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Autore: lady dreamer    16/05/2015    3 recensioni
Prendete una giornata di sole, aggiungete un artista concettual-impegnato poco disposto a farsi intervistare - Sherlock - e un giornalista del Times - John - che deve fare un vero e proprio scoop se vuole mantenere il posto di lavoro. Aggiungete un atterraggio inaspettato all'aeroporto Charles De Gaulle di Parigi, una mostra da organizzare, un pazzo criminale sempre in agguato e mischiate energicamente con la promessa di grandi avventure. Salate con inseguimenti e battute sagaci e pepate con relazioni inaspettate. Riversate tutto su un file word e... ecco quello che ne esce fuori!
Genere: Comico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Irene Adler, Jim Moriarty, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sono costretto a continue trasformazioni, perché tutto cresce e rinverdisce.
A forza di trasformazioni, io seguo la natura senza poterla afferrare,
e poi questo fiume che scende, risale, un giorno verde, poi giallo,
oggi pomeriggio asciutto e domani sarà un torrente.

Claude Monet.
 
 
Arte contemporanea
Capitolo IV
 
 
- Mi spiega perché l’Orangerie?
 
Sherlock alza le sopracciglia. - Perché lei non sa niente di arte. Ho bisogno di farle vedere dove nasce l’arte contemporanea per poterle rilasciare un’intervista. E tutto nasce dagli Impressionisti.
 
Sbuffi appena. Non sarai un esperto, ma non sei neanche così ignorante. - So chi sono gli Impressionisti.
 
Sherlock ti squadra come faresti con lui se di punto in bianco dicesse di essere un patito di calcio. - Tipo?
 
Mai avresti pensato di poter trovare familiare questo dannato clima da esame che si è istaurato tra te e questo artista pazzoide. Come se tu dovessi dimostrare qualcosa… e il bello è che i tuoi neuroni si affanno a trovare sempre la risposta che ti faccia fare la figura meno pessima che è possibile. Perché della sua opinione purtroppo ti importa. - Che dipingevano a macchie e punti?
 
Un professore esigente e mai contento, Sherlock Holmes. - Ma sa perché dipingevano a macchie e punti?
 
Gli mancano solo gli occhialetti tondi e fa tale e quale la stessa espressione del tuo docente di anatomia all’università. E pure lui non sapevi se stimarlo o odiarlo, infatti.
 
- Perché gli andava…
 
Sherlock non si lamenta stranamente della vaghezza della tua risposta.
Si limita a fissarti così intensamente che pensi che non ti stia davvero fissando, ma che i suoi occhi ti guardino attraverso, che vedano oltre te e l’anonimato della tua persona.
 
È ispirato come hai capito può essere solo se parla d’arte.
Parla con pause studiate, teatrali. E hai sempre guardato con invidia alle persone a cui basta fare attenzione al proprio tono di voce quando dicono qualcosa per riconoscere cosa li tiene in vita. E considerato che Sherlock Holmes sembra indifferente al cibo e allo stimolo a dormire, evidentemente è proprio l’arte a tenerlo in piedi.
 
Tu non sai più cosa ti faccia alzare dal letto tutte le mattine. Ti senti come svuotato, incerto. Non sai cosa fare dei tuoi giorni, continui a perseguire degli schemi che ti sembra di aver elaborato in un’altra, ingenua, vita.
 
Forse è proprio per questo che guardi con così tanta ammirazione alla volta di Sherlock Holmes, mentre snocciola con nonchalance: - Erano degli anticonformisti, dei ribelli, degli spiriti liberi. Hanno spianato la strada a tutti gli altri. L’arte accademica li guardava e storceva il naso. Vivevano come degli spiantati, rifiutavano i canoni classici e i soggetti finti del mito. Dipingevano la realtà come la vedevano loro. Con le ombre viola. Perché per loro il nero non esisteva. A macchie e punti. Per dipingere il filtro della loro percezione del mondo. Un mondo borghese. E felice di essere borghese. E di essere felice. Questi sono gli impressionisti. Degli spiantati visionari ribelli.
 
Ti volti a fare caso al suo entusiasmo. - Le piacciono molto. Almeno sembra.
 
Lui ti guarda con un accenno di superiorità. Come se si stupisse che tu abbia anche solo potuto ipotizzare che il suo preferito fosse un movimento così orgogliosamente frivolo. Del resto, mentre lo guardi scuotere appena il capo, anche tu ti stupisci su come abbia potuto prendere un tale abbaglio.
 
- Preferisco Van Gogh, uno spiantato visionario ribelle infelice.
 
Lo dice con orgoglio. E, quel che è peggio, detto da lui non sembra così terribile. Concorre solo a farlo sembrare più affascinante. - Pensa che l’infelicità sia un vanto?
 
Ti regala uno sguardo pensieroso, quasi assente. - Per un artista può essere un vantaggio.
 
Vorresti non trovare nelle sue parole quei sottointesi che non puoi fare a meno di individuare. - Van Gogh si è suicidato.
 
Sherlock sembra tornare presente a se stesso. Torna a fissarti. E se non avessi capito qualcosa di lui in questo tempo passato insieme, diresti che c’è un briciolo di compiacimento. E forse c’è davvero. Ma non vuoi illuderti. - Lo sa. Bene. Pensavo che fosse più ignorante.
 
Scuoti appena la testa. - Lei pensa che sia un bene suicidarsi? Che so, spararsi un colpo, buttarsi da un balcone?
 
Sherlock ti guarda con molta serietà. - Dipende dalle situazioni, temo.
 
E non sai perché, ma ti sembra ad un tempo ingiusto e strano sentirgli dire una cosa del genere.
Avresti etichettato queste affermazioni con una vuota superficialità, se non avessi trascorso le ultime sei ore con lui. Temi che ci possa essere dietro qualcosa di diverso dall’esibizionismo.
 
- Lei si ammazzerebbe?
 
Sherlock accenna debolmente un sorriso. - Teme che mi ammazzi? Non è nella lista delle mie priorità.
 
Corrughi istintivamente la fronte. - Non capisco.
 
Ti guarda fisso negli occhi. Uno specchio troppo profondo, quei suoi occhi cerulei. - Lei non darebbe la vita per le persone che ama?
 
Aggrotti le sopracciglia. - Aveva dichiarato che tenere a qualcuno non è un vantaggio.
 
- Non è un vantaggio. Ma a volte capita.
 
Hai serie difficoltà ad immaginare che sia la stessa persona che si è comportato così male con Molly Hopper, ha liquidato così malamente Victor Trevon e continua a non ricordarsi il nome del compagno di suo fratello. Esiti. Ma sussurri, nascondendoti dietro una vaga intonazione interrogativa: - La signora Adler?
 
Lui ti guarda come se avessi detto che gli alieni stanno per invadervi. Che poi dipende dai punti di vista, se fosse una puntata di Doctor Who sarebbe tutto perfettamente normale. - La signora Hudson.
 
Immagini la scena. Sherlock e l’anziana signora che... - Come?!
 
Holmes alza gli occhi al cielo. - Non nel senso che pensa. Sono cresciuto con lei.
 
Respiri profondamente con un accenno di sollievo molto evidente nella voce.
 
- E suo fratello?
 
Devi aver fatto la domanda sbagliata. Sherlock risponde più veloce di uno scioglilingua. - Nessuno mi minaccerebbe con lui. È un pezzo troppo grosso. Ma queste cose a lei non interessano.
 
Prendi mentalmente nota: c’è qualcosa che non va nel rapporto tra i fratelli Holmes.
Sarebbe uno scoop interessante per l’articolo… peccato che al momento sia l’ultimo dei tuoi pensieri.
 
***
 
Attraversare il parco delle Tuileries, scansare l’enorme costruzione del Louvre ed entrare in un museo molto più piccolo e anonimo non è da tutti. Evidentemente è da Sherlock Holmes.
Ma entrare nel museo, con Sherlock che sembra di casa e fa un cenno al ragazzo al bancone all’ingresso è una cosa che decisamente non ti saresti aspettato.
Eppure, dopo aver passato un sommario controllo sicurezza, a Sherlock non l’hanno fatto ma a te sì, perché va bene non farti pagare il biglietto perché Holmes garantisce per te che sei della stampa inglese, ma il controllo sicurezza lo fai lo stesso, perché non sei mica Holmes, mentre pensavi che sarebbe stato difficile stupirti ulteriormente, ti ritrovi in una stanza decisamente inusuale.
 
Ti volti verso Holmes alla ricerca di spiegazioni. - Perché questa stanza bianca?
 
- È una sorta di camera di decompressione. Non tema. Non le succederà niente. Monet non morde. L’idea è sua.
 
 
Pensavi che Sherlock Holmes fosse una persona superficiale e saccente.
Continui a pensare che sia saccente, per carità. Ma lo difenderesti a spada tratta dall’accusa di superficialità, adesso. Anche se poi te ne stupiresti. E cercheresti di pesare sulla bilancia della tua ferrea razionalità i motivi che ti avrebbero spinto inconsciamente a reagire così.
Ma sarà il modo in cui si ferma davanti ad ogni singolo quadro. Di pittori famosi, alcuni, di gente che non conosci, molti altri.
 
L’arte non è mai stata il tuo più grande interesse.
Eppure quelle pareti intere ricamate dagli arabeschi di colori di Monet ti hanno stupito. Sono fiori. Ninfee. Galleggiano su acque colorate di oscurità e di indifferenza. Come te. Galleggi nella tua vita. In mezzo a gente che se ne infischia.
 
E poi c’è Holmes che guarda le volute di quell’acqua stagnante, che passa in rassegna, forse per la milionesima volta, le sfumature di colore delle diverse versioni dello stesso soggetto.
E non capisci cosa pensi. Fino a che punto si spinga la sua capacità di comprendere la gente. Se capisce quello che stai provando, quel senso di irrequietezza, di smarrimento, di disprezzo per la tua stagnante immobilità in una vita che si è impantanata, tace perché lo prova anche lui oppure perché non gliene frega niente?
 
Tace. E c’è qualcosa di vagamente sensuale nel modo in cui i suoi occhi si posano sulle tele, le braccia lungo i fianchi, le mani in tasca. Sembra che il suo silenzio sottenda un rapporto molto più intimo e vero con i quadri che con te. Che con le persone in genere.
 
Forse è per questo che ha problemi a relazionarsi con le persone. Perché si trova in sintonia con l’arte. Forse non si possono avere entrambe le cose.
 
Ma temi di affrontare questi argomenti con lui.
Decidi di dire un’altra cosa qualsiasi, pur di non dover più riflettere sulla tua vita e sul suo profilo mentre il suo sguardo indugia sulle tele come se guardasse un amante.
Un’amante.
 
- Ma aveva detto che un pittore di arte contemporanea non può amare Turner. Come può amare Van Gogh? O gli Impressionisti?
 
Sherlock si volta appena verso di te. Alza gli occhi dall’enorme dipinto sulla parete e li posa su di te. E ti senti inconsciamente inadeguato. Del resto, chi potrebbe competere con le Ninfee di Monet?
Eppure non ti fa sentire uno sciocco, per una volta.
 
- Io esisto perché loro sono stati rivoluzionari anche per me, quando è stato il loro turno. Turner è stato determinante per gli Impressionisti, forse. Ma non posso amare tutti quelli che hanno determinato quelli che mi interessano.
 
Fa per dirigersi verso un’altra sala.
 
- Ma…
 
Si volta appena. - Se mi invaghissi di lei, non mi invaghirei anche dei suoi genitori, o di suo fratello alcolista.
 
Il cervello comincia a ronzare come una mosca intrappolata sotto un bicchiere. Suo fratello alcolista…se mi invaghissi di lei?... suo fratello alcolista, decisamente. Non puoi chiedere troppe spiegazioni tutte insieme. Troppe poi… due. Sono troppe. Decisamente troppe. E poi è ovviamente un esempio.
 
La tua doppia incredulità si manifesta tutta nella corrucciata fissità del tuo sguardo. - Quando le ho detto della mia famiglia?
 
- Non l’ha detto. Mi ha prestato il suo telefono.
 
Un lembo della tua bocca si inclina appena, in un sorriso che non sai se approvare. - Me l’ha sequestrato.
 
- È lo stesso.
 
Decidi di permettere alle tue labbra di sorridere. Perché una deduzione del genere, se davvero l’ha dedotto come vuole farti credere, è a dir poco geniale. Anche se incidentalmente sbagliata.
 
- Comunque Harry sta per Harriet. Mia sorella.
 
Sherlock distoglie lo sguardo, di un altro diresti imbarazzato, ma visto che si tratta di lui ti limiterai ad infastidito. - C’è sempre qualcosa…
 
Sherlock Holmes pretende sempre il massimo da sé. Questo è certo. Altrimenti non troverebbe banale la sua vita tutt’altro che ordinaria, non sarebbe sempre alla ricerca di modi teatrali di autoaffermazione, non si compiacerebbe di avere un pubblico che lo applaude e gli dice: - Per il resto è stato fantastico.
 
Ma è nel sorriso schivo che ti indirizza dicendo:- Grazie. - che capisci che c’è altro oltre ad un ego smisurato ad alimentare la sua personalità.
 
***
 
Esci dalla pinacoteca con una prospettiva diversa.
E c’è un’idea che ti barcolla tra i pensieri. Da un po’.
 
Hai formulato cosa dire in almeno dieci modi diversi. Hai schiarito la voce due volte, sorriso nervosamente una volta e mezza, e deglutito per esordire tutte le dieci diverse volte.
 
E manovre del genere non sono ovviamente sfuggite alla mente brillante che cammina affianco a te nascondendosi in un corpo filiforme e due zigomi taglienti. - Allora. Cosa vuole chiedermi?
 
Deglutisci ancora. - Lei stasera inaugura la mostra, vero?
 
Lui ti guarda con senso di superiorità misto ad una bonaria compassione. - Spreca il fiato per una cosa che sa già.
 
- Le posso chiedere di essere presente all’evento e…
 
Sherlock non ti lascia terminare la frase, ovviamente. - Scrivere sul suo ridicolo giornale quello che succede?
 
E ti ha fatto sicuramente un favore, vista la timidezza dietro in cui ti stai involontariamente impantanando. Accenni un sorriso. - Esattamente. Anche se toglierei quel “ridicolo”.
 
Holmes ti riserva un vago cenno di assenso. - Come vuole.
 
- Partirei domani il più presto possibile. - ci tieni quasi a giustificarti.
 
Sherlock sorride appena. Come se la sapesse lunga. - Ovviamente.
 
Eppure non sembra arrabbiato. Né indispettito. E se da un lato ne sei sollevato, dall’altro temi qualche ripicca. - Lei è davvero d’accordo?
 
- Mi hanno visto in giro con lei. Almeno così avrà senso anche per gli altri.
 
 
Il rientro alla galleria d’arte della Adler avviene con tutta calma, percorrendo placidamente, per quanto tu abbia comunque dovuto procedere a passo sostenuto per stare dietro alle grandi falcate di Sherlock, i boulevard ottocenteschi che attraversano la città.
 
Sembra che tutto sia elegante o naif a Parigi.
Che tutto risponda a dettami di raffinatezza, buongusto e placida serenità.
La Senna percorre tranquilla il proprio tracciato, accarezzata da bateau bus che sembrano piccole isole felici in terra, con i turisti che, vento tra i capelli e macchina fotografica in mano, si godono il panorama.
 
E poi c’è lei, in lontananza, la Torre Eiffel.
Una giraffa di ferro. Slanciata, eccentrica e ormai topica.
 
Holmes sembra perfettamente a suo agio. Come se sapesse esattamente dove andare.
Se tu cerchi conferma in ogni indicazione turistica per capire dove potresti eventualmente trovarti, se osservi con il naso all’insù e gli occhi inebriati da tanta bellezza la maestosità degli edifici del centro, lui al contrario sguazza nel suo elemento naturale. E un po’ lo invidi per questo.
 
Lui è tutto quello che non sei e che non potrai mai diventare.
Famoso senza essere carismatico. Affascinante nonostante la sua schiettezza disarmante e quella sua fastidiosa teatralità. Se solo tu non fossi così diverso da lui forse… forse avresti qualche possibilità di… chiudi gli occhi. Solo un attimo.
 
Se tu fossi un giornalista affermato, felicemente sistemato. Libero di viaggiare da una parte all’altra dell’Europa, mandare via mail quando vuoi articoli sempre da prima pagina, se il tuo animo covasse malinconie più affini alle sue… forse. Forse potreste avere un rapporto alla pari. E invece lui è la star, l’artista, il custode della verità, del senso della vita. O almeno pensa di esserlo.
 
E tu sei solo un giornalista senza importanza. Devi intervistarlo e sparire.
Anche se non vuoi.
 
Se non altro c’è qualcuno più inguaiato di te. Victor Trevon.
Se solo Sherlock non si divertisse a mortificarlo e tormentarlo forse il ragazzo smetterebbe di scusarsi anche solo di respirare. Lo compatisci, ma il tuo inconscio gioisce che tu non sia la persona che Holmes stima di meno nella galleria d’arte della Adler.
 
***
 
Il ragazzo, con lo sguardo stralunato, le mani che mulinano in aria a metà tra una resa e una reazione isterica, cerca in ogni modo di attirare l’attenzione di Sherlock, sperando di non essere licenziato su due piedi. - Signor Holmes io sono mortificato, le stavo portando il the ma è stato un…
 
Peccato che il suo interlocutore si diverta ad offendere la gente.- Lei non riesce a procurarsi tre o quattro bustine di the in meno di quattro ore, è ammirevole.
 
Che poi, a volerla dire tutta, Trevon non aveva fatto altro rispetto a quello che Sherlock voleva, togliendosi dai piedi e tornando solo dopo molto tempo. E se da un lato vorresti difendere il ragazzo, dall’altro non avresti voluto per niente al mondo condividere la tua visita all’Olangerie con lui, attaccato a Sherlock come una piattola per prevenire ogni suo desiderio.
 
- Io… Lei era sparito.
 
Sherlock sa come fare a sembrare arrabbiato anche se non lo è. Ribatte con convinzione lapidaria.
- Lei era sparito. Non sono abituato ad aspettare. E non imparerò di certo per lei. - ma nello sguardo che ti riserva per una frazione di secondo capisci che se potesse riderebbe con te di questa buffa situazione.
 
John, che stai pensando?
Lui riderebbe con complicità con te del fatto che ha cacciato via Trevon per potervene restare da soli? Hai le allucinazioni, forse.
 
È probabile quanto lo sarebbe essere convocati a Buckingham Palace e presentarsi avvolti in un lenzuolo o rubare un posacenere come souvenir.
Ma immagini esattamente le risate che questo potrebbe comportare, in corsa in taxi verso una nuova avventura.
 
Trevon ti fa tornare tristemente alla realtà. - Io sono davvero mortificato. Mi perdoni, signor Holmes.
 
- Non sono il padre eterno, non si metta in ginocchio e la smetta con queste litanie. Ne ho abbastanza di lei.
 
Victor sfodera uno sguardo da cucciolo smarrito. - Ma io… Sa… Suo fratello mi ha assunto… Io…
 
Peccato che Sherlock non si faccia impietosire facilmente. - Percepirà il suo compenso lo stesso. Ma si tolga dai piedi.
 
Non pensavi che l’avresti fatto, ma ti fa troppo pena Trevon. E intervieni, cauto e guardingo come se camminassi in bilico su una fune sospesa nel nulla. - Vuole solo rendersi utile, in fondo…
 
Sherlock alza gli occhi e non stupito, ma se non altro vagamente sorpreso, ti scruta per una frazione di secondo. Sostieni il suo sguardo, senza riuscire a decifrarlo.
 
Senza dirti una parola, si volta di nuovo verso Trevon. - E allora mi faccia un favore. Vada al buffet e si metta a servire champagne. Uno dei camerieri che ci ha mandato il catering sembra un untore di peste bubbonica, gli dia il permesso di tornarsene a casa dandogli il cambio.
 
Se Trevon fosse un cagnolino starebbe scodinzolando. - La ringrazio signor Holmes, non la deluderò signor Holmes.
 
***
 
Nel bel mezzo dell’inaugurazione della sua ultima mostra a Parigi, mentre in tanti gli si avvicinano, per fargli domande, per una foto per la stampa, per un autografo, o semplicemente per stringergli la mano, tu ti senti fuori posto come mai. Te ne stai in disparte, un bicchiere di champagne in mano che non bevi, indaffarato come sei a cercare di non dare nell’occhio, di memorizzare atteggiamenti e atmosfera per l’articolo, se mai te ne farà scrivere uno, e non perdere mai di vista Sherlock.
 
È passata più di un’ora da quando hai incidentalmente difeso Trevon e da allora non hai più scambiato una parola con Holmes. E hai avuto tutto il tempo, nonostante fossi tanto impegnato, per maledirti non una ma cento volte per esserti immischiato nella faccenda.
 
Nel momento stesso in cui vedi Molly Hooper imboccare l’ingresso della sala in cui ti trovi, voltandoti, noti la presenza di Sherlock Holmes. Gli servi per la sua recita. Per una frazione di secondo vorresti mandarlo al diavolo e dirgli di arrangiarsi, o peggio spiegare a Molly come stanno le cose. Ma ti rendi conto che sarebbe più crudele nei confronti della donna che non di Sherlock, a cui sicuramente la cosa non sta a cuore come a lei. Meglio che lei continui a pensare che state insieme che non che lui l’abbia inventato pur di farle definitivamente capire di non essere il suo tipo.
 
Al fianco di Molly c’è un uomo sulla trentina, capelli neri, occhi scuri, un paio di occhiali dalla montatura nera, abbastanza appariscenti. Indossa dei jeans fin troppo attillati e una maglia verde acido sotto una giacca blu. È lui l’aspirante fidanzato di Molly? L’aspirante rimpiazzo di Sherlock?
 
Ti concedi un attimo per guardarli insieme. Non c’è paragone.
Ma se chi si desidera davvero è irraggiungibile… è umano cercare qualcun altro.
E tu lo faresti, John? Ti accontenteresti?
 
Molly sorride raggiante, sperando di poter dare un’impressione di felicità che, persino tu riesci ad intuirlo, è un po’ vera e un po’ simulata, per convincere più che Sherlock, proprio se stessa.
 
 - Jim, ti presento Sherlock Holmes e…
 
Non vuoi che ti indichi come il fidanzato di Sherlock. Già fingere con lei di essere qualcosa che non sei ti dà fastidio, mettere i manifesti in giro sarebbe ancora più umiliante. Ti affretti a stringere la mano di Jim. - John Watson.
 
Lui ti sorride appena e volge subito la sua attenzione a Sherlock.
 
- Quindi lei è Sherlock Holmes. Molly mi ha detto tutto di lei.
 
Sherlock gli indirizza uno sguardo vagamente incredulo, mentre le guance di Molly si imporporano in modo abbastanza evidente. - Lui è un tecnico informatico. Lavora anche lui al centro di restauro del Louvre. Ci siamo conosciuti così, e abbiamo iniziato a uscire insieme… capita a volte tra colleghi.
 
Leggi i sottintesi nel discorso di Molly. Capisci che vorrebbe se non far ingelosire Sherlock, quanto meno perdere un po’ della pateticità a cui l’artista associa la sua figura.
 
Peccato che Sherlock colga bel altri sottintesi. - Gay.
 
- Cosa? - saltate in aria sia tu che Molly. Per motivi diversi.
 
Lui, apparentemente incurante di aver gettato tale macigno dello stagno, finge indifferenza.
- Niente, ehi.
 
Jim gli stringe di nuovo la mano. - È stato un piacere conoscerla. - e fa cenno a Molly di voler iniziare il percorso espositivo della mostra.
 
Molly gli fa un rapido cenno di assenso, senza essere capace di accompagnarlo con un sorriso. 
 
Si volta precipitosamente verso Sherlock. - Che vuol dire gay? Usciamo insieme… Non è gay. Perché vuoi rovinare tutto?
 
Ti verrebbe da dire che un etero difficilmente metterebbe una maglietta di quel verde, ma ti trattieni. Magari semplicemente ha un gusto un po’ eccentrico oppure non è un grande esperto con gli abbinamenti di colori.
 
Sherlock invece sa benissimo cosa non dire e come dirlo:- Il fatto più significativo è che mentre non guardavi ha infilato un biglietto con il suo numero nel taschino della mia giacca.
 
Ti eri ripromesso di non intrometterti più nelle decisioni di Sherlock Holmes, e di non fargli la morale per i suoi comportamenti. Ma non riesci a startene semplicemente zitto mentre lui si comporta male. E se questo porterà ad ulteriori silenzi tra voi due non puoi farci niente, lo dovrai sopportare e basta. L’espressione di sconforto e di tristezza sul volto di Molly ti fanno capire che non è il momento di essere egoista.
 
- Signorina Hooper, lo scusi, sicuramente si sbaglia. Non è mica un detective.
 
Sherlock ti indirizza un’occhiata sprezzante. - Avrei potuto esserlo. E non mi rinfacci l’errore dell’aereo. È lei che… lasciamo stare.
 
Molly si rintana dietro un:- Vado da Jim. - e corre letteralmente via dalla maleducazione di Sherlock.
 
Sospiri sonoramente. - Perché si diverte a distruggere la vita di quella povera ragazza?
Lui sembra perfettamente a suo agio con la sua coscienza, e indifferente nei riguardi della tua indignazione. - Non distruggo proprio niente, le ho fatto un favore.
 
Il fatto che comunque non si sottragga alla conversazione, e visto che non riusciresti a dire altro, perseveri:- Quello non è un favore. Ma pare che lei non capisca.
 
Sherlock ti guarda fisso negli occhi, serissimo e grave. - Mi sta accusando di essere ottuso.
 
Non lo diresti mai. È intelligente, ed è innegabile. - Solo un po’ indifferente ai sentimenti degli altri.
 
- Alla gente non interessa di ferire i miei.
 
Riconosci la malinconia latente presente nelle sue parole. Non abbassa lo sguardo, ma per una frazione di secondo pensi che non stia mettendo bene a fuoco quello che il suo campo visivo gli offre. Non parla, rintanandosi in un silenzio che intuisci non dipende da te, se non indirettamente.
 
- Cosa le è successo, Sherlock?
 
Lui si scuote dal suo mutismo. - Lo chiede come giornalista o come… persona?
 
Non avevi minimamente pensato di approfittare della situazione per l’intervista. L’insinuazione ti dà anche vagamente fastidio. Pensavi che aveste superato questo stadio. Ti illudevi, forse. - Come persona.
 
Sherlock sorride appena. Un sorriso inzuppato di mestizia. - Non le posso rispondere.
 
Anche tu non vuoi parlare di alcune cosa che sono successe nel tuo passato. La semplice parola Afghanistan fa esplodere migliaia di pensieri che vorresti solo cancellare. - La capisco.
 
Eppure lui non abbandona il suo atteggiamento di chiusura, scuote impercettibilmente il capo. - Non penso proprio che possa capire, John.
 
Eppure vorresti disperatamente almeno provarci.
 
Non sai perché ma non vuoi rassegnarti all’apparenza di uno screanzato che non sa come comportarsi con gli altri. Ti ostini a vedere qualcos’altro in quei suoi occhi profondi e indecifrabili. Di un colore così raro come i problemi che, nascondendo, tace. - Mi metta alla prova.
 
Sherlock ti fissa per un attimo. E a grandi falcate si dirige verso l’altra, secondaria, sala d’esposizione che si vuota ad un suo cenno ad uno degli uomini della sicurezza. - Mi segua.
 
- Che cosa...?
 
Ti porta davanti ad una tela in particolare. Si ferma e se ne sta lì, immobile e serio come un kuros greco. - Che cosa le sembra?
 
Osservi attentamente il quadro davanti a te. Eppure… insomma… per quanto tu ti sforzi non sei capace di dire qualcosa di diverso da… - Una macchia di vernice rossa?
 
Sherlock assume un’espressione tra l’incredulità, la delusione e una semplice indifferente constatazione dei fatti. - Lei vede una macchia.
 
Non volevi minimizzare né offendere. Peccato che non sapresti proprio cosa altro dire. - Ho sbagliato? - domandi, timidamente.
 
Sherlock fissa per un attimo la propria tela. Ed è come se si stesse specchiando in quella macchia rossa e informe. Come se ci vedesse cose che solo a te non appaiono evidenti.
 
- Io vedo un cuore che urla.
 
Ha il tono neutro che ostenta chi non vuole farsi coinvolgere dal proprio passato.
E tu ti senti un’idiota.
 
- Nessuno ha mai voluto avere niente a che fare con quel cuore. E lui si è raggrinzito. E urla storie sconclusionate su tele di bianco rancido. E la gente le guarderà e penserà che siano solo macchie di vernice rossa. Che siano trascurabili. E inutili. E penserà che non abbiano alcun senso.
 
Formuli quattro frasi diverse. Non sai cosa dire.
Non sai cosa vorrebbe sentirsi dire.
 
- Le sue opere valgono un sacco di soldi. - obietti debolmente.
 
Sherlock ti fissa con una luce di disperata incomprensione negli occhi.
 
- I miei scarabocchi al college mi sono stati strappati in faccia da tutti i miei professori di arte. Perché bisogna conoscere la prospettiva. Studiare l’anatomia per artisti. Fare disegno dal vero. Disegno realistico. Mentre i miei scarabocchi non erano che scarabocchi. E adesso rilasciano interviste perché erano i miei professori.
 
Ti dispiace. Capisci che lui si sia sentito incompreso e che possa aver somatizzato male il suo rapporto con il prossimo a causa della considerazione che gli altri avevano dei suoi schizzi.
 
Torni a guardare la tela, cercandovi spiegazioni e spunti di riflessioni che non ci trovi.
Per lui può essere il simbolo di tutto il suo dolore, ma per un estraneo che non lo sa, resta una macchia rossa. - Le sue opere sono un po’ strane.
 
Sherlock incrocia le braccia sul petto. - I suoi giudizi sono un po’ riduttivi.
 
- Sono sinceri.
 
Accenna un sorriso stanco e vagamente divertito. - Lei pensa che io non sappia disegnare.
 
Scuoti appena il capo. - Io non penso proprio niente.
 
Indica con un’occhiata la tela che vi eravate soffermati a guardare. - Lei pensa come loro che io faccia questo perché non so fare altro. Vero?
 
Non sembra arrabbiato. Sembra che stia parlando di qualcosa che non lo riguardi. Che non gli interessi. O forse sa fingere troppo bene.
 
- Io… non so. Forse è semplicemente il suo modo di esprimersi. E deve ammettere che è più facile che…
 
Ti guarda fisso negli occhi. Ti senti trafitto da quegli occhi. - No. Non è più facile.
 
Dura un secondo, ma è abbastanza per metterti nuovamente in imbarazzo.
 
Poi fa un cenno al tizio di prima, uscendo precipitosamente dalla stanza.
Gli corri dietro.
 
Lui attraversa a passo sicuro un corridoio ed apre la porta di un’altra sala, deserta.
Si toglie la giacca. Slaccia i polsini della camicia e li aggroviglia all’altezza dei gomiti.
 
Lo guardi incredulo, restando sulla soglia, mentre ti fa cenno di entrare e tirarti la porta alle spalle.
- Che fa?
 
La stanza è un salottino. Sherlock guarda da tutte le parti alla ricerca di qualcosa, finché ti domanda, candidamente:- Ha un foglio?
 
Tiri fuori dalla tasca interna del giubbotto un taccuino nero. Continui a non capire, ma gli porgi la moleskine. - Ho la mia agenda.
 
Sherlock fruga nella sua giacca e tira fuori una matita dal taschino.
 
Accenna con un gesto della mano ad una delle poltrone. - Si sieda. Le faccio un ritratto.
 
La fronte corrugata, resti in piedi, incredulo. - Un ritratto?
 
Lui si siede sul divano di fronte, e ti fissa con decisione, facendo tamburellare le dita sull’agenda.
- Un ritratto. Riproduzione figurativa delle sembianze di una persona, la sua, nel caso specifico.
 
Acconsenti a sederti. - Ha dei guizzi un po’ infantili…
 
Sherlock cerca una pagina bianca, alza appena gli occhi. - La irritano?
 
- Mi fanno riflettere.
 
Ti trovi d’un tratto ad essere fissato da Sherlock. - Su cosa? - dura solo un momento, ma basta ad incrementare il tuo già notevole imbarazzo. Accavalli le gambe. Ti guardi le mani, non sai dove metterle, mentre Sherlock ha già iniziato a tracciare impercettibili solchi sul foglio.
 
Ti sforzi di non pensare a lui che ti sta ritraendo, ma a lui che sta parlando con te e basta. Ti schiarisci la voce. - Lei non deve aver avuto un’infanzia facile.
 
La voce di Sherlock risponde appena, tale la concentrazione che gli leggi negli occhi. Nessuno ti ha mai guardato così. Nessuno ti ha mai guardato come se fossi un quadro di Monet. Abbassi gli occhi, quando per le supposizioni che stai facendo dovrebbe essere lui quello in difficoltà o in imbarazzo. Risponde come se parlasse di qualcun altro. Ha già usato quel tono, ma continui a non capacitarti.
- Cosa glielo fa pensare?
 
Cosa vede quando alza gli occhi rapidamente, fissandoti intensamente come fa? Vorresti scomparire. Ti sforzi di dire quello che pensi… più o meno. - Beh, lei è una persona… non convenzionale.
 
Per un attimo Sherlock abbassa la matita, e ti guarda con il tono sarcastico che ti ha riservato molte volte in queste ore.  - Dica pure insopportabile.
 
Appoggi le mani sui braccioli della poltrona. Ti costringi a restare immobile. Non vuoi fargli capire quanto nervosismo sia capace di causarti anche solo guardandoti così e mettendoti nella condizione di doverlo smentire, anche solo per educazione. - Non penso che lei sia insopportabile, non totalmente insopportabile, almeno.
 
Sherlock sorride appena. - È un complimento?
 
Sospiri. - È una costatazione.
 
Il ceruleo dei suoi occhi si incupisce di una nuova ombra. - Stava dicendo altro…
 
- Penso che forse, sa, magari…
 
Una scrollata di spalle non impedisce alle sue mani affusolate di seguitare a tracciare linee che non vedi su quel foglio. Colpi di matita irregolari e improvvisi sono intervallati da altri regolari e cadenzati. Continui a fissare le sue mani, finché non riprende a parlare. - Non finga di dedurre. È ovvio che si sarà documentato su di me per l’intervista. Esponga con più nonchalance quello che ha scoperto, fingerò che l’abbia dedotto.
 
- Non so molto di lei. Non ci sono molte notizie in giro. Il massimo che sono riuscito a scoprire sulla sua vita, oltre che dipinge quadri dalle quotazioni altissime, che ha fatto mostre qui e là e che dopo il college ha frequentato per un breve periodo la Royal Accademy of Art, è che aveva un cane da piccolo. Quanto a pettegolezzi sulle sue relazioni, molto fumo e niente arrosto, si ipotizza ma non si sa niente di certo.
 
Sherlock non riesce a frenare un sorriso. - Mycroft fa un buon lavoro con la stampa, evidentemente.
 
Hai deciso che devi smetterla di fissargli le mani o di guardare fisso nei suoi occhi alla ricerca delle ombre di quello che vede o delle forme che disegna. Ti butti sull’ironia. - È una minaccia?
 
Sherlock alza appena gli occhi, e non ci vedi altro che il desiderio di vincere l’ennesima sfida. Perché è la persona più teatrale e che voglia avere sempre l’ultima parola che conosci. - Cosa pensa di aver capito di me? - ha assunto un tono a metà tra la sfida e una decadente aria di mistero.
 
- Lei…
 
Torna in fretta al disegno, mentre esiti.
E sei tu a sentirti sulla graticola. Portare avanti una conversazione pseudo seria, mentre un uomo affascinante e geniale ti sta facendo un ritratto non è la situazione più difficile che tu abbia mai dovuto sostenere, ma… non avresti mai pensato di avere una così ansiosa curiosità di capire come lui ti veda davvero. Cosa sta disegnando? Sei come Molly Hooper per lui? Banale, ordinario, affatto interessante? Del resto cos’altro potrebbe pensare?
 
- Può parlare liberamente, e alla svelta magari. Odio questi inutili convenevoli.
 
E tu cosa pensi di lui? Deglutisci a vuoto. Vuoi giocarti le tue ultime carte per non sembrare un completo idiota.
 
- Lei è un uomo intelligente. Irriverente. Le piace la vita che fa, forse. Forse no. Dipinge per soldi? Non penso, ma non le dispiace essere ricco. Si sente superiore rispetto agli altri. A volte glielo fa pesare. La maggior parte delle volte. Ma penso che ci sia dell’altro.
 
Sherlock sorride appena. - Barbarossa.
 
- Eh?
 
Devi aver corrugato il volto in un’espressione esageratamente ridicola perché il sorriso dell’artista si allarga un po’. - Il mio cane si chiamava Barbarossa.
 
Continui a guardarlo con un’espressione chiaramente interrogativa dipinta in faccia.
 
Sherlock licenzia la questione con un gesto frettoloso della mano. Mentre le guance per un attimo solo ti sembrano leggermente meno pallide. Ma è solo un’impressione, ci metteresti la mano sul fuoco. - Da piccolo volevo fare il pirata.
 
Sorridi stancamente. - Da piccolo volevo fare lo scrittore.
 
Non pensavi che gliel’avresti mai detto.
Hai smesso di ricordarlo anche solo a te stesso. Che senso avrebbe creare aspettativa negli altri?
 
La regola numero uno del giornalista è spillare informazioni alla gente.
La regola numero due è non farsi spillare informazioni dalla gente.
 
Ma Sherlock non è la gente.
 
Ti illudi che sbattere le palpebre possa cancellare la consapevolezza di averlo pensato.
 
Sherlock confronta il suo disegno con te, prima di continuare con gli ultimi tratti sbrigativi sul foglio. Continua tranquillamente a parlare, senza farsi distrarre. - Perché non l’ha fatto?
 
Ti arrendi senza combattere. Non ne parli mai e non sai perché glielo stai dicendo, ma glielo dici.
- Perché non so scrivere romanzi. Non ho la forza di volontà o lo stile giusto, forse. Forse semplicemente era un sogno troppo grande.
 
Sherlock alza gli occhi senza per questo portarli su di te, parla tra sé e sé, guarda un punto oltre te nella pittura bianca del muro. - I sogni diventano troppo grandi quando non ci sforziamo di realizzarli. Quando ci arrendiamo. E decidiamo di accontentarci.
 
Non capisci. Sherlock è tutto quello che non sarai mai. È un vincente. Uno di quelli dall’aria tremebonda e un po’ portati all’autocommiserazione, ma insomma… - Lei non sembra una persona che si accontenta.
 
Eppure non accenna a volerti rispondere. Firma con uno svolazzo sul bordo inferiore del foglio, squadrando il disegno con chiara insoddisfazione dipinta sul volto. - Temo che lei dovrà accontentarsi di questo schizzo…
 
Ti porge la tua moleskine.
 
Giri l’agenda.
 
Ti aspettavi solo mani, bocca e capelli come era successo con il ritratto di Molly.
 
E invece…
 
La copia esatta di te stesso, disegnata a tre quarti. I tratti del viso leggermente più eleganti. Un vago sorriso sulle labbra. Uno sguardo serio e profondo che guarda davanti a sé con una sottesa inquietudine. Chiaroscuro magnificamente reso nelle leggere sfumature nei tuoi capelli, nell’ombreggiatura alla base del collo, persino nelle zone d’ombra che i polsini della camicia producono sul tuo polso che a stento fuoriescono da maglione e giubbotto.
 
È così che sa disegnare Sherlock Holmes. Temi che abbia catturato la tua anima in quello sguardo. Mentre sfuggiva abilmente alle tue domande. - È semplicemente straordinario.
 
Sherlock scuote appena il capo. - È perfettamente ordinario, invece.
 
- No, non lo è. È fantastico.
 
- Non possiamo restare ancorati al Rinascimento. Un ritratto del genere è anacronistico adesso. Nel passato, forse...
 
Tu continui a fissare il disegno. Non riesci a trovarci niente che non vada. È semplicemente fantastico.
 
Sherlock srotola le maniche della camicia, chiude i bottoni dei polsini. Ti indirizza uno sguardo di sfuggita, mentre si rimette la giacca. - Se fosse vissuto nel Cinquecento sicuramente da piccolo qualche pittore avrebbe dato il suo volto ad un puttino.
 
Lo guardi fisso negli occhi. E deglutisci a vuoto. - Non ero un bambino così bello.
 
Sherlock ti guarda come se fossi una delle ninfee che galleggiano nello stagno della sua vita.
 
Non riesci a sentirti in imbarazzo.
Ma se ti dessi il tempo di rifletterci, avresti già avuto il volto rosso di imbarazzo.
 
- Non c’è solo la bellezza. I suoi occhi sono ancora puri, nonostante tutta la lordura che hanno visto, e il suo sguardo è espressivo.
 
Ma tu non sei un quadro di Monet.
E non stai flirtando con Sherlock Holmes.
Lui vive per l’arte. Tu non sei gay.
 
Meglio cambiare argomento, no John?
 
- Lei nel Cinquecento avrebbe dipinto nelle chiese…
 
Sherlock accenna un sorriso, chiudendo il secondo bottone della giacca. - Forse.
 
- Lei crede in Dio?
 
È una domanda che solitamente poni a te stesso.
È da quando sei tornato dall’Afghanistan che non sai più trovare una risposta definitiva e convincente. Ti sei arreso al fatto che non ne esista una.
 
- Non credo a qualcosa che non posso dimostrare. Ma temo che nel Cinquecento avrei dipinto anche l’indimostrabile, visto che, come ha intuito, non mi dispiace avere molti soldi.
 
Resti seduto, anche se lui non accenna a voler riprendere posto sul divano. Se da un lato vorresti che lui smettesse di parlarti, di guardarti, di giudicarti, di pensare a te e di avere consapevolezza che lui lo stia anche indirettamente facendo, d’un tratto ti rendi conto quanto per te sarebbe ancora più irritante che lui ti lasci da solo con i tuoi pensieri, adesso. Non vuoi che sparisca per un’altra ora. Non vuoi. Temi che dopo questo momento lui possa sparire per sempre dalla tua vita. E temi di temerlo. Ti mordi l’interno del labbro superiore. - Mi dica qualcos’altro di lei.
 
Lui appoggia una mano sulla spalliera della poltrona più vicina. - Per l’intervista o perché le interessa?
 
Speri di non essere frainteso. Non c’è malizia nella frase, quando la formuli nella tua testa.
- Lei mi incuriosisce.
 
Sherlock ti osserva, i capelli ricci che gli ricadono appena sul volto, gli occhi che non cercano di sfuggire dai tuoi. - Anche lei. Ma non la inondo di domande.
 
Ti rifugi dietro un sorriso vagamente nervoso. - Lei sa intuire quello che non dico molto meglio di me…
 
- Ho diritto a qualche piccolo vantaggio, del resto, visto che sono io a dover essere intervistato.
 
Rigiri la moleskine tra le mani. Pensi a quello che avete appena vissuto. Sherlock Holmes ha fatto un disegno. Realistico e bellissimo. E ha ritratto te, con le tue occhiaie, i rari ciuffi bianchi nei tuoi capelli, il tuo sorriso abbozzato, il tuo sguardo pacatamente inquieto. Ha ritratto la calma e l’ordinarietà dietro cui trinceri l’insofferenza che hai sviluppato nei confronti della tua vita e della vita stessa.
 
Eppure…
 
Tu non capisci niente di arte.
Non potresti mai capirlo.
 
E quel tipo, quel Jim. Avvenente, a modo suo. Anche nonostante quel verde rancido.
Non ti stupisci che quel giovane uomo possa essere affascinato da Sherlock.
 
Ha un fisico slanciato, delle mani affusolate ed eleganti, quegli occhi cerulei. La sua parlata agile e sicura. La malinconica impenetrabilità del suo sguardo.
Eppure…
 
- Ma davvero quel tipo le ha lasciato il numero di telefono?
 
Sherlock accenna un sorriso. - Pare di sì.
 
Guardi a quel sorriso quasi con apprensione. - Lo richiamerà?
 
- Ovviamente no.
 
Scuote appena il capo, mentre riprendi a respirare. - Bene.
 
Ma Sherlock è troppo intelligente per non captare la sua reazione. Si siede sul divano. Ti guarda fisso negli occhi. E vorresti scomparire. - Perché le interessa?
 
Non sai neanche perché l’hai detto… figurarsi spiegarlo a lui. - Era così per parlare…
 
Il silenzio tra di voi pesa come una spada di Damocle. Finché lui non lo interrompe. Ed è ancora peggio.
 
- Lei ha una fidanzata?
 
Stenti a rispondere, sbatti le palpebre, come se non fosse appena accaduto. - Cosa?
 
Sherlock si porta le mani sotto al mento, nella sua solita posa intellettualoide da meditazione.
- O un fidanzato, non ci sarebbe niente di male.
 
Sei disorientato. Semplicemente incredulo. - Lo so che non ci sarebbe niente di male, ma…
 
Continua a fissarti, senza il minimo imbarazzo. - Allora ha un fidanzato?
 
- No, io…
 
Sherlock accenna un sorriso di inconsueta tenerezza.
 
- Vede cosa si prova ad essere tempestati di domande?
 
Sospiri appena. - Mi scusi, sa, io… deformazione professionale.
 
Sherlock alza appena il mento. Prende a guardare da un’altra parte, poi riportare gli occhi su di te.
- Deformazione professionale?
 
Alzi le spalle. Non pensavi di aver detto niente di strano. - Sì… Sono un giornalista, è il mio lavoro fare domande alla gente…
 
Sherlock si alza precipitosamente. - C’è qualcosa che ho dato per scontato. Per deformazione professionale.
 
Ti alzi di riflesso. Uno sguardo interrogativo che non lascia dubbi sul fatto che tu continui a non capire. - Mi spiega di che sta parlando?
 
Sherlock si volta verso di te, con in faccia la strafottenza dell’evidenza delle sue parole.
- Il messaggio del Cavaliere Azzurro.
 
Assumi un’espressione tra il corrucciato e il pesce lesso, squadrandolo e tacendo.
 
- SONO STANCO DI NON ESSERE INVITATO PROPRIO ALLE TUE FESTE, HOLMES. - scandisce l’artista, misurando a grandi passi la stanza nella sua interezza.
 
Gli vai dietro. - Non capisco. Che c’entra la deformazione professionale?
 
- Ho imparato a non prestare attenzione alla forma ma al messaggio in un’opera d’arte. È così che funziona l’arte concettuale. È quello che vuoi comunicare il punto, non la tecnica che utilizzi per farlo. Ma il Cavaliere Azzurro è un perfezionista della vecchia scuola. Come Kandinskji era un perfezionista. Abbinava meticolosamente colori e forme per creare una determinata reazione nello spettatore. E niente era casuale, per quanto lei possa pensare il contrario. Il nostro fantomatico rivale gioca lo stesso gioco.
 
Una folle eccitazione gli balena negli occhi mentre lo dice.
E tu ti senti ancora di più un’idiota perché continui a non capire. - Che tipo di gioco?
 
- Una partita a scacchi. Un puzzle. Un gioco da pazzi. Potrebbe essere pericoloso…
 
Ma anche se non sai esattamente cosa abbia in mente, non puoi negare che sia, che sarebbe, incredibile sfidare il pericolo e la sorte al fianco di Sherlock Holmes. Accenni un sorriso vagamente strafottente. - Non ho paura di un collezionista d’arte.
 
Anche Sherlock sorride. Vuole metterti in guardia o solo alla prova? - Io al posto suo ne avrei. È uno squilibrato.
 
- Lei non lo conosce.
 
Sherlock si avvia verso la porta. - Si capiscono molte cose di un uomo anche solo dalla sua calligrafia. E anche se non ci fosse stato un saltuario e innocuo carteggio tra noi, sarei perfettamente in grado di dedurre dal modo in cui scrive le f e le p che ha un ego smisurato, dalla mutevolezza con cui differenzia le s e le n la sua irrequietezza, la sua indole nervosa e mutevole. Nessuno scrive più la H così. È un perfezionista. Un cattivo vecchio stile. E ogni favola ha bisogno del suo cattivo vecchio stile.
 
Se voleva dissuaderti non c’è riuscito. Se voleva convincerti, potrà sempre dire, quando vi metterete nei guai, perché lo farete, lo sai bene, che lui ti aveva messo in guardia.
 
- Ha bisogno anche di eroi.
 
Sherlock sbuffa appena, scuotendo il capo. - Io non sono un eroe.
 
- Ha ragione, è troppo intelligente, troppo saccente e troppo stravagante per essere un eroe.
 
Holmes alza gli occhi al cielo, per una frazione di secondo, prima di aprire la porta della stanza e precipitarsi fuori, mentre lo segui abbastanza per sentirlo dire:- Lei invece ha perfettamente la stoffa per la spalla comica per momenti inutili come questo. - e poterne ridere senza che nessuno se ne accorga.
 
***
 
Sherlock ha fatto cenni strategici a Mycroft e Lestrade che ne stavano mediamente tranquilli a sorseggiare champagne o fingere di sorseggiare champagne, scrutando il più discretamente possibile il pubblico variegato ma mediamente elegantissimo invitato a vario titolo all’inaugurazione della mostra. E adesso vi trovate chiusi nella stanza della direttrice, assente, davanti al quadro incriminato.
 
Greg sembra non aver gradito la precipitosa intrusione, né sembra averne colto l’urgenza.
- Sherlock, mi spiega che sta succedendo?
 
- The game, Mr Lestrade, is on!
 
Sorridi appena alla volta di Sherlock. - È il suo modo teatrale per dire che ha avuto un’intuizione?
 
Mycroft guarda il fratello con rassegnata disperazione. Non sai per il suo comportamento o il tuo.
 
Sherlock torna serio. Inizia a scrutare il retro della tela. - C’è un messaggio cifrato nel messaggio del Cavaliere Azzurro. Bisogna solo capire quale sia la chiave.
 
Ti azzardi a intervenire, guardandoti intorno con circospezione, come se dovessi attraversare la strada all’ora di punta, ad un incrocio, con il semaforo spento. - Nei libri di spionaggio di solito c’entra un libro.
 
Sherlock si limita a risponderti, senza alzare neanche lo sguardo. - Nei libri di spionaggio. Questa è una battaglia sull’arte.
 
Lestrade riflette a sua volta:- Il titolo dell’opera dietro cui ha scritto?
 
È Mycroft a rispondere. - Uno studio in rosa.
 
Sherlock si fa sempre più insofferente alle vostre supposizioni. - Banale, ho già elaborato tutte le possibili connivenze, e non ce ne sono.
 
- E allora… forse…? - azzardi.
 
Si volta verso di te. Per un attimo pensi che voglia ascoltare quello che hai da dire. - La sua agenda, se non le dispiace.
 
Tiri fuori la moleskine dalla tasca interna del giubbotto dove l’avevi di nuovo riposta. E con un certo malincuore gliela porgi. - Dubito che possa trovarci le soluzioni.
 
- Quando le avrò trovate probabilmente sì.
 
Si siede per terra, appoggiandosi alla parete, scarabocchia cose incomprensibili sulla tua agenda. Alza a scatti gli occhi verso il quadro appoggiato su di un cavalletto, in mezzo alla stanza.
 
Guardi alla volta degli altri due uomini, molto meno sorpresi di te. - Ma fa sempre così?
 
Mycroft ti ignora bellamente, cantilenando alla volta di Sherlock. - Se non trovi la soluzione in massimo cinque minuti, mi sentirò personalmente tirato in causa. E cederai il caso a me.
 
Sherlock non accenna neanche a girarsi. Continua a guardare il quadro, scarabocchiare sull’agenda, cancellare, scuotere il capo e rispondere con esasperante sarcasmo. - Hai già un governo da tenere insieme, non mi seccare.
 
Guardi Greg alla ricerca di qualcuno che mostri meno immaturità e ti degni almeno di una risposta.
 
- Fanno sempre così?
 
Lui annuisce, con un sorriso aperto alla disperazione stampato sul volto. - Sempre. Almeno quando ci sono io. Magari quando sono da soli si danno una mano senza tante storie.
 
Sherlock continua a scarabocchiare, cancellare e scuotere il capo. - No. Siamo arcinemici.
 
Corrughi la fronte, le sopracciglia centrifughe ad inarcarsi.
 
Spiega senza distrarsi, almeno apparentemente. - Giocavamo ai pirati da piccoli. È nato da lì arcinemici.
 
Mycroft si mostra meno sentimentale e più pragmatico. - Si azzardi a metterlo nell’articolo e passerà un brutto quarto d’ora.
 
Accenni un sorriso. - Solo un quarto d’ora?
 
Il fratello ti dà manforte. - Il quarto d’ora prima di un processo di lesa maestà e pena capitale. - e forse l’hai detto solo per compiacerlo, visto che hai inteso le conferme dei loro dissapori.
 
- Sherlock, non essere ridicolo. E pensa al cifrario del messaggio.
 
L’artista si alza velocemente dal pavimento, rassettandosi i vestiti e brandendo la tua agenda come se fosse un’arma. - L’ho già risolto da qualche millesimo di secondo, volevo solo tenervi sulle spine.
 
Sei occhi nella stanza sono fissi su di lui come se conoscesse d’un tratto i segreti dell’universo. Non fiata una mosca. E anche se ci fosse nessuno darebbe importanza al suo pigro ronzare.
Sherlock è visibilmente fiero dell’attenzione di cui gode. Ma non smetterai di ascoltarlo per questo.
 
- Ovviamente la chiave di lettura sono le dimensioni del quadro. Il tema in sé non dice niente, è la scena di un crimine, c’è una donna vestita di rosa che giace esangue in una stanza sporca di sangue su uno sfondo nero. Ma le dimensioni del quadro, ottima pensata. Ogni parola ha le lettere numerate in base alla loro successione nella parola stessa. Il conto si azzera ad ogni nuova parola.
 
- Eh?
Vi mostra l’agenda.
 
  SONO STANCO DI NON ESSERE INVITATO PROPRIO ALLE TUE FESTE HOLMES.
  1  2 3 4  1 23 4 56  12  1 2 3  1 2 3 456  12 3456 78  1 2 3 45 67  1 234  123  1 2 3 45 1 2 3 4 5 6
 
Lestrade lo fissa come poco prima facevi tu. - Non capisco.
 
Mycroft annuisce, non senza una vaga soddisfazione negli occhi. - Come possiamo esserne sicuri?
 
- Continuo a non capire.
 
Sherlock si volta verso di te. Non hai ancora detto nulla. E sapere che adesso non solo lui, ma anche gli altri due, si aspettano che tu dica qualcosa e anche più o meno intelligente, da giustificare la tua presenza in questa storia e al fianco di Sherlock. - Andiamoci e lo scopriremo.
 
Mycroft ti prende inaspettatamente sul serio. - E se è solo uno stratagemma per lasciargli campo libero qui?
 
Sherlock non sembra disposto a transigere sul piano che, intuisci, nella sua testa ha già per metà solo delineato e per l’altra metà già attuato con la sua fantasia galoppante e svelta. - Ha già avuto la possibilità di derubare la galleria della Adler, se fosse stato questo lo scopo l’avrebbe già centrato in pieno. - si volge verso di te - Davvero ha capito di che posto si tratta?
 
- Parlate di andare da qualche parte, non ho capito come ha capito dove andare, ma penso che non potremmo scoprire se ha ragione se ce ne restiamo qui a fare elucubrazioni.
 
- È un uomo d’azione, John, come immaginavo.
 
Ci vedi qualcosa di positivo nel sorriso che ti riserva. E sorridi a tua volta, sentendoti un’idiota.
Che cosa può mai avere di sensato sorridere quando un pazzo fuori di testa vuole qualcosa che non si è capito cosa da un artista pazzo fuori di testa che denigra l’arte tradizionale, ma disegna come un dio, che dipinge macchie scomposte per indicare cuori sofferenti, ma ama gli Impressionisti? Anzi no, Van Gogh, prima e più degli Impressionisti.
 
Lestrade accenna a svegliarti dalle tue riflessioni. - Chiamo un taxi.
 
- Finalmente qualcosa di sensato. - sentenzia serio Sherlock - Comunque la chiave sono le dimensioni del quadro: 51, 25 x 23, 4 e tra tutte le combinazioni possibili, quella che ha più senso è questa - e ti porge nuovamente l’agenda - legga tutte le lettere sottolineate in fila.
 
Non capisci come ci sia arrivato, o come in generale ci si possa arrivare. Ti limiti a sillabare le lettere sottolineate. - C-e-n-t-r-o-p?
 
Sherlock sorride, serafico. - Centro P esattamente, e l’unico posto che si chiama così a Parigi e c’entra con l’arte è il Centro Pompidou.



Angolo autrice:
Mi scuso infinitamente per il ritardo con cui posto il capitolo, ma vi giuro ho cercato di pubblicare il prima possibile.
Detto ciò, mi auguro che abbiate apprezzato la lettura!
Ringrazio nuovi e vecchi lettori della storia, spero che continuiate a seguirmi. 
Al prossimo mese! 
lady dreamer
  
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