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Autore: moni_cst    18/05/2015    5 recensioni
“C’era stato un omicidio nella 25th Avenue proprio al confine tra l’11° e il 12° distretto. L’omicidio era di competenza dell’11° ma la Gates chiese a Beckett di mettersi in contatto con la detective Martinez della Omicidi dell’11° in quello stesso pomeriggio.”
Tutto ebbe iniziò così….
e mentre risolvono il caso, Castle e Beckett discutono sulle particolarità del dottor Morgan (fantasia vs. razionalità) mentre una chiacchierata, inaspettatamente intima, tra le due detective crea il presupposto per un atteso confronto tra Henry Morgan e Jo Martinez.
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Kate Beckett, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
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Capitolo 7

 

Le strade di New York erano eccezionalmente deserte, probabilmente in pochi  osavano uscire con quel gelo. Le luci delle insegne pubblicitarie erano particolarmente splendenti, forse grazie anche il riflesso del manto stradale coperto da un sottile strato di ghiaccio.

Beckett aveva acceso il riscaldamento dell’auto e aveva direzionato il getto nella duplice posizione, che permetteva di non far appannare il vetro e di riscaldare i piedi.

Castle era accanto a lei ed era eccitato come un bambino.

Dopo la scoperta davanti all’ingresso dell’ospedale che il dottor Morgan non era stato ricoverato, ma se ne era andato in circostanze misteriose, Beckett aveva detto alla Martinez di andare a vedere se lo trovava da qualche parte, mentre lei e Castle si sarebbero occupati di tornare sulla scena del crimine. Lucas Wan era ancora lì e si sarebbero potuti far dare gli appunti dettati da Henry e inoltre avrebbero potuto parlare con la scientifica che nel frattempo aveva sicuramente cominciato a fare i rilievi.

Beckett guidava concentrata e attenta all’asfalto bagnato e insidioso e non aveva voglia in quel momento di dar retta alle elucubrazioni eccitate di suo marito. Per lei era assolutamente necessario ragionare per trovare una spiegazione simil-razionale a quello che era accaduto.  Doveva anche affrontare i fantasmi della sua anima. Nonostante fossero passati anni da quando era stata colpita da un cecchino durante il funerale del capitano Montgomery, non riusciva a dissipare quello stato di ansia e terrore che le aveva serrato il petto dal momento in cui aveva sentito il sibilo del primo sparo. Il ritmo cardiaco continuava ad essere irregolare nonostante cercasse di trarre respiri profondi e regolari come le aveva insegnato il dr Burke, lo psicoterapeuta che l’aveva seguita dopo il ferimento per farle superare lo stress post traumatico.

Castle invece stava solo cercando nella sua mente una possibile teoria che spiegasse la sparizione di quell’uomo e soprattutto stava vagliando diverse ipotesi sul suo prossimo ritorno.

“Secondo me, domani mattina lo troviamo in obitorio mentre sta facendo l’autopsia a Laura Parson come se nulla fosse accaduto” interruppe così il silenzio che regnava nell’abitacolo.

Beckett si voltò verso di lui e tirò su le spalle in un gesto di apparente indifferenza, non riuscendo a dare voce a nessun pensiero che le sembrasse coerente.

“Ma secondo te, come è sceso dall’ambulanza?” chiese lo scrittore.

Non ricevendo alcuna risposta decise di mettere al corrente Beckett della migliore delle ipotesi che aveva concepito “Secondo me è morto in quell’ambulanza e non appena l’anima ha lasciato il corpo … ZAC … il corpo s’è dissolto nel nulla”

“Castle, per favore, non cominciare”

“E’ l’unica spiegazione!” insisté l’uomo “Pensaci bene. Il dottor Morgan era troppo debole per potersi muovere liberamente in modo agile, addirittura riuscendo a scendere da un veicolo in movimento”

“Magari non era ferito gravemente come invece ci sembrava” si oppose Beckett.

“Quando è salito sull’ambulanza faceva fatica anche a respirare e aveva un rivolo di sangue che fuoriusciva dalla bocca quindi nel migliore dei casi è stato colpito ad un polmone. Credimi, Kate, quell’uomo non stava bene.”

Beckett poté solo annuire. Il medico sembrava in effetti versare in condizioni gravi.

“Ma anche io sono stata colpita in pieno petto eppure mi sono salvata…”

“Già dopo un’operazione d’urgenza a cuore aperto… e per favore non ricordarmi l’angoscia di quei momenti…” osservò Castle.

“Scusa. Anche io ne faccio volentieri a meno di rinvangare quegli attimi e anche quelli dopo, se è per questo. Ma in effetti non ricordo niente. Solo che sei precipitato sopra di me, mi hai detto di restare con te e che mi amavi… poi sono svenuta e mi sono risvegliata un paio di giorni dopo in ospedale attaccata ad una marea di tubi e ad un respiratore. Dubito che in quel lasso di tempo avrei avuto la forza di scappare… se è questo che intendi!”

“Kate…”

“Rick, guardami. Non riesco minimamente a spiegarmi che cosa sia successo ma ti prego: ho bisogno di credere che ci sia una spiegazione razionale a tutto questo e, almeno, intendo provare a cercarla.”

Castle le passò una mano sulla guancia sussurrando “Certo. Come vuoi”. Si rese conto che quello che per lui era una situazione irreale e quanto mai fantastica, per lei era solo un brutto momento che avrebbe rischiato di affondare tutte le sue certezze deduttive e logiche.

 

Il bollitore di ceramica fischiava sul fuoco.  

Abe si avvicinò a Jo e la invitò a sedersi. Da quando erano entrati nel retro del negozio di antiquariato aveva notato che la detective era nervosa e spaventata, soprattutto da quando si era resa conto che Henry era nudo sotto la coperta e non sembrava affatto sofferente, se non per il freddo. Abe aveva insistito che il padre andasse a farsi una doccia bollente prima di parlare con Jo, si augurava di dare  così ad entrambi il tempo per schiarirsi le idee. In cuor suo sperava tanto che Henry finalmente si aprisse con qualcun altro ma contemporaneamente sapeva quanto sarebbe stato difficile per lui farlo e per Jo credergli e accettarlo. Era riuscito ad accompagnare il padre al bagno con la scusa di sorreggerlo ed era riuscito a mormorargli un messaggio vago ma pieno di significato. Gli aveva infatti sussurrato dolcemente che avrebbe potuto farcela: in fondo una volta già era accaduto che una donna, Abigail,  avesse creduto ciecamente in lui.

Abe iniziò a versare il tè bollente nella tazza di un prezioso e antico servizio in ceramica per poi allungarla verso la donna che lo ringraziò con un sorriso appena accennato. Inserì poi anche una fettina di limone nell’altra ciotola che posò sul tavolo nel posto di fronte a quello della detective.

“Vuoi del limone anche tu, Jo?” chiese premuroso.

“No, grazie.” rispose per poi aggiungere “Abe, dove sta andando?” vedendo l’anziano che si allontanava con il suo tè in mano.

“Mi ritiro nella mia stanza, Jo. Henry arriverà a breve, sono sicuro “ e si incamminò fin all’imbocco del corridoio che portava verso la sua camera, poi si fermò un momento e girandosi aggiunse “Jo, Henry sta bene... almeno fisicamente. E’ questo quello che conta, no?” e si eclissò prima che l’altra potesse replicare.

La detective iniziò a sorseggiare il liquido ambrato assorta nei suoi pensieri quando un tweet del suo cellulare la riscosse. Lesse velocemente l’sms di Beckett che le diceva che la scientifica aveva finito e che il corpo era stato portato in obitorio scortato da Lucas e poi le augurava che lei stesse bene e avesse avuto fortuna nel trovare Henry.

Stava pensando se e cosa rispondere quando il suo medico legale preferito entrò in cucina vestito di tutto punto. Dopo una serata in cui gli avevano sparato e dopo una fuga senza abiti,  non si sarebbe immaginata di ritrovarselo agghindato come se stesse per uscire per una serata galante. Anche se, pensandoci, ogni giorno lui si abbigliava come se dovesse andare in qualche posto speciale.

Una delle sue tante particolarità.

Henry passò più volte la mano sui bottoni del gilet, come a voler lisciare una invisibile grinza.

Sembrava piuttosto nervoso.

Lei lo osservò a lungo, senza proferire una sola parola.

Aveva imparato a convivere con le sue stranezze ma questa volta avrebbe preteso delle spiegazioni. Avevano un caso da risolvere e, se avessero dovuto continuare a lavorare insieme, lei aveva assolutamente bisogno di sapere cosa stava succedendo. Non era tipo da far domande, molto riservata per natura e per convinzione, ma questa volta non avrebbe soprasseduto.

Henry si sedette al tavolo della cucina di fronte a lei. Prese il cucchiaino e iniziò a mescolare il contenuto, fissandolo come se potesse suggerirgli le parole da dire.

Ispirava l’aroma sprigionato dal fumo che si innalzava dalla tazza e sentiva gli occhi penetranti di Jo fissi sulla sua nuca. Lasciò passare una discreta manciata di secondi prima di avere la forza di alzare lo sguardo su di lei.

Sperava tanto che dicesse qualcosa, che le facesse qualche domanda perché questo avrebbe reso le cose più semplici, ma non fu così. La detective continuava ad osservarlo con un’espressione che non riusciva a decifrare: sgomento? Paura? Confusione? Curiosità? Rabbia? Preoccupazione?  Probabilmente nell’anima della sua amica tutte quelle emozioni stavano combattendo una guerra senza fine.

“Jo” allungò una mano e le presa la sua in un gesto intimo e inconsueto. Pensò che qualunque cosa avesse detto, sarebbe risultato assurdo e quindi tentò di trovare una connessione con lei con un contatto sensoriale.

“Jo” ripeté “so che ti starai chiedendo cosa è successo questa sera…” fece una pausa sperando di intravedere in lei qualche segnale che gli rivelasse in che direzione andare. Dovette cedere presto al suo silenzio e alla sua imperturbabilità.

“Mi sono sentito meglio e sono sceso dall’ambulanza in un momento di distrazione del paramedico”. L’aveva sparata grossa ed era evidente dallo sguardo di disappunto della detective. Quindi continuò “Non mi avrebbero mai lasciato andare e mi avrebbero trattenuto tutta la notte. Abbiamo un caso su cui lavorare. Non potevo perdere tempo così…” vedendo la titubanza dell’unica spettatrice del suo show aggiunse “sono un medico e sapevo che le ferite erano superficiali e quindi…”

Non riuscì a terminare la frase perché Jo lo interruppe.

“E ti sei fatto uno dei tuoi bagni notturni nell’Hudson, con la temperatura esterna sotto lo zero, così tanto per guarire dalle tue ferite?” domandò con un sarcasmo che non le era consueto. Si alzò di scatto, prese il cellulare che aveva appoggiato sul tavolo e si voltò verso l’uscita.

“Jo, aspetta. Dobbiamo parlare.”

Le strinse ancora più forte la mano che non aveva ancora lasciato per cercare di trattenerla ma Jo era visibilmente irritata.

“Henry, ho accettato tutte le tue stranezze e le tue strambe spiegazioni alle tante situazioni singolari in cui ti sei cacciato perché trovo che tu sia una persona straordinaria con un’eleganza e una gentilezza d’altri tempi e ho sempre pensato che la tua originalità meritasse come minimo rispetto. Ma sinceramente stasera hai esagerato.” Tirò la mano verso di sé per liberarsi e si diresse verso il negozio poi voltandosi, aggiunse con gli occhi lucidi “Ti ho visto salire su quell’ambulanza e non sapevo se fossi riuscita a rivederti vivo al mio arrivo in ospedale… ho trovato solo una barella piena di sangue e un paramedico che sembrava aver visto i fantasmi…” fece una pausa per prendere un respiro, affannata dalla concitazione del momento “Ti rendi conto di cosa si prova a sapere che una persona cara sta morendo? Eh? Lo sai?” volse lo sguardo verso il basso e quando lo rialzò, Henry notò nei suoi occhi dolore e sgomento. Provò a dire qualcosa ma lei lo fermò pronunciando lentamente in modo sarcastico “e ti ritrovo infreddolito e bagnato a farfugliare parole senza senso.”

“Jo, ti prego aspetta. Non andare. Gustiamo il nostro tè in modo da parlare con calma…”

“Per me non c’è niente da dire, Henry Morgan. Sei un bell’uomo, affascinante e gentile ma sicuramente sei troppo ombroso e misterioso per me.”

“Se tu lasciassi spiegarmi…”

Con la porta del negozio mezza aperta, pronta ad affrontare di nuovo la gelida notte di New York, Jo si girò appena verso di lui “Non posso più accettare mezze verità, Henry.”

Infilò il cappello appena in tempo per proteggersi dalla neve che scendeva inesorabile a imbiancare nuovamente le strade e si avviò a passo veloce verso l’auto.

Piccoli freddi fiocchi di neve si posarono sulla sua pelle trascinati via dalle calde lacrime che la detective non riuscì più a trattenere.

 

Angolo di Monica

 

In questo capitolo abbiamo due momenti importanti: la costante ricerca di Kate Beckett di dare una spiegazione razionale a tutto comincia a vacillare e Jo Martinez non si accontenta questa volta di una mezza verità e se ne va.

Vi ringrazio per le bellissime recensioni, alcune davvero strepitose tanto che mi sono perfino commossa.

Continuate a seguirmi non manca poi tanto alla fine…

Monica

 

  
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