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Autore: moni_cst    11/05/2015    5 recensioni
“C’era stato un omicidio nella 25th Avenue proprio al confine tra l’11° e il 12° distretto. L’omicidio era di competenza dell’11° ma la Gates chiese a Beckett di mettersi in contatto con la detective Martinez della Omicidi dell’11° in quello stesso pomeriggio.”
Tutto ebbe iniziò così….
e mentre risolvono il caso, Castle e Beckett discutono sulle particolarità del dottor Morgan (fantasia vs. razionalità) mentre una chiacchierata, inaspettatamente intima, tra le due detective crea il presupposto per un atteso confronto tra Henry Morgan e Jo Martinez.
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Kate Beckett, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
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Capitolo 5

 

La temperatura era davvero bassa, tanto che era smesso di nevicare. Ormai le strade erano ricoperte da una decina di centimetri di neve che, con quel gelo improvviso, rischiava di trasformare il suolo in piste di pattinaggio.

Il lago di Central Park, quello intitolato a Jacqueline Kennedy Onassis, appariva tetro nella notte e il freddo, soprattutto vicino alla riva, entrava dentro fino alle ossa.

La detective Martinez aveva parcheggiato vicino al cancello principale e mentalmente si chiese se forse sia lei sia Beckett non avessero fatto bene a passare a casa a cambiarsi. In fin dei conti, erano uscite per andarsi a bere una birra in un locale riscaldato e davvero non erano equipaggiate per attraversare Central Park fino a raggiungere la distesa d’acqua.

La maggior parte delle scene del crimine di omicidi commessi nel parchi erano quasi sempre vicino alle rive del lago. Guardando i tergicristalli che erano rimasti fermi in una posizione obliqua, Jo si soffermò ad osservare al di là del parabrezza poi si voltò verso Kate “Se vuoi ho un paio di stivali nel bagagliaio. Li tengo per le emergenze. Sono un 40, più o meno dovrebbero andarti” propose alla sua nuova amica. Già, nuova amica. Le confidenze all’Old Haunt avevano toccato temi cosi delicati e intimi per entrambe che sentiva una improvvisa affinità profonda con quella donna, che aveva avuto un passato doloroso ma che, oggi, sembrava aver trovato la propria dimensione e la propria serenità.

Kate si girò verso la collega, tentata dalla sua proposta. Allungò lo sguardo ai piedi di Jo: aveva delle scarpe basse nere ma non erano di sicuro adatte alla neve, anche se di certo meglio dei suoi tacchi. Ma come aveva fatto ad uscire di casa indossando quelle decolté?  Non aveva visto che il tempo era minaccioso? Pensò che era diventata talmente un’abitudine che aveva dimenticato di avere nel loft un’intera scarpiera dedicata agli stivali e agli anfibi che indossava durante le irruzioni nelle operazioni di polizia. Una volta usava anche lei calzature comode e basse ma poi aveva iniziato a piacerle vestirsi in modo più femminile, come a voler dimostrare che pur avendo un ruolo direttivo non aveva dimenticato di essere una donna. D’altronde era anche vero ciò che le aveva detto una volta Castle compiaciuto: di certo lei non si vestiva così per Esposito! Guardò Jo e pensò che una volta era come lei, anche nel vestirsi. E quel fremito emotivo che l’aveva colpita mentre erano all’Old Haunt, si ripropose ancora più forte.

Beckett le posò una mano sul braccio e la ringraziò rifiutando, in fondo l’errore l’aveva fatto lei e non c’era motivo che la Martinez sentisse freddo ai piedi a causa sua.

Scesero insieme e si avviarono a passo veloce lungo il sentiero che portava alla scena del crimine.

Victoria Gates in persona le accolse.

Il corpo ritrovato senza vita era della moglie di Duncan, lo sfortunato cugino del marito del capitano del 12° distretto, ucciso esattamente 40 giorni prima. Avevano chiuso il caso da pochi giorni e proprio quello era il motivo per cui la Martinez e Beckett si trovavano insieme quella sera quando entrambe erano state contattate per il nuovo omicidio. Il tenente Reece si unì alle tre donne. Kate e Jo si scambiarono uno sguardo d’intesa: la presenza di entrambi i loro responsabili diretti sulla scena del delitto faceva presupporre che ci fosse un interesse politico dietro.

Un brivido di freddo scese lungo la schiena di Beckett facendole contrarre tutti i muscoli involontariamente. Il gelo ai piedi era davvero insopportabile, le dita già compresse nelle strette punte erano sul punto di congelarsi. Kate sperò che quella serata non le avrebbe lasciato come ricordo dei geloni. Non li aveva più avuti da quando in una serata simile di quasi 20 anni prima era uscita con scarpe simili a quelle indossate quella sera, seppur con il tacco molto più contenuto, per far colpo sul suo ragazzo.

Dopo aver ascoltato Victoria descriverle i pochi elementi raccolti fino a quell’istante, Kate si avvicinò al cadavere della donna. Lo osservò come al suo solito da un paio di metri di distanza per prendersi il tempo di riordinare le idee e per avere una visione d’insieme. Vide la Martinez accanto a lei tesa e, seguendo il suo sguardo, comprese il motivo della sua agitazione. Il dottor  Henry Morgan era disteso a terra vicino alla riva a pochi metri dal cadavere. Sembrava stesse esaminando qualcosa di particolarmente interessante a giudicare dalla sua concentrazione e le parve curioso che, con i suoi abiti costosi, non prestasse la minima attenzione nel distendersi a terra in cerca di chissà quale fondamentale indizio.  Jo era concentrata su di lui quasi rappresentasse lui stesso il corpo da esaminare sulla scena del crimine.

Trattenne un sorriso e le posò una mano sulla spalla.

“Vieni Jo, andiamo” la esortò a seguirla.

“Aspettatemi! Ci sono anche io!” Una voce affannata alle loro spalle le fece girare contemporaneamente e si ritrovarono un Castle affaticato dalla corsa e vestito come se dovesse partire per la Siberia.

“Castle!” dissero le due donne all’unisono. Ormai Jo non si meravigliava più che Beckett lo chiamasse per cognome. Ci si era abituata ma all’inizio le sembrava molto strano: lei aveva sempre chiamato suo marito Sean, mai diversamente! Una strana abitudine.

“Tieni Kate, per favore, reggi questi” le disse porgendole il vassoio di cartone contenente tre caffè di Starbucks.

Beckett si affrettò ad aiutarlo e a liberargli le mani quando quasi si commosse vedendo che aveva portato con sé uno zaino con dentro calze di lana e i suoi stivali caldi con la pelliccia dentro.

Jo afferrò il suo bicchiere di caffè.

“Castle, dovremmo lavorare più spesso insieme. Decisamente!” esclamò alzando in aria la sua bevanda calda “ Davvero grazie! Non sai come ci stavamo congelando” Castle sorrise mentre aiutava Kate, che a quel punto aveva una sola mano disponibile, a cambiarsi le scarpe. Resasi conto della situazione la Martinez prese al volo dalle mani di Kate il vassoio permettendole di cambiarsi più agevolmente.

“Allora che abbiamo qui?” chiese Castle quando ognuno assaporava finalmente il suo caffè caldo.

La prima a parlare fu Beckett, che in cuor suo stava ringraziando il cielo per aver messo sulla sua strada quell’angelo di suo marito. Se fossero stati da soli gli avrebbe dimostrato tutta la sua gratitudine, invece l’unica cosa che si concesse di fronte agli altri fu un lungo sguardo d’intesa accompagnato da un sorriso, una tacita riconoscenza che per lungo tempo, quando erano ancora amici, avevano affinato fino a divenire una vera dichiarazione di dedizione all’altro, sottolineato dall’adagio dei poliziotti: that’s what partners are for.

I piedi stavano riprendendo temperatura per gli stivali appena indossati e le mani potevano godere del calore del caffè bollente. Aveva ragione la signora Buchanan, la sua tata di quando era piccola, che sosteneva che avendo le estremità del corpo calde si riusciva ad usare meglio anche il cervello.

Beckett iniziò così a ragguagliare Castle su quel poco che sapevano.

“La donna si chiama Laura Parson, moglie di Eric Duncan. E’ stata trovata un paio d’ore fa dalla polizia municipale che fa la ronda nel parco. Sembrerebbe morta per una pugnalata al cuore ma presenta anche fori di proiettili, probabilmente 9mm, in zone periferiche del corpo. Ferite non mortali, forse volevano semplicemente rallentare la sua fuga”.

Jo si intromise e continuò il resoconto della collega “Eravamo certi che l’assassino di Eric Duncan fosse Scott Turow, che in questo momento è in prigione quindi è evidente che c’è sfuggito qualcosa. E’ improbabile che questi due delitti non siano collegati tra di loro. Non credi Kate?” chiese conferma.

“Lo penso anche io. Sicuramente Turow era solo un pesce piccolo e noi abbiamo sottovalutato qualche elemento. Andiamo dal dottor Morgan?” propose guardando con naturale curiosità femminile la sua reazione. Dopo la chiacchierata di poche ore prima al pub voleva captare ogni segnale di interesse tra di loro.

Henry Morgan era carponi nella neve con il viso a non più di 5 cm dal suolo. Sembrava stesse odorando qualcosa, forse quella polvere grigia che sembrava essere stata sparsa casualmente senza un disegno preciso. Era ad una distanza di una ventina di metri dal corpo di Laura Parson, tra lei e la riva.

Henry sembrava non preoccuparsi minimamente del fatto che i suoi pantaloni a contatto con la fredda coltre bianca da almeno una decina minuti, si fossero bagnati. Lucas Wan lo seguiva passo passo annotando tutto ciò che il medico diceva.

“Henry!” lo chiamò la detective Martinez.

“Oh... Buonasera Jo, detective Beckett, Mr Castle” li salutò formalmente, come era nel suo stile, tanto che nessuno si meravigliò più di tanto.

“Cosa stai….” Jo non finì la frase che le passò un sibilo accanto all’orecchio. Subito dopo una raffica cominciò a colpire e a sollevare la neve accanto al piede del dottor Morgan.

“VIA! AL RIPARO!” gridò Beckett trascinandosi dietro Castle che, pensando fosse tutto terminato, si era chinato per raccogliere il bicchiere di caffè caduto in terra.

La Martinez stava aiutando Henry ad alzarsi e insieme a Lucas lo sorressero aiutandolo a trovare rifugio fino agli alberi dove si erano nascosti anche gli altri.

“Henry, come stai?” chiese Jo sgomenta, cercando di capire dove fosse stato colpito. La scia di sangue che aveva lasciato per terra risaltava nel candore della neve dando al cecchino la posizione esatta di dove si trovavano.

“Ci dobbiamo spostare da qui. Subito!” affermò sicura Beckett “Lì! Sotto gli alberi” gridò concitata “Speriamo non capisca dove andiamo”.

Henry era molto silenzioso e, stranamente, pensò Jo non aveva ancora messo a repentaglio la sua vita uscendo allo scoperto per cercare qualche riflesso che desse un indizio sul punto di partenza degli spari e non stava nemmeno partecipando alle ipotesi degli altri.

Castle si avvicinò a lui e a Lucas mentre le due detective, pistole alla mano, cercavano di muoversi in maniera coordinata. La Martinez continuava a svolgere il suo lavoro di protezione come da protocollo ma si vedeva la preoccupazione stampata in volto, tradita da quegli sguardi furtivi lanciati velocemente in direzione dell’amico ferito. Erano solo loro sulla scena del crimine. La Gates e la Reece se ne erano andate via insieme e la scientifica non era ancora arrivata.

“Come sta?” chiese Beckett rivolta a  Castle.

Castle controllò il dottore riverso in terra e gli aprì il cappotto e la giacca per controllare.

A tutti, a Castle stesso mentre pronunciava quelle parole, gelò il sangue nelle vene “Ha perso i sensi. E’ stato colpito ad una gamba e in pieno petto. Chiamo un ambulanza” gridò verso di loro agitato.

Ma prima ancora che potesse tirar fuori il telefono, una voce flebile lo interruppe:

“Sto bene, non è niente”.

Jo si precipitò verso di lui per controllare di persona e notò l’entrata del proiettile sotto lo sterno. Beckett era rimasta in disparte in allerta cercando di controllare movimenti sospetti. In caso ci fosse stato un nuovo attacco non voleva trovarsi impreparata.

“Andate! Non state qui. Sto bene e i soccorsi stanno arrivando. Andate a cercarlo” la richiesta uscì dalla bocca del dottor Morgan quasi come una preghiera.

“Non ti lascio” rispose di tutto punto Jo prendendogli una mano tra le sue e cercando di infondergli calore e coraggio insieme.

“No! Non lasciate che fugga. Io sto bene. Mi sento bene” la sua insistenza pareva davvero inopportuna ma non poterono provare a contraddirlo perché al contrario di quanto diceva, perse nuovamente i sensi.

Henry Morgan più volte aveva accusato Jo di essere stata troppo protettiva nei suoi confronti ma si era esposto spesso a degli inutili rischi facendole perdere ogni volta dieci anni di vita.

Mentre gli sosteneva la testa accarezzandogli i capelli e cercando di ricacciare indietro le lacrime che traballavano nella parte inferiore delle palpebre sentì una stretta alle mani.

“Vai!” le disse appena rinvenuto con un filo di voce.

“Andate!” insisté quasi con rabbia, raccogliendo le ultime forze di fronte ad un’allibita Kate, che non riusciva a capire quell’atteggiamento.

In realtà il dottor Morgan sentiva che le forze lo stavano per abbandonare e purtroppo conosceva bene quella sensazione che si prova poco prima di trapassare. Quella che ti lascia senza fiato e senza la forza di respirare e che ti fa osservare il tuo corpo e le persone accanto a te da un altro punto di vista, lontano da se stessi.

Non voleva morire davanti a loro perché sapeva bene che il suo corpo sarebbe svanito in poco tempo e questo significava solo una cosa: il dottor Henry Morgan stava per scomparire davvero. Avrebbe dovuto cambiare nuovamente vita. Il suo segreto sarebbe uscito fuori e lui ed Abe avrebbero dovuto abbandonare tutto e allontanarsi furtivamente nella notte.

Cercò di farsi forza e guardò tutti gli attimi più belli della sua lunga vita scorrergli davanti. E si rese conto che i ricordi migliori, quelli legati a sua moglie Abigail e ad Abe, vennero affiancati per la prima volta da un nuovo volto, quello di Jo, abbracciata a lui sulle scale di casa sua con una tazza di caffè in mano. La donna più dolce che avesse mai conosciuto, fragile e forte allo stesso tempo.

L’ambulanza arrivò a sirene spiegate e con un ultimo momento di lucidità riuscì a convincere il paramedico a non far salire nessuno sul mezzo di soccorso.

Nel percorso tra il Central Park e il Metropolitan Hospital Center, il dottor Henry Morgan morì per l’ennesima volta nella sua vita.

 

Angolo di Monica

Sono ancora avvilita per l’annunciata cancellazione di Forever quindi l’unica cosa che spero è che qualcuna di voi inizi a darsi da fare e a scrivere…

Finalmente il vero protagonista di questa storia ne entra a far parte e altrettanto velocemente muore. J Sono un po’ perfida.  Ma neanche tanto visto che sappiamo bene che fra poco il dottor Morgan  nuoterà nelle acque gelate dell’Hudson .

Riuscirà Castle ad avere la prova diretta della immortalità del dr. Morgan? O avrà la meglio il dr Morgan nella sua volontà di mantenere il suo segreto?

Continuate a seguirmi con la stesso  strepitoso, e visti gli inizi inatteso, entusiasmo.  

Grazie a tutti.

Un abbraccio

Monica

  
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