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Autore: shadow_sea    09/05/2015    3 recensioni
La romance fra il comandante John Shepard e Jack, narrata in pochi capitoli ambientati alla fine di Mass Effect 3, ma costituita prevalentemente da rapidi flash back. Un'interpretazione personale del finale di questa saga.
Avverto i lettori che il linguaggio utilizzato è quello di Jack.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Uomo, Jack, Liara T'Soni
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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7. Non sapeva dove fosse

Non sapeva dove fosse. Sapeva solo di trovarsi separata dalla realtà.
La sua anima si era rintanata in un piano dove non esisteva speranza, ma neppure dolore: era un nonluogo senza emozioni o sensazioni. Solo il vuoto la avvolgeva, come una pellicola isolante, tenendola al riparo dal freddo e dal calore. Era avviluppata da un nulla incolore che assorbiva ogni cosa senza reagire, restituendo solo inesistenza.
I concetti di tempo e spazio erano stati privati di qualsiasi significato, così come l'idea della vita stessa. Lì era impossibile la sopravvivenza perché perfino la più flebile speranza o il più atavico desiderio venivano annullati, privando l'anima della spinta necessaria alla lotta o quantomeno alla resistenza apatica contro la morte.
Era passivamente consapevole del destino del mondo, almeno di quello che avevano conosciuto fino a quel momento, e degli individui che lo abitavano. Sarebbero tutti spariti nell'arco di pochi mesi, anche se forse ne sarebbe rimasta qualche vaga traccia su isolati corpi celesti o sperduta nello spazio, così come le sonde erano sopravvissute ai Prothean.
La fine delle civiltà senzienti era stata decretata nel momento in cui la Normandy si era schiantata al suolo e il comandante Shepard aveva esalato l'ultimo respiro. In quell'istante si era perso tutto, anche l'ultima tenue speranza. Adesso non rimaneva più nessuno in grado di combattere i Razziatori. Non c'era più una guida carismatica a unire e guidare gli eserciti di razze tanto dissimili fra loro e spesso in lotta per futili motivi.
Se fosse stata in grado di provare una sensazione qualsiasi probabilmente avrebbe scosso la testa o avrebbe gridato contro il cielo. Perché ogni sforzo fatto fino a quel momento, ogni sacrificio, non era servito a nulla. O forse avrebbe pianto e, asciugandosi le lacrime con la sua solita rabbia, avrebbe potuto riconoscere che era stato un bel sogno, fino a quando era durato. Un sogno per il quale si poteva sacrificare la propria vita senza rimpianti.
Ma in quel nonluogo che ospitava la sua anima non c'era spazio per le sensazioni. Non rimaneva altro se non aspettare passivamente la fine. Non aveva più motivo di lottare perché in quel mare non era rimasto alcun relitto galleggiante e l'orizzone era privo di qualunque terraferma, fosse pure una minuscola isola desertica.

Non era neppure consapevole di quei ragionamenti e non si guardò mai attorno, indifferente a ogni cosa o avvenimento, incurante della possibilità che si avvicinasse un qualsiasi essere, nemico o amico, meccanico o vivente. Era cosciente solo della stanchezza assoluta del suo corpo, come se avesse esaurito ogni energia e fosse in grado di provare solo apatia e tristezza. Il dolore era così intenso e profondo da non essere più neppure riconoscibile dal suo fisico, incapace di opporvi resistenza.
Sapeva che sarebbe restata lì, limitandosi ad aspettare di morire per fame o per sete se qualche nemico non avesse provveduto a metter fine in altro modo alla sua vita. Ma scegliere un modo o un altro per andarsene non aveva alcuna importanza.
Si limitava a scansare qualsiasi pensiero lucido, per non farsi inglobare dalla disperazione, perché il suo inconscio sapeva che non c'era più possibilità di opporsi al destino che era stato scelto per loro dai Razziatori. Sopravvivere ancora un giorno, un mese o un anno non aveva alcun senso. Così come non aveva senso continuare a scappare di pianeta in pianeta, per sottrarsi ad una fine certa, assistendo alla morte di altri disperati.
Non aveva timore di metter fine alla propria esistenza con un colpo del fucile a pompa che aveva con sé. Ci aveva anche pensato, ma poi aveva rinunciato. Quel semplice gesto avrebbe dimostrato che aveva ancora un desiderio, un'aspirazione, quando invece era ormai priva di qualunque desiderio e di qualunque aspirazione. Era passata oltre, là dove non esisteva più nulla oltre al nulla stesso.

Fu merito della voce atterrita che fluì dal suo factotum se riuscì a riscuotersi dal torpore in cui si sarebbe lasciata avvolgere fino al termine dell'ultimo respiro.
- Per la Dea, qui è pieno di Collettori! Ci sono nugoli di sciami cercatori. Non posso avvicinarmi allo scafo della Normandy, Jack, e non vedo nessun superstite, nessuna capsula di salvataggio...
Non rispose a quell'appello disperato, ma si alzò di scatto, realizzando tutto a un tratto quanto idiota fosse stato il suo comportamento dalla morte del comandante fino a quell'istante.
Era stata un'incosciente perché si era abbandonata alla resa anzitempo, quando invece aveva ancora del lavoro da fare: doveva portare a termine un compito importante.
Aveva un debito con l'uomo che l'aveva fatta rinascere e le aveva insegnato il senso della vita e dell'amore, e lei non lo avrebbe dimenticato. Non si sarebbe più lasciata distrarre e avrebbe speso tutte le sue energie per ripagarlo, donandogli quella pace che John aveva atteso troppo a lungo.
Le parole di Liara le avevano ricordato che i Razziatori stavano proseguendo la loro operazione di mietitura e che di certo non avevano scordato il comandante: per quello stavano rovistando fra i rottami della Normandy. E prima o poi l'avrebbero trovato, quando avessero ampliato il raggio delle loro ricerche.
O lo avrebbero potuto trovare gli agenti di Cerberus, come forse si stava augurando quella stronza di Fata Turchina.
Immaginò uno dei sedicenti medici di quella organizzazione criminale alle prese con il cadavere di Shepard, per riattarne il funzionamento e costringerlo a tornare ancora una volta a respirare: costringerlo a tornare a respirare in una galassia senza più la Normandy e il suo equipaggio.

Un brivido intenso le percorse il corpo, mentre sbirciava attorno a sé, in preda al terrore che uno di quei nemici fosse già vicino alla sua posizione attuale. Tirò un sospiro di sollievo nel constatare che nulla si muoveva nelle immediate vicinanze e si chinò sul corpo del comandante per sistemargli la testa sul cuscino improvvisato. Liberò il braccio dal factotum che spezzò sul mucchio di detriti più prossimo alla sua posizione e si guardò attorno ancora una volta, compiendo un giro completo su se stessa.
L'aria del mattino inoltrato aveva dissipato parte delle nebbie notturne e i suoi occhi ora riuscivano a distinguere nitidamente le sagome dei veicoli distrutti sparpagliati sul terreno circostante. Prese ad aggirarsi fra quei rottami con metodo, raccogliendo tutti gli oggetti adatti a contenere liquidi e riempiendoli del carburante che riusciva a far defluire dai serbatoi di quei veicoli. Li spinse o li trascinò fino al corpo del comandante, poi scavalcò la recinzione semidistrutta che racchiudeva il parco di salici piangenti.

Una mezzora dopo tolse la sicura dal lanciafiamme che portava sulle spalle, quello che aveva recuperato dal corpo di un batarian morto, e prese di mira la pira che aveva di fronte. I rami di salice intrecciati, intrisi di carburante, sorreggevano il corpo del comandante Shepard ricoperto da un telo sottratto a un veicolo terrestre. Anche quella stoffa grezza, dai disegni mimetici, emanava un tanfo intenso di combustibile.
Indietreggiò di qualche passo e azionò il grilletto, dirigendo il getto infuocato verso l'angolo sinistro della pira e spostandolo lentamente verso destra.
Le fiamme divamparono vivaci, nel mezzo della pioggia che aveva cominciato a cadere dal cielo grigio. Le scintille che si alzavano dal rogo si mischiarono alle gocce d'acqua che cadevano dall'alto. Nel rumore di sottofondo intonato da lievi sfrigolii e crepitii esplodevano vividi gli improvvisi scoppiettii e qualche isolato sibilo dai legni umidi.
Rimase in silenzio a fissare quello spettacolo adatto a una sagra paesana, senza provare a domare i pensieri che le attraversavano la mente, lasciando che i ricordi le mordessero l'anima.

- Era solo un ragazzo il tuo John, la prima volta in cui lo vidi.
Quella era stata la frase di apertura del racconto che David Anderson le aveva fatto durante il loro primo incontro, dopo averla portata nella sua stanza negli uffici dell'Alleanza.
- Capii subito dal suo aspetto che non si trattava di un ragazzo di buona famiglia - aveva continuato, mentre si avvicinava al mobile bar per offrirle qualcosa da bere.
- Non riesco a immaginarlo con i capelli trasandati o con la barba lunga - lo aveva interrotto, senza rendersi conto del sorriso involontario che le era sfuggito.
- Era troppo giovane per avere barba o baffi, ma aveva i capelli lunghi. Lunghi e sporchi, così come erano sporchi i vestiti, o meglio gli stracci, che aveva indosso - aveva precisato il militare. Poi le aveva descritto lo scontro impari a cui aveva assistito con curiosità, fino a quando il tipo grande e grosso che stava prendendo a pugni il futuro comandante non aveva tirato fuori un coltello a serramanico, con una lama lunga una spanna.
- Quando ho aiutato John a rialzarsi ho notato che nascondeva qualcosa al di sotto della maglietta sudicia e della felpa sdrucita - aveva continuato a raccontare Anderson - Nonostante gli continuasse a uscire una gran quantità di sangue dalle labbra spaccate e avesse sputato anche un paio di denti, quel ragazzo sembrava interessato solo a verificare che il fagotto che nascondeva sotto i vestiti non avesse subito danni.
- Non mi ringraziò, né disse una sola parola. Anzi, ricordo che non mi degnò neppure di uno sguardo, tutto preso da quel piccolo involto ringhioso.
- Ringhioso?
Anderson aveva annuito sorridendo - Ringhiava eccome: era un cucciolo di varren.
- Varren! Questo mi pare eccessivo anche per John....
- Già. Si era fatto picchiare per uno stupido varren. E ti garantisco che non sono carini neppure da piccoli.
- Non riuscii a convincerlo a farsi medicare in ospedale, nonostante mi fossi offerto di accompagnarlo - aveva continuato a raccontarle - Però accettò la confezione di medigel e anche di sedersi al tavolo di un bar e di farsi portare un po' di ghiaccio secco per attenuare gli ematomi del viso.
- Cosa accadde a quel cucciolo? - gli aveva chiesto.
- Non ricordo. Probabilmente mi offrii di portarlo in una struttura dove si sarebbero occupati di lui. Feci notare a John che non sarebbe stato facile gestire un varren adulto e che ben difficilmente i suoi genitori lo avrebbero accolto in casa.
- Mi lanciò un'occhiata esitante, ma non fu allora che mi confessò di non sapere chi fossero i suoi genitori. Solo più tardi seppi che fino a quel giorno aveva vissuto in un edificio fatiscente occupato illegalmente da barboni, spacciatori, qualche ladruncolo e una mezza dozzina di puttane, amiche della madre che era morta dandolo alla luce.
- Disse che non era riuscito a trattenersi dal picchiare quel lurido bastardo che stava torturando un cucciolo indifeso, ma effettivamente non aveva la minima idea di cosa farsene.
- Risposi con un laconico Già... Capisco e ricordo l'occhiataccia che mi lanciò, probabilmente pensando che io fossi intervenuto in sua difesa per motivi analoghi. Poi però si mise a ridere e affermò che lui non si sentiva affatto un cucciolo indifeso. Aveva una bella risata, sai?
- Ce l'ha ancora... ma è difficile poterla sentire... - aveva commentato Jack, con tristezza e rassegnazione.
- In quell'istante capii che, sotto quell'apparenza sporca e trasandata, si celava un ragazzo gentile e deciso, sicuro di sé e coraggioso - aveva continuato Anderson, prima di chiederle - Ti offro un altro bicchiere? O magari potremmo mangiare qualcosa, che ne dici?
- Ordina tu per me. Scegli quello che prenderebbe lui.

Fu nelle pause fra un piatto e un altro di quelli che aveva portato loro un attendente che Anderson aveva proseguito la narrazione del suo primo incontro con John Shepard.
- Mentre stava alzandosi dal tavolo per andar via gli chiesi se avesse mai pensato di arruolarsi nell'Alleanza. Mi gettò uno di quei suoi sguardi irritati e mi rispose con un secco no. Era certo che non avrebbero preso tipi come lui. E se invece mi accettassero, allora significherebbe che non vale neppure la pena di entrarci sentenziò poi con un ghigno irridente, lanciando un'occhiata piena di sufficienza alla mia divisa.
Anche a lei era scappato un sorriso a quel punto della narrazione, ma l'uomo che aveva di fronte non aveva sorriso a sua volta.
- Quella sua risposta voleva essere spiritosa, ma in realtà mi irritò soltanto. Gli risposi qualcosa tipo: O hai dei problemi di autostima oppure ti ho sopravvalutato. In entrambi i casi credo che tu faccia bene a lasciar perdere l'Alleanza.
- Avevi trovato la sfida che lo avrebbe spronato a diventare il primo allievo del suo corso - aveva commentato allora con ammirazione sincera.
- Già. Andò esattamente in quel modo - aveva concluso l'uomo. E poco più tardi era riuscito a farle accettare un posto nell'Accademia Grissom, in qualità di insegnante. Quell'uomo capiva le persone e sapeva come ottenere da loro ciò che voleva.

“Ma nemmeno Anderson avrebbe saputo come salvarti dal tuo destino, John. Lo ha sempre condiviso, addirittura. E forse ormai è morto anche lui” ragionò fissando distrattamente i resti del falò.
Il fuoco alimentato dagli oli combustibili si era quasi completamente spento, lasciando solo alcune braci rossastre che fumavano sotto la pioggia sottile e insistente.
Non era rimasto nulla del comandante Shepard che ora era finalmente libero, per sempre. Niente e nessuno avrebbe potuto riportarlo in vita, costringendolo a sopravvivere alla sua nave e a tutto il suo equipaggio. E nessun atomo del comandante avrebbe mai circolato nel corpo di un Razziatore.

Si guardò attorno in cerca di un segno che rivelasse l'avanzarsi del nemico, ma nessuno di loro era stato attirato dal rogo, probabilmente confuso dai tanti altri che aveva acceso qua e là con il lanciafiamme che ancora teneva sulle spalle. Si liberò dall'ingombro e dal peso sganciandolo e lasciandolo cadere in terra, poi si avviò verso la navetta da sbarco che aveva trovato poco prima, durante l'esplorazione di quella zona.
Tirò via il corpo del pilota, ucciso da un colpo che lo aveva centrato al petto, poi sistemò nell'abitacolo le taniche di combustibile che non aveva svuotato sulla pira funebre.
Controllò ancora una volta che i comandi di volo fossero funzionanti e che ci fosse abbastanza carburante nel serbatoio. Le apparecchiature di bordo erano danneggiate seriamente e le mitragliatrici sotto lo scafo erano fuori uso, tranciate al momento dell'impatto del veicolo contro il suolo, ma sarebbero state comunque di scarsa utilità.

Adesso che John era finalmente al sicuro doveva occuparsi di suo figlio e di se stessa.
“Andiamo, piccolo: si parte per un viaggio. Non ti prometto che troveremo tuo padre, ma un tentativo possiamo sempre farlo” lo esortò appoggiando una mano contro il ventre mentre prendeva posto sul sedile del pilota.
Non si meravigliò di avergli attribuito già un sesso definito, né di essere certa del colore azzurro dei suoi occhi, ma si guardò attorno strizzando le palpebre, per capire quale Razziatore si trovasse più vicino, poi avviò il motore e decollò, dedicando tutta la sua attenzione alla guida, per evitare di essere intercettata anzitempo dai raggi purpurei portatori di morte.
L'ultima frase che pronunciò, prima che la sua navetta si schiantasse contro l'occhio rosso, esplodendo in un immane boato, fu colorita come i tatuaggi che ricoprivano la sua pelle - Fottiti, razziatore bastardo, pezzo di mer...


Nota finale
Volevo prendermi ancora del tempo prima di concludere questa storia, ma non ci sono riuscita. Era diventato un peso enorme che mi gravava addosso. Pubblicare quest'ultimo capitolo mi permetterà di lasciarmi alle spalle tutta la sofferenza che si porta dietro.
  
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