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Autore: Elwing Lamath    17/05/2015    4 recensioni
In una terra di draghi e in un’era di magia, il destino di una grande regno poggia sulle spalle di un giovane re (e del suo cavaliere idiota). Il suo nome: Merlin.
Un’antica profezia pesa sulle spalle di Arthur e Merlin, riusciranno a sconfiggerla o saranno costretti a seguire le orme che il destino ha già tracciato per loro?
Dal testo: “Questa è l’antica lingua dei draghi. Solo i loro Signori sono in grado di leggerla. Qui è scritto: ‘Si posino su di me le mani di coloro che porteranno equilibrio. Il bianco e il nero. La luce e il buio. Le due facce della medaglia si facciano avanti’. Dobbiamo poggiarvi le mani, Arthur.”
[Questa storia partecipa al "Reverse contest" indetto da hiromi_chan sul Forum di EFP]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aithusa, Merlino, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Δ  La danza dei draghi  Δ


Capitolo III

Le grandi squame bianche iridescenti, sorprendentemente lisce sotto il suo tocco, emanavano un calore straordinario. Arthur rimase senza fiato quando finalmente fu in groppa ad Aithusa. Sentì il fuoco del drago scorrere nel suo stesso sangue, il suo respiro bollente come se fosse il proprio, le grandi ali come prolungamento delle sue stesse braccia. Capì cosa intendevano col legame: il drago ed il suo cavaliere diventavano un tutt’uno inscindibile.

Arthur alzò il capo verso il cielo, per vedere la prima falce di luna toccare il cerchio infuocato del sole.

“Andiamo, Aithusa.”

Il drago bianco rispose con un ruggito tonante, levandosi poi in volo con un vigoroso colpo delle ali, dirigendosi a Nord.

Aithusa planò sicura con le sue possenti ali sulla radura, atterrandovi con incredibile leggerezza, accarezzando gli alti fili d’erba al pari di una brezza leggera.

Attesero immersi nel silenzio pieno della natura, riempito solo dal respiro del grande drago che Arthur percepiva quasi come suo e gli accelerava i battiti di un cuore ormai infuocato nel petto.

Quando la luna fu a metà del suo percorso e stava ormai oscurando parte del sole, Arthur li vide arrivare in volo. In due battiti d’ali Gorthaur fu sulla piana, atterrando con un rombo di tuono.

Arthur vide ancora una volta Merlin a cavallo del drago oscuro e il cuore gli si contorse dolorosamente nel petto. Quello che aveva davanti non era il suo Merlin, ma una creatura dell’ombra, fredda e distante, ora, dopo il legame con Aithusa, poteva vedere chiaramente quanto il fuoco nero di Gorthaur avesse avvolto e soggiogato il suo cuore.

Vedendolo in groppa al drago, Arthur non poté far a meno di ricordare la prima volta in cui vide Merlin a cavallo di una di quelle creature e quasi gli vennero le lacrime agli occhi.

Era un’assolata giornata primaverile, Arthur stava cercando Merlin dappertutto nella cittadella, trafelato e preoccupato, poiché l’aveva perso di vista per un momento e il principino sembrava essersi dileguato nel nulla. Lo sentì ridere da lontano, era certo che fosse lui, avrebbe riconosciuto la sua risata ovunque.

Quando lo trovò, per poco non gli cadde a terra la mascella dallo stupore. Merlin era a cavallo di un vecchio drago dorato, ridendo deliziato e agitando le gambe mentre la creatura sembrava giocare con lui, muovendo le ali simulando il volo senza tuttavia staccarsi da terra. Merlin all’epoca aveva solo cinque anni e non avrebbe dovuto essere in groppa a un drago per nessuna ragione al mondo, era troppo piccolo. I draghi si lasciavano cavalcare dai loro Signori solo dopo che questi avevano acquisito pienamente i loro poteri e avevano imparato a controllare il sangue di drago che scorreva nelle loro vene. Eppure eccolo lì, Merlin, felice e spensierato, a giocare a cavallo della più possente creatura che avesse mai solcato i cieli e le terre.

Arthur nel ricordare quel momento aveva sempre pensato con orgoglio e fiducia che Merlin sarebbe stato un grande re, buono e giusto, ed il più grande Signore dei Draghi mai esistito.

Nulla, nemmeno uno degli incubi più terribili, gli aveva fatto pensare che avrebbe potuto vedere un giorno simile. Un giorno in cui avrebbe dovuto combattere il suo migliore amico, l’amore della sua vita, in una battaglia all’ultimo sangue. Né tantomeno che Merlin avrebbe mai potuto trasformarsi in una creatura del buio.

“Sei venuto alla fine, Pendragon.” Esordì il cavaliere del drago nero con un sogghigno compiaciuto.

Arthur strinse i denti: “Non sono il tipo da tirarsi indietro dalle cose, Emrys.” Per la prima volta, fece suonare il suo nome come una minaccia, dura e tagliente. “Tu però sei ancora in tempo. Torna a casa con me.”

“Povero illuso!” Disse Gorthaur. “Ancora speri che il tuo re possa tornare com’era prima, ma non capisci ancora che nulla sarà più come prima. Tutto è deciso ormai, non si torna più indietro da questo punto. Forse lo capirai quando ti uccideremo, insieme al tuo drago.”

“Presumi troppo.” Ringhiò Aithusa. “Io reggo la fiamma bianca. Non permetterò che le tenebre trionfino sulla luce.”

Rimasero per un attimo in un silenzio sospeso, carico di tensione e rabbia a malapena trattenuta. Entrambi i cavalieri levarono lo sguardo verso il cielo, per vedere definitivamente il cerchio nero della luna oscurare il sole: l’eclissi era completa.

Come se richiamati da una voce che parvero sentire solo loro, entrambi i draghi spiccarono il volo con balzo poderoso, assecondati dai loro cavalieri che rimasero saldamente in groppa. Si scontrarono a mezz’aria, artigliandosi l’uno all’altro con una furia poderosa e cavalcando l’aria in un turbine di vento, alzandosi sempre di più sulla radura in una lotta serrata.

Si diedero battaglia in alto nel cielo, con artigli, zanne e ali taglienti. Il loro fuoco si incontrò più volte, dando vita ad un uragano di fiamme oro, rosse e nere che gli vorticò attorno. I cavalieri incitavano i loro draghi alla battaglia, unendo a loro spirito ed energie, ma anche combatterono tra loro: Merlin lanciando incantesimi e Arthur deviandoli e rispondendo ad essi con la sua spada.

A lungo lottarono ferendosi a vicenda, senza che nessuno riuscisse però ad avere il sopravvento.

Un ultimo grande scontro di lingue di fuoco che esplosero tra i due draghi, li lasciò per un istante senza fiato, a fronteggiarsi a mezz’aria, immobili e stremati.

“Basta, Merlin, ti prego basta.” Disse Arthur ansimando. “Poniamo fine a questa follia!”

“Ti distruggerò.” Sibilò l’altro.

“Non capisci che nessuno uscirà vivo da questa battaglia!?” Gli gridò il biondo. “Finiremo solo per ucciderci a vicenda!”

“Sia!!” Urlò Merlin in una risposta piena d’ira e d’odio, non sua.

Arthur scosse il capo: “Non ti combatterò ancora.”

“E allora morirai.” Disse Gorthaur.

“Arthur…” Tentò di iniziare il drago bianco.

“No, Aithusa.” La fermò deciso il suo cavaliere. “…Ricorda chi sei, Merlin. Ricorda qual è sempre stato il tuo posto.”

“Questo è il mio posto.” Disse Emrys con una freddezza glaciale.

“No. Non lo è. Il tuo posto è insieme a me, a Camelot. Lotta contro questo demone! Sconfiggilo! Sei il più grande Signore dei Draghi che sia mai esistito, non lasciarti controllare da questo abominio!”

“Stai zitto!” Gridò Emrys perdendo il controllo, come se qualcosa dentro di lui si fosse spezzato. Un lampo d’ira gli attraversò gli occhi che iniziarono a tingersi d’oro, pronti a lanciare un incantesimo.

“No! Merliiiiiiiiin!” Urlò Arthur disperato.

Qualcosa scattò improvvisamente nella testa di Emrys, nel cuore vibrante della sua magia. Fu come se un dardo lo avesse colpito in pieno petto. Quella voce gli giunse come estremamente lontana, ma al contempo incredibilmente vicino al cuore, percuotendolo e risvegliandolo con violenza. Quella voce era conosciuta come solo si può conoscere qualcosa che vibra nell’essenza più profonda di sé, talmente radicato da diventare un tutt’uno con noi stessi e da definirci insieme ad esso in maniera inscindibile.

La consapevolezza di tutto questo colpì Merlin come una folgore, facendogli tornare in mente tutti in una volta i ricordi di un’intera vita, ma soprattutto, ricordandogli la forza dell’amore che era legato al suono di quella voce. Perché quando qualcuno ti ama, il modo in cui pronuncia il tuo nome è diverso. Sai che il tuo nome è al sicuro nella sua bocca.

“Arthur!” Esclamò senza fiato Merlin.

Udire ancora una volta Arthur pronunciare il suo nome in quel momento disperato, lo aveva riportato indietro a tutte le volte in cui aveva sentito le sue labbra pronunciarlo, in un coro infinito che era stato in grado di spezzare il legame con l’oscurità e liberarlo dal condizionamento del drago nero.

Merlin si ritrovò di nuovo pienamente cosciente di sé, in groppa a Gorthaur, che avvertendo ciò che era appena accaduto, ruggì con una furia spaventosa, cercando di scaraventare a terra il suo stesso cavaliere. Il moro resistette strenuamente e con grande coraggio, riuscendo a rimanergli in groppa pur con grande difficoltà.

“Emrys è libero!” ruggì trionfante Aithusa, gettandosi con ritrovato ardore contro il drago oscuro, accorrendo in aiuto del suo Signore.

Arthur ruggì insieme al drago bianco, nuovamente lanciato alla carica con Excalibur stretta in pugno.

Aithusa piombò addosso a Gorthaur come una furia, Azzannandogli il collo e cercando di lacerargli le grandi ali con gli artigli.

In una frazione di secondo, Merlin realizzò che cosa avrebbe dovuto fare.

“Arthur! La spada!” Gli gridò protendendo una mano verso l’amico.

Questi glie la lanciò senza esitazione. Emrys la afferrò dalla parte della lama, ferendosi il palmo della mano, ma non sembrò curarsene minimamente. Brandì Excalibur con entrambe le mani, alzandola con la punta rivolta verso il basso, pronunciando un incantesimo, per poi abbassarla con tutta la sua forza, trafiggendo Gorthaur alla base del lungo collo, perforandone la possente corazza nera.

Un terribile grido fendette l’aria. Gorthaur ruggì furente, ormai accecato dal dolore e reso impotente dalla ferita mortale. Il fuoco rosso dei suoi grandi occhi si spense una frazione di secondo dopo. Il grande drago nero iniziò a precipitare ormai privo di vita. Aithusa non riuscì a reggere la sua enorme mole e fu costretta a lasciarlo cadere, con Merlin ancora in groppa.

Arthur urlò terrorizzato da quella vista, reprimendo a malapena l’istinto di gettarsi nel vuoto e inseguire il compagno, consapevole che non avrebbe potuto fare nulla.

La carcassa di Gorthaur precipitò rovinosamente, toccando terra in con un rombo che fece vibrare l’aria della radura. Merlin venne sbalzato via dal drago dalla forza dell’urto col terreno. Rimase immobile tra l’erba alta, come morto.

Aithusa scese in picchiata, spronata da Arthur. Quasi non fece tempo ad atterrare, che il suo cavaliere si era già lanciato giù, correndo verso la figura immobile del suo re.

 

*****

“Hai mai paura di cadere?” Domandò Arthur girandosi su un fianco e puntellandosi la testa con una mano, il gomito puntato sul guanciale.

Merlin, supino, voltò il capo fino a incontrare il suo sguardo, sciogliendosi in un sorriso. “Quando volo?” gli chiese.

Arthur annuì, mentre con la mano libera tracciava pigri sentieri con la punta delle dita sul torso nudo di Merlin.

Il moro scosse brevemente la testa: “No, mai. I draghi sono nati per volare, sarebbe sciocco avere paura.” Sorrise dolcemente, allungando una mano fino a scostare una biondissima ciocca ribelle dalla fronte di Arthur, che aveva ancora tutti i capelli deliziosamente arruffati dopo una notte d’amore.

“Ma tu non hai le ali.” Scherzò Arthur.

“Ne sei sicuro?” lo punzecchiò Merlin con un sogghigno furbo, alzandosi, spingendo dolcemente il biondo fino a che non fu supino e salendogli a cavalcioni, i loro corpi meravigliosamente a contatto in un groviglio di lenzuola.

“Beh, credo che dopo tutti questi anni me ne sarei accorto ormai...” Disse il cavaliere accarezzandogli le cosce, salendo lentamente con le mani fino ai suoi fianchi. “…Se avessi le squame al posto di questa pelle tanto morbida.” Arthur si alzò a sedere, in modo da aderire ancora di più al corpo caldo di Merlin, che gli allacciò le braccia al collo, i loro visi deliziosamente vicini, tanto da scambiarsi il respiro. Salì ancora con le mani, accarezzandogli la schiena. “… O se avessi le ali che ti spuntano da qui. E invece sei così liscio, così bello, Merlin.”

Il moro gli si spinse contro, unendo le loro bocche in un bacio affamato e facendo scontrare i loro bacini, strappando ad Arthur un mugolio di piacere attutito dal bacio umido e caldo.

“Forse sì, sei davvero un drago.” Sospirò il cavaliere sulla bocca del re. “Le tue labbra sono fuoco.”

Merlin arrossì appena. “Oh, smettila, la poesia non è certo il tuo forte.” Disse sarcastico, per poi iniziare a tracciare una scia di baci dalle labbra di Arthur fino a scendere sul collo e sulla clavicola, baciando e mordendo dolcemente.

“È che mi fai impazzire.” Disse il biondo con voce rotta dal desiderio.

Merlin alzò il volto fino a incontrare i suoi occhi color del cielo, gli rivolse un sorriso luminoso: “Ti amo.” Gli sussurrò.

“Anch’io ti amo.” Gli sorrise di rimando Arthur, per poi riagganciare le loro labbra in un bacio ancora più vorace di prima, afferrandogli i fianchi con un gesto possessivo e tirandoselo contro, facendogli sentire tutto il suo desiderio.

Ancora una volta, le labbra di Merlin si piegarono in un sorriso contro la sua bocca calda ed esigente.

 

*****

Quando raggiunse il corpo di Merlin gli si inginocchiò accanto, sollevandogli busto e testa e mettendosela in grembo. Arthur pianse in un silenzio disperato, ormai privo di qualsiasi possibile lamento di dolore sopportabile per un cuore umano.

Lo strinse a sé con quanta forza aveva in corpo e il suo cuore quasi si fermò quando sentì il respiro debole di Merlin contro il collo.

“Merlin!” Lo chiamò separandosi momentaneamente da lui per poterlo guardare in volto.

Il moro aprì lentamente gli occhi, fissando le sue iridi di quel meraviglioso blu acceso in quelle azzurre di Arthur.

“Perdonami.” Sussurrò Merlin con una voce che spezzò il cuore al cavaliere.

Arthur gli rispose a modo suo, prendendogli il volto tra le mani e unendo le loro bocche in un bacio necessario quanto l’ossigeno. Entrambi si ritrovarono a casa in quel contatto di labbra, assaporando il loro sapore mescolato insieme, il rifugio e la certezza più sicura della loro vita.

Quando si separarono Merlin sorrise dolcemente.

“Dio, quanto ho temuto di non rivedere più questo sorriso.” Sospirò Arthur.

Gli occhi del moro tremarono lucidi: “Scusami. Se solo avessi lasciato perdere quando tu mi avevi avvertito, tutto questo non sarebbe mai accaduto… è solo colpa mia…”

“Shhh…” lo fermò Arthur sorridendogli. “Non ne parlare più. Ora stai solo zitto e baciami.”

 

*****

Ritornarono a Camelot in groppa ad Aithusa, atterrando nel grande cortile del palazzo tra lo stupore e la commozione generale.

Morgana si precipitò tra le braccia del fratello, stringendolo a sé quasi senza lasciarlo respirare, le lacrime che scendevano libere lungo le gote. Merlin ricambiò il suo abbraccio con uguale intensità, accarezzandole i lunghi capelli corvini sulla schiena e cercando di calmare i suoi singhiozzi. Era la prima volta in cui la donna si lasciava andare in tanti mesi di tensione.

Tutti i draghi volarono sopra il castello, ruggendo alti nel cielo, celebrando il ritorno del loro Signore e la vittoria della luce sulle tenebre. Le trombe squillarono a festa sulle mura e tutto il regno gioì per il ritorno di re Myddryn Emrys.

“Che venga organizzato il più grande banchetto che si sia mai visto!” Ordinò Morgana. “Stasera celebreremo il ritorno del re!”

“Aspetta, sorella.” La fermò Merlin. “C’è una cosa che devo dirvi prima. Andiamo nei miei appartamenti.”

Il re convocò pochissime persone nelle sue stanze private: Morgana, Leon, Gaius e ovviamente, Arthur.

Quando furono tutti riuniti, Merlin prese un respiro profondo, decidendo di affrontare la questione senza tanti giri di parole. “Non posso restare.” Disse.

“Che cosa!?” Esclamarono in coro Arthur e Morgana, pietrificati.

“Dopo quello che è accaduto, dopo il pericolo al quale ho esposto Camelot, diventando io stesso una minaccia per ciò che ho più caro al mondo, non posso più continuare a regnare.”

“Mio Signore!” Fece Leon, allibito.

“Stai scherzando.” Disse Arthur.

Merlin scosse la testa. “Non sono mai stato più serio. È la cosa giusta da fare.”

“Figliolo…” provò a rabbonirlo Gaius.

Merlin lo fermò: “C’è stato un tempo in cui ho cercato di essere il re migliore possibile per il mio popolo e per i miei draghi, ma ora sento che tutto è cambiato. Non posso più chiedere al regno di fidarsi di un sovrano che li ha traditi e minacciati, anche se sotto l’influsso di una magia… Ciò che è accaduto è stata colpa mia fina dal principio…”

“Non è vero!” Protestò Arthur.

Merlin alzò gentilmente una mano in direzione dell’amico. “… E me ne prendo ogni responsabilità. Io me ne andrò con Aithusa. Siamo due vecchi draghi che hanno compiuto il loro cammino ormai, non ci resta altro che ritirarci e custodire il regno da lontano.” Disse con un sorriso che aveva solo un’ombra di malinconia.

“Merlin, no.” Lo supplicò Morgana con le lacrime agli occhi. “Come faremo noi senza di te?”

Il re le sorrise dolcemente. “Oh, ve la caverete benissimo. Il regno è maturo e tu sei una splendida reggente, Morgana. Terrai alto lo stendardo della nostra casata fino a quando tuo figlio non sarà abbastanza grande, allora diventerà lui il re.”

“Ma non è possibile, Mordred non è un Signore dei Draghi. Sai bene che anche se il sangue del drago scorre in tutta la nostra famiglia, quel potere si trasmette solo per linea diretta al primogenito. Solo il tuo primo figlio potrà mai essere un Signore dei Draghi.” Disse Morgana.

“Questo non è totalmente esatto.” Rispose Merlin. “Duecento anni fa, quando re Ar Feiniel fu ferito mortalmente durante la battaglia di Nemeth, passò i suoi poteri al fratello prima di spirare. Con un antico incantesimo, il secondo genito divenne un Signore dei draghi, con il nome di Ar Pharazon. È possibile, Morgana. Io trasmetterò i miei poteri a tuo figlio. In questo modo, ci sarà sempre un Signore dei Draghi alla guida di Camelot.”

“Può farlo?” domandò Morgana a Gaius.

“Temo di sì, mia signora.” Le rispose mestamente.

“Domani tutto sarà compito. Prima del tramonto, io e Aithusa saremo lontani da qui.” Concluse il re.

“Io vengo con te!” esclamò Arthur risoluto.

“No, Arthur.” Disse Merlin con una calma ed una dolcezza disarmanti.

“Cosa vuol dire no!? Certo che vengo con te! Ti ho sempre seguito e protetto in qualsiasi avventura, questa non farà eccezione.” Ribadì col suo tipico piglio testardo.

“Non questa volta. Ho bisogno che resti qui, ad aiutare mia sorella, a proteggere Camelot come hai fatto in tutti questi anni, a guidare i tuoi uomini. Ed ora a tenere anche in riga i draghi, visto che sei diventato un cavaliere, fino a che Mordred non sarà pronto a prendere il posto che gli spetta come loro Signore.”

“Ma io…”

“Fallo per me, Arthur. Promettimelo.”

Il biondo dovette trattenersi, stringendo i pugni e mordendosi il labbro per non far scendere quelle lacrime che sentiva pungere dietro le palpebre. Annuì in silenzio, sigillando con uno sguardo quella promessa al suo re.

 

*****

Oltre la pesante porta di legno di quercia lo attendeva il corteo d’addio: sua sorella col piccolo Mordred, i cavalieri, i suoi draghi e Aithusa, pronta a portarlo lontano. Gli sarebbe bastato allungare una mano, aprirla e uscire nella luce del sole, l’ultimo saluto di re Emrys al suo regno.

Esitò un attimo, un solo momento da prendersi per sé stesso, per respirarlo fino a farlo arrivare alle ossa.

“Non devi farlo per forza.” Disse Arthur al suo fianco, che lo aveva accompagnato fino a lì dalle sue stanze e, Merlin ne era certo, l’avrebbe accompagnato anche fino ai confini del mondo.

Il moro si voltò verso il cavaliere, guardandolo intensamente, cercando di catturare ogni particolare del suo viso. “Sì invece, e tu lo sai.”

“Lascia che vanga con te allora. Non saprei trovare un senso alla mia vita senza di te, questi mesi in cui eri sparito sono stati come morire per me.”

Merlin scosse appena il capo e fece un passo avanti, prendendo delicatamente il volto dell’altro tra le mani, come a voler rafforzare il contatto visivo: “No, Arthur, ora c’è bisogno di te qui. Quando Mordred sarà pronto, se ancora lo vorrai, potrai venire da me. Io ti aspetterò. Ti aspetterò sempre. Sarei disposto a sfidare gli oceani del tempo per aspettarti.”

Arthur annullò la distanza tra loro, coprendo la sua bocca in un bacio caldo. Si separarono dolcemente, rimanendo con le fronti a contatto.

“Verrò da te, amore mio. E saremo di nuovo insieme.” Sussurrò Arthur.

Sorrisero, di un sorriso sincero, ma dolorosamente triste, come solo i sorrisi d’addio possono essere.

“Le due facce della medaglia non possono essere separate facilmente, no?” disse Merlin, accarezzandogli le gote coni pollici.

“Dove andrai? Come farò a ritrovarti?” chiese Arthur.

“Quando verrà il momento lo saprai, ti troverò io. Ora sei il cavaliere della luce, il sangue dei draghi scorre anche nelle tue vene. Non saremo mai veramente lontani. Mi dovrai solo chiamare con la voce del drago che è in te e io ti sentirò.”

Arthur annuì serio. Un altro bacio a sigillare quella promessa, un ultimo assaggio di casa. Si lasciarono infine. Merlin fece un passo verso la porta, posandovi sopra una mano.

“Ci rincontreremo.” Gli disse semplicemente Merlin, per poi aprire la porta ed essere investito dalla luce aranciata del tramonto.

Arthur fece appena un passo fuori dall’edificio, rimanendo in cima alla scalinata di pietra bianca, guardando Merlin scendere uno scalino dopo l’altro, il passo deciso e regale, la testa alta.

Lo vide avvicinarsi a Morgana e baciarla sulla fronte, per poi fare lo stesso col piccolo Mordred che sgambettava ignaro e felice tra le braccia di sua madre. Lo vide sfilare davanti a tutti i suoi cavalieri e davanti ai draghi, fermandosi infine ad abbracciare Gaius ed Ygraine, per poi raggiungere Aithusa al centro del cortile.

Arthur lo guardò con un macigno nel cuore mentre saliva agilmente in groppa al drago bianco. Merlin ed Aithusa si voltarono nella sua direzione: un ultimo tacito saluto.

Rimase a guardarli salire in alto, le grandi ali del drago che si facevano sempre più piccole contro il cielo infuocato del tramonto, fino a che non divennero un minuscolo punto nero contro il rosso del crepuscolo mentre il giorno moriva danzando sereno.

 

Fine

  
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