- Come un sole rosso acceso -
Era molto semplice: dovevano alzarsi, vestirsi e uscire da quella porta. Una sequenza di azioni che chiunque sarebbe stato in grado di fare. Chiunque non avesse fatto l’amore con Ed Sheeran. Quando aprì gli occhi, lui dormiva ancora e si fermò a guardarlo e a godersi il suo calore ancora un po’. La sveglia sul comò segnava le 8.11 del mattino, un orario che la fece rabbrividire, ma probabilmente quel giorno avrebbe odiato la vista di qualsiasi orologio.
Sentiva le pulsazioni ritmiche e lente del suo cuore sulla guancia che aveva poggiato sul suo petto e cominciò a dover fare i conti con l’idea di distaccarsi da lui. Alzò la testa e gli baciò il collo, cercando di svegliarlo. Soltanto dopo averlo chiamato più volte, Ed aprì gli occhi.
Era confuso da quella luce così forte, poi capì che doveva essere a letto, in hotel, e non nel bungalow in penombra di Paestum. Quando i suoi sensi si risvegliarono, sentì la sua presenza e la sua voce. La guardò.
Nel suo sguardo c’era già una luce cupa che non voleva vedere.
- Ed, sono le 8.15 – cercò di dire, intrappolata nella sua stretta. – Dobbiamo alzarci.
Quando anche la chitarra fu nella sua custodia, si sedette sul bordo del materasso ed attese. La lancetta dei secondi faceva un rumore insopportabile, rimbombando nella sua mente non fece altro che rattristarlo. Avevano soltanto 3 ore. Non vedeva l’ora che uscisse da lì dentro per vederla, almeno quel poco tempo che gli restava lo avrebbero passato insieme.
Mise i polsi nell’acqua fredda, per aiutarsi a riprendere colorito. L’ansia che l’aveva assalita quando lui aveva risposto al cellulare le aveva fatto venire il voltastomaco.
Non riusciva a distaccarsi da quel lavandino con la sicurezza che non avrebbe pianto. Di solito, quando salutava qualcuno, aveva sempre la certezza che lo avrebbe rivisto e così risparmiava le lacrime per l’ultimo saluto, per poi smettere di versarne. Ma stavolta con era così.
Aveva la chiara sensazione che – per quanto sentimento Ed potesse provare per lei – quella sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbero visti. Si sarebbero salutati e avrebbero preso ognuno la propria strada, come se non si fossero mai incrociati.
Lo sentì bussare alla porta e si sbrigò a darsi un tono, prima che lui entrasse e la vedesse in quello stato. Infilò in fretta i suoi vestiti, si passò le mani tra i capelli ed uscì.
- Ho chiamato un taxi. Arriva tra un’ora. – ed entrò.
- Ti va di fare colazione fuori? – aggiunse. – Vorrei stare all’aperto.
Lasciò disposizioni alla reception per la restituzione della moto e pagò l’hotel. Rimase indaffarato al bancone per diversi minuti e quando finalmente ebbe finito, la raggiunse a passo svelto, col borsone in una mano e la chitarra in spalla. Lei afferrò una manica per aiutarlo e si diressero all’esterno, alla fermata dell’autobus.
Fermi lì sul marciapiede, non riuscivano a parlare. Il sole era così allegro, in contrasto con i loro umori, ma Ed ebbe la forza di prenderla sotto il suo braccio e poggiare le sue labbra sui suoi capelli, mentre guardava altrove.
Ballonzolarono in pullman per il successivo quarto d’ora, per poi scendere nella zona portuale. Ed riconobbe immediatamente il lungo muraglione del porto.
Si trovavano esattamente di fronte ad esso.
Un bar semideserto era aperto e si sedettero sui tavolini disposti sul largo marciapiede, sotto due grossi pini. La strada era alta, sospesa sull’incanalamento che portava al porto. Si godeva una splendida vista e la mattinata tersa permetteva di scrutare le casette lontane una ad una.
Immancabilmente, scattò una foto e prima ancora che lui potesse dire qualcosa, lei parlò.
- Lo so, lo so. Non posso sfuggire alla fotocamera interna.
Una volta scattato, Ed la baciò di sfuggita, prima che lei si alzasse.
Bevvero il caffè e mangiarono il cornetto in silenzio, ascoltando il verso dei gabbiani e beandosi del profumo dell’estate che riempiva l’aria.
Le barche a vela decoravano il largo.
Non passò molto tempo che il taxi arrivò, accostando proprio lì davanti a loro. Era lo stesso uomo che lo aveva accompagnato la prima volta. Lo salutò, riconoscendolo e lui ricambiò la sorpresa nel vedere di nuovo quel ragazzo. Ed, ricordando la sua delicatezza, infilò da sé i bagagli in auto. Alla vista di quel gesto, qualsiasi sentimento positivo svanì dal petto di Sara. Lui stava partendo e lei, no.
Quel viaggio in auto, anzi, quell’intera mattinata, sembrava un calvario. Una lenta e sofferta agonia. Il tassista non badava al loro silenzio, senza fare domande come la prima volta. Probabilmente sentiva anche lui la tensione o qualunque cosa fosse.
L’autostrada soleggiata scorreva velocemente e ben presto – troppo presto – presero l’uscita per l’aeroporto. Ed le pagò la corsa del ritorno, chiedendo all’uomo di aspettarla lì.
Carico dei suoi bagagli, la seguiva all’interno di Capodichino, con gli occhiali da sole come scudo. Non aveva cappucci da indossare, avrebbe dovuto arrangiarsi.
Si fermarono sotto il grande tabellone delle partenze e Sara cercò il volo diretto per Londra delle 12:00, sperando di non trovarlo, ma eccolo lì, in bella vista e col gate già segnalato.
Quando, sorpassando migliaia di persone con cappelli di paglia e vestiti leggeri, giunsero all’ingresso della sua discesa all’inferno, Ed lasciò la valigia e la chitarra e la abbracciò così forte che credette di romperla. Era arrivato quel momento e lui non poteva riavvolgere il nastro.
La sentì scoppiare in lacrime e dovette forzarsi a non lasciarsi andare anche lui. Singhiozzava tra le sue braccia, mentre cercava di controllare il tremore e riusciva a pensare soltanto che no, non era giusto, non poteva lasciarla lì. Non avrebbe più potuto fare niente, per lei.
Strinse gli occhi e pregò che il suo petto non scoppiasse. Le carezzava i capelli, per consolarla o forse per consolare se stesso. Non seppe quanto tempo rimasero così, ma dovette arrivare il momento di distaccarsi. Il suo cuore si era spezzato.
Sara lo guardò con gli occhi e il naso rosso, tenendogli le mani.
- Ciao. – disse, non potendo in alcun modo pronunciare altre parole.
- Ciao. – rispose.
Non importava più quanti secondi gli fossero rimasti per stare insieme, l’unica cosa che aveva davvero valore era il peso che avevano nel petto, l’unica cosa che desse senso a quella settimana, a quei luoghi, a loro stessi. Certi tesori non si toccano a mani nude e il loro forziere lo avrebbero portato nel cuore, invisibile ai più. L’impronta che avevano lasciato impressa nella loro anima, sarebbe rimasta indelebile: Ed sarebbe stato un Ed che ha conosciuto Sara e Sara sarebbe stata una Sara che aveva conosciuto Ed. Si sarebbero portati dentro. Per sempre.
Si baciarono per la vera ultima volta, cercando di trattenersi con le mani.
Il sole filtrava dalle pareti di vetro, battendo direttamente su di loro e quando Sara si distaccò da lui, con gli occhi appannati dalle lacrime, vide i suoi capelli rossi accendersi alla luce.
Ed riprese i bagagli e lasciò la sua mano definitivamente, costretto ad allontanarsi da lei con un nodo alla gola. La sua pelle scivolo via dai suoi polpastrelli.
Mentre camminava sotto il fascio di luce, continuava a salutarla con la mano, finchè non voltò l’angolo e sparì, mandandole un bacio. Sara abbassò la mano sventolante e se la pose sulle labbra tremanti.
Di quel giorno le sarebbe rimasto un colore, quello dei capelli di Ed illuminati. Probabilmente, perché ad esso associava quel suo enorme, vasto, infinito sentimento.
Come un sole rosso acceso.
Angolo autrice:
E così è finita la settimana di Ed in Italia.
Ho sofferto per scrivere questo breve addio, davvero.
Fatemi sapere cosa ne pensate. :)
Il porto: