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Autore: Yvaine0    16/05/2015    1 recensioni
« Nessuno di voi si è accorto che Giovanna se n'è andata? »
« Davvero? Finalmente! »

Quando Giovanna abbandona il 3b di via Marconi a Urbino, gli abitanti dell'appartamento misto si trovano spaesati e del tutto disorganizzati, alle prese con una routine e delle faccende di cui si era sempre occupata lei sola. L'equilibrio di spezza e loro devono imparare da capo a condividere i propri spazi, con una nuova coinquilina per di più.
Come se se le cose non fossero abbastanza complicate così, ecco che le vite private di ognuno di loro iniziano a penetrare gli invalicabili confini delle loro camere singole per intrecciarsi con quelle degli altri.
E poi era divertente, secondo Marco; insomma quanti avrebbero potuto dire di convivere con una giovane promessa del pallone, la reincarnazione di Cicciobello, l'Anticristo e il futuro Presidente della Repubblica? Mica roba da poco!
STORIA SOSPESA (scusate)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The Flat
 
Dedico questo capitolo a Fabia,
chi la conosce capirà il perché.
 
III. Avanti un altro
 
 
Erano le otto e quattordici minuti di un martedì come tanti; il cielo sopra Urbino era grigio, una fitta nebbia aleggiava tra le vie della città e all'interno del 3b di via Marconi regnava sovrano il più assoluto silenzio, se non si contava il sordo russare che proveniva da una delle camere da letto. Un minuto più tardi, la cacofonia di quattro diverse sveglie perfettamente sincronizzate colmò quel silenzio; tre furono rinviate, la quarta venne spenta.
Cristina, raggomitolata sotto il piumino IKEA che le aveva regalato il suo – ex – ragazzo solo qualche mese prima, storse il naso scontenta al pensiero di dover abbandonare quel tepore. Poi però si ricordò dei propri impegni – le lezioni della mattina, l'appuntamento con Riccardo durante la pausa pranzo per discutere la loro rottura per l'ennesima volta, la lezione di linguistica di quel pomeriggio con quel professore che non vedeva l'ora di vedere – e si decise a scoprirsi, lanciando le coperte dall'altra parte del letto singolo. Ci aveva messo settimane per adattarsi ad un letto così piccolo, abituata com'era a quello matrimoniale in cui dormiva a casa dei genitori. Spinse le gambe da un lato del materasso e si costrinse a sedersi, per poi cercare le pantofole, ben attenta a non toccare il pavimento gelido coi piedi. Una volta infilate, si alzò, prese il beauty-case dalla scrivania e si trascinò fuori dalla camera diretta in bagno, il fastidioso pensiero di Riccardo che continuava a batterle febbrilmente su una tempia. Avrebbe voluto che tutto fosse più semplice, ma a quanto pareva il suo ex non aveva ben compreso il motivo del suo allontanamento; eppure le sembrava ovvio che una ragazza, dopo mesi di litigi continui e motivati esclusivamente dall'ossessiva gelosia di lui, decidesse che forse era meglio lasciar perdere. L'aveva ferita così tante volte che a Cristina non era nemmeno dispiaciuto aver rotto – erano stati insieme per tutti il suo primo anno di università e le nottate che aveva trascorso piangendo a letto a causa delle sue sfuriate non si potevano contare nemmeno sulle dita di tutti i coinquilini messi assieme. Quando ad agosto Riccardo era tornato a Palermo e lei a Pesaro, aveva capito di sentirsi davvero libera solo quando lui era lontano e di lì a comprendere che forse era meglio smettere di essere succubi di un bel faccino non era passato molto tempo. Era successo il primo ottobre, quando entrambi si erano ritrovati ad Urbino dopo le vacanze; tra un esame e l'altro Cristina si era ritagliata un po' di tempo per discutere la questione con lui e in tutta sincerità gli aveva confessato di sentirsi oppressa e che avrebbero fatto meglio a lasciarsi. Il problema era che Riccardo non sembrava aver capito bene l'antifona: continuava, di tanto in tanto, a presentarsi al bar in cui lei era solita incontrarsi con le amiche, a volte la aspettava fuori dalla facoltà o insisteva per accompagnarla a casa dopo averla casualmente incontrata in giro il sabato sera – era uno dei motivi per cui Cristina aveva cominciato a tornare a Pesaro nel weekend.
Cercò di cacciare quel pensiero sotto il getto caldo della doccia, ma non appena si ritrovò davanti allo specchio a districare i lunghi riccioli neri e incontrò il proprio sguardo stanco non poté fare a meno di abbandonarsi a lungo sospiro di esasperazione. I lineamenti resi appuntiti dalla continua perdita di peso quasi non sembravano più i suoi, gli occhi blu, stranamente vacui, erano contornati da profondi aloni scuri, segni evidenti del fatto che lo studio la stesse lentamente sfiancando. Ma non aveva intenzione di arrendersi, certo che no; non così presto: avrebbe concluso la triennale a pieni voti, come si era prefissata, e solo in un secondo momento si sarebbe forse concessa un periodo di riposo. Così uscì a testa alta dal bagno, venti minuti dopo, e di nuovo si ritrovò sorpresa nel vedere i coinquilini seduti attorno ad un tavolo semi vuoto.
« Mangiare proprio non vi piace, eh? » commentò mentre cercava di tirare i ricci voluminosi all'indietro e setacciava la cucina con lo sguardo alla ricerca del suo caffè.
Sonia nella sua solita tenuta mattutina – pigiama, plaid, calzettoni di lana sopra i pantaloni del pigiama, capelli spettinati e occhiaie – si limitò a fissarla con ostinazione, senza proferire verbo; quella mattina arrivare in cucina e trovarla desolata era stato un duro colpo che le aveva ricordato la partenza di Giovanna. Non erano mai state particolarmente affiatate, certo, ma iniziava già a rendersi conto che senza di lei dell'atmosfera di casa che era solita aleggiare al 3b di via Marconi non c'era l'ombra.
Cristina ovviamente non si curò più di tanto dell'insistente silenzio della ragazza, che questa volta non aveva ancora sprecato nemmeno le cinque parole che solitamente rivolgeva a Giovanna per informarsi sullo stato del bagno.
« Dov'è il caffè? »
A quella domanda Marco si illuminò di luce propria; rizzò le spalle larghe e, sorridendo smagliante, puntò un dito contro il suo trofeo: eccola lì, al centro del tavolo, posizionata sul contenitore chiuso dei cereali come su un altare: « Maurice seconda! »
Cristina sospirò dell'infantilismo dell'altro, poi allungò una mano per prendere la tazza da riempire, la prese e... O almeno l'avrebbe fatto, se solo la sua tazza fosse stata al suo posto nella credenza. « Non fate scherzi » sbuffò subito, voltandosi aggressiva a fronteggiare i coinquilini, prima ancora che loro potessero rendersi conto di cosa fosse successo: « Dove l'avete messa? Lo sapete – lo sapete! – che la giornata non può iniziare se la mia routine viene interrotta! »
Sonia affondò un po' di più sulla sedia, riempiendosi la bocca con una Gocciola intera senza averla nemmeno bagnata nel caffè; Marco afferrò la caffettiera, ansioso di poterla usare di nuovo per riempire le tazze altrui; Orfeo, l'unico che sembrava abbastanza lucido da poter rispondere, sospirò. « Che cosa? » Si passò stancamente una mano tra i capelli biondi – che, pensò, stavano diventando un po' troppo lunghi: era ora di tagliarli.
« La – mia – tazza » scandì la ragazza, guardandolo in cagnesco.
Orfeo fece una smorfia. « Quale tazza? »
« La mia tazza! Quella che uso tutte le mattine! »
« Scusa se la mattina controllare quale tazza stai usando non è tra le mie priorità » commentò lui, in un implicito invito a spiegarsi meglio.
Cristina emise un gemito di frustrazione, incrociando le braccia con stizza. « La mia tazza. La tazza rossa, la tazza in cui bevo il caffè tutte le mattine, la tazza che mi lavo da sola e che nessuno di voi deve toccare, per l'amore di Dio! » sbottò, prendendo poi a stringere forte le labbra insieme.
Sonia, accasciata sul tavolo con la testa tra le braccia, bofonchiò una piccola correzione che nessuno parve udire: « Per amor di sopravvivenza ».
Marco, dal canto proprio, si riscoprì profondamente divertito dalla continua ripetizione del nome dell'utensile e dunque, in un momento di particolare brillantezza mentale, prese a pronunciarla a sua volta. « Tazza! » scandì a mezza voce, mentre si rigirava la sua adorata Maurice tra le mani.
« Non lo dove sia la tua... »
« Tazza! »
« ...tazza, Cristina. Magari è finita dietro alle altre ».
« Non è possibile, perché significherebbe che qualcuno di voi l'ha spostata e voi lo sapete che non dovete toccare le mie cose ».
« Taaaz - za! »
« L'hai dimenticata in camera? »
« Non l'ho dimenticata in camera, Orfeo, ti sembro stupida? »
« Tazza. »
« Può succedere ».
« Non a me ».
« Oh, certo, capisco. Nel lavandino? »
« Tazzaaa! »
« La vedrei, se fosse lì. Dove l'avete messa? »
« Io non l'ho vista. Forse l'ha portata via Vanna ».
« Come sarebbe a dire che l'ha portata via Vanna?! »
« Tazzatazzatazzatazzatazza-- »
« MARCO, PUOI SMETTERE DI RIPETERLO?! »
« … Tazzina. »
Cristina emise un nuovo ringhio di pura frustrazione e adagiò soavemente uno schiaffo sulla nuca di Marco: l'impatto risuonò talmente fragoroso che per un istante, mentre lui boccheggiava incredulo, fu l'unico suono a udirsi nella cucina del 3b di via Marconi. Almeno finché la vittima non decise di lamentarsi: « Ahia ». Anche se il carnefice non se ne curò più di tanto, anzi, tornò subito all'attacco: « Perché avrebbe dovuto portarla via Giovanna? »
Orfeo osservò Marco alzarsi e dirigersi indignato in bagno, per recuperare un po' di tempo mentre quell'indegna conversazione continuava senza fine, poi rispose: « Si è portata via anche il phon, qualche cosa dalla cucina e la caffettiera. Magari la tua tazza in realtà era sua ».
Cristina rimase in silenzio qualche istante, riflettendo sulla plausibilità di quella risposta, poi sbuffò sonoramente e « Che troia! » sbottò, prima di tornare a rifugiarsi nella propria stanza, senza aver toccato cibo.
Attorno alla tavola erano rimasti solo Sonia, più addormentata che sveglia, e Orfeo, che nonostante non avesse ancora finito la colazione era già stanco e desideroso di tornare a letto. « Ho come l'impressione che convivere senza Giovanna sarà un delirio » commentò, incontrando l'approvazione della ragazza nel suo pigro annuire.
« Dovremmo chiamare le tipe? »
Sonia aggrottò le sopracciglia, rivolgendogli uno sguardo vacuo.
« Quelle di cui ci ha lasciato i numeri ».
Un barlume di consapevolezza le attraversò gli occhi, dunque questa volta annuì con più convinzione, immergendo un biscotto nel caffè.
« Quale delle quattro? »
Lei si strinse nelle spalle.
« Sorteggiamo? Tutte e poi decidiamo? Ne cerchiamo altre? »
Sonia annuì di nuovo.
« Oh, bimba » sbottò a quel punto Orfeo, dopo aver represso un'imprecazione. « T'ho dato tre opzioni, sì cosa?! »
Lei annuì di nuovo, prendendo tempo, poi ci pensò un po' su e fece l'enorme sforzo di proferire verbo: « Le incontriamo tutte ».
« Poi? »
Sonia lo fulminò con lo sguardo: possibile che avesse così tanto bisogno di farla parlare la mattina alle otto e mezza, oltre tutto per dire cose ovvie? Che strazio. « Ne scegliamo una » e con questo la sua parlantina venne definitivamente esaurita.
 
La prima delle possibili nuove reclute venne contattata nel pomeriggio e fu invitata a cena per permettere a tutti di studiarsi a vicenda. Si trattava di Manuela, marcato accento milanese, voce nasale e una cascata di indomabili ricci bordeaux che persino Merida, direttamente dal film Disney, le avrebbe invidiato. Seduti attorno alla tavola con davanti del cibo cinese preso al take away alle dieci di sera – perché a quanto pareva a nessuno era venuto in mente di cucinare qualcosa o ordinare prima –, avevano scoperto che l'aspirante coinquilina suonava il violino e poteva vantare l'orecchio assoluto; al che Marco, come c'era da aspettarsi, aveva cominciato a battere una bacchetta su qualunque superficie per interrogare l'ospite su quale fosse la nota provocata. Intanto Sonia, arrossendo per l'imbarazzo, cercava di impedire il suo implacabile essere inopportuno; Cristina poneva di tanto in tanto domande lapidarie, volte più che altro ad assicurarsi che quella candidata non potesse infastidirla con la propria routine; mentre Orfeo in silenzio mangiava e sbadigliava nell'attesa che quella tortura finisse. Lui non era mai stato un tipo di molte parole, ma tutto quel parlare di corde, archetti, esami di musica e note musicali lo annoiava da morire, nonostante non se ne lamentasse.
Manuela raccontò del suo violino, delle quotidiane esercitazioni, dell'allergia alle fragole, ai latticini, alla polvere, alle graminacee e una lista pressoché infinita di altre cose – motivo per cui, si era scusata, non avrebbe mangiato nulla quella sera, ma avrebbe gradito un bicchier d'acqua. (« Che figura di merda » aveva commentato Marco a mezza voce, facendola ridere.) Si era poi abbandonata ad una lunghissima serie di spiegazioni sul perché e il come era diventata vegana, nominando malattie, medici, teorie, dietologi, manifestazioni, pratiche... aveva parlato tantissimo e senza sosta finché Orfeo non si era appisolato sulla sedia e Cristina aveva convenuto che si era fatto tardi – « Ora me ne andrei anche a dormire, se non ti spiace » le aveva detto senza troppi giri di parole. Marco aveva colto l'occasione al volo per esibirsi in teatrali sbadigli e stiracchiamenti, visto che, una volta stancatosi del gioco delle note, aveva preso ad annoiarsi anche lui.
A conti fatti, una volta che Manuela ebbe lasciato l'appartamento con la promessa di Sonia che le avrebbero comunicato al più presto la decisione presa, Orfeo espresse in maniera lapidaria il pensiero che tutti avevano in mente: « Che due palle ». E gli altri non poterono che annuire in segno di approvazione. Dopo un paio d'ore passate a parlare di musica classica, di allergie e dieta vegana, la prospettiva di abitare con una persona così monotematica (o, be', tri-tematica) non appariva molto rosea. Specie se la tal persona aveva bisogno di esercitarsi quotidianamente col violino. Tirarono quindi una riga sul nome di Manuela sulla lista lasciata da Giovanna, poi Sonia comunicò il prossimo passo: « Proviamo con Clizia ».
 
 
La prima caratteristica di Clizia che saltava all'occhio non appena la si incontrava era il suo essere una bellissima e sorridente Barbie. Era alta, magra ma formosa, bionda con una frangetta perfettamente stirata che ricadeva morbida sugli occhi in modo da poter essere soffiata via senza il minimo fastidio. Il suo sorriso era ampio, luminoso, dolce e raggiungeva sempre gli occhioni – immancabilmente azzurri e corredati di ciglia lunghe e folte.
A occhio e croce, secondo Orfeo, Marco si innamorò di lei nel momento stesso in cui la vide, entrando nel piccolo bar subito fuori dalle mura di Urbino in cui si erano dati appuntamento.
Cristina, invece, mise in chiaro fin da subito la propria antipatia nei suoi confronti: « Pensate che Raperonzolo, qui, si darà la pena di prendersi una pausa per parlare con noi? » domandò retoricamente. Clizia aveva parlato al telefono con Sonia per mettersi d'accordo sulle modalità di incontro per discutere di quel posto letto; dopo aver rifiutato quasi tutte le opzioni che le erano state proposte, si era imposta perché tutti i coinquilini la raggiungessero quel giovedì sera al locale dove lavorava part time.
« Sinceramente » commentò Marco, osservando con un certo interesse il fondoschiena della candidata: « A me anche così non dispiace. Sembra una brava ragazza, no? Propongo di reclutare lei! » Dopo tutto, che bisogno c'era di parlarle? Era palese che fosse perfetta per essere la loro coinquilina: bellissima, sorridente e lavoratrice. Che altro volevano sapere?
Orfeo si ritrovò suo malgrado a ridere, mentre Sonia sospirava d'esasperazione e Cristina lo fulminava con lo sguardo. « Da quando in qua la decisione spetta a te? »
« Siamo in democrazia, no? Il mio potere decisionale è del venticinque per cento, proprio come il tuo » replicò lui prontamente, lo sguardo che ancora seguiva movimento per movimento il sedere della biondina, la quale ancheggiava in giro per il locale per prendere e consegnare le ordinazioni.
Sonia lo osservò per un po' in silenzio, mentre il ragazzo si opponeva con fermezza alle dispotiche proteste dell'altra: era davvero incredibile quanto Marco potesse comportarsi da perfetto idiota e allo stesso tempo – letteralmente – tenere testa alla sapiente dialettica di Cristina, la quale, quando voleva, era in grado di svincolare anche le più ferme convinzioni politiche di Vanna. Insomma, mica roba da poco.
Poi roteò gli occhi, come era solita fare ogni volta che aveva a che fare con i suoi coinquilini, e cercò di focalizzarsi su Clizia. Era sempre stata brava a comprendere le persone al volo; di solito le bastavano poche informazioni e un breve scambio di battute per farsi un'idea – seppur generale – della personalità della persona che si trovava davanti. Era convinta, inoltre, che anche l'osservarle mentre non sapevano di essere sotto esame fosse un buon metodo per iniziare a costruire un identikit: quale metodo migliore, dunque, dello studiarla mentre si muoveva tra gli altri tavoli?
Passava da un cliente all'altro sfoggiando un sorriso che svaniva solo quando la concentrazione nel tentativo di non rovesciare nulla sui vassoi che trasportava aveva la meglio; allora il suo sguardo, fisso su bottiglie e bicchieri in equilibrio precario, si inscuriva un po', senza tuttavia perdere nemmeno un filo della sua innocenza. Di primo acchito, Sonia avrebbe detto che non c'era assolutamente nulla di negativo in lei: sembrava così carina, semplice e ingenua, del tutto a suo agio in mezzo alla gente, motivo per cui supponeva potesse essere diplomatica e paziente – ed esisteva forse una qualità più importante di quella per poter sopravvivere nel loro appartamento?
« Sto cercando di non farci caso », la voce di Orfeo richiamò Sonia alla realtà, strappandola alle proprie attente riflessioni; « ma sembrate due maniaci e la cosa inizia a mettermi in imbarazzo » osservò.
A quelle parole Sonia si accigliò, per poi rendersi conto che, in effetti, sia lei che Marco stavano fissando intensamente Clizia da svariati minuti e la cosa, sì, avrebbe potuto risultare un po' equivoca. Rise, quindi, per smorzare l'imbarazzo in cui inevitabilmente era piombata, e si accasciò sulla sedia per nascondersi, sparendo un po' di più sotto al tavolo.
La aspettarono per quasi due ore durante le quali Cristina sbuffò e si lamentò a denti stretti ininterrottamente per quella mancanza di rispetto, Marco non smise un attimo di tubare e cantare le lodi della candidata, Orfeo tenne lo sguardo incollato su Whatsapp, curvo sul tavolo, e Sonia placidamente ascoltò e rispose, del tutto inascoltata, agli opposti commenti dei due coinquilini. Furono due lunghissime ore, per tutti e quattro, che a frequentarsi al di fuori delle mura domestiche non erano per nulla abituati. Tra loro c'era quell'imbarazzo che coglie il nuovo arrivato in un gruppo già formato di amici, con la piccola variante che non c'era nessuno tra quei quattro che non si considerasse l'elemento di troppo. Finché c'era Giovanna era molto più semplice trovare complicità l'uno nell'altro per opporsi al suo dispotismo, ma così, senza nessun vero nemico da contrastare, la faccenda cambiava. La verità era che, nonostante avessero vissuto sotto le stesso tetto per quasi due anni, non potevano dire di conoscersi; sapevano il nome, l'età, l'indirizzo di studi di tutto, così come la situazione sentimentale – circa – e il nome di qualcuno dei parenti, ma questo non era abbastanza per definirsi amici. Un occhio esterno, per esempio, avrebbe potuto supporre che almeno i due ragazzi, nel trascorrere gran parte del loro tempo in compagnia l'uno dell'altro, fossero diventati buoni amici, ma la realtà era che il silenzioso e inoppugnabile distacco di Orfeo non aveva permesso al loro rapporto di spingersi oltre un traballante cameratismo basato sulla passione per il pallone, i videogiochi e la solidarietà maschile.
Ma torniamo a noi. Clizia li degnò della propria presenza, dicevamo, dopo quasi due ore; non si sedette nemmeno al loro tavolo, ma si chinò sulle ginocchia e posò gli avambracci sulla superficie in legno tra Sonia e Cristina, per poi cominciare a parlare con un indelebile sorriso sulle labbra, lo sguardo limpido che balzava allegramente da una persona all'altra: « Scusate l'attesa! Bene, vi spiego in breve che genere di coinquilina sono: sempre puntuale coi pagamenti, poco presente perché purtroppo lavoro quasi tutti i giorni; ogni due settimane torno a casa, quindi non do molto fastidio. Giovanna ha detto che le bollette sono un po' alte, quindi vi conviene ridurre al minimo i consumi, perché non ho soldi da buttare nei vostri sprechi ». E fin qui, direte, andava tutto bene, ma mano a mano che il monologo proseguiva, si poteva vedere l'ammirazione di Marco calare sempre più fino a trasformarsi in puro e semplice terrore; infatti Clizia si rivelò essere una maniaca del risparmio: era dell'idea che bisognasse ricaricare telefoni e computer sempre e solo in facoltà invece che incrementare le loro bollette, eliminare la spesa per l'ADSL – inutile, a sentire lei, quando si poteva sfruttare il wifi dell'università–, tenere le luci domestiche spente prima delle otto di sera, fare lavatrici solo durante la notte, utilizzare piatti, bicchieri e tovaglioli solo in carta e plastica, per diminuire l'utilizzo dell'acqua; addirittura propose qualcosa che suonava come “razionare la carta igienica”, ma Marco cercò di convincersi di aver sentito male. « Quindi chiaramente niente televisione né videogiochi o radio. Se c'è un telefono fisso io consiglierei di disinstallarlo e affidarci solo ai cellulari, in questo modo sarebbe più facile dividere le spese. Oppure potete lasciare tutto come sta, ma senza contarmi nella divisione delle bollette, perché, insomma, io non sarò quasi mai in casa, quindi sarebbe ingiusto se dovessi pagare per voi, no? »
Orfeo inarcò un sopracciglio senza scomporsi più di tanto. « Quindi, secondo te, dovremmo essere noi a farlo per te? »
Clizia a quel punto rise di cuore, con gli occhi chiusi e la testa leggermente piegata all'indietro. « No, certo che no, devo essermi spiegata male ».
Marco tirò un silenzioso sospiro di sollievo: ah, ecco, gli sembrava che fosse tutto troppo assurdo per essere vero. Si trattava di certo di uno scherzo.
« Pagherò la mia parte, ma calcolata esclusivamente sui miei consumi, non per divisione del totale ».
A Orfeo sfuggì una risatina di scherno: « E come pensi di calcolarla, scusa? »
Prima che Clizia potesse dare una risposta – e, al di là di ogni aspettativa, sembrava davvero averne una –, Cristina la interruppe: « Ho anch'io una proposta: perché non teniamo il riscaldamento spento tutto l'inverno? Tanto basta indossare un maglione o due per mantenersi caldi ».
Sonia sospirò, affondando la testa tra le braccia incrociate sul tavolo. « O potremmo bruciare le dita che ci cadono durante la notte » mormorò, facendo ridere Marco, l'unico a sentirla.
Clizia sorrise raggiante rivolgendosi a Cristina: « Stavo per suggerirlo io! » esultò, entusiasta di aver trovato qualcuno che comprendeva il proprio punto di vista.
« Idea geniale, davvero » continuò l'altra con falsa gentilezza; « lascia che ti suggerisca ancora una cosa » aggiunse e, mentre parlava, si mise alla ricerca di una penna all'interno della borsa; una volta fatta scattare la molla, prese un tovagliolino e ci scrisse su qualcosa. « Ecco qui, questo è il numero di mio zio. È psichiatra, secondo me dovreste incontrarvi ».
Così, mentre Cristina guardava Clizia con estrema serietà, lei boccheggiava oltraggiata e Marco si accasciava sulla sedia in preda ad un forte attacco di risate, Sonia prese un respiro profondo e si alzò in piedi: « Bene, è ora di andare a casa! » annunciò, il tono di voce leggermente acuto per l'imbarazzo. « Ti faremo sapere al più presto! »
 
Naturalmente, non le fecero sapere un bel niente: anche il nome di Clizia venne prontamente cancellato dalla lista, mentre Orfeo commentava: « Sono proprio amiche di Vanna: una più disagiata dell'altra. La prossima chi sarà, la figlia di Hitler? »
« No » rispose Sonia, scorrendo la lista con l'indice: « la prossima è... Francesca».
 
Incontrarono Francesca qualche giorno dopo al 3b di via Marconi; lei si presentò in ritardo di quaranta minuti all'appuntamento, scusandosi in marcato accento pugliese ed inciampando nelle scarpe di Sonia all'entrata. Una caschetto scompigliato di capelli tinti di biondo, guance tonde e morbide, grandi occhi scuri e un vestito a fiori; non appena la vide, Cristina borbottò un « Questa mi sta già sulle scatole » che la fece scoppiare a ridere.
Per lo meno, si dissero, la nuova arrivata sembrava in grado di sopportare l'acidità di Cristina.
Francesca, ridendo e inciampando, parlò loro brevemente di sé: vent'anni appena compiuti, famiglia numerosa, proveniente dalla provincia di Foggia, cucinava tanto, rompeva qualunque cosa toccasse, ma, a detta sua, era una persona con cui era semplice andare d'accordo. « O almeno così dicono. A parte cucinare non so fare nulla, ma imparo abbastanza in fretta ».
Cristina sbadigliò vistosamente, lasciando che i riccioli scuri le cadessero sul viso. « Non so se mi deprime più quell'abbastanza o il fatto che sembri davvero goffa come dici di essere » commentò.
Francesca rise e Marco, entusiasta della sua allegria, con lei. « Ma, senti un po', da dov'è che vieni? »
A quella domanda la ragazza arrossì e ridacchiò. « Provincia di Foggia ».
L'impressione che ci fosse qualcosa di interessante da scoprire a riguardo spinse il nostro Marco a insistere ulteriormente: « Sì, ma dove di preciso? »
« Ehm ». Lei prese tempo e ridacchiò di nuovo, prima di decidersi a dare una risposta: « Troia ».
C'è bisogno di specificare che Marco scoppiò in una fragorosa risata con tanto di lacrime agli occhi? La vita diventava così bella quando, senza alcun preavviso, le sue aspettativa si avveravano. Rise, rise, rise tanto sotto le sguardo di rimprovero delle coinquiline e quello imbarazzato di Francesca – mentre Orfeo, be', come al solito era troppo concentrato sul cellulare per farsi coinvolgere da ciò che gli succedeva intorno.
« Sei un deficiente » lo rimproverò Cristina in tono piatto; « non c'è assolutamente nulla da ridere. Se si chiamasse Elena sarebbe divertente, ma non è questo il caso » specificò con un briciolo di disappunto.
Quell'osservazione, comunque, non fece che amplificare il divertimento di Marco sulla questione: « Elena di Troia! » boccheggiò tra le risa, per poi accasciarsi definitivamente sul tavolo con la testa tra le braccia, le spalle scosse da singhiozzi incontrollabili.
Sonia a quel punto si sentì in dovere di prendere in mano la situazione, in quanto membro più anziano della compagnia. « Scusalo » disse, mentre si torturava imbarazzata le mani strette in grembo. « A volte la sua età mentale scende pericolosamente verso il sei ».
« Di norma si mantiene sull'otto, invece » si premurò di specificare Cristina – non che le interessasse rassicurare la loro ospite, sia chiaro: parlava per il puro gusto di infierire su “quel deficiente di Federzoni”.
Francesca scrollò le spalle e ridacchiò tranquilla. « Oh, non c'è da preoccuparsi! Sono abituata a reazioni del genere. La mia città non ha un bel nome ».
« Già, » anche Sonia sghignazzò, nonostante trovasse il tutto molto più imbarazzante che divertente: perché una volta tanto qualcuno di loro non poteva comportarsi da persona normale? Mentre ci pensava, lo sguardo le cadde sulla caffettiera poggiata in posizione di spicco sopra una scatola di biscotti – chissà da chi – e pensò che forse era il caso di mostrarsi un po' più ospitale del resto dei coinquilini. Dunque: « Vuoi dell'altro caffè? Ecco, te lo vers- »
« Oh, no, no, grazie! » Francesca le sorrise raggiante e la precedette nelle mosse afferrando la caffettiera per prima; « faccio da sola. È molto buono il vostro caff- », ma non fece tempo a concludere la frase, perché, Dio solo sapeva come, rovesciò la tazza ancora vuota e, nel tentativo di evitare che quella rotolasse sul pavimento, vi lanciò...
« Maurice! »
Marco si tuffò sul pavimento e la raccolse con la cura e il pathos che una madre ansiosa avrebbe riservato al proprio figlio piccolo; ne esaminò ogni lato, senza curarsi della pozza di caffè ad un passo da lui, e quasi scoppiò a piangere quando si accorse di una piccola ammaccatura un po' scorticata sulla base. « Maurice! » ripeté in tono ferito; « cosa ti è successo... »
Di fronte a quella – melodrammatica – scena, Francesca si alzò in piedi di scatto, mortificata: « Oh mio Dio! Mi dispiace moltissimo! » gridò. Di nuovo, in una combinazione di movimenti che nessuno riuscì a percepire, urtò con la gambe la sedia, la quale cadde, trascinata dalla pesante borsa appesa allo schienale, urtando la testa di Marco prima del pavimento.
« Ahia! »
« Oh mio Dio, mi dispiace così tanto! »
« Non preoccuparti, Francesca, è Marco che... »
« No, dai, ragazzi: questo contratto non s'ha da fare ».
 
Dopo che diverse linee furono tracciate sul nome di Francesca assieme ad un piccolo appunto – “Per la salute psicofisica di Marco!!!”, scritto nella grafia piccola e disordinata dello stesso –, si provvide a telefonare all'ultima candidata sulla lista lasciata da Giovanna.
« Ve lo dico già da ora » comunicò Orfeo con fare svogliato, pigramente disteso sul piccolo divano dell'altrettanto piccolo salotto, mentre attendevano che la nuova ospite si presentasse all'appuntamento: « non si salva nemmeno questo. Io lo so, me lo sento ».
« Ah, te lo senti? » bofonchiò Marco contrariato, massaggiandosi il lato della testa su cui era cresciuto un appena accennato bernoccolo; « Bravo, pensaci tu, ché la scorsa l'ho sentita io bella forte ».
« Che palle », Cristina sbuffò invece, sfogliando nervosamente il quaderno degli appunti di Linguistica seduta al tavolo della cucina; « speriamo che questa sia quella buona, al contrario. Non ne posso più di perdere tempo per incontrare una sfigata dopo l'altra, ho un sacco di cose da fare ».
Sonia sospirò; sperare in un comportamento migliore del solito da parte dei coinquilini era del tutto inutile, ormai l'aveva capito, non le rimaneva che augurarsi che quell'ultima candidata fosse quella giusta. Perché, al di là dello stress causato dai tentativi di riunire, accontentare e tenere sotto controllo quei tre, Cristina aveva ragione: c'erano lezioni da frequentare, esami da preparare, tesi da scrivere e di certo nessuno di loro aveva voglia di trascorrere il resto del semestre alla ricerca di una coinquilina decente. Ognuna di quelle che avevano già conosciuto si era rivelata una compagnia non proprio ideale per loro, ad eccezione forse di Francesca, a cui però Marco si era opposto con fermezza e più di un'ora di intense e inarrestabili lamentele. Così, per quanto a Sonia quella ragazza piacesse, quando anche Cristina convenne che una persona così goffa sarebbe stata meglio evitarla, si convinse a rinunciare anche a lei. Dunque non rimaneva che l'ultima.
« Come avete detto che si chiama? »
« Enrica ».
« Che nome di merda ».
« Marco, ti imploro, non cominciare ».
« Ma è vero! »
« È il nome della tua ex, vero? »
« Una delle tante, Dalle. Quella psicopatica ».
« ...una delle tante psicopatiche, vuoi dire ».
« Sì, forse. Merda, e se fosse proprio lei? »
« Oh Cristo ».
Fu proprio in quel momento che suonò il campanello e tutti trattennero il fiato. Il momento delle supposizioni era appena finito, finalmente avrebbero incontrato l'ultima candidata sulla lista lasciata loro da Giovanna.
« Tadadadann ».
« Merda ».
« Chi va ad aprire? »
Toccò alla stessa persona che pose la domanda, ovviamente, l'unica che si dimostrava seriamente interessata alla ricerca di una coinquilina: Sonia.
Enrica era puntuale come un orologio svizzero, alta, bruna e imbronciata; aveva i capelli neri raccolti in una lunga treccia e tutte le proprie valigie con sé.
« No, scusa, devi aver capito male » intervenne Cristina non appena se ne accorse, piombando nell'uscio dai meandri della cucina: « sei qui solo per un colloquio ». Ci mancava solo che la nuova arrivate si stanziasse a casa loro senza permesso. Ma una normale, una normale l'avrebbero mai incontrata?
La ragazza fece scorrere lo sguardo da Sonia a lei, poi sulle proprie valigie. « Oh » disse solo, dopo aver battuto le palpebre diverse volte. « Errore mio ».
Ma riassumiamo la questione: messa momentaneamente da parte la piccola incomprensione del trasferimento immediato, capirono subito che Enrica non era un tipo di molte parole. Rimase in silenzio ad ascoltare i battibecchi di Cristina e Marco, le spiegazioni che Sonia cercava di fornirle riguardo ai regolamenti della casa e alla loro routine; rispose lapidariamente alle domande che le furono poste, non soddisfò i tentativi di Marco di suscitare in lei una reazione un po' più vitale della silenziosa impassibilità con cui si era presentata e, quando ormai nessuno di loro sapeva più cosa dirle, parlò: « Posso far uscire Geronimo? Non gli piace rimanere chiuso in borsa a lungo ».
Un brivido percorse la schiena di Cristina, che nonostante non avesse la minima idea di cosa Enrica stesse parlando, aveva una bruttissima sensazione. Fino a quel momento tutto era andato nel migliore dei modi, se non si contava la naturale idiozia di Marco: Enrica aveva orari di studio e abitudini perfettamente compatibili con le loro, sembrava essere abbastanza sveglia da non creare problemi, tranquilla anche e non aveva l'aria di essere una persona particolarmente pigra. Eppure aveva un brutto presentimento. « Geronimo? »
« Oddio » sussurrò Marco ad Orfeo, un po' troppo forte per non essere udito; « ha un amico immaginario ».
Enrica lo ignorò totalmente; in tutta risposta alla domanda di Cristina, invece, si alzò sorridendo dalla sedia della cucina per avvicinarsi ad una delle borse che aveva portato con sé, fece scorrere la zip e poi ne estrasse quello che sembrava un innocuo cubo di vetro.
Nel momento stesso in cui lo posò al centro del tavolo, quattro paia di occhi si sgranarono e quattro cuori persero un battito: una ammasso nero e peloso, grosso quanto un pugno di Orfeo si muoveva pigramente sul fondo della teca a cui Enrica sorrideva orgogliosa: otto zampe, due minacciose tenaglie e troppi occhietti lucidi a fissarli. Con mano esperta la ragazza fece per aprire la gabbia per presentare il suo caro Geronimo ai ragazzi, ma le grida imploranti di Marco, sbiancato in viso, la spaventarono al punto di fermarla: « FRANCESCA! Prendiamo Francesca, vi prego, Francesca, Francesca va benissimo! »
 
E Francesca fu.

 
Buongiorno! Questo capitolo, arrivato dopo un po' più tempo del previsto (da me, almeno), è stato scritto in due momenti molto diversi, ma non saprei dire se si nota o meno. La prima parte è stata preparata e poi leggermente modificata quasi un mese fa, la seconda (quella degli ultimi tre incontri) è fresca fresca di ieri sera/questa notte. 
Qui ci focalizziamo un po' di più Cristina, dopo aver conosciuto meglio Giovanna nello scorso capitolo, e spero che si riesca a comprendere un po' di più il suo solito atteggiamento di superiorità. Non è che sia cattiva, insomma, è solo determinata e profondamente individualista. Ha anche lei i suoi problemi, come un po' tutti, ma questo lo vedremo più avanti. 
Che ne pensate delle aspiranti coinquiline? Ho cercato di descrivere le quattro situazioni in maniera leggera e il più possibile simpatica -- spesso con l'aiuto di Marco, bless him--, quindi mi auguro di essere riuscita a non annoiarvi. Ho provato a trovare quattro persone fondamentalmente diverse tra loro, ognuna con i suoi difetti, ma ho come l'impressione di aver raggiunto un nuovo livello di estrema banalità... ma shush, shush, smetto di parlarne prima di diventare una lagna (ho sempre avuto qualche problema d'originalità). Ma ho una domanda: l'avevate intuito fin da subito che sarebbe stata Francesca la nuova recluta? Sì, vero? Immaginavo. XD
Ne approfitto per ringraziare Francesco, anche se probabilmente non leggerà mai, per avermi aiutato nella scelta delle caratteristiche di Enrica.
Piccola curiosità: ho davvero sentito parlare di gente che per risparmiare razionava la carta igienica, usandone solo un rettangolino per... asciugarsi. Dettaglio che non vi interessava, ma la cosa mi fa ridere. Ah, piccola precisazione: se qualcuno di voi lo fa, non sentitevi offesi, ma personalmente lo troverei molto scomodo. XD
Piccola precisazione #2: non sono una sostenitrice dei pregiudizi; non so se qualcuno di voi s'è sentito offeso nel sapere che Riccardo è siciliano ed eccessivamente possessivo nei confronti di Cristina. Ecco, volevo specificare che le due caratteristiche sono state associate casualmente: quel personaggio avrebbe dovuto avere quel determinato carattere fin dall'inizio, il fatto che sia anche palermitano è capitato perché nel mio periodo di fissazione con l'accento siciliano lui è stato il primo personaggio a cui non avevo assegnato una provenienza a capitarmi sotto tiro. Giusto per chiarire, magari non ce n'era nemmeno bisogno, ma sono paraculo inside. 
Ho già scritto tantissimo, quindi me ne vado in fretta!
Ringrazio tutti quelli che stanno leggendo e continuano a darmi fiducia, spero di continuare a meritarla! ♥
  
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