriso. Neanche lui sapeva come comportarsi con me, glielo si leggeva perfettamente in faccia.
« Ehm, grazie. » Affermai incerta, mettendomi a sedere in una posizione decisamente più comoda per parlare. Abbassai lo sguardo, puntandolo verso le mie mani giunte, cominciando a torturare il labbro inferiore. Forse era meglio che dicessi qualcosa, tanto per fargli capire che non ero completamente pazza. « Scusami per prima, per aver detto quelle cose. Non dormo da giorni, sai. La stanchezza mi ha giocato un brutto tiro. » Alzai lo sguardo per un secondo, incurvai appena gli angoli delle labbra verso di lui e tornai a studiarmi le mani.
Killian non distolse neanche per momento lo sguardo da me, e questo mi faceva sentire piccola come una formica. Non sapevo che idea si stesse facendo, ero certa che si stesse interrogando su come agire: far finta che non fosse successo niente o affrontare l'argomento.
« Eri impegnata in un caso importante? »
Evidentemente aveva optato per la prima opzione. Lo guardai, comunque, interdetta, non capendo bene a cosa si riferisse.
« Scusami? » Feci, sperando potesse spiegarsi meglio.
« Hai detto che non chiudi occhio da giorni, e sei uno sceriffo... avevi un'indagine importante fra le mani? »
« Come sai che sono uno sceriffo? »
« Dal distintivo, ovviamente. » Rispose prontamente, indicandolo con l'indice destro e con un cenno del capo. Guardai istintivamente la mia cintura e lo trovai lì: me ne ero completamente dimenticata.
« Ah, giusto. » Commentai a mezza voce, senza smettere di osservare un certo luccichio nel distintivo. « Comunque sì, in un certo senso. » Dissi incerta, mi sembrava ancora una situazione surreale quella che stavo vivendo.
Tornai a guardarlo, aprii la bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma non mi uscì niente. Rimasi quindi a fissarlo, solo questo. Si grattò per qualche attimo la testa, non sapendo neanche lui in che modo cominciare un qualche discorso.
« Io... ti preparo un caffè, vuoi? O preferisci un té? Un latte caldo? Una tisana? » Cominciò a chiedere a raffica, alzandosi di scatto.
« Oh, no, grazie. Non voglio niente, non disturbarti. » Affermai tranquilla, scuotendo anche la testa per fargli capire che non ne avevo bisogno.
« Andiamo, hai bisogno di prendere qualcosa, ti aiuterà a recuperare le energie. Cosa preferisci, quindi? »
Mi sorrise sincero. Non lo aveva ancora fatto da quando l'avevo rivisto. Sentii qualcosa nello stomaco, come un fuoco che, improvvisamente, si era acceso senza il mio consenso. “Mi è mancato il tuo sorriso, Killian”.
« Beh... prenderei volentieri una cioccolata calda, ma, davvero, non devi disturbarti tanto, io mi sento già meglio. »
« Una cioccolata? » Si accigliò. Era una richiesta tanto strana, la mia? Mi rabbuiai nuovamente, ora arrivava a guardarmi in modo strano solo se al caffè preferivo della cioccolata. « Va bene, scendo a preparartela subito. » Così dicendo uscì dalla stanza, senza neanche darmi il tempo di ringraziarlo.
Mi guardai intorno, spaesata. La stanza non era molto grande, ma era disordinata quasi quanto la mia. La scrivania di legno era sepolta da una montagna di fogli, per la maggior parte strappati o accartocciati. Ai piedi del letto, a una piazza e mezza, c'era un tappeto dello stesso colore della coperta su cui ero seduta: blu. Sul comodino alla mia destra vi erano poggiati tre libri, li presi subito, senza esitare, curiosa: “Il cacciatore di teste” di Nesbø, “Il codice Da Vinci” di Brown e, quello che mi fece sorridere più di tutti, “Il corsaro nero” di Salgari. Immaginai Killian leggere anche solo uno di quei libri e, no, proprio non ce lo vedevo. Li rimisi al loro posto, cercando di nascondere una smorfia. L'armadio, anch'esso in legno, era semi aperto, mi alzai per dargli un'occhiata e rimasi delusa vedendo che fosse quasi completamente vuoto. Trovai solamente tre felpe, due paia di jeans, una camicia bianca e quattro t-shirt. Tutto completamente diverso dall'abbigliamento che indossava solitamente il Killian che conoscevo. Presi un respiro profondo e mi guardai intorno un'altra volta. Notai addirittura una chitarra, anche se dubitavo la suonasse ancora. Ancora? Mi stavo bevendo il cervello, per caso? Non l'aveva mai suonata prima, qualsiasi ricordo avesse di quell'oggetto era completamente falso!
Non riuscivo a restarmene lì dentro, da sola, ad osservare la finta vita dell'uomo che amavo, così uscii dalla camera, decisa a raggiungerlo in cucina. Pessima idea, anche quella, visto che i mobili che trovai lungo il tragitto erano pieni di foto: una lo ritraeva da bambino, vestito da marinaretto, una canna da pesca in mano e un sorriso orgoglioso mentre mostrava un pesce; un Killian adolescente, con lo zaino in spalla e una mano fra i capelli; e poi eccolo, decisamente più adulto, mentre abbracciava una ragazza. La guardai meglio: capelli rossi, occhi color nocciola, qualche lentiggine, le gote leggermente arrossate. Era la stessa tipa che mi aveva aperto la porta per la prima volta. Spalancai gli occhi sbigottita, non ero pronta a una notizia del genere. Non poteva essere fidanzato, Gold non poteva farmi una cosa del genere o lo avrei ucciso io stessa con le mie mani.
Indietreggiai appena e scossi la testa, non dovevo trarre delle conclusioni prima del tempo, probabilmente si sarebbero rivelate poi sbagliate. Afferrai la ringhiera alla mia sinistra e scesi le scale. Le pareti bianche erano piene di quadri di vario genere.
Arrivai in cucina e vi trovai Killian, con una tazza fumante in mano che mi guardava sorpreso.
« Emma, stavo salendo a portarti la cioccolata. »
Feci spallucce. « Mi ero stancata di stare a letto. » Dissi semplicemente. Si trovava dietro un bancone da cucina, così lo raggiunsi, sedendomi su uno dei quattro sgabelli posizionati davanti ad esso.
Presi la tazza con raffigurata la bandiera inglese tra le mani e osservai il contenuto, delusa. Niente panna, niente cannella. Incredibile come una semplice cioccolata calda potesse cambiarmi così tanto l'umore. O forse era quello che c'era dietro quella cioccolata.
« Qualcosa non va? » Mi domandò, scrutandomi dritto negli occhi, cercando di decifrare la mia faccia.
« No, niente. Di solito la prendo con della panna e una spruzzata di cannella, ma non fa niente. Di certo tu non potevi saperlo. » Commentai cercando di risultare normale e di non far notare la mia amarezza.
Soffiai appena sulla cioccolata fumante e ne presi un sorso, mentre lui si preparava un caffè.
« Killian » lo chiamai, attirando la sua attenzione. Lo vidi mentre girava appena, appena la testa nella mia direzione, guardandomi con la coda dell'occhio « Posso farti una domanda? »
« Non me l'hai appena fatta? » Fece lui, sarcasticamente. « Dimmi. »
« Posso chiederti chi era la ragazza che c'era prima in casa? » Domandai incerta, preferendo non guardarlo.
« Chi, Rose? » Chiese di rimando, rendendosi poi conto che di certo non potevo rispondere a quella domanda « Roseline Smith, anche se tutti noi la chiamiamo semplicemente Rose, ti ha dato una controllata veloce, prima, dopo che sei svenuta, per assicurarsi che stessi bene. E' un medico, sai. O meglio, un medico legale... autopsie e cose del genere. » Mi spiegò, mettendo il caffè sul fuoco e girandosi a guardarmi, la mano poggiata sul bancone alle sue spalle. « Stiamo insieme da una vita. »
Il mondo mi crollò nuovamente addosso per la seconda volta in quella giornata.
Non potevo credere a quello che avevo sentito.
Non solo Gold lo aveva spedito dall'altra parte del mondo, non solo gli aveva cancellato la memoria, non solo gli aveva riempito la testa di ricordi falsi, gli aveva trovato anche una finta ragazza. Realizzai che l'uomo doveva aver pensato ad ogni dettaglio già da molto tempo, intenzionato com'era a vendicarsi di Killian. A vendicarsi di me.
Ma c'era dell'altro.
« Ci sposiamo fra un mese. »
Riuscivo quasi a sentire la risata isterica del coccodrillo, nonostante si trovasse oltreoceano.
Note
dell'autrice: buonanotte
buonasera lettori :) Spero di non essermi fatta odiare troppo, adesso
che la trama generale è stata finalmente spiegata, anche se la maggior parte di voi ci aveva visto giusto già da un po' di tempo. Ci
troviamo con
un Killian leggermente diverso
da
quello a cui siamo abituati (ci ho pensato su, e ho deciso di non
andare troppo OOC, niente situazione alla Belle/Lacey, per capirci,
anche se l'idea mi ha stuzzicato e non poco xD), senza memoria e
promesso sposo (sono stata un po' stronzetta, me ne rendo conto). Non
ho molti altri appunti da fare, solo vi avverto che in settimana
avrò
molto da studiare, quindi non so se riuscirò a
scrivere/postare il
quarto capitolo, anche se farò di tutto per riuscirci, al
massimo ci
'vediamo' fra due settimane ;) Spero che questo capitolo vi sia
piaciuto, grazie mille per le recensioni, siete troppo buone :D
Ah,
e buon (?) finale di stagione, preparate i fazzoletti che credo ce ne
sarà molto bisogno ç_ç
Un
bacio a tutti :*
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)
(© elyxyz)