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Autore: eldarion    12/05/2015    5 recensioni
“...Lei aveva una vita meravigliosa, tutto a posto: niente sbavature, niente dubbi o incertezze, niente cieli oscuri né acque profonde.
Dalla finestra aperta sul cielo entrava solo il sole senza ombre e l’aria che sa di mare e ti fa vivere.”
Sanae è molto felice con Tsubasa, ama lui e i suoi due bambini. Ha una vita meravigliosa, tuttavia...E’ davvero stata una vita meravigliosa la sua? Personalmente mi sono sempre chiesta se Sanae fosse felice e che genere di felicità potesse essere la sua, da qui è nata questa storia che parla di lei, di una strana e improbabile avventura e...
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer

I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

Note personali: ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
l’ispirazione per questa storia è nata dal racconto The Greatest Gift, di Philip Van Doren Stern che lo scrisse nel 1939.

Buona lettura!

 

Troppo tardi?

 

 

Dalla finestra aperta non giungeva un filo d’aria.

Le tende bianche erano immobili e l’atmosfera stagnante aveva pervaso completamente il salone della festa. 

Sfinito dalle chiacchiere e delle insistenti domande dei giornalisti si fece strada tra gli invitati.

Era stufo di tutto quel baccano festoso, era stanco della gente. 

Doveva molto non solo al suo talento ma anche a coloro che aveva incontrato e che, in quel momento di celebrazione, pretendevano di avere la sua attenzione, le risposte, i sorrisi, le strette di mano, le confidenze anche. 

Era sinceramente grato a tutte quelle persone tuttavia era anche stremato e indebolito dal fervore che lo circondava: aveva ora un profondo fastidio verso la folla euforica e desiderava andarsene.

Solo lei avrebbe potuto dargli un po’ di respiro e tranquillità per poi permettergli di potersi calare nuovamente nel turbinio dei festeggiamenti.

Si guardò intorno cercando la sola cosa della quale sentiva l’estrema necessità ma non la vedeva da nessuna parte.

Non c’era.

Non c’era più!

Di Sanae non vi era traccia alcuna.

Gli mancò l’aria.

Tsubasa sapeva perfettamente che, almeno quanto lui, Lei amava starsene in disparte, all’aperto quando era possibile. 

Sicuro di vederla spuntare dalla finestra si diresse con passo deciso verso la terrazza dalla quale si godeva un magnifico panorama, la ragazza amava molto contemplarlo in silenzio.

Una strana inquietudine, mista alla pesantezza dell’aria estiva, avvolse il capitano permeando ogni fibra del suo corpo: lì fuori era tutto silenziosamente vuoto e deserto. 

Sanae non era là!

Percorse più volte quell’ampio spazio, avanti e indietro, indietro e avanti per poi fermarsi e arrendersi all’evidente assenza della moglie.

Restò impassibile a scrutare il buio della notte: esso pareva tuffarsi verso il mare e, impavido, si buttava giù per la scogliera scoscesa come attirato da un grande buco nero.

“Tsubasa!…Sei pallido, ti senti male?”

La voce di Rivaul lo destò e, spaesato, il giocatore si voltò verso l’amico.

“Sto bene. Hai visto Sanae?”

Tsubasa tagliò corto volutamente: doveva subito sedare quell’insolita agitazione che lo aveva invaso senza pietà e che si era impadronita di lui opprimendogli il petto col suo peso.

“Poco fa era qui in terrazza, magari è in giardino, o magari era stanca ed è tornata a casa. Vuoi che ti aiuti a cercarla?”

A Rivaul non era certo sfuggita l’inquietudine che, a fatica, Tsubasa cercava di trattenere ma sapeva anche che il giovane calciatore era molto riservato e non avrebbe condiviso la sua preoccupazione.

“Grazie ma… Proverò a cercarla in giardino” e senza dire altro si voltò dileguandosi nell’oscurità verde del parco.

Erano stati più volte alla villa e sia lui che Sanae la conoscevano bene ma lei non era da nessuna parte, quantomeno in nessuno dei luoghi dove era solita rifugiarsi. Disperato raggiunse il parcheggio: l’auto era ancora là.

“Potrebbe aver preso un taxi” mormorò, senza crederci, al vento che spirava dal mare.

Strinse i pugni e poi afferrò con decisione il cellulare.

“Rispondi ti prego…”

Dall’altro capo qualcuno sollevò il ricevitore

“Pronto…” 

Tsubasa riconobbe immediatamente la voce assonnata del figlio.

“Daibu che ci fai ancora sveglio?!”

“Io non ero sveglio papà, sei tu che mi hai svegliato!”

La risposta semplice del bambino era disarmante e molto sensata: era stato lui a disturbare il sonno del piccolo.

Tsubasa si sentì uno sciocco.

“Ah…beh….Mi dispiace Daibu, hai ragione ma credevo avrebbe risposto la zia Yukari…Io…”

Tsubasa non sapeva davvero cosa dire per non allarmare Daibu.

“La zia Yukari non poteva rispondere perché io ho preso il telefono e l’ho tenuto con me. Volevo risponderti io, Warashi mi ha detto che ti saresti preoccupato. Se stai cercando la mamma non devi preoccuparti: lei è con Warashi e lui ha detto che dovevo fidarmi perché l’avrebbe riportata a casa. Quindi papà devi stare tranquillo!”

Il capitano non credeva alle sue orecchie: era suo figlio a proteggerlo e a rassicurarlo! Per un attimo il capitano ebbe la netta impressione che i loro ruoli si fossero invertiti.

“Si ma…”

Il piccolo, per nulla sorpreso dalla titubanza del padre continuò.

“Anche la zia Yukari era preoccupata ma le ho detto quello che ho detto a te: la mamma è al sicuro con Warashi. La zia mi ha creduto, ha detto che anche lei da piccola aveva un amico così. E ha detto anche che sicuramente porterà cose belle. La mamma ritornerà da noi, te la riporterà il vento vicino al mare…Così, così ha detto! E lo ha detto poco fa quindi non c’è più da avere paura: perché io ce l’avevo tanta paura ma adesso sono tranquillo e anche tu devi esserlo papà. Warashi dice che abbiamo ricevuto un regalo, un regalo speciale…Ho sonno…Buonanotte papà!” 

Il piccolo riattaccò senza che Tsubasa avesse il tempo di replicare d’altro canto era chiaro che Daibu non lo avrebbe ascoltato oltre.

“Warashi…”

Tsubasa pronunciò quel nome con un filo di voce e la brezza marina lo rinfrescò improvvisamente ridandogli vita. 

Era come se fiabe e leggende in quella notte si fossero destate: sorte dal mare popolavano l’oscurità e si diffondevano sulle ali del vento. 

Certamente non era cosa comune essere partecipi di quel sortilegio notturno. 

Forse doveva dare ascolto a suo figlio, le cui parole gli avevano riempito il cuore, e avere fiducia: una fiducia nella vita e nei suoi misteri che Tsubasa, doveva ammetterlo, crescendo aveva perduto pian piano.

Aveva dimenticato molte cose che stava ora rammentando e tante altre, nel frastuono che lo circondava, le aveva perse di vista.

Non poté fare ameno di domandarsi il perché di quei singolari avvenimenti e come mai quella strana magia aveva avvolto ora la sua esistenza e quella della sua famiglia. 

Non sapeva spiegarsi la ragione ma, in fondo… Perché no?

Se suo figlio era così fiducioso chi era lui per rifiutarsi di esserlo?

Una cosa però lo turbava profondamente: per quale ragione Sanae si era allontanata e perché Daibu aveva avuto paura per poi tranquillizzarsi…

Si mise in attesa, umilmente, certo che la notte gli avrebbe parlato sciogliendo tutti i  suoi dubbi.

“Warashi…Mi sembra di tornare bambino.” 

Sospirò e sorrise, poi si avviò nel folto del giardino verso la scogliera seguendo il rumore scuro del mare. 

Era tutto davvero strano ma non si sentiva matto o stupido, no: era solo una persona alla quale, come aveva asserito Daibu, era stato fatto un regalo speciale.

L’aria, prima immobile e greve, si era fatta fresca e frizzante. 

Il vento giocava tra le fronde e scherzava con le foglie che si agitavano piano.

La fioca e consolante luce lunare accompagnava i passi del giovane nel suo misterioso viaggio alla ricerca della moglie. 

Era la prima volta, pensò Tsubasa, che non sapeva dove trovarla. 

Improvvisamente si rese conto che Sanae, era sempre accanto a lui, fin da bambini, e pareva vivere solo per lui, sognava anche il suo sogno. 

Erano cresciuti sognando insieme e ancora vivevano quel sogno ma cosa aveva fatto lui per lei? 

Si era preso cura di lei e la amava così come amava sognare con lei. 

Tuttavia l’amara constatazione era che lui aveva sognato solo per se stesso. 

Non sarebbe stato invece più bello sognare anche un altro sogno, diverso, uno dove accompagnare la sua adorata Sanae? 

La giovane aveva indubbiamente saputo tirare fuori la parte migliore di lui, ma lui con lei non aveva saputo fare altrettanto e, almeno fino a quel momento, lui non ci aveva nemmeno mai pensato.

La calma e la sicurezza che Daibu gli aveva infuso poco prima lo abbandonarono: e se Sanae fosse volata via per vivere un sogno tutto suo, lontana da lui? 

Era giusto così, lui se lo meritava.

Ora poteva osservare la situazione da una diversa e inedita angolazione: lui si era limitato a realizzare il suo sogno senza cercare di aiutare Sanae a trovarne uno tutto suo. 

Non glielo aveva mai chiesto se aveva un desiderio, un sogno speciale e forse, pensò, lui mai le aveva dato la possibilità di guardarsi dentro e pensarci seriamente.

Improvvisamente Tsubasa si sentì troppo ingombrante: lui e il suo sogno erano così mastodontici da inglobare e fagocitare tutto quanto il resto.

Fin da piccolo aveva sempre saputo cosa avrebbe fatto da grande e aveva trascinato con sè Sanae. 

Lei, al contrario, non aveva mai parlato di cosa avrebbe fatto da grande: forse desiderava solo vivere con lui e aiutarlo o forse, e questo era ciò che più feriva Tsubasa, sua moglie, troppo assorbita da lui, non ci aveva mai pensato ai suoi desideri e alla sua vita.

Il giovane calciatore realizzò che probabilmente in ogni persona c’erano dei sogni e dei desideri da realizzare.

Grandi o piccoli che fossero quei sogni la cosa importante  era che alcuni individui li realizzavano pienamente, altri li realizzavano senza riconoscerli mentre altri ancora li possedevano nel profondo ma talmente nascosti che faticavano a riconoscerli. 

Il capitano si rese conto di essere stato tremendamente ingiusto e cieco: anche se amava molto sua moglie, anche se era in buona fede, era chiaro che con lei aveva sbagliato.

L’inquietudine pesava come un macigno.

E se fosse stato troppo tardi? 

Se Sanae non fosse mai tornata?

Se Daibu avesse avuto torto?

Se Warashi si fosse sbagliato? 

Se Warashi avesse fallito con Sanae, magari proprio all’ultimo istante quando credeva di avercela fatta?

Quel Warashi in fondo era solamente un bambino e perdere Sanae, pensò Tsubasa, era la punizione per lui, per non aver saputo vedere e comprendere, era giusto così.

Poi, non lontani, il capitano udì un fruscio e un tonfo…

 

Continua…

 

Ciao a tutti, finalmente dopo una lunga assenza rieccomi qua!

Come state?

Forse questo è un capitolo un po’ inaspettato, lo è stato anche per me in verità: non era intenzionale questo pezzo sui pensieri di Tsubasa, il tutto era nato come un piccolo accenno al capitano, al quale era giusto dare un breve spazio in mezzo alle traversie di Sanae… solo che poi, mentre scrivevo, le parole sono diventate una valanga e il capitolo ha preso forma… :-)

 

  
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