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Autore: Euridice100    16/05/2015    9 recensioni
"Ma l’altra rialza il capo e lo fissa con odio.
È allora che Gold la vede.
Arretra di un passo con la certezza di avere dinanzi a sé un fantasma.
'No, non può essere.'
Ma è allora che il passato torna a essere presente."
(Victorian!AU RumBelle
Seguito di "Cleaning all that I've become" e "All of the stars".)
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Nuovo personaggio, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Your dream is over... Or has it just begun?'
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XI - Innocence
 
 
 
Sulla porta di casa c’era Regina Mills.
Gold gelò, la testa che vorticava come la ruota del suo arcolaio e mille teorie ad annebbiargliela. Cosa ci faceva la Contessina a Kensington proprio quel determinato giorno?
L’eventualità si trattasse di una coincidenza non lo sfiorò nemmeno per un istante; memore dei trascorsi, pensò solo a una cosa: alla vendetta di Cora Mills.
Come aveva fatto a scoprire che quella mattina sarebbe tornato a casa con la bambina? Anche se l’avesse fatto seguire, non avrebbe saputo del trasferimento; o comunque, non l’avrebbe scoperto in tempo per comunicarlo a Regina e inviarla alla villa.
Solo Belle e le sue amiche ne erano al corrente; Belle, le sue amiche e… I domestici.
Il delatore era all’interno.
I volti gli si affastellarono nella mente, gli anelli di una catena che non risparmiò niente e nessuno. Chi diamine era? L’avrebbe scovato e gli avrebbe fatto pentire di essere nato, questo era certo.
Ma in situazioni d’emergenza il dubbio non è un lusso che ci si può concedere; accantonò le riflessioni per un secondo momento, ben deciso a tornar subito dalla bambina lasciata con un maggiordomo probabilmente infido e a scacciare Regina che, avvolta in un mantello troppo pesante per metà giugno, lo guardava con gli occhi lucidi di lacrime che già avevano la meglio.
- Zio… – lo accolse andandogli incontro.
Lui non ricambiò lo slancio.
- Regina. A cosa devo quest’inattesa visita?
La domanda, pronunciata col gelo mascherato da quiete tipico di sua madre, fece indietreggiare la giovane. Perché l’uomo reagiva così? Che la gentildonna l’avesse già messo a parte di quanto accaduto e convinto a non sostenerla? Ciononostante, lo zio era l’ultima possibilità che le rimaneva; perseverare non era un’opzione, ma l’unica strategia disponibile.
- Ci sono stati dei diverbi in casa. Io e Maman abbiamo avuto un brutto confronto e io ho preferito andarmene. Potrei… Potrei restare da te qualche giorno?
La risposta non si fece attendere.
- No.
Regina impallidì vistosamente. D’istinto si sostenne a una colonna del porticato: all’improvviso le ginocchia non la reggevano.
- No…? Cosa intendete, zio?
Il tono pacato dell’industriale non subì variazione alcuna.
- No è una negazione che si usa per indicare il rifiuto. Non puoi restare.
Cora doveva essere orgogliosa della rampolla, si disse Gold; perché non solo aveva ereditato da lei le doti istrioniche di cui già aveva dato prova a dieci anni, ma l’aveva se possibile persino superata: il panico che Regina stava atteggiando era commovente tanto pareva vero.
Perché vero non lo è.
La tentazione di dare alla ragazza un messaggio per Cora gli si insinuò nel petto, tentatrice e ardua da mandar via, ma al tempo stesso più pericolosa che mai.
L’immagine di una bambina dalla treccia rosso cupo e dagli occhi simili ai suoi tornò a fargli visita.
Aveva già osato troppo provocando Cora durante la prima cena; non poteva rischiare ancora, non ora.
- Alla tua età dissapori coi genitori sono ordinaria amministrazione. Tua madre si starà senz’altro preoccupando; ti farò subito riaccompagnare a casa. E per il futuro, Dearie, ti consiglio di non compiere più gesti impulsivi come questa tentata fuga. Di riflettere, – sottolineò morbido il termine, certo che l’interlocutrice ne avrebbe afferrato appieno la portata – Sul da farsi, su ciò che è giusto e sbagliato al fine di prendere la decisione più saggia. Quella che, in fondo, entrambi sappiamo non essere questa.
Il fatto che proprio lui si dedicasse a simili arringhe aveva un’intrinseca ironia che non gli sfuggì, ma che non lo distrasse: Regina andava allontanata all’istante. Un’eventuale convivenza tra lei ed Helena era fuori discussione: avrebbe condotto in un’unica direzione, esattamente quella da evitare a ogni costo.
E tra Helena che era sua figlia e Regina cui pure era vicino come a un figlia, tra Belle e il rischio d’essere beffato ancor una volta da Cora, ora lui sapeva chi scegliere.
- Non posso tornare a casa. Non posso, – ripeté l’adolescente, martoriandosi le unghie e incapace di guardare l’altro negli occhi – Vi prego…
- Quante volte devo dirti di no prima che tu capisca? Se tua madre ha minacciato di non riaccoglierti, verrò con te e le parlerò di persona.
Non avrebbe mai voluto comunicare la notizia della sua rovina anche allo zio che l’aveva tanto spesso protetta dalla madre, causargli un altro dolore, ma cos’altro avrebbe potuto fare? Era costretta a rivelare il suo segreto.
- Sono innamorata dello stalliere, – confessò nervosa – Quando Maman è venuta a saperlo l’ha licenziato, ma noi abbiamo continuato a incontrarci in segreto. Oggi siamo stati scoperti e l’hanno picchiato, l’hanno picchiato a sangue, ma è riuscito a farmi fuggire e… – le parole le morirono in gola – Ed eccomi. Sono venuta qui perché non sapevo dove altro andare, dove rifugiarmi. E ora non posso tornare a casa, credetemi, zio, non posso.
Tra i meriti di Regina andava menzionata una certa prontezza di riflessi: aveva messo su un bel mucchio di fandonie in pochi istanti. Certo, se pur di vendicarsi Cora fosse stata disposta a mettere a repentaglio la reputazione e il futuro dell’erede unigenita, la situazione era persino più grave del previsto; ma colei che l’amareggiava maggiormente era Regina stessa. Come poteva prestarsi ancora a simili giochetti? Con quale pudore gli aveva implorato perdono tanto accorata per poi voltare nuovamente le spalle a lui, che era stato un secondo padre per lei?
Regina era marcia, marcia fino al midollo, proprio come sua madre.
Lo zio non le credeva. La sua espressione, le sue risposte… Non prestava fede a una sola parola. Del resto, come aspettarsi il contrario? Era stata lei a rovinargli la vita, inducendolo a scacciare Belle; e malgrado l’avesse perdonata, come pretendeva che le desse asilo? Anche durante la cena, quando gli aveva proposto di trascorrere qualche giorno assieme aveva prontamente sviato l’attenzione.
Ma stavolta tutto era diverso. Poteva immaginare i pensieri dell’uomo, giustificarli, ma stavolta lui avrebbe dovuto crederle. Era sincera, e lui era la sua unica possibilità di libertà e salvezza. Sua madre aveva ragione quando sosteneva che sola non sarebbe sopravvissuta più di un’ora nel vasto mondo: l’aveva appena intravisto con Daniel e Mal, e già aveva avuto prova della sua cruda brutalità.
- Zio, – lo pregò a bassa voce – Zio, ricordi il ragazzino con cui sono venuta qui quella mattina, cinque anni fa? – rievocare l’occasione era controproducente, ma andava fatto – Daniel Locke. Si chiama Daniel Locke, ed è lui. E so che è sbagliato, che probabilmente ho distrutto la mia vita, ma quando se n’è dovuto andare mi si è spezzato il cuore. Se non l’avessi rivisto sarei morta. So che basta poco per distruggere una reputazione, ma ti assicuro che non è il caso, lui… Lui mi ha sempre rispettata.
Le si imporporarono le guance accennando alla questione. Gold voltò il capo: non era un ambito su cui intendeva indagare. Anzi: non voleva sapere nulla in merito. Non sarebbe mai diventato una sorta di confidente delle avventure di una ragazzina che avrebbe potuto portare il suo stesso cognome.
- Lui mi vuole bene, tanto quanto gliene voglio io, e questo mia madre non lo accetta. Dice che la mia è debolezza, ma io con Daniel mi sento più forte. Felice, più sicura di me, determinata. Mi sento me stessa, mi sento come dovrei sentirmi sempre. Libera, – deglutì, ma non s’interruppe: aveva ancora altro da dire – Se ritornassi ora a casa non potrei più rivederlo, capite? Per te Daniel è libertà. Senza la libertà, io morirei. Perciò, per favore, – si asciugò le lacrime col dorso di una mano – So di non meritarlo, so che dopo ciò che vi ho fatto non lo merito, ma vi prego, fatemi restare. Se mi avete voluto bene come a una figlia, fatemi restare.
Fu una scintilla, la traccia di una freccia che sprofondò più di quanto immaginato.
Non avrebbe dovuto dirlo. Non avrebbe dovuto ricordare quella questione – cosa ne sapeva? Di Neal, di Helena, dei dubbi che da quindici anni l’avvincevano? Comunque fosse, il risultato non variava: era stata tanto abile da colpirlo in uno dei suoi punti più deboli e condurlo in un vicolo cieco. Che Cora fosse la mandante o che la storia del mascalzone fosse vera, Regina aveva sprofondato la lancia nella sua ferita più profonda e ora lo fissava così, con quegli occhi troppo somiglianti che tanto spesso aveva evitato, a implorare una nuova comprensione che lui non poteva concederle.
Perché le suppliche di Regina scatenarono anche altro. Un’idea che avrebbe potuto risolvere più di un problema – molti problemi.
La pietà si può vincere, aveva imparato a farlo; ma certe occasioni andavano sfruttate fino all’esaurimento.
Non fu la ragione, il ricordo di un recente passato o la memoria degli errori a guidare Robert Gold in quel momento, no: fu il desiderio di rimettere in ordine i tasselli di un’esistenza, di aiutare il fato in un processo già iniziato.
Fu il desiderio di avere accanto la sua famiglia.
Sarebbe stato semplice. Di lì a due o tre ore avrebbe inviato un messo a Belle – uno dei suoi, non certo un domestico – ad avvisarla. Lei non avrebbe mai abbandonato Helena così vicina alle Mills: si sarebbe precipitata a Kensington per proteggerla.
Proteggerla da un pericolo che, a quel punto, sarebbe già stato neutralizzato: perché nel frattempo lui avrebbe provveduto ad affrontare Cora e a rispedire Regina a Belgravia prima ancora che potesse udire l’eco di una vocina dall’accento cockney.
Lui avrebbe provveduto a risolvere la situazione, e riavrebbe avuto accanto Helena e Belle.
E con Belle in casa tutto – qualsiasi eventualità – sarebbe stato più semplice.
- Ti propongo un accordo, – l’altra rialzò il capo – Ti permetterò di restare qui finché non vedrò tua madre, – si guardò bene dal precisare che la cosa sarebbe avvenuta molto, molto presto – In cambio ti chiedo riserbo. Oggi riceverò un potenziale investitore: si tratta un incontro cui non intendo rinunciare per nulla al mondo, tantomeno per una ragazzetta incosciente. Riferisci a Emma Nolan di prepararti la vecchia camera di tua madre, – concluse – Resterai lì fino a nuovo ordine.
Regina annuì incredula, ma non sindacò. Se lo zio temeva potesse disturbare i suoi affari, si sarebbe presto ricreduto.
- Vi ring…
- Va’.
La ragazza obbedì. Vedendola sparire in casa, Gold si raccomandò attenzione: almeno una di quelle bestie non sarebbe rimasto sconvolto dall’apparizione della Contessina. Avrebbe scovato il giuda, fosse dovuto ricorrere alle più barbare torture.
E a quel punto, nessuno l’avrebbe fermato.
Attese minuti eterni prima di tornare verso la carrozza.
Helena ascoltava distratta Archibald, che le raccontava la storia di un grillo saggio. Quando vide il padre, la piccola si riebbe, ma l’ombra di inquietudine nei suoi occhi non sparì.
Ma pagheranno anche per questo.
- Principessa, – l’uomo fece appello a tutto il suo autocontrollo per sorridere e si esibì in un mezzo inchino, incurante della presenza del subalterno – La casa è pronta ad accogliervi. Seguitemi.
 
 
 

“Slowing down, I look around
and I am so amazed,
I think about the little things

that make life great.”



 
 
La casa di papà era davvero immensa. Non aveva mai messo piede in un posto tanto grande: persino il giardino che aveva intravisto appena pareva immenso e tutto verde – forse era un pezzo della Scozia di cui gli aveva parlato mamma?
Nel momento in cui aveva varcato il portone, le labbra le si erano dischiuse in una: – Oh! – di meraviglia. La sua primissima impressione aveva trovato conferma: tutta casa sua poteva essere contenuta lì tante, tantissime volte! Tutto era così bello che avrebbe potuto trascorrere l’intera giornata a ammirarlo: tra tappeti dall’aria morbida e tende color porpora, marmi intarsiati e specchi dalle cornici dorate, la bambina non sapeva su cosa soffermarsi prima.
Però tra lo stupore e la fascinazione, non riusciva a non provare anche un altro sentimento che non sapeva definire.
Era intimidita, Helena, dal lusso e dalla magnificenza che la circondavano: si guardava attorno incantata e disorientata a un tempo, alla vana ricerca di qualcosa che fosse parte del suo paesaggio, qualcosa che le conferisse sicurezza. Abituata ai bugigattoli dai muri scrostati dell’East End che lei associava a casa, tra sculture e carta da parati si sentiva così piccola e inadeguata; così sperduta.
Ma papà era entrato a testa alta in casa, e camminava come qualcuno d’importante, così fiero, così sicuro di sé, così diverso dal solito; e lei aveva fatto lo stesso, nell’inconscia speranza che imitandolo anche lei si sarebbe sentita a suo agio.
Ma così non era stato.
Avrebbe voluto stringere la mano alla mamma, essere confortata dal calore del suo corpo; ma mamma non c’era, erano lontane per la prima volta nella vita, e lei le aveva promesso di fare la brava ed essere coraggiosa. Era il momento di dimostrarlo, e non si sarebbe tirata indietro. In fondo c’era papà con lei, vero? Se gli avesse dato la mano avrebbe mostrato la paura e rotto la promessa fatta? Ma lui le aveva appena promesso che ci sarebbe stato sempre, e poi i papà proteggono le loro bambine, le aveva giurato Grace…
Gli afferrò la mano prima ancora di ordinare al braccio di compiere il gesto.
La mano di papà era diversa da quella della mamma: non era così piccola, né altrettanto calda e molto meno morbida. Ma a Helena piaceva. La rassicurava, attenuava la stretta allo stomaco che non sapeva spiegarsi e la faceva sentire un po’ meno persa. Come se, finalmente, in un oceano di novità avesse trovato un punto fermo in quell’uomo che non aveva esitato un istante prima di serrarle forte le dita.
Mary Margaret non riuscì a non sorridere dinanzi a quella scena. Vedere quei due assieme le faceva tornare in mente il tempo in cui lei, David ed Emma erano stati felici – erano stati insieme. Anche la loro principessa si affidava sempre al suo papà. Il suo principe, lo chiamava, innamorata di lui come tutte le bambine di quell’età. David era sempre stato un uomo gentile, ma con la paternità si era addirittura rabbonito ulteriormente. Se Belle fosse rimasta, se Helena fosse nata tra quelle mura, sarebbe stato lo stesso per Gold: la prima era il suo catalizzatore di luce, e la seconda…
La risposta era davanti agli occhi: il magnate restava rigido e impassibile, ma sembrava concentrato con tutta la dolcezza di cui era capace nel contatto con la sua bimba.
Sarebbe stato tutto diverso, se…
- Bentornato, Mr Gold. E benvenuta, Miss Helena, – li salutò cordialmente la governante.
La bambina sbatté le palpebre confusa, sentendosi chiamare in modo tanto sussiegoso e da una persona con cui era abituata a giocare in tranquillità,.
- Io sono Helena, Mary! Solo Helena. E la mamma ti saluta, e saluta anche tutti, e ha detto che devo obbedirvi e fare la brava e non dire parolacce. E dov’è Emma?
La governante occhieggiò verso il datore di lavoro alla ricerca di un suggerimento che non pervenne. L’arrivo di Regina aveva lasciato tutti di stucco, ma Robert Gold non ne sembrava particolarmente scosso. Cosa stava succedendo?
- Emma giungerà a breve, ma anche lei vi porge il suo benvenuto. Tutti noi speriamo dal profondo del cuore che vi troverete…
- Va bene, va bene, va bene, – l’industriale la zittì con una mossa che sapeva di consuetudine – Helena, devi cambiarti e vedere la tua camera. Vieni… Venite anche voi, Mrs Nolan, – nella falange di domestici, la governante gli parve la meno sospetta. Aveva comunque necessariamente bisogno di un aiuto pratico con la bambina e, ritenendo inutile assumere una bambinaia per due giorni, aveva già adocchiato Mary Margaret; e, malgrado tutto, il suo giudizio non era cambiato: la gratitudine non è di questo mondo, ma Gold dubitava che la donna avesse scordato chi aveva salvato lei e la figlia dalla più cupa miseria.
Helena seguì docile i due adulti, le dita ancora allacciate a quelle paterne e mille dubbi sul trattamento di Mary e le ultime affermazioni. Perché doveva cambiarsi? La mamma le aveva fatto mettere il vestitino estivo bello solo poche ore prima, non voleva toglierlo di già. E poi, che voleva dire “la sua camera”? Una stanza tutta per lei? Papà doveva essersi confuso, perché le stanze non erano certo di un’unica persona, ma di tutti: tutti ci vivevano, tutti ci passavano, tutti ci dormivano; al più si poteva restare da soli per qualche minuto – ma neanche troppi, poi, ché a lei la solitudine non piaceva. Dire “la sua camera” non aveva senso.
Però forse nello strano mondo in cui era finita, in cui in case enormi si viveva in pochi, lei era trattata come una regina e tutti ubbidivano a lui come a un re – cosa che in effetti era, secondo la storia –, le cose andavano diversamente.
Non era del tutto sicura che le piacesse davvero.
L’esitazione, tuttavia, svanì nell’istante in cui mise piede nella sua camera: anch’essa grande, grandissima e, soprattutto, piena di giocattoli. I balocchi si spandevano a profusione: ovunque si voltasse, i suoi occhi incontravano bambole dal viso in porcellana e dalle vesti in seta, trottole di legno, girandole colorate e palle, case di bambola e lavagnette, cerchi e tanti, tantissimi pupazzi a forma di animali: un piccolo zoo raccolto tra quattro mura.
Che suo papà le avesse comprato tutti i giochi di Londra?
- Ti piacciono? – il tono dell’uomo era strano, come se non vedesse l’ora di conoscere la risposta e al tempo stesso la temesse.
- Di chi sono? – mamma le ricordava sempre che replicare a domanda con domanda era maleducazione, ma fu impossibile trattenersi.
- Tuoi. Tutti tuoi.
Helena trattenne il fiato. Studiò il padre: non le dava l’impressione di aver mentito, ma era semplicemente impossibile. Come poteva essere vero? E perché lui la stava ingannando in questo modo?
- Veramente? – sicuramente c’era un trucco: se avesse chiuso gli occhi i giochi sarebbero spariti. Provò; quando spalancò le palpebre tutto era al suo posto.
- Certo, – ribadì lui avvicinandosi – Qui ogni cosa, dalla prima all’ultima, è tua, e non devi aver timore di prenderla e usarla. Di farne ciò che vuoi. Piuttosto, – indicò quanto li circondava, la fronte corrugata come se si stesse impegnando a cercare un difetto – Ti piace? Preferiresti qualcos’altro? Basta che tu lo chieda e te lo darò. Non vergognarti a chiedere.
Ma come desiderare dell’altro? Quella stanza era il sogno di ogni bambino; figurarsi di una piccina che fino ad allora aveva visto ben poche meraviglie.
- Non ho mai avuto così tante cose, – confessò con un filo di voce. Le possibilità che quei balocchi le donavano erano inebrianti.
Ed è solo l’inizio, rispose tra sé e sé Gold. Darò a te e a tua madre il mondo.
- Avrai ogni cosa, – promise, più a se stesso che alla figlia – Ogni cosa che vorrai. Ora ti lascio con Mary, ti aiuterà a indossare un bel vestito. Tornerò tra cinque minuti, – redarguì la governante prima di andarsene.
Sarò appena oltre la porta.
Ti proteggerò da chiunque, Helena.
Da chiunque.
Appena papà ebbe chiuso la porta, la bimba si rivolse alla domestica: – Ma ci devo dormire solo io lì?
Indicò col ditino l’immenso letto di legno sormontato da colonnine scolpite che, non meno del resto, le dava di che riflettere.
- Sì, tesoro, – la donna confermò, abbandonando ogni segno di deferenza e confondendo ancora di più la bambina.
- Ah.
Ecco: quella era una questione che non le piaceva affatto. L’idea di ritrovarsi di notte senza la mamma in una stanza sconosciuta iniziava ad agitarla e, quel che era peggio, a causa della promessa non poteva dirlo. Doveva affrontare la situazione comportandosi come le eroine delle sue fiabe preferite che,per salvare la loro gente, si sacrificavano, sceglievano la cosa giusta anche se più difficile. Avrebbe dovuto comportarsi allo stesso modo e combattere da sola contro i mostri che, era certa, erano in agguato sotto quel letto; avrebbe dovuto dimostrare di essere grande come sosteneva di essere dormendo da sola e non lagnandosi per ogni minima cosa – come, per esempio, per il nuovo vestito che le era stato imposto. La donna aveva blaterato qualcosa sul taglio, sulle pieghe perfette e sul modo in cui le cadeva addosso, e guardandosi allo specchio Helena si era trovata proprio carina, delicata come la statua di una damina che Granny conservava gelosamente. E poi, sembrava così diversa dal solito: chissà se papà o gli altri l’avrebbero riconosciuta vedendola!
Ma l’entusiasmo era stato soppiantato ben presto da preoccupazioni ben più urgenti: perché per quanto bello, il vestito le andava stretto e soprattutto le prudeva da morire. Di che diamine era fatto, dannazione?
Niente parolacce, la minacciò una vocina stranamente somigliante a quella di Belle.
Sopportava il fastidio già da alcuni minuto quando si decise a dirlo all’amica di mamma; ma in quel momento la domestica se ne andò e ricomparve papà, che vedendola sorrise.
- Come sei bella! Dovresti vivere tu a Buckingham Palace, anziché quelle ragazzette sciapite.
Col vestitino bianco sembrava un angioletto, una fatina dallo sguardo vispo che nulla avrebbe potuto costringere. Aveva scelto lui il colore dell’abito; aveva scelto lui il bianco, sebbene sapesse che quella Stagione il colore più in voga era il blu in tutti i suoi toni.
Ma non avrebbe sopportato di vedere accanto a lui una figuretta in blu – non in blu, né in giallo.
Non ancora.
A quei complimenti, il fastidio di Helena si dileguò.
Suo papà sapeva che esisteva e le diceva che era bella, e in quel momento esistere ed essere bella le parve la cosa migliore del mondo.
 
 
 

“I wouldn't change a thing
about it.”

 
 
 
- Secondo te Gold sopravvive alla giornata di oggi?
- Per me avrà un infarto entro stasera.
- Gioco al rialzo: gliene è già venuto uno e finge di star bene per torturarci un altro po’.
- Prova tu a brutalizzare il prossimo con un infarto in atto, love.
- E tu che ne sai, hai esperienza in materia?
- Emma Nolan e Killian Jones! – ululò Mary Margaret entrando in cucina – Vi pare il momento di comportarvi come due idioti? Certe cose non si dicono neanche per scherzo!
- Ma’, oggi la tensione è alle stelle e sembriamo tutti schegge impazzite, se per un istante…
- Avete ragione, Mary, – Killian lanciò un’occhiata ammonitrice a Emma – Siamo due immaturi che riconoscono di essere tali. Se non altro, lodate la nostra onestà… Piuttosto, diteci, – aggiunse prima che una delle due potesse controbattere – Com’è la situazione sopra?
La donna sospirò.
- Spero che tutto si risolva per il meglio, ma… Non so. Proprio non so come andrà a finire. Il padrone sembra un leone in gabbia, sospetta delatori a destra e manca e non lascia la bambina sola per più di un minuto. Se potesse, ci metterebbe tutti alla porta seduta stante. Se non altro, la povera piccina non se n’è accorta. Dovreste proprio vederla: si muove con tanta attenzione per non far ticchettare le scarpe sul pavimento, non capisce perché dobbiamo trattarla con tante cerimonie e non era più nella pelle dalla felicità alla vista dei regali! – Mary sorrise intenerita, ma tornò subito seria – Mi spiace sia capitata qui proprio ora. Temo che la giovane Mills ormai abbia sentore di qualcosa.
- Cosa ve lo fa pensare?
- È abituata a gironzolare per casa in libertà, e ora si ritrova confinata in un angolo, lontana da tutto e da tutti. Si starà ponendo qualche domanda, – la donna chinò il capo affranta – Vorrei poter dar fiducia alla ragazzina, e quasi mi spiace doverlo dire, ma credo che stavolta Gold abbia ragione. Non quanto al delatore, no di certo – lanciò un’occhiata a Jones – Ma quanto alla natura della visita di Regina. Ai suoi fini.
I tre tacquero assorti. Malgrado le apparenze distese, da quando Killian aveva riferito ai colleghi la proposta di Cora, l’opportunità offertagli in cambio di una semplice informazione, l’atmosfera in casa non era più la stessa. Tutti si erano complimentati con lui per la decisione presa, l’avevano accolto come un eroe – avrebbero fatto lo stesso se avessero conosciuto la reale motivazione del suo agire? – e gli avevano consigliato di mettere in guardia Gold, tanto più dal momento che questi era al corrente delle visite a Whitechapel.
Il valletto aveva promesso di farlo, consapevole che non sarebbe accaduto.
Lui stesso riconosceva che sarebbe stato saggio accennare qualcosa almeno a Belle; ma un pensiero l’aveva sempre frenato. In fin dei conti, lui cosa c’entrava in quella storia? Niente: vi era stato trascinato di peso, e qualunque resistenza era stata vana; ma ora avrebbe fatto leva sulla propria volontà e se ne sarebbe tirato fuori. Non intendeva restar coinvolto in una rete di tradimenti e vendette incrociate: aveva riavuto il suo lavoro, riaveva Emma, la sua vita doveva essere serena.
Belle avrebbe capito? Gold avrebbe accettato?
No.
Lui non voleva bruciarsi in un assurdo autodafé; voleva solo vivere tranquillo. Senza ulteriori guai.
Ma la coscienza, la coscienza può accettare simili ragionamenti?
Emma glielo rinfacciava sempre; Emma glielo rinfacciava ora.
Emma che era tornata a negargli i suoi baci.
- Avresti dovuto parlare subito,– gli abbaiò contro – Se l’avessi fatto non ci troveremmo in queste condizioni. Rimproveri me di non essere ragionevole, ma tu cosa sei?
Ecco: la sua coscienza era come Emma: scortese, scostante, e immediata nel costringerlo a fronteggiare la realtà. Da settimane entrambe lo esortavano – gli imponevano – di agire, perché la verità sarebbe comunque emersa in un modo o l’altro; proprio come era stato.
- Non…
- C’è di mezzo una bambina, una bambina! Come fai a dormire la notte? Andrò io a dire tutto a Gold, sai che non ho paura di farlo!
- Emma, basta, – sebbene cercasse di placare la figlia, era chiaro che Mary parteggiasse per lei per motivi che andavano ben al di là del legame di sangue – Non è più il tempo delle recriminazioni. Adesso la situazione è seria e dobbiamo affrontarla noi. Qualunque cosa abbia in mente Gold, siamo noi a dover impedire che le due s’incontrino… Sempre che non sia già successo. Non capisco perché non abbia ancora mandato a chiamare Belle.
- Perché gli uomini di questa casa non hanno un briciolo di…!
- Emma!
Quando la Nolan si metteva in testa un’idea, era irremovibile, Killian lo sapeva bene: se aveva deciso di parlare, l’avrebbe fatto. E una parte di lui ne condivideva la scelta. Ma era Mary Margaret la depositaria della ragione immediata: che il Coccodrillo agisse o meno, sarebbero stati loro a interfacciarsi con la realtà. A dover evitare che Regina, ancora una volta spia della madre, rovinasse la vita di terze persone.
L’unica cosa da fare, al momento, era tenere d’occhio la piccola Mills.
 
 
 

“This innocence is brilliant,
I hope that it will stay,
this moment is perfect,
please don't go away.
I need you now.”



 
 
- Nel pomeriggio dovrò uscire.
- Ah. Ma non puoi stare con me?
- Non posso, ho un affare urgente da sbrigare. Ma non mi tratterrò via a lungo, e quando tornerò avrò un regalo per te.
Helena aveva aggrottato le sopracciglia e l’aveva guardato dura, gli occhi scuri penetranti come succhielli.
- Ma io non voglio un regalo. Voglio che stai con me.
La frase l’aveva colpito con la stessa violenza di una bastonata. Conteneva un’accusa, un’incriminazione tutt’altro che tacita che gli aveva fatto male dritto al petto. Helena gli aveva detto in faccia tutto ciò che s’intuiva dalle lettere di Neal, ciò di cui forse anche lui l’avrebbe accusato se gliene fosse stata concessa l’opportunità. La bambina era abituata a dire quel che le passava per la testa senza farsi affliggere da ipocrite timidezze, e non aveva sprecato occasione: appena se n’era presentata una, aveva espresso il suo volere senza badare alle conseguenze.
Non esci per andare al White’s, non esci neanche per lavoro, ma per risolvere una questione che non può andare avanti.
Avere nella stessa casa Helena e Regina equivaleva a sfidare la sorte e Cora, offrir loro la testa di Belle su un vassoio d’argento. Doveva afferrare la ragazza, trascinarla in carrozza e non far caso alle panzane propinategli.
Perdono non sempre è sinonimo di assoluzione: nella sua personale scala di valori, i figli e Belle occupavano il primo posto. Regina, malgrado tutto, veniva dopo.
Ma poi la bambina gli aveva rivolto quella frase, ed lui si era bloccato. Perché era vero che non l’avrebbe abbandonata tra estranei – aveva fin troppa confidenza coi domestici, ne era persino amica –, ma lui evidentemente non poteva contare su di loro, e comunque lasciar sola la piccola in un ambiente così diverso da quello cui era avvezza non sarebbe certo stato un incentivo al suo ritorno.
Belle l’avrebbe preso a male parole quando l’avesse saputo; ma lo stesso sarebbe accaduto se avesse scoperto di Regina.
Ma Helena lo guardava con quegli occhi imploranti, che parevano inchiodarlo ai suoi peccati.
In fondo aveva solo quattro anni. Era così piccola, e per quanto sostenesse orgogliosa di non essere stanca, dopo una mattina così intensa avrebbe avvertito l’esigenza di riposare. Probabilmente di lì a poco sarebbe crollata, e lui avrebbe potuto approfittare del suo sonno per recarsi a Belgravia. Lo preoccupava solo l’idea di dover lasciar sola la figlia in simili frangenti, anche solo per pochi minuti; null’altro.
Nessuno avrebbe saputo niente. Helena non avrebbe saputo niente, Belle avrebbe saputo ciò che lui le avrebbe riferito e Regina e Cora ancor meno.
Al risveglio, la bambina avrebbe avuto il suo papà tutto per sé.
Com’era giusto fosse; come sarebbe stato per sempre.
Quella stanza avrebbero dovuto prepararla in due, e molti anni prima. Avrebbero dovuto scegliere ogni cosa assieme, litigare perché lui sarebbe andato alla ricerca di ciò che era raro e prezioso, mentre lei si sarebbe votata alla semplicità come al solito. Lui gliel’avrebbe data vinta – perché in un modo o nell’altro gliela dava sempre vinta –, ma un giorno ci sarebbe ricascato – perché in un modo o nell’altro ci ricascava sempre – e di nascosto avrebbe comprato qualcosa di opulento e fondamentalmente inutile;e quando lei l’avesse scoperto – perché lei lo scopriva, lo scopriva sempre –, avrebbe fatto la voce grossa, ma poi avrebbe riso, perché quella, in fondo, non sarebbe stata una reale bugia.
Magari i suoi sogni si erano realizzati, in un altro mondo. Magari altrove erano riusciti a ottenere la felicità agognata sin dal primo istante.
Ma lui avrebbe voluto quel sogno, quella felicità in questo mondo.
Avremmo potuto averli qui, se ti avessi permesso di amarmi.
Aveva annuito a Helena.
- Va bene. Resterò con te, – le aveva detto, ed essere ripagato dal suo sorriso era stata la ricompensa più bella.
Forse neanche quella era una reale bugia: sua figlia gli avrebbe creduto, per lei sarebbe stata quella la verità.
E anche se iniziare simile convivenza mentendo non era certo idilliaco, anche se durante la lontananza avrebbe avuto la mente sempre volta a lei – perché i bambini sono fragili, l’hai imparato a tue spese, e nessuno è degno di fiducia –, non agire avrebbe significato sconfitta certa.
E con Belle ed Helena in gioco, perdere non era un’eventualità accettabile.
Per questo aveva ordinato di portare qualcosa in camera di Regina e di ricordarle dell’ospite importante, per questo aveva condotto Helena con sé nello studio: sua figlia sarebbe stata al sicuro solo con lui, perché piuttosto che tradire anche lei si sarebbe fatto uccidere.
Lei e la Mills non si sarebbero incontrate, non si sarebbero neanche sfiorate.
I due universi non avrebbero collimato.
L’avrebbe impedito lui.
Era bella, Helena, bella da farlo commuovere. Non poteva fare a meno di guardarla, incredulo del piccolo miracolo della sua esistenza: davvero aveva contribuito a creare un essere tanto splendido?  Non era abituata ai vestitini eleganti e si muoveva impacciata e goffa, ma – piccola cocciuta, sei tale e quale a tua madre – non se ne lamentava. Lo indossava da poco, ma già stava imparando.
Come faceva una creatura tanto piccola a contenere un pezzo così grosso del suo cuore? Ad averlo già avvinto, reso suo schiavo e conquistato ogni angolo della sua anima?
Si era posto le stesse domande su Belle, e all’epoca era riuscito a darsi una risposta: si ama ciò di cui si ha bisogno, dicono, e lui amava la sua Sweetheart per il modo in cui era in grado di rispettare i suoi silenzi e riempirli.
Per il modo in cui, incurante dell’oscurità che l’avvolgeva come una cappa, aveva trovato la strada per addentrarsi nel suo cuore – fino a restarvi intrappolata.
Non avrei mai dovuto farti soffrire, amore mio.
Helena era così simile a Belle nel loro essere sempre attive. Lo faceva divertire con le sue domande su ogni oggetto, col modo in cui fissava incuriosita i ninnoli, le vetrinette e le maschere esotiche che a sua madre non piacevano; lo faceva ridere lo sguardo accigliato che riservava alla scrivania ingombra di incartamenti.
- Li metto in ordine! – aveva esclamato, ed era balzata all’attacco; e in quel momento a lui era davvero sembrata Belle, la sua versione in miniatura e con gli occhi un altro colore, ma con la stessa disarmante capacità di invadere i suoi spazi senza per questo risultare sgradevole.
Era stato inutile spiegarle che le pulizie erano compito della servitù: Helena era un vulcano d’energia, un uragano impossibile da fermare. Saltava da una parte all’altra e lui la seguiva, partecipe e protettivo, condividendo l’entusiasmo di ogni scoperta e l’euforia di scherzi sempre nuovi. Gold non si era illuso neanche per un istante di poter restare seduto a lavorare mentre lei giocava: erano le prime ore che trascorreva solo con sua figlia, doveva – voleva – dedicarsi a lei e lei sola.
- Cos’è? – a un certo punto la bambina chiese incuriosita, puntando un dito al lato opposto della stanza.
- Questo, – spiegò lui avvicinandosi – È un arcolaio. Si usa per filare la lana. Ecco, guarda: questi sono il rocchetto e le alette. Sono il cuore dell’arcolaio; il resto serve solo per far funzionare questi due elementi. Il filo va fissato sul rocchetto, ma prima bisogna imparare a pedalare in modo lento e continuo…1 – cercò di essere quanto più chiaro possibile, soffocando per un istante il ricordo di un discorso simile fatto a un bambino dalla zazzera scura.
Helena lo ascoltava rapita, un luccichio incantato negli occhi bruni. Poneva domande interessata, come se non avesse mai visto un simile arnese il cui funzionamento le pareva pura magia; e lui era felice di spiegarglielo perché, per quanto fosse un’inezia forse destinata a essere scordata, era pur sempre qualcosa che faceva per sua figlia. Esattamente come quando era stato lui a raccontarle la fiaba della buonanotte: Helena pretendeva lui, e l’avrebbe ottenuto. Prima ancora e molto più dei doni del padre, pretendeva il suo tempo, la sua attenzione, la sua presenza; rivoleva ciò che non aveva avuto.
Una piccola egoista che lui voleva accontentare.
In fondo, non era lui a desiderare che il passato fosse il suo presente, il suo futuro?
- Capito! – la bimba annuì – È come il fuso di Rosaspina.
- Di chi, prego?
- Il fuso di Rosapina, la principessa che si punge un dito e dorme cent’anni, – ripeté stupita – Non lo sai?
- Temo di non conoscere le disavventure di questa signorina.
- Che strano. A me la mamma le racconta sempre… Se vuoi glielo chiedo e la prossima volta le racconta pure a te. Però, – si morse un labbro meditabonda – Nella storia il fuso è incantato. Fa dormire la principessa finché arriva il suo vero amore e la bacia. Anche questo fuso è così?– chiese, non senza palesare una punta d’apprensione.
- No, no, – la tranquillizzò con un sorriso – Questo è solo il vecchio arcolaio che usavo quando lavoravo come filatore.
- E ora non lavori più?
- Diciamo che ora mi occupo più di fabbriche e numeri.
- E allora a che ti serve un arcolaio?
- Alle volte mi aiuta a dimenticare.
- Dimenticare cosa?
Gold si ritrasse d’impulso e guardò confuso sua figlia. No, non poteva aver detto ciò che lui credeva di avere udito; non era possibile. Aveva già avuto quella conversazione, ma con un’altra persona – con Belle.
- Cos’hai detto?
- Cosa vuoi dimenticare.
No, non aveva frainteso: Helena gli aveva posto la medesima domanda che tanti anni prima gli aveva rivolto la sua Sweetheart. Come poteva saperne qualcosa? Era una semplice caso della vita – una fatalità dal potere quasi inquietante, tale da farlo rabbrividire?
Una volta Belle gli aveva parlato di predestinazione. Dinanzi alla loro bambina, Robert Gold iniziava a pensare che avesse ragione.
Alla sua amata non aveva detto subito chi volesse dimenticare. Aveva risposto con uno scherzo – ed era stata la prima, non certo l’ultima volta che evitava le sue domande scomode, eppure comprensive.
S’interrogò sull’opportunità di parlare a Helena di Neal. La bambina era piccola, ma era certo che in un modo o l’altro avrebbe capito. Gli avrebbe raccontato della sua dolcezza e del coraggio che non capiva da chi avesse ereditato, del modo in cui aveva attraversato la sua vita come una meteora – la più luminosa che avesse conosciuto fino ad allora. La bambina aveva il diritto di conoscere suo fratello.
Suo fratello.
Non aveva mai pensato a Neal in questi termini. Se fosse sopravvissuto, sarebbe ormai stato un uomo adulto. Magari avrebbe preso moglie, magari anche lui sarebbe diventato padre. Ma Gold non aveva dubbi: per la sua sorellina, Neal ci sarebbe sempre stato. Sempre.
No, forse non era ancora il caso di parlargliene. Era troppo presto, e farlo avrebbe distrutto la fanciullesca spensieratezza che la contraddistingueva. Non intendeva rattristarla per alcun motivo al mondo, ma sapeva che sarebbe successo se avesse iniziato a parlarle. Il dolore che irradiava dalle sue azioni quando era Neal a muoverle era immenso.
L’innocenza, la dolcezza ancora intoccata dalla vita di Helena andava preservata.
- Le cose brutte, – dichiarò laconico.
- Ma non è che poi dimentichi anche me?
- Mai, – non ci fu esitazione quando lo disse – Di te e di tua madre non potrei mai scordarmi, – anche se una volta è accaduto, non aggiunse. Tacque per un istante, il peso di mille cose non dette ad assordarlo e opprimerlo; ma rialzò il capo e riprendere a parlare – In ogni caso, in quest’arcolaio non c’è nessuna magia, né io sono uno stregone, purtroppo. Altrimenti filerei la paglia in oro e per vivere non dovrei fare le cose noiose che faccio. Mi piacerebbe essere un mago. O un cavaliere… Un cavaliere con la magia, ecco. A te no?
- Molto! – Helena saltellò sul posto, elettrizzata – Se ce l’hai sei potente, sai? Puoi fare tutto! Per esempio, se l’avevo io facevo stare la mamma sempre felice, davo una casa bella come questa per Granny e Ruby e un fidanzato per Ruby, e facevo tornare il papà di Grace come sei tornato tu. E poi potrei mangiare tutti i dolci che voglio senza star male, tutti io! – si fermò e lo guardò – Anzi no. Con te li divido. Li mangiamo assieme.
Gold ghignò.
- Però, sei una tipetta intraprendente! Non sai che la magia ha sempre un prezzo? Se tutti questi progetti facessero arrabbiare mamma?
- Ma sono cose belle! E poi, noi le faremmo lo stesso. Le faremmo di nascosto, quando non ci può vedere.
- E se ci scoprisse?
- Le chiediamo scusa e io faccio gli occhi dolci. Glieli facciamo tutti e due, così non resiste! Una volta, quando tu ancora non c’eri, l’ho sentita dire che quando glieli faccio non mi sa dire di no perché si ricorda di mio pa… – Helena si bloccò, un lampo di panico negli occhi – Di te. Sì, di… Di te. E da allora glieli faccio apposta quando voglio qualcosa, anche se non sempre mi riesce.
Perché si era interrotta? Stava per dire quella parola, eppure proprio non era riuscita a pronunciarla. Quando Helena ci aveva provato c’era stato un istante di vuoto nella sua mente, come se tutto si fosse bloccato e per ricominciare a parlare fosse necessario spiccare un salto; un salto corrispondente proprio al modo in cui pure le sarebbe piaciuto rivolgersi al signore gentile che la riempiva di regali come se ogni giorno fosse Natale e sembrava non avere di meglio da fare che stare lì ad ascoltarla.
Ma non ci era riuscita. Tutto ciò che poteva fare era guardarlo e sperare che non se la prendesse troppo: magari ora che vivevano assieme lui pretendeva di essere chiamato così, perciò si sarebbe arrabbiato e l’avrebbe mandata via. A casa anche mamma si sarebbe arrabbiata, perché non le aveva obbedito ed si era comportata da monella. Non voleva che nessuno dei due si arrabbiasse, non voleva combinare un guaio, davvero. Alle volte, però, per quanto s’impegnasse era proprio cattiva, e quando se ne pentiva ormai il danno era fatto…
Gold ci aveva sperato, per un momento. Senza rendersene conto, si era proteso verso di lei, desiderando solo che una parola, che quella parola sfuggisse dalle labbra della figlia. Che lo riconoscesse – che lo definisse nel modo più bello in cui si era sentito definire in una vita apparentemente coronata di trionfi.
Sì, sarebbe stato bello sentirsi chiamare papà dalla bambina avuta col suo vero, unico grande amore. Ma ci voleva tempo. Tempo e pazienza. Quello non era un processo da affrettare: la situazione di Belle era diversa da quella della figlia. Imporsi a quest’ultima sarebbe stato deleterio per tutti.
Stringi i denti e va’ avanti.
Come hai sempre fatto.
- Saremmo grandi complici, noi due, – sollevò appena l’angolo destro della bocca nel fantasma di un sorriso sghembo – Saresti una maghetta eccezionale. E, come le fiabe insegnano, ogni strega che si rispetti ha il suo arcolaio, e per combinazione qui ce n’è uno. Ti va di provare a usarlo? – le propose gentile. Se anche fosse stato tanto meschino da provare risentimento, lo sguardo grato di sua figlia l’avrebbe spazzato via in un secondo – È più facile di quanto sembri, fidati. Anch’io ho imparato da piccolo.
- Ma io non sono piccola. E imparo anche prima di te, –sbuffò lei saltandogli sulle ginocchia, improvvisamente molto più serena. Non c’era che dire: suo padre era una continua sorpresa.
Gold aveva cercato di insegnare a filare anche a Belle, una sera. Le aveva spiegato il procedimento e lei l’aveva seguito e poi imitato attenta, con la stessa smorfia concentrata che ora dominava il faccino di Helena; ma – neanche lui avrebbe saputo spiegarsi come – a un certo punto il filo finiva per attorcigliarsi, e non c’era verso di sistemarlo.
Al terzo tentativo Gold si era reso conto di non essere un insegnante paziente e aveva scosso il capo.
- Sweetheart, sei una pessima allieva, – aveva sentenziato, scostando quei capelli ramati fini come seta da ricamo e indugiando sul collo candido come neve.
- Se il maestro continua a distrarmi…
Quanti errori si compiono per un po’di felicità provvisoria? Aveva creduto che anche lei fosse interessata solo al denaro, solo al potere, e l’aveva mandata via. Aveva cancellato dalla sua vita l’unico possibilità di conoscere la serenità in nome di un benessere che lo avvolgeva d’oro, e svuotava di sentimenti. Non aveva nessuno con cui condividere ciò che aveva, ciò che tanto gli piaceva; e forse non esagerava sostenendo che una parte, la parte più vera di lui, avrebbe dato via tutto pur di riavere lei; pur di poter consacrarsi ancora anima e corpo a lei.
Gli mancavano l’amore che avevano conosciuto assieme, la passione e le difficoltà, e insieme la leggerezza. Gli mancava la felicità. Dopo di lei non l’aveva più ritrovata.
- Sono brava? – domandò Helena.
Gold tornò in sé. Non avevano combinato nulla, ma non era il caso di specificarlo.
- Certo. Sei la più brava allieva che abbia mai avuto.
La bambina rise. Nella sua espressione splendeva una fiammella d’orgoglio infantile per non aver deluso le aspettative.
- Ora però non voglio più filare. Un po’ mi annoia, sai? Posso continuare a guardare le cose?
- Certo, – la fece scendere – C’è qualcosa in particolare che vorresti vedere?
La bambina non rispose, ancora una volta intenta a studiare quanto riposto sui vari mobili.
- Anche la tazza mezza rotta ti aiuta a dimenticare?
Un colpo al cuore, una stoccata che lo raggiunse in pieno petto.
Un proiettile avrebbe fatto meno male.
Raggiunse all’istante la bambina: non potevano esserci equivoci. C’era una sola tazza mezza rotta nello studio.
Una tazza sbeccata, per l’esattezza.
Aprì piano l’anta della vetrinetta in cui l’aveva conservata al ritorno da New York, e la prese con delicatezza per mostrargliela.
- Tu… Tu sai cos’è questa?
Helena guardò la porcellana con più attenzione. Era una comune tazzina scheggiata, bianca e con un decoro azzurro. Non era brutta, anzi, era molto più fine di quanto usavano a casa; però non aveva alcuna particolarità evidente, eccetto il segno che la incrinava.
- No, – alzò le spalle – Mai vista prima.
- Lo so, – Gold deglutì – Ma tua mamma te ne ha mai parlato?
La bambina scosse il capo.
Era strano che Belle non le avesse raccontato nulla in proposito. La donna teneva all’oggettino tanto quanto lui… Doveva esserci un motivo se l’aveva taciuto alla figlia. Forse aveva preferito mantenere il riserbo, conservare il ricordo come un segreto intimo cui rifarsi nei momenti di malinconia. O forse aveva deciso di attendere che la figlia fosse più matura, maggiormente in grado di capire il valore delle piccola cose. Sarebbe stato un ragionamento degno di Belle, in effetti.
- Ma quindi a che ti serve?
- Questa, – mormorò – Mi aiuta a ricordare.
Quel giorno di cinque anni prima aveva rotto ogni cosa sul suo cammino eccetto la tazza.
L’aveva conservata come una promessa: non avrebbe più amato.
Poi era divenuta un ricordo: aveva amato.
Aveva amato lei.
- So che tua mamma ti ha raccontato di quando lavorava per me. Il suo primo giorno, mentre le stavo spiegando i suoi compiti, le ho fatto un brutto scherzo. Lei si è spaventata e le è scivolata di mano questa tazza. Vedi? – gliela porse, pregando che fosse più accorta di Belle – Cadendo si è sbeccata. Tua mamma ha avuto paura che io la rimproverassi, o che la mandassi via urlando, e ha iniziato a chiedermi scusa. “Mi dispiace, mi dispiace tanto, ma si è sbeccata. Si vede appena”, mi ripeteva tremando; e io le ho risposto di non preoccuparsi, perché era solo una tazza, – la bambina continuava a passarci sopra le dita, intrigata – La cosa strana è che, se fosse stata un’altra domestica a gettare a terra qualcosa, io mi sarei arrabbiato davvero. Con lei non è successo. Forse non me ne rendevo conto, ma già non volevo avesse paura di me. In segreto, volevo si sentisse a suo agio. Sicura. Protetta.
Helena gli riconsegnò l’oggetto, ma rimase pensierosa. Gold temette di averla turbata, ma ciò che si sentì chiedere dissipò ogni dubbio.
- Vuoi bene alla mamma?
Era una risposta intima, inadatta a una bambina, ma si sentiva obbligato a rispondere.
- Non le voglio bene. L’amo.
- Che significa?
-  È qualcosa che va oltre, molto oltre il voler bene. Qualcosa che si prova verso pochissime persone. Per esempio, – le carezzò una guancia – Io amo solo lei e te.
- E perché ci ami?
- Amo te perché sei la mia bambina. Sangue del mio sangue, la figlia migliore che il destino potesse riservarmi. Il mio tesoro unico e specialissimo. E amo Belle perché io non ci sarei se non ci fosse stata lei.
La bambina lo guardò come se fosse ammattito.
- No. Io non ci sarei se lei non ci fosse, non tu. È mia mamma.
L’uomo le scostò una ciocca dalla fronte.
- Intendevo in un altro senso, – rimase serio – Tua mamma mi ha conosciuto nel mio momento peggiore ed è riuscita ad amarmi. Come ha fatto, per me resterà sempre un mistero; ma è stata sincera, sempre sincera e io non sempre le ho creduto. Lei mi è rimasta accanto finché gliel’ho consentito e mi ha dato forza – mi ha reso migliore. Mi ha dato il paradiso, e per uno come me il paradiso è un sogno.
- Ma tu sei buono, – obiettò la piccola – Perché stai dicendo questo?
Erano cose che sua figlia non avrebbe mai dovuto scoprire, né allora né una volta cresciuta. Non voleva sapesse che uomo poteva essere suo padre, le oscurità che albergavano nei meandri della sua anima e che gli sussurravano all’orecchio quando Belle era distante; per la sua bambina sarebbe voluto essere il padre perfetto, proprio come per Belle sarebbe voluto essere l’uomo perfetto.
E non lo sarebbe mai stato.
Quando avrebbe deluso nuovamente entrambe – lo stava già facendo –, cos’avrebbe capito Helena? Anche in quello sarebbe stata tanto somigliante alla madre? Belle aveva cercato di far tacere ogni demone, di asciugare ogni lacrima; ma non sapeva che c’erano paure che non avrebbe potuto dissipare, bivi impossibili da prevedere.
Proprio questo l’aveva distrutta.
- Helena, – s’inginocchiò alla sua altezza – Tu mi vedi buono, ma non sempre lo sono. Però – qualsiasi cosa accada, voglio che tu ricordi una cosa. Che la ricordi a te stessa e… E a tua madre, se puoi. Per favore, ricordate che vi amo e che mai, per nulla al mondo vorrei deludervi. Farvi del male.
In quel momento papà sembrava così triste. Con le spalle curve e il capo chino, pareva sperduto. A Helena dispiaceva tanto vederlo così, e non capiva come potessero convivere in un solo corpo l’uomo tanto orgoglioso con cui era entrata nella villa e questo signore fragile. Era colpa del discorso appena fatto, poco ma sicuro; un discorso che Helena non aveva capito fino in fondo, ma sul quale capiva non era il caso di porre domande. Non al momento, almeno.
Gold la sentì all’improvviso. Una mano piccola sulla sua spalla, che si posava delicata ed esitante come gli uccellini desiderosi di nutrirsi da un bambino e timorosi di avvicinarglisi, e la carezzava piano, quasi a consolarlo.
Helena lo fissava mesta.
- Non ci fai del male. Anche noi ti vogliamo bene, –  disse prima di abbracciarlo forte.
Gold ricambiò la stretta.
Non meritava una donna come Belle.
Non meritava una figlia come Helena.
Perché fai di tutto per perderle di nuovo?
 
 
 

“And I'll hold on to it,
don't you let it pass you by.”

 

 
 
Stava succedendo qualcosa, ne era certa.
Il problema era capire cosa.
Casa Gold era tutto fuorché serena quel giorno. Da una parte poteva intuirne la ragione: il suo arrivo rocambolesco, la confessione allo zio… Aveva praticamente ammesso di essere compromessa. Forse l’uomo provava un tale disgusto nei suoi confronti da non tollerarne neppure la vista: come spiegare altrimenti l’atteggiamento dimostrato? L’aveva fatta accompagnare nella vecchia camera ufficiale di sua madre e abbandonata lì in attesa di nessuno sapeva cosa. Kathryn le aveva portato il pranzo per poi fuggire via ricordandole di far silenzio; e da allora non c’erano state altre novità.
Non un segno, non un’indicazione, nessun nuovo ordine: niente.
E,momento dopo momento, la storia dell’ospite importante diventava sempre più debole.
Lo zio non aveva precisato quanto tempo l’avrebbe ospitata, aveva notato, e Regina sapeva bene che questo significava solo una cosa: l’avrebbe rispedita a casa quanto prima, anche contro la sua volontà. Aveva pensato di precederlo andando a perorare la propria causa nel suo studio, ma le volte in cui aveva provato a lasciare la stanza era subito stata raggiunta da servitori ben più solerti del solito.
- Mr Gold sta discutendo di affari con un ospite. Vi riceverà appena possibile.
Ogni rimostranza o minaccia era stata vana: con delicatezza, ma decisione le Nolan e Jones l’avevano ricondotta in camera.
E così Regina era costretta a restar sola con la peggiore compagnia si possa avere: se stessi.
Gli avvenimenti di Kensington, in fondo, non erano importanti quanto ciò che stava accadendo altrove. Pensava e ripensava alla mattinata. Sarebbe voluta essere forte, essere grata al destino che l’aveva fatta fuggire e non curarsi della sorte dei compagni; ma – sua madre aveva ancora una volta ragione – si riscopriva debole.
Debole e innamorata.
Aveva assistito alla violenza dei colpi sferrati a Daniel: non poteva illudersi. L’avrebbero ucciso, o abbandonato morente sul ciglio della strada. Nell’East End sarebbe passato inosservato, forse. O l’avrebbero gettato nel fiume… Ogni ipotesi era plausibile; ogni ipotesi era dolorosa.
Il suo Daniel così no. Mai.
E Mal che l’aveva aiutata sin dal primo giorno, Mal, la sua irruenza e il suo coraggio che l’avevano salvata? Quale destino l’attendeva? Le strade che l’adolescente si prospettava erano tutte orribili; ma sapeva ciò di cui erano capaci gli uomini di sua madre.
E tutto questo per aver aiutato me.
E io sono scappata senza aiutarli.
Come una codarda.
Perché voler bene significa preoccuparsi? Regina non voleva soffrire, non voleva sentire il peso dell’angoscia opprimerle il petto, soffocarle il respiro e ricordarle la sua nuova colpa.
Forse avrebbe dovuto dar retta a Cora: l’amore è una debolezza, ed è più semplice seguire la strada già tracciata. Meno pericoloso, meno gravoso: non pone scelte, non pone rischi. Avrebbe avuto tutto, e l’aveva gettato via per un capriccio infantile.
Regina trattenne una risata amara. Possibile che stesse sostenendo qualcosa di simile? La sua vita e le sue idee cambiavano direzione come una bandieruola al sopraggiungere della tempesta. Pensava che lei e Daniel sarebbero riusciti a contrastare Maman, ed ecco com’erano finiti; sperava che lo zio l’avrebbe compresa e accolta, e si ritrovava nuovamente prigioniera in una stanza lussuosa. Aveva giurato a se stessa che la madre non l’avrebbe piegata, e invece…
E invece, si disse sentendo le lacrime scivolarle lungo le guance, invece mi hai già spezzata.
 
 

 
“I found a place so safe,
not a single tear,
the first time in my life

and now it's so clear.”
 

 
 
Helena l’aveva detto che non voleva dormire. L’aveva detto e ridetto a papà e a Mary Margaret, ma non l’avevano ascoltata: prima uno e poi l’altra avevano ripetuto che era bene si riposasse un po’, che tutti i bambini lo facevano e che al risveglio si sarebbe sentita piena di energia e avrebbe potuto giocare senza sosta.
Aveva fatto presente che già si sentiva benissimo, grazie tante, e che poco le importava degli altri: lei era lei, e di pomeriggio non dormiva, punto. Si dorme quando c’è buio, non nel bel mezzo del giorno, quando si possono fare tante cose ben più interessanti; per esempio, esplorare il Castello, come aveva ribattezzato la villa. Tra salotti e salottini, sale da ricevimenti e da ballo, soggiorni, verande e stanze che non avevano alcuna funzione, non poteva lasciarsi sfuggire la possibilità di un’avventura!
E poi – questo però non l’aveva specificato – da sola in quella stanza non voleva starci, non voleva starci assolutissimamente.
Appena la governante aveva chiuso la porta, Helena era schizzata fuori dalle coperte – troppo pesanti, troppo calde, come pretendevano s’addormentasse? – e aveva cercato di distrarsi con qualcosa. Con tutti quei giochi aveva l’imbarazzo della scelta, ed era passata da uno all’altro senza riuscire a decidere; ma l’unica cosa che avrebbe davvero voluto, si era resa conto, era il suo Bae.
Ma il gatto era con la mamma, e la mamma era lontana, lontanissima da lei…
Chissà cosa stava facendo la mamma in quel momento. Chissà se la pensava, se davvero le mancava… In fondo sperava di sì, sebbene questo significava una mamma triste e lei non voleva che nessuno fosse scontento a causa sua.
Se anche la mamma fosse stata nella casa grande grande, entrambe sarebbero state molto più felici. Anche papà lo sarebbe stato: qualcuno poteva considerarla ancora piccola, e forse non aveva compreso a fondo il suo discorso, ma non era certo cieca né sorda e si era resa conto del modo in cui papà parlava della mamma. Anche a lui mancava Belle, e molto. Forse persino più che a lei: perché in fondo Helena stava sempre con la mamma, mentre lui la vedeva solo quando andava a trovarle…
Davvero: non riusciva a capire perché la donna non avesse voluto unirsi a loro. La giustificazione che le aveva dato non la convinceva affatto.
Ma domandarselo non avrebbe cambiato le cose, anzi: l’avrebbe fatta sentire peggio. La mamma diceva sempre che quando si è triste bisogna cercare di non pensarci e occupare la mente con la cosa che si ama fare: per esempio, Belle leggeva, Granny cucinava, Ruby copiava i modelli di vestiti e lei disegnava. Disegnare era la cosa che le piaceva di più, e papà lo sapeva da sempre; però proprio ora pareva essersene scordato – forse aveva filato troppo? – perché, per quanto la bimba cercasse, in camera non trovava l’ombra di un pastello o di un foglio.
Forse avrebbe dovuto rassegnarsi e tornare a letto, o giocare con ciò che aveva... Ma le eroine si sarebbero forse arrese così? Certo che no! Provavano e riprovavano e alla fine trovavano sempre ciò che cercavano; e lei si sarebbe comportata allo stesso modo.
Il primo passo era non farsi sentire: in punta di piedi aprì la porta e si avventurò per casa. Il palazzo era così strano, con tutti quei corridoi lunghissimi e i mobili pieni di cose dall’aria parecchio delicata che a papà dovevano piacere davvero tanto. Vi regnava un silenzio di cui mai aveva goduto nell’affollatissima Whitechapel, una quiete che – a dirla tutta – la inquietava non poco: nelle storie, i guai peggiori succedono sempre quando tutto sembra tranquillo. Ma l’avventura, si sa, vale bene un piccolo rischio, e non si vedeva nessuno in giro…
Provò ad aprire alcune camere senza riuscirvi: erano tutte chiuse a chiave. Questo però non significava che lo sarebbe stata anche l’ultima, che si stagliava dinanzi a lei: se lo sentiva, lì avrebbe trovato i colori che cercava; o comunque, se così non fosse stato, avrebbe continuato a esplorare.
Come per magia, la maniglia si abbassò sotto il suo tocco e la porta si schiuse. Esultando tra sé e sé, fece capolino nella stanza, ma subito si bloccò.
Una ragazza la fissava col suo stesso, identico sconcerto.
 
 
 
La concitata giornata avrebbe avuto delle ripercussioni, lo immaginava; questa era solo la prima.
Come spiegare altrimenti la presenza di una bambina dallo zio? Una bambina che sbucava dal nulla, che irrompeva in camera – senza bussare o almeno scusarsi, tra l’altro, dando prova di un’esecrabile mancanza di decenza – e che, completamente noncurante, avanzava verso di lei sbigottita.
Non che la sua espressione dovesse essere molto diversa, del resto.
Posò la spazzola d’argento sbalzato sul mobile della toeletta e scosse il capo, certa che l’allucinazione sarebbe scomparsa; ma la bambina era ancora lì, e persino ancora più stupefatta.
A Regina ricordava qualcuno, ma non riusciva a individuare chi.
Era al cospetto di una vera principessa, non c’era altra spiegazione. Così raffinata, con quel modo di tenere alto il mento che suggeriva fosse abituata a vedere il prossimo piegarsi ai suoi desideri… La principessa della fate, ecco chi doveva essere.
Forse era stata rapita da qualche malvagio stregone che la voleva in sposa e la teneva prigioniera nel suo castello. Questo rendeva suo papà il mago cattivo in questione, ma suo papà non era un mago ed era buono, perciò decise di ignorare l’osservazione e di concentrarsi sulla fanciulla dalla chioma più bella che avesse visto: folta, nera e lucida come inchiostro appena versato..
- È fuori moda bussare prima di entrare?
La principessa aveva la voce dura, ma gli occhi tristi. Forse anche a lei mancava casa, anche a lei mancava sua mamma.
- Sei la principessa delle fate?
Ci mancava solo questa, commentò Regina a denti stretti. A quanto pareva, aveva a che fare con una novella Alice nel Paese delle Meraviglie. Non ricordava di essere stata tanto trasognata da piccola; certo non sarebbe mai andata in giro a chiedere cose simili alla gente: se ci avesse provato, sua madre le avrebbe tirato tante di quelle sberle da farle girare la faccia.
- Le fate non esistono e io sono reale, – sbuffò. Sfogare le proprie frustrazioni sulla piccola era crudele, ma non aveva voglia di perder tempo in sciocchezze – Reale, e alquanto indignata dalla tua maleducazione.
Helena ci rimase malissimo. Non sapeva se fosse rimasta ferita più dall’offesa, dalla parola che non conosceva o dalla negazione dell’esistenza delle fate; ma di sicuro, la sua interlocutrice non ne era la principessa.
Era, molto semplicemente, una ragazza scortese e molto, molto cattiva.
- La mamma e gli altri dicono che sono buona! Tu, invece, sei cattiva, e se dico a papà che mi hai trattata male lui, che è un re e vuole essere stregone, ti punisce!
- Splendido, – Regina riprese a pettinarsi – Ti ringrazio per l’avvertimento, ora il mio unico scopo sarà sfuggire alle grinfie dello stregone padre di una mocciosa.
- Non sono una mocciosa!
Più i minuti passavano, più Regina si convinceva di aver già visto la ragazzina da qualche parte; o almeno, di conoscerne i genitori. Perché quel visetto le era familiare: i lineamenti, il taglio degli occhi, le smorfie che faceva…
Di quale domestico poteva essere figlia? Di Killian Jones? Non sapeva si fosse sposato; e soprattutto, la bambina non gli somigliava affatto.
Chiunque fossero i genitori, avevano fatto un pessimo lavoro con la prole: possibile che a tre, quattro anni la piccoletta non sapesse muoversi decentemente in un vestitino d’organza? Un vestitino dall’aria un po’ troppo costosa per essere accessibile a un domestico, a dire il vero…
- E cosa saresti, allora? – la liquidò annoiata. Le paturnie di quella cosina minuscola iniziavano a stancarla.
- Helena! E mio papà ha fatto bene a rinchiuderti in casa sua, perché tu sei una persona cattiva e mi dici cose brutte!
La spazzola le cadde di mano con un tonfo. Una bestia di nome sospetto le arpionò il collo, provocandole una sorta d’afasia. Si voltò: improvvisamente vedeva la bambina meno a fuoco.
- Cos-cos’hai detto? – balbettò infine.
Più la fissava, più coglieva somiglianze che non esistevano. La bambina era certamente figlia di un inserviente e credeva che il padre fosse il padrone della villa; la sua era solo suggestione. Non doveva farsi affliggere dalla fantasia sovreccitata di una piccola sconosciuta.
All’improvviso la ragazza non sembrava più tanto antipatica. Forse suo papà le aveva mentito: aveva davvero qualche potere e la minaccia aveva sortito l’effetto sperato, perché a Helena la giovane appariva all’improvviso spaventata. Anzi, peggio: terrorizzata. Come se avesse un fantasma davanti a sé.
- Guarda che non è vero, – provò a consolarla, pentendosi di quanto fatto – Mio papà ha detto che vuole essere uno stregone, però non lo è. Non ti fa male, gli dico io di non fartelo… Anzi, non gli dico proprio che mi hai detto cose brutte, va bene?
- No, – Regina emise un verso strozzato quando fu di nuovo in grado di prendere un respiro intero – Cos’hai detto prima? Dove vive tuo padre?
- Qui, – Helena ribadì senza capire – Questa è casa sua. E tutti gli ubbidiscono perché sono i servi, cioè quelli che lo aiutano, anche se non so bene perché…
Il volto tondo, la linea delle labbra.
Non gli occhi, gli occhi erano diversi.
(Conosceva anche quegli occhi.)
Ma il colore dei capelli, il sorriso.
C’era una persona che corrispondeva a quella descrizione, una persona con quelle caratteristiche.
No, non si stava suggestionando
- Come si chiama tua madre?
La bambina quasi sospirò di sollievo. Dal modo in cui si era posta, sembrava che la ragazza stesse per chiederle chissà cosa, e invece la risposta era tanto semplice…
- Belle. Mia madre si chiama Belle French.
- Helena!
Le due si voltarono verso la porta: Gold si stagliava sulla soglia, furente e angosciato a un tempo.
La bambina sorrise allegra andando verso il padre.
- Però, – lo rimproverò – Tu non mi avevi detto che in casa c'era la principessa delle fate!
 
 
 

“It's so strong
and now I let myself
be sincere.”

 
 
 
Aveva fatto allontanare Helena. Mary Margaret l’avrebbe controllata, mentre lui risolveva la questione che non avrebbe mai voluto fronteggiare. Per quale dannatissimo motivo l’universo si accaniva contro di lui in tal modo? Una cosa, aveva chiesto una sola cosa, e aveva ottenuto l’esatto contrario.
Era andato a riprendere Regina per riportarla a Belgravia e chiudere la questione, e l’aveva ritrovata fianco a fianco con Helena.
Regina sapeva tutto. Nella sua ingenuità, la bambina le aveva spiattellato ogni cosa. Se non fosse intervenuto, probabilmente le avrebbe detto anche dove rintracciare Belle.
Per quanto fosse duro da ammettere, era la fine. Mettere alla porta Regina ora sarebbe equivalso a una confessione: la ragazza sarebbe tornata a casa vittoriosa, riferendo alla madre ciò per cui era stata inviata da lui. E, al tempo stesso, non poteva ospitarla ancora: già la sua scelta aveva portato a conseguenze nefaste – possibile che ogni suo passo fosse un errore? – che sarebbero peggiorate nel momento in cui Helena e Regina si sarebbero rincontrate. Perché ormai il danno era stato fatto: in un modo o l’altro, le due si sarebbero riviste.
Quella mattina avrebbe dovuto cacciare la Mills all’istante, non meditare piani artificiosi che ancora una volta gli si erano ritorti contro. Possibile che non ne avesse visto le falle? Ce n’erano, diamine, erano immense e lui le aveva bellamente ignorate!
Avrebbe dovuto mettere in guardia Belle dal primo momento, avvisarla dei pericoli, anziché fare di testa propria e ritrovarsi ora a fronteggiare il peggior guaio che avrebbe mai potuto combinare quel giorno.
Regina non parlava. Studiava il pavimento dinanzi a sé, le mani intrecciate in grembo e un’espressione inquieta sul volto. Era pallida, sconvolta. Era – andava ribadito – un’ottima attrice.
Lui non avrebbe parlato per primo. Si sarebbe limitato a fissarla a braccia conserte, in attesa della sua mossa. Per quanto furba, l’adolescente era pur sempre una marionetta dai fili tirati da un burattinaio invisibile; un burattinaio ora assente. Per quanto Cora avesse potuto istruirla, si sarebbe trovata a fronteggiare la situazione da sola: al minimo passo falso – perché ce ne sarebbe stato uno – lui l’avrebbe sovrastata.
La sua attesa fu ripagata: all’improvviso la giovane rialzò il mento.
- Zio, – mormorò appena – Non chiederò.
- Saggio da parte tua, – fu l’unica replica.
- Ma devo sapere.
- Hai appena sostenuto il contrario.
- Ma ho bisogno di un’informazione!
Strana strategia, Cora.
- Io ho bisogno di tutto il denaro del mondo, ma non sempre si ottiene ciò che si vuole.
Regina non demorse.
- Lei dov’è?
Lo sguardo dello zio la trapassò come una lama.
- Perché dirtelo? Perché tu possa comunicarlo alla tua sordida compare? – l’adolescente lo guardò confusa – L’affetto che nutro per te ha dei limiti. C’è chi viene prima di te, e di sicuro prima di tua madre. Riferiscile questo.
La Mills capì all’istante ciò che l’altro intendeva. Ma Gold aveva frainteso, frainteso tutto: non era un’emissaria di Cora, per una volta nella vita la Contessa non aveva a che fare con quella storia. Lo ribadì, ribadì gli eventi più recenti, ripercorse la vicenda di Daniel e Mal, pregò di essere creduta.
Non lo fu.
- Credete davvero che io abbia accettato ancora di collaborare con mia madre? Dopo avervi chiesto scusa, dopo ciò che lei mi ha fatto?
La replica non si fece attendere.
- Mia cara, io credo solo tu sia la sua degna erede.
- Non mi manda lei. Vi assicuro che non è così.
- Io ti assicuro invece di non credere nelle coincidenze. E oggi ce ne sono state persino troppe.
Regina scosse il capo amareggiata. Sapeva che lo zio era nel giusto: al suo posto anche lei si sarebbe comportata allo stesso modo, anche lei avrebbe a ogni costo difeso la sua famiglia da coloro le quali gliel’avevano negata per tanto tempo.
- Qualsiasi cosa dica, voi la considererete una menzogna.
- , – dopo un lungo istante di silenzio, Gold sibilò sprezzante – Tu mi hai costretto a questo; tu e tua madre mi avete costretto a questo. Non ti sbatto fuori di casa come voi mi avete indotto a fare con lei solo perché so che andresti riportare a Cora tutto, e questo io te lo impedirò a ogni costo. Tu resterai qui, e se solo proverai ancora ad avvicinarti a mia figlia, Dearie, non esiterò a prendere provvedimenti. Ti ho voluto bene, sì, – ammantò il cuore di durezza, soffocò l’affetto che pure nutriva per lei e continuò, col preciso intento di colpirla – Ti ho voluto bene come a una figlia. Ma lei è mia figlia.
Regina sussultò. Arrabbiata e ferita come una bestia in gabbia, posò gli occhi su di lui alla ricerca di una risposta; chinò nuovamente il capo, sconfitta.
Lo so, zio. L’ho sempre saputo.
L’uomo stava per uscire dalla stanza quando una nuova domanda lo fermò.
- Ditemi solo questo. Quando… Quando Belle se n’è andata, voi sapevate di Helena?
Gold la guardò. La coltre spessa del silenzio che premeva su loro era una cappa soffocante.
- Se Helena non ha avuto suo padre, – rimarcò infine – Le colpevoli siete voi.
 
 

 
“It's the state of bliss
you think you're dreaming.”
 

 
 
Aveva iniziato a piovere appena Mary Margaret l’aveva messa a letto, uno dei temporali più forti che ricordasse. Il cielo gemeva minaccioso da un po’, ma solo allora grossi goccioloni avevano iniziato a cadere rumorosamente contro il vetro della finestra, dapprima sporadici e poi fitti, sempre più fitti.
Aveva guardato la donna implorante, nella speranza che intuisse il suo disagio, ma purtroppo le cose non erano andate come sperato: la governante era sì stata premurosa come sempre, ma aveva spento la luce, chiuso la porta e lasciata sola fin troppo presto. Le aveva dato il bacio della buonanotte, ma non aveva cantato la sua ninnananna, non le aveva raccontato alcuna storia né, ancora peggio, controllato i mostri sotto il letto. A casa non ce n’erano, ma qui? Il castello era pieno di misteri, l’aveva sperimentato sulla propria pelle: se in una stanza aveva trovato la ragazza bella e strana che poi aveva cenato con lei e papà in assoluto silenzio – una cena così diversa da quelle cui la bimba era abituata, e che in tutta onestà l’aveva rattristata non poco –, chissà cosa poteva nascondersi altrove… Magari proprio qualche folletto cattivo che di giorno se ne stava zitto e buono e che di notte, con la complicità delle tenebre, s’apprestava a saltare al collo d’innocenti bambine per strozzarle.
Magari da qualche parte era in agguato Jenny Dentiverdi.2
Mentre  la pioggia scrosciava con violenza, le tornarono in mente i versi di una filastrocca che Henry dell’orfanotrofio le aveva cantato una volta.
Jenny la fata, Jenny la strega,
prima t’afferra e dopo ti annega.
Sei carne morta, giù nel profondo,
Jenny mangia tutti i bambini del mondo.” 3
La mamma le avrebbe detto che i mostri non esistono, l’avrebbe abbracciata e consolata; ma la mamma non c’era, e quella notte le mancava più che mai. E non c’era neanche Bae: come aveva potuto lasciarlo a casa, come?
All’improvviso le sovvenne che la camera della ragazza – Regina, l’aveva chiamata papà, un nome che le era piaciuto tanto – era molto più vicina alla fila di camere chiuse a chiave: se Jenny fosse stata lì, l’avrebbe trovata subito!
L’idea di lasciare il letto l’atterriva non poco: se si fosse nascosta per bene sotto le coperte, nessuno l’avrebbe trovata e sarebbe sopravvissuta indenne alla notte. Provò a farlo, ma il pensiero di Regina tornò a farle visita.
Come avrebbe spiegato alla mamma che aveva lasciato morire sola un’innocente? Le eroine non si comportavano certo così! Malgrado la sua, di paura, non poteva lasciarla sola e farla finire annegata quando lei se ne stava ben al sicuro nella sua camera piena di giochi: doveva fare qualcosa, e in fretta!
S’impose di calciar via le coperte e di scendere dal letto. Salutò per sempre i suoi nuovi e ancora mai usati giochi, certa che non li avrebbe più visti, e rivolse un ultimo pensiero a mamma e a papà, a Granny e a Ruby e a tutti gli altri che avrebbero pianto la sua prematura ed eroica scomparsa; e con un sospiro, uscì dalla stanza.
Procedette acquattata contro la parete, provando a non fare il minimo rumore, un unico pensiero in testa.
Se non mi volto non mi prende, se non mi volto non mi prende.
I mostri esistono solo se li fai esistere tu, la mamma era solita rincuorarla.
Se non mi volto non mi prende, se non mi volto non mi prende.
Il fragore di un nuovo tuono le fermò il cuore.
Percorse gli ultimi metri correndo, incurante di essere udita; aprì trafelata la porta della stanza di Regina, ficcandosi dentro e sbattendola alle proprie spalle.
Vi si poggiò contro, respirando affannosamente e tenendo gli occhi, quasi incredula di essere sfuggita a Jenny. Quando sollevò le palpebre, ringraziò il Cielo per trovarsi davanti una Regina che la fissava con un sopracciglio levato.
- Bussare è tanto difficile? Se mi stessi cambiando cosa faresti?
- A casa vedo sempre la mamma e Ruby.
Appena aveva nominato la mamma, la ragazza era sbiancata di nuovo. Helena s’interrogò ancora una volta sul perché: pareva la temesse, come se fosse lei la strega da cui fuggire.
- Conosci mia mamma? – provò, desiderosa di rassicurarla.
- La conoscevo.
- Ah, – non la risposta che si sarebbe aspettata, ma meglio di niente – E dove l’hai conosciuta? Qui nel castello?
Castello. Ci voleva fantasia per definire così la pur ampia villa, pensò l’adolescente. E non c’erano dubbi su chi avesse trasmesso tutta quell’inventiva alla figlia.
Ricordava i moniti dello zio: più fosse stata distante dalla bambina, meglio sarebbe stato per tutti. Neanche lui dimostrava compassione, quando si trattava di punire chi gli faceva un torto. Il soprannome di “bestia” con cui era conosciuto era più che guadagnato, e lei non voleva averne diretta esperienza. Da allora in avanti, preferiva ricordare l’uomo per com’era stato, per il parente dolce che da piccola l’aveva coccolata e viziata molto più di quanto avesse fatto sua madre.
Ma i rimpianti erano vani, la nostalgia altrettanto. Era giusto così: anche lei avrebbe preferito la propria creatura al mondo.
La sua infanzia era ormai lontana, spazzata via dal peso della vita e dalle colpe.
Ci sono peccati che nessun battesimo monda, e io li ho commessi tutti nei confronti di te e tua madre, bambina.
Mi cercheresti ancora, se lo sapessi?
Gold non avrebbe mai creduto. Avrebbe pensato fosse stata lei ad attirare Helena in camera per estorcerle altre informazioni. Non capiva – non riusciva a capire – che Regina non era in grado di guardare in volto la bambina senza sentirsi mancare il fiato, senza desiderare di poter tornare indietro nel tempo e sistemare tutto.
Se Helena non ha avuto suo padre, le colpevoli siete voi.
Aveva impedito a una famiglia di nascere? All’epoca era stata troppo piccola per immaginare che la relazione tra sue zio e la domestica fosse evoluta fino a quel punto.
Stare con la bambina era angosciante e oltre tutto pericoloso: avrebbe vanificato gli sforzi di Daniel e Mal. Doveva allontanarla il più velocemente possibile, e per farlo non c’era strategia migliore che mostrarsi arrogante e scontroso.
- Che sei venuta a fare qui? – ignorò la domanda su Belle e si diresse verso il letto – Sono stanca e voglio dormire, perciò parla in fretta e vattene.
Il volto della bambina si adombrò.
- Perché mi tratti di nuovo male? Io sono venuta per dirti di Jenny Dentiverdi, perché se ti prende mi dispiace, e tu sei sempre cattiva.
- Jenny Dentiverdi, – l’adolescente sbadigliò – Non esiste. E comunque, come farebbe a vivere lontana dall’acqua?
Effettivamente Helena non aveva considerato il punto.
- Dici davvero?
- Tu ne hai mai visto una? No, e lo stesso vale per me e per chiunque altro. Se qualcosa non si vede non esiste.
Sul punto la bambina non poteva dirsi d’accordo: la mamma le parlava spesso di meraviglie del mondo – le piramidi, l’oceano, la stessa Scozia – che nessuna delle due aveva visto, ma che certo esistevano. Sua madre non era una bugiarda. E comunque, nessuno di sua conoscenza aveva mai visto la regina Vittoria, che però certo esisteva. E lo stesso valeva per banshee, fate e certamente anche Jenny Dentiverdi.
- Non mi hai risposto però. Hai conosciuto qui mia mamma?
Piccola testarda.
- Sì.
- E…?
- E cosa?
- E poi?
- E poi non ti interessa. Ti ho già detto che sono stanca e non ho voglia di star dietro a una mocciosa. Va’ in camera tua.
Helena vacillò appena arretrando.
- Ma, – la supplicò con lo sguardo – Sta piovendo. L’acqua c’è – forse c’è anche Jenny.
- Dubito che quest’acquazzone sia tale da far comparire creature mitologiche.
Quasi a smentire le parole di Regina, il cielo fu punteggiato dal bagliore di un fulmine subito seguito dal rombo di un nuovo tuono.
La bambina sobbalzò. Si strinse le mani alle spalle e deglutì. No, non avrebbe ammesso di voler stare assieme a qualcuno, ma questo non significava certo provasse meno paura. Dei mostri, del temporale e di quella casa sconosciuta. Tutti i propositi di valore si erano sciolti come neve al sole: voleva la mamma, voleva dormire con lei, e aveva sperato che Regina si mostrasse comprensiva e la ospitasse. La ragazza era antipatica, ma sembrava soprattutto sola – come lei, del resto – e aveva riposto fiducia nella sua capacità di comprenderla.
Ma così non era stato.
Tirò su col naso.
- Va bene, – biascicò appena – Allora io… Torno indietro… Va bene?
Regina non proferì verbo. Che tornasse pure in camera sua: meglio per entrambe.
E però…
Era naturale che la bambina avesse paura durante un temporale simile: possibile che nessuno se ne fosse accorto, che l’avessero lasciato sola in un posto nuovo? Poteva fingersi coraggiosa e ribelle, ma aveva solo quattro anni ed era spaventata.
Cosa t’importa? fece una vocina in lei. Ti complicherebbe la vita e basta. Non è nessuno per te. Non sentirti in colpa per lasciarla andare.
L’assurdo auto-abbraccio in cui continuava a stringersi, tuttavia, la inteneriva. Più dei tuoni, più degli spauracchi, Helena doveva temere la solitudine.
Con ogni probabilità il suo gesto sarebbe stato frainteso. L’indomani se ne sarebbe pentita amaramente, avrebbe maledetto quel dannato e inedito sfoggio di generosità. Però in quella piccina Regina rivedeva se stessa qualche anno prima: sperduta e impaurita, desiderosa solo di una mano amica.
Lei aveva trovato quel sostegno; l’aveva trovato e tradito.
Ma se il voltafaccia era ormai irreparabile, poteva almeno far qualcosa per quella bambina.
Lo doveva a Belle.
- Aspetta.
La bambina, giunta ormai alla porta, si voltò.
- Che c’è?
- Vieni, – la più grande batté una mano sul materasso – Stanotte dormi qui.
- Ma…
- Niente “ma”: o vieni o vai. Subito. Non mi piace perdere tempo.
Malgrado il tono tagliente e la minaccia, dalla smorfia che le sfiorò appena la bocca Helena capì che Regina non l’avrebbe scacciata.
Una piccola macchia castana tornò indietro e si accoccolò nel letto.
L’altra le diede le spalle.
- Chiudi gli occhi e dormi.
- Sarò buonissimissima, lo giuro! Mamma dice che non scalcio mai! – nel farlo, tirò involontariamente una ginocchiata a Regina, che gemette.
Sarebbe stata una lunga notte.
 
 

 
“Feel calm.”

 
 
 
Si era dimostrata una madre fin troppo clemente, fin troppo moderna: quella farsa durava da un giorno, ed era giunta l’ora di darle una conclusione definitiva.
Aveva permesso alla figlia di svernare a casa di Gold – dove altro sarebbe potuta recarsi? – e di sbollire lì la rabbia, ma le voci nascono in fretta e nella sua posizione e situazione Regina non poteva assolutamente permettersi dicerie di quella portata. Una ragazzina in casa di un uomo tanto più grande di lei e senza legami di sangue ufficiali era una miccia che chiunque, in qualunque istante, avrebbe potuto accendere.
Cora era più che disposta a dimenticare la questione dello stalliere, se la figlia si fosse mostrata ragionevole e fosse tornata a Belgravia. Si corresse: sua figlia si sarebbe dovuta mostrare ragionevole e sarebbe dovuta tornare a Belgravia quel giorno, se avesse voluto essere ancora membro della famiglia Mills.
Era per questo che era comparsa a Kensington a quell’orario indecente della mattina, era per questo che aveva sorriso alle espressioni sconvolte e segretamente confirmatorie dei domestici e che ora sedeva in salottino in attesa dei due soggetti in combutta contro di lei.
Gold ormai era un caso perso, ma Regina no.
E Cora sarebbe uscita da quella casa con lei.
 
 
 
Nel momento in cui Killian Jones udì il nome dell’ospite, ebbe una reazione pacatissima: si alzò, indossò la giacca sistemandone con cura il bavero, e si diresse verso l’uscita di servizio.
Tutto il contrario di Emma Nolan, che si strappò di dosso il grembiule e scappò dalla finestra della stanza che stava pulendo.
Quando s’incontrarono al cancello, non servirono parole per specificare dove entrambi fossero diretti.
 
 
 
“I need you now
(It makes me wanna cry)”
 
 
 
La cercava. La cercava anche mentre si ripeteva che non aveva senso, che sapeva dove fosse e soprattutto con chi fosse: le sue erano preoccupazioni oziose, prive di qualsiasi senso. Robert non le avrebbe fatto accadere nulla di male, Kensington era molto più sicura di Whitechapel e con ogni probabilità Helena vi stava trascorrendo delle ore meravigliose. Se chiudeva gli occhi riusciva quasi a vederla far capolino in ogni stanza, pretendere di aiutare i domestici combinando più confusione che altro come al solito e ridere col suo papà. Erano vicini, padre e figlia, erano vicini e anche lui era felice, se lo sentiva. Aveva promesso di proteggerla, e non sarebbe venuto meno alla sua parola. Lui non lo faceva, mai.
Perciò smettila.
La sua piccolina sarebbe stata forte anche senza di lei. Per crescere bisogna affrontare le sfide che la vita presente, e non aveva dubbi che la sua piccolina avrebbe vinto. Sarebbe stata forte anche senza di lei. Il suo un atteggiamento esagerato e, fosse stata un’amica a comportarsi in quel modo, Belle per prima l’avrebbe consolata con le stesse parole che soleva ripetersi dalla mattina come un mantra, come una formula un preghiera per proteggere Helena.
Sta bene, andrà tutto bene.
Era ciò che le dicevano Ruby e Graham quando leggevano negli occhi gonfi nulla riusciva a mascherare; era ciò che le aveva imposto Granny quando una conversazione iniziata come mille altre aveva preso una piega che non avrebbe saputo spiegarsi.
Provava a fare qualcosa – a distrarre la paura, il dolore:si era ripromessa di non crogiolarsi nel dolore, ma risultava impossibile non pensarla anche solo per un attimo.
- Va’ a riposare, qui ci pensiamo noi.
Ma Belle sapeva che non sarebbe riuscita a dormire senza di lei, perché da che viveva lì neanche una notte aveva dormito sola su quella branda; perché Helena c’era stata, c’era stata sempre: silenziosa e invisibile, ma presente. Quasi a farle compagnia, a non abbandonarla anche quando il cielo sopra di lei era sembrato chiudersi per sempre.
Durante la notte c’era stato un forte temporale. Helena odiava i tuoni. Aveva forse pianto? Si era sentita sola, messa in un angolo? Se così fosse stato, la donna non se lo sarebbe mai perdonata. Lei non l’avrebbe mai, mai lasciata; e per quanto potessero essere distanti, la percepiva sempre vicina, sempre con sé, come gli amputati che sentono sempre l’arto mancante.
Ma se un giorno era trascorso senza notizie da Kensington, significava che tutto andava  per il meglio.
Tutto doveva andare per il meglio.
Entrando in sala, vide Graham e Tink. Si avvicinò loro all’istante.
- Belle! – la salutò il poliziotto – Come stai?
- Ragazzi! Bene,grazie, – la donna rispose. Non intendeva far preoccupare nessuno con le sue angosce insensate: lei stava bene. Anche se aveva fatto solo incubi, anche se si era svegliata con le lacrime agli occhi, lei stava bene.
Tink scosse il capo.
- Sarebbe stato meglio un approccio più graduale, – ribadì la volontaria – Per lei, e per te.
L’altra sospirò. Sì, forse la bionda aveva ragione, ma sapere la figlia in quella casa anche solo per un pomeriggio sarebbe comunque stata una spada che le trafiggeva il cuore. Dovevano imparare a stare anche lontane, per il bene di entrambe.
- Domani a quest’ora sarete di nuovo insieme, – la consolò l’uomo – Manca poco.
Belle annuì e fece per rispondere, ma udì la porta del pub sbattere con violenza e voltò il capo.
Fu come se le fosse stata di colpo tolta l’aria.
Alla vista di Killian Jones ed Emma Nolan tutto ciò che di tiepido e vitale era in lei si tramutò in pietra.
 
Uscì dalla locanda senza guardarsi indietro, incurante dei suoi ex colleghi e di Graham che la inseguivano.
Uscì dalla locanda con un’unica meta, un unico scopo che avrebbe perseguito fino allo stremo.
Proteggere sua figlia.
 
 
 

“And I'll hold on to it,
don't you let it pass you by.”
“Innocence” - Avril Lavigne

 
 
 
1: Ho consultato questo link: http://www.gondrano.it/fare/lab/filatura/filatura.htm;
2: “Jenny Dentiverdi” è una creatura del folklore britannico. Descritta come una donna dal colorito verdastro, dai lunghi capelli scarmigliati e dagli artigli affilati – ‘nsomma, un’Oscura xD –  e vestita di stracci, vive vicino a pozzi, stagni e corsi d’acqua e attira i bambini per annegarli. Maggiori informazioni su: http://it.wikipedia.org/wiki/Jenny_Dentiverdi;
3: La nenia viene dalla storia “Jenny Dentiverdi” del Maxi Dylan Dog n.9; ecco la versione completa: http://www.angelfire.com/art2/dylandog/ballmax09Denti.htm.
 
 
 
N. d. A. : Salve, bellezze! ♥
Come procede questa prima settimana post season finale? Siete tutt* viv*? Sulla pagina Facebook “Euridice’s world” ho detto la mia, che qui riassumo con una sola parola: MERAVIGLIA. Personalmente ho amato il doppio episodio e gli scenari che apre, e non vedo l’ora che la serie riprenda. Alcune scene, poi, mi hanno sciolto il cuore – neanche vi chiedo di indovinare quali, conoscete i miei gusti.XD *-*
Passando a noi, mi scuso per l’immonda lunghezza del capitolo e prometto che dal prossimo sarò meno prolissa. Io ci sono parecchio affezionata, ma voglio conoscere la vostra opinione, sicuramente più obiettiva e lucida della mia. Vi piace, fa schifo, è una noia o…? Attendo il vostro giudizio: come sapete, critiche e pareri sono benvenuti, mi possono solo aiutare e pertanto li accetto volentieri. L’importante è esprimersi! :)
E quindi, se da una parte Gold fa casini come al solito – ♥ –, Regina scopre la verità e Cora va a riprendersi la figlia, dall’altra Killian ed Emma –le cui caratterizzazioni mi perplimono non poco – corrono da Belle, la cui reazione leggerete, se vorrete, nel prosieguo. Le strade delle rivali s’incroceranno? Come si comporterà Gold e quali saranno le conseguenze per i RumBelle? I prossimi due capitoli saranno molto, molto importanti e intensi in proposito e potrebbero capovolgere parecchi equilibri… In che senso? #nospoiler, almeno per ora! :D
L’aggiornamento, tuttavia, non arriverà tra due settimane come di consueto, ma sabato 20 giugno!
Spero di ritrovarvi qui! ♥ ♥ ♥
Grazie di cuore a quant* recensiscono, aggiungono la storia alle preferite/ricordate/seguite e/o la leggono! Spero davvero di ritrovarvi tra un mese!
A presto, buona sessione d’esami o buona maturità, e “Keep calm and RumBelle on”, Dearies! :* XD :*
Euridice100
   
 
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