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Autore: Sea    18/05/2015    1 recensioni
Si sa, il blocco dello scrittore può farti impazzire ed Ed Sheeran stava cominciando a perdere colpi. Non voleva partire, per fuggire dai suoi problemi gli bastava il suo appartamento, non aveva bisogno di vacanze. Eppure si trovava lì, intrappolato dal suo manager, senza poter gestire la sua vita come una qualsiasi persona.
Non voleva che qualcuno interrompesse la sua solitudine, ma successe. Quell'incontro avrebbe trasformato la sua gabbia dorata in una via d'uscita, ma ancora non lo sapeva. Il suo deserto stava per trasformarsi in una florida oasi. Così, visse.
ATTENZIONE: IL CAPITOLO "TERZO GIORNO - PT II" è STATO MODIFICATO IN QUANTO MANCANTE DI UNA PARTE DELLA NARRAZIONE, ORA REINTEGRATA NELLO SCRITTO.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È dolce sognar e lasciarsi cullar,

nell'incanto della notte. -



Diversi giorni dopo.

Era entrato nella fase ‘auto-convincimento serio’ da quando aveva sentito quella voce al telefono. La contentezza dovuta al fatto che qualcuno avesse risposto alla chiamata, svanì in un soffio ed ora cercava di guardarsi intorno con occhi nuovi.
Non aveva chiamato quella che diceva di essere la madre di suo figlio, tanto lei già lo sapeva che la sua messa in scena non aveva funzionato. Si chiese perché mai lo avesse fatto, cosa cercasse di ottenere piombando in casa sua con un bambino, sapendo che Sara fosse lì. Cosa aveva da guadagnarci? Fino a prova contraria, quello che era stato ferito era lui, quindi escludeva anche l’ipotesi vendetta.
Smise di pensarci quasi subito.
Aveva registrato One controvoglia, sentendo quella canzone troppo inadatta al suo stato d’animo, ma dovette forzarsi a metterci del sentimento altrimenti George lo avrebbe cacciato fuori dallo studio. La canzone era già in radio, fuori dalla sua mente e dalle sue speranze.
Il fatto di essersi illuso che lei lo stesse aspettando, lo faceva sentire uno sciocco. Lei era una ragazza in gamba, aveva tutto da fare nella vita, di certo non stava ad aspettarlo alla porta.
J gli aveva detto che era meglio così, che poteva voltare pagina e vivere la sua vita come aveva sempre fatto e lui si sforzava di crederlo possibile.
Dovette darsi una calmata con l’alcool e le multe, altrimenti si sarebbe rovinato da solo e tornò a fare foto con i fan e a firmare autografi alle ragazze. Riprese la sua vita di sempre, come prima di incontrarla.
In quegli ultimi giorni era passato in 7 diverse radio ed era apparso in due programmi televisivi, tutto sembrava andare bene e il numero di canzoni vendute continuava a crescere, facendo risalire il suo conto in banca.
Doveva essere felice per forza: stava ricominciando.
Qualche volta i sogni lo tormentavano, riportandolo indietro nel tempo o suggerendogli possibili modi per farla tornare da lui, ma non appena riapriva gli occhi si imponeva di ignorarli. Erano solo sogni.
Con le cuffie sulle orecchie, chiuse gli occhi e si godette il volo che lo stava portando a Miami per un evento di beneficenza al quale lo aveva invitato Taylor.
Quando quella sera indossò il suo completo elegante, si guardò allo specchio e la rivide accanto a lui, nel suo abito blu, che probabilmente non aveva più indossato.
Il ricordo della musica e dei balli gli fecero risentire per un momento il profumo del mare e il profumo di lei, che prendeva la medaglietta d’oro dallo scatolino. Preferì non pensare a dove fosse finita.
Si aggiustò il colletto della camicia per l’ultima volta e prese la maschera che non sapeva avrebbe dovuto indossare. Aveva un senso far mascherare gli ospiti benefattori, ma potevano anche evitare di procurargli quel fastidio.
Il locale che accoglieva l’evento era di quelli sfarzosi in cui non metteva piede da un bel po’ e per un attimo si sentì a disagio pensando alla sfilza di scandali che lo avevano riguardato. La maschera non sarebbe servita a nascondere la sua identità, i suoi capelli rossi e le sue scarpe erano riconoscibili ai più.
Cercando di orientarsi nella disposizione dei tavoli, si diresse verso il palco, alla ricerca del suo posto. Sulla sua testa un enorme lampadario di cristallo brillava alle luci fioche.
Quando finalmente trovò il suo posto, si accomodò, ancora solo. Le celebrità, che non si erano sforzate di non rendersi riconoscibili, passeggiavano propinando saluti e strette di mano, creando un chiacchiericcio di sottofondo che copriva anche la musica.
Nell’attesa, cominciò a girarsi i pollici.
  • Ed!
Alzò lo sguardo e il sorriso di Taylor brillava nel buio. La vide avvicinarsi a passo svelto, così si alzò e la abbracciò per salutarla.
  • Ti trovo bene! – disse lei, come diceva sempre da quando aveva voltato pagina, forse per consolarlo o incoraggiarlo.
  • Anche tu sei orrenda. – rise.
  • Ha-ha. Sei solo? – chiese, non scorgendo nessuno insieme a lui. Di solito si portava un accompagnatore/accompagnatrice a quegli eventi.
  • Sì. La regina d’Inghilterra aveva un impegno che non poteva prorogare, ma ha giurato che la prossima volta non mi darà buca. Tu chi hai portato?
  • Io sono con un’amica. – e indicò qualcuno seduto al suo tavolo, coperto dalla maschera.
  • Chi è? – chiese, aggrottando lo sguardo. – La conosco? – aveva come l’impressione di averla incontrata di recente. Magari una di quelle ragazze conosciute alle feste, con le quali poteva provare a distrarsi.
  • No, ne dubito, è straniera. Più tardi te la presento, ora devo andare.
Lo lasciò nuovamente a se stesso, dandogli una pacca sulla spalla. La figura di quella ragazza in abito da sera fu coperta dagli altri invitati seduti al suo tavolo, così si accomodò con loro, salutando un paio di persone che conosceva.
Il discorso d’apertura fu tenuto da uno dei giornalisti più importanti di New York e per fortuna durò poco. Mangiò d’appetito, chiacchierando delle sue bravate con Pharrell Williams, dopodiché gli ospiti si alzarono per brindare alle donazioni. Incrociò lo sguardo di quella ragazza. Lo stava guardando dai piccoli fori della maschera che indossava e che le copriva quasi tutto il viso, tranne il sorriso. Che carina – pensò e ricambiò lo sguardo, alzando il bicchiere verso di lei.
La vide rivolgere la parola a Taylor, distogliendo l’attenzione da lui. Qualcuno la invitò a ballare e lei, come se non le fosse mai capitato, prese la mano del galantuomo e lo seguì in pista.
  • Allora, ti piace la mia amica? – sobbalzò, sentendo la voce della bionda così vicina.
  • Non saprei, non so chi sia. – disse, vago. – Ti va di ballare?
Lei stessa lo prese per mano e lo trascinò in mezzo agli altri.
Qualche bicchiere dopo, Taylor era diventata quasi ingestibile, sfuggendo spesso al suo controllo già lacunoso. Spesso e volentieri, lo lasciava da solo ai margini della pista a guardarla saltare come un grillo in mezzo alla sala, così si perdeva a guardare gli invitati, troppo timido per invitare qualche donzella. Mandò giù un altro calice di champagne e si pulì la bocca col dorso della mano, incurante del fatto che qualcuno potesse trovare quel gesto disdicevole. C’era un motivo per cui odiava lo champagne ed era che gli provocava le allucinazioni. Per tutta la cena, gli era sembrato che quella ragazza misteriosa lo sorvegliasse. Talvolta gli sembrava di incontrare il suo sguardo: non era sicuro di ciò che aveva visto data la maschera a coprirle il viso, ma fu certo che in quel momento, mentre ballava con un uomo, lei lo stesse seguendo con gli occhi.
Aveva un vestito lungo che le lasciava scoperte le spalle, i capelli raccolti e le labbra pulite. La sua scansione fu interrotta da una barcollante Taylor che lo tirava per la giacca, puntando dritto dritto al centro della pista, perché il dj stava mandando la sua canzone preferita, che per fortuna era una ballata. Niente di troppo frenetico.
La accontentò e ballò con lei, le luci basse, quasi spente. Proprio davanti a lui, c’era l’amica di Taylor – di cui continuava a ignorare il nome – che ballava quel lento con qualcuno che evidentemente non conosceva, poiché gli stava abbastanza distante da poter accogliere una terza persona in mezzo a loro. Fu allora che le vide.
Se c’era un segno particolare che contraddistingueva Sara, erano le fossette che aveva dietro le spalle, esattamente nell’incavo dell’articolazione ed erano lì, posate sulle spalle di quella sconosciuta come due baci.
Alzandosi la maschera per guardare meglio, continuò a dondolare con Taylor, mentre lei continuava a guardarsi intorno, come se cercasse qualcuno e infatti lo scaricò di punto in bianco, urlandogli che doveva correre dal suo ex per riconquistarlo. Non sarebbe riuscito a fermarla, quindi lasciò che gli sfuggisse dalle dita. Peccato che fosse rimasto come un idiota, da solo al centro di quell’ammasso di coppie danzanti. Non seppe cosa fare, rivedendo le spalle della ragazza, ma si decise a spostarsi di lì quando lei stava per voltarsi, dondolando.
Tuttavia, non seppe trattenersi dal guardarla ancora, sentendosi stupido e senza speranza. Più la guardava, più pensava che fosse lei, ma evidentemente aveva bevuto troppo champagne di nuovo. E poi, se fosse stata davvero lei, non avrebbe potuto ignorarlo in quel modo. Non poteva.
Quasi scalpitava dalla voglia di andare lì e toglierle la maschera troppo grande per convincersi di star delirando, ma non poteva permettersi di fare una figuraccia, quindi restò fermo e fece un profondo respiro, cercando di riprendere il controllo.
Non. Era. Lei.
Quando la canzone terminò, l’uomo la lasciò e si allontanò. Lei, quasi spaesata, si diresse verso i margini della pista, fermandosi a guardare chi era rimasto a ballare con le mani nelle mani. Proprio accanto a lui. Lo stava facendo apposta?
La osservò di sottecchi, studiando ogni sua movenza. Il buio gli permetteva di non essere notato, ma nascondeva ancora di più i dettagli che potevano interessargli. Aveva un’aria così familiare, ma era assurda quell’idea. Indeciso sul da farsi, anche se avrebbe potuto comportarsi normalmente, si agitava sul posto, irrequieto.
Senza accorgersene, si passò una mano tra i capelli mentre il cameriere gli porgeva il vassoio stracolmo di bicchieri. Ed ecco il lampo di genio.
Mentre prendeva non una, ma due coppe di bollicine, si diede nuovamente dello stupido.
Con finta galanteria, le diede la seconda coppa e attese una parola che non arrivò mai. Lei si limitò a sorridergli di nuovo e prese un sorso.
Merda, perché non parlava?
  • Di niente! – disse, tentando ancora, ma lei non rispose.
Si chiese seriamente se lo stesse prendendo in giro.
  • Piacere, Edward. – e le tese la mano, sentendo la stretta ricambiata. – Tu sei l’amica di Taylor, giusto?
Nessuna risposta, soltanto un sì accennato con la testa.
  • Hai un nome? – silenzio. – Parli l’inglese?
La vide sorridere, continuando a non emettere un suono, ma era quasi ovvio che stesse ridendo di lui. Rimase interdetto da quel suo comportamento, pensando di star facendo una figuraccia, ma poi la vide annuire.
Doveva essersi accorta che si sentiva in difficoltà, ma non smise di guardarlo, ricambiando lo sguardo dovuto ai suoi tentativi di conversazione.
Teneva una mano in tasca, cercando di mostrarsi disinteressato e sicuro di sé.
  • Ti va di farmi compagnia fuori? – osò.
Non sapeva quale sarebbe stata la sua reazione, ma ancora una volta lei annuì.
Fece il primo passo verso il terrazzo, assicurandosi che lo seguisse. Quella sua andatura gli era familiare, così come il movimento del vestito che svolazzava ad ogni passo.
Eppure non faceva uso di droghe.
Lasciò che uscisse prima di lui, cedendole il passo, per guardare di nuovo le sue spalle: le fossette erano reali, non le aveva immaginate. Si appoggiò accanto a lei alla ringhiera di pietra, cercando il suo sguardo, ma lei voltò il viso dall’altra parte, schiva come poche donne.
  • Allora…da dove vieni? – niente. Non era muta, l’aveva vista parlare con Taylor. – So che parli.
La vide portarsi una mano alla bocca, trattenendo una risata. Approfittò dei lampioni che illuminavano il terrazzo per osservarla di nuovo. A giudicare dal suo aspetto, era molto giovane.
  • Non hai intenzione di parlare, vero? – la guardò. La maschera era troppo piccola per nascondere la sua espressione indefinita e lei scosse la testa. – Sei straniera?
Annuì.
  • Oh, è da parecchio che conosci Taylor?
No.
  • Sei una cantante anche tu?
No.
  • Sai chi sono?
Sì.
La guardò, cercando di capire che problemi avesse o cosa avesse contro di lui, ma da quel poco che riusciva a scorgere attraverso i fori della maschera, gli sembrò tranquillissima.
Si passò una mano tra i capelli.
  • Lo sai, sei inquietante. – disse, col sorriso sul volto.
Lei evitò il suo sguardo, nascondendo il sorriso con la mano e volgendo lo sguardo verso terra. Fece lo stesso, non sapendo più cosa dire. Il silenzio veniva vagamente disturbato dall’eco della musica proveniente dall’interno. Che ragazza strana, si chiedeva di cosa parlassero lei e Taylor o comunque quale fosse il loro legame. Notò che portava il tempo con le dita e la cosa lo fece ridere. Era come se si stesse trattenendo dal fare qualsiasi cosa.
Finì di bere in un sol colpo ciò che era rimasto nel suo bicchiere, mentre lei fissava le bollicine attraverso il vetro.
Che situazione assurda. D’un tratto sentì un sospiro e si voltò verso di lei: si stava passando le mani sulle braccia, tentando di scaldarsi. Senza un motivo valido, si scostò dalla ringhiera e si tolse la giacca per cedergliela. La fece volteggiare intorno alle sue spalle e gliela posò addosso. Lei, come per ringraziarlo, gli sfiorò per un attimo il braccio e poi ritrasse la mano, senza far svanire il suo sorriso. Quel contatto lo fece rabbrividire, mentre lei si tirava meglio la giacca sulle spalle.
Ma cosa diamine gli stava succedendo? Era già ubriaco?
Chi diavolo era quella ragazza?
 
Come se avesse preso la scossa, d’un tratto la vide scattare lontano dal suo posto. Non capì il motivo immediatamente, ma gli sembrò che volesse tornare improvvisamente dentro. La guardò per qualche secondo con l’aria confusa e i capelli rossi spettinati, poi sentì One provenire dall’interno. Lei doveva avergli letto nel pensiero, perché sorrise, facendo un altro passo verso l’ingresso.
  • Ti piace questa canzone? – annuì. – Ti va di ballare?
La forma che assunsero le sue labbra rosa gli sembrò suggerirgli un certo turbamento, ma poi tornò a sorridere come se nulla fosse. Era davvero lunatica, quella tipa.
La invitò ad entrare e cercò di tenere il suo passo, mentre raggiungevano la pista. Vide Taylor seduta al suo tavolo, che parlava con un ragazzo, chi sapeva cosa stesse combinando.
Al limitare della pista, lei trepidava. Ancora confuso, le tese la mano e lasciò che lei vi lasciasse scivolare la sua. Rabbrividì sentendo le sue dita sottili.
La portò in pista e mise le mani sui suoi fianchi. Forse era impazzito, ma gli sembrò di aver sentito i suoi muscoli guizzare al suo tocco.
Cominciarono a dondolare, riducendo la distanza. Non sapeva dove guardare.
  • Se conoscessi il motivo per cui ho scritto questa canzone, non ti piacerebbe così tanto.
Lei abbassò il capo, ridendo.
  • Perché ridi qualunque cosa io dica? Sono così divertente? – lo disse scherzando, ma se lo chiese davvero. – Almeno non sono noioso.
Quel suo silenzio, oltre ad essere quasi frustrante, in un certo senso era rassicurante: lo stava ascoltando e non aveva davvero bisogno di una risposta. Per un po’ si sentì sereno ballando con lei, guancia a guancia. Chiuse gli occhi per un momento per elaborare meglio la sensazione che stava provando in quel momento: quella assurda ragazza muta gli ricordava Sara e ballando in quel modo, avrebbe detto che fosse davvero lei. Le sue dita, le sue fossette, il suo profumo. Si perse nel pensiero di lei, quasi dimenticando la realtà. La guardò negli occhi, sulle ultime note. Se la canzone non fosse finita, probabilmente l’avrebbe baciata. Per qualche motivo era certo che lei non si sarebbe tirata indietro.
L’applauso spezzò il filo dei suoi pensieri e lo riportò alla realtà. Non voleva ferire qualcuno di innocente a causa della sua distrazione, quindi si allontanò di un passo da lei.
Una voce al microfono li invitava a tornare ai loro tavoli, così si diedero un’ultima occhiata e si diressero ai loro posti.
Un’ora dopo, la festa terminava e gli ospiti attendevano di recuperare i cappotti e andarsene.
Cercò Taylor con lo sguardo con l’intenzione di salutarla, dato che probabilmente non si sarebbero rivisti per un po’ e quando la individuò, la vide correre proprio nella sua direzione, insieme al suo ex. In realtà lui non aveva esattamente un’espressione rassicurante.
Lo vide avvicinarsi a grandi falcate, senza la giacca e con i pugni serrati. Istintivamente, protese le mani in segno di resa, ma non servì, poiché quello gli sferrò un cazzotto ancora prima che lui potesse realizzare di averlo di fronte.
L’impatto era stato così forte da farlo barcollare.
  • Smettila! – la voce di Taylor sfiorava il limite dei decibel.
Si portò una mano al viso, alla ricerca del punto in cui lo aveva colpito, ma gli faceva male tutta la faccia. La suola di gomma delle scarpe fischiò facendo attrito col pavimento lucido, aiutandolo a tenersi in piedi. Protese nuovamente una mano in avanti, sperando che quello si fermasse perché già gli si era appannata la vista. Le urla della sua amica non servirono a fermarlo dal dargli un altro pugno, stavolta nello stomaco.
  • No! – era un’altra voce, che conosceva. Doveva averlo colpito davvero forte quel tizio, perché la voce di Sara gli giunse alle orecchie, chiara come una melodia di Mozart.
Piegato in due, credette di essere sul punto di vomitare. Cosa gli era preso a quello?
Cercò di concentrarsi sul dolore invece che sul chiasso che si stava creando nella sala. Gli ospiti accorsero verso il luogo dell’impatto, sentiva i loro passi sovrapporsi e le voci moltiplicarsi. Non vide cosa stesse succedendo, ma qualcuno doveva aver trattenuto quel pazzo. Non riusciva a rialzarsi, il dolore allo stomaco non lo aiutava a far passare quello alla testa. Sentì un rumore di tacchi in corsa avvicinarsi a lui e pochi secondi dopo due mani lo stavano aiutando a rialzarsi. Quando riuscì ad aprire un occhio, vide a terra la maschera di quella ragazza.  Sentiva le sue mani sul petto e sulle spalle che lo sorreggevano.
Il vestito lungo cominciò a materializzarsi davanti ai suoi occhi, ma non era ancora in grado di alzare la testa, così poggiò le mani sulle spalle di lei, sforzandosi ancora di non vomitare. Tossì pesantemente, tenendo la testa bassa.
  • Ed!
Gli mancò il respiro quando risentì quella voce, che veniva chiaramente dalla persona che lo stava aiutando. Non poteva essere. Guardò ancora una volta la maschera a terra.
  • Ed, dì qualcosa. Ed!
Quello non era inglese. Improvvisamente qualsiasi dolore divenne meno importante. Inconsapevolmente, strinse la presa su quelle spalle e trattenendo il respiro, alzò lo sguardo.
La persona che lo stava sorreggendo era lei. Sara era lì, davanti a lui e ogni cosa acquistò improvvisamente senso.
Non riuscì ad emettere un suono, l’aria non arrivava ai polmoni. Sara lo guardava, pallida per lo spavento e con una lacrima che le faceva colare il trucco.
Spalancò occhi e bocca, cercando di convincersi che non si trattava di un altro sogno e in questo il dolore lo aiutava, ma vederla lì gli fece dubitare della sua sanità mentale.
Quando lei parlò ancora, sentì una lacrima pizzicare i suoi occhi. Non sentiva più niente, il suo corpo era del tutto anestetizzato. Come se il tempo scorresse più lentamente, la guardò negli occhi dopo un anno e la prima cosa che riuscì a fare riconoscendo che lei fosse reale, fu tirarla a sé e abbracciarla. Il mondo intorno a lui si era annullato.
 
Piangeva, ma la sua voce rotta era una melodia, alle sue orecchie. Sentiva le sue dita aggrappate ai suoi capelli, il suo petto gonfiarsi, il suo respiro affannare e seppe di essere vivo.
Le mille domande che gli inondavano la mente, non avevano bisogno di alcuna risposta. Quella stretta che sentiva sulle spalle e nel cuore, chiariva ogni cosa.
Probabilmente le persone intorno a loro non capivano cosa stesse accadendo, ma non bastarono pochi minuti a farli distaccare. Continuava ad accarezzarle la schiena, come per essere sicuro di averla ben stretta e non lasciarla più andare.
  • Oh, Ed…
Quel suo sussurro spezzato, stava per rompere gli argini delle sue lacrime. Strizzò gli occhi e si nascose nel suo collo.
Lei, apprensiva, lo invitò a distaccarsi. Portò le sue mani al suo viso.
  • Bisogna medicarti!
  • Sei qui.
Fu l’unica cosa che riuscì a dire, guardandola negli occhi. Non riusciva a staccare le mani da suo corpo. Era completamente imbambolato.
  • Vieni con me.
Lo guardava con quello sguardo preoccupato, troppo presa dal taglio che aveva sul viso. Le passò una mano tra i capelli ormai lunghi.
  • Tu sei qui.
  • Sì, sono qui. – rispose, lasciandosi sfuggire un sorriso.
Forse le cose quella sera non dovevano andare in quel modo, ma gli andava bene anche così. L’importante era che Sara fosse nella sua stessa stanza ed ogni cosa sarebbe andata bene.
  • Ed, vieni con me. Stai perdendo sangue.
 
Lasciò che lo guidasse al taxi e lo riportasse in albergo, dove le fornirono il kit del primo soccorso. Capì che non aveva ancora una camera così, incurante di ciò che dicesse, la fece inserire nella sua matrimoniale. La sua apprensione le permise di ignorare momentaneamente quel dettaglio.
Lo portava quasi in spalla, poiché la testa gli girava come una trottola non appena cercava di raddrizzarsi.
Il tempo che ci misero ad arrivare all’ultimo piano e poi fino al letto, gli sembrò infinito. Non riusciva a stare dritto, così si mise in posizione fetale. Soltanto in quel momento maledisse quell’idiota che l’aveva colpito: era costretto a stare steso in quel modo, quando invece avrebbe voluto alzarsi e baciarla senza aspettare neanche un secondo.
Quando la sentì sedersi sul bordo del letto, riaprì gli occhi ed era ancora lì. Era vera. Le carezzava le mani ogni qual volta si avvicinavano al suo viso, per sentire il suo calore. Com’era possibile che lei fosse lì? Come aveva saputo dove fosse? Taylor, quella pazza, aveva di certo combinato qualcosa. In realtà non gli importava affatto cosa avesse fatto la sua amica, doveva ancora razionalizzare la sua presenza in quella stanza. Era un anno che non incontrava i suoi occhi ed ora la fissava, come se fosse un ologramma o un fantasma. Aveva i capelli sciolti sulle spalle, la pelle bianca e piena di nei, come la ricordava. In un attimo gli tornarono alla mente tanti momenti e i suoi sensi si accesero in un istante. Quel caldo sentimento che aveva tentato di scacciare si faceva avanti più ardente di prima ora che lei gli sorrideva incessantemente. Come aveva fatto a non riconoscerla, non lo sapeva. Aveva sempre creduto che l’avrebbe distinta anche in mezzo a una folla, eppure si trovava steso su quel letto, confuso anche sulla sua identità. Si sbottonò i primi punti della camicia, per riprendersi tutta l’aria che aveva lasciato fuori dai suoi polmoni quando l’aveva vista. Sentiva le sue stesse dita tremare. Il suo profilo lentigginoso era illuminato dalla lampada, mentre continuava a tenere le labbra aperte, come per far uscire i pensieri che gli infestavano la mente, ma non disse una parola per diverso tempo. Doveva sembrarle uno sciocco, ma lei continuava a esistere. Nonostante il bruciore del labbro rotto e del taglio sulla guancia provocati dal pugno, non si allontanò mai di un millimetro dalle sue cure amorevoli. Nei suoi occhi leggeva qualcosa che lo riscaldava dentro, facendogli credere che il cuore stesse per esplodergli.
La fissò a lungo, perso nei suoi dettagli nitidi più che nei ricordi, pensando che c’erano due modi di spiegare quella situazione: o era morto, o qualcuno lassù gli aveva appena salvato la vita.




Angolo autrice:

Wow, ragazzi, così tante visite per l'ultimo capitolo? Non me lo aspettavo, sinceramente. XD
Grazie, comunque. :)
Allora, cosa ve ne pare? Non sono relmente soddisfatta, a dire il vero, ma ribadisco che ho deciso di lasciare le cose in questo modo per rispettare l'idea iniziale.
Vi lascio con l'abito nero che indossa Sara per la serata e col il nostro Ed che non fa altro che passarsi quelle maledette mani tra i capelli.
A presto! :)



   

 
  
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