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Autore: Sea    19/05/2015    0 recensioni
Si sa, il blocco dello scrittore può farti impazzire ed Ed Sheeran stava cominciando a perdere colpi. Non voleva partire, per fuggire dai suoi problemi gli bastava il suo appartamento, non aveva bisogno di vacanze. Eppure si trovava lì, intrappolato dal suo manager, senza poter gestire la sua vita come una qualsiasi persona.
Non voleva che qualcuno interrompesse la sua solitudine, ma successe. Quell'incontro avrebbe trasformato la sua gabbia dorata in una via d'uscita, ma ancora non lo sapeva. Il suo deserto stava per trasformarsi in una florida oasi. Così, visse.
ATTENZIONE: IL CAPITOLO "TERZO GIORNO - PT II" è STATO MODIFICATO IN QUANTO MANCANTE DI UNA PARTE DELLA NARRAZIONE, ORA REINTEGRATA NELLO SCRITTO.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- I'm thinking out loud. -

 


Gli tamponava la ferita col disinfettante, mentre lui continuava a fissarla. Forse credeva che fosse un sogno, perché la toccava ogni volta come per testare la sua solidità.
Le cose non erano andate secondo i piani: quella pazza della sua amica l’aveva fatta arrivare a New York in piena notte di modo che non la vedesse nessuno e l’aveva portata a casa sua. Avrebbe dovuto rivelarsi il giorno seguente, quando Ed sarebbe stato in radio. La festa era soltanto un modo per riabituarsi alla sua vista, per poterlo guardare indisturbata e studiarlo.
Tuttavia, era stata duramente messa alla prova durante diversi momenti della serata e per un attimo aveva creduto che lui l’avesse riconosciuta, ma non era così. Il ricordo del suo viso sconvolto quando la vide in viso, le fece capire che forse qualcosa l’aveva sospettata, ma non ci credeva davvero.
Gli aveva pulito il sangue dal viso, scoprendo che fortunatamente il taglio sul labbro era meno profondo di quanto sembrasse e il naso non era rotto.
Era immobile, steso sul letto e la guardava in un modo indecifrabile. I suoi occhi chiari brillavano alla luce della lampada. Stargli così vicino dopo tutto quel tempo, la rendeva silenziosa.
  • Tu sei qui. – disse lui, nuovamente.
Lei annuì, poiché non le uscivano le parole. Quel lungo viaggio le aveva dato modo di riflettere a lungo su tutta quella storia e si diede ripetutamente della sciocca, quando aprì le sue lettere rimaste sigillate, trovandoci dentro un unico foglio e sempre e solo tre parole: I love you.
Le aveva inviato un centinaio di lettere tutte uguali e lei non le aveva mai aperte. Durante il volo che la stava portando dall’altra parte del mondo, fissò quelle tre parole al centro del foglio e si accorse che lei non gli aveva mai detto di amarlo e per un anno lui aveva aspettato la sua risposta.
  • Come ti senti? – chiese, carezzandolo. La sensazione della sua barba era così familiare.
  • Anche se tu fossi l’ultima cosa che vedo, sarebbe abbastanza per me. – rispose citando se stesso, mentre le prendeva la mano.
Lo aiutò ad alzarsi e mettersi seduto, avvicinandolo di conseguenza a lei. Si abbracciarono spontaneamente.
  • Perché sei qui? Cosa è successo?
  • Taylor mi ha scritto una lettera e mi ha mandato i risultati del test del dna. So che non sei padre. – e trattenne una lacrima.
  • Taylor, lo sapevo. – disse, ricambiando la stretta. Respirò il suo profumo e riprese a parlare. – Ma tu…non eri impegnata? – non riusciva a guardarla negli occhi, quindi approfittò di quell’abbraccio per parlare.
  • No, era quell’idiota di mio cugino. Non mi aveva detto nemmeno che avessi chiamato. Mi dispiace. – Sentì Ed espirare mentre pronunciava quelle parole.
  • Grazie a Dio. Non so cos’avrei fatto. – rifletteva ad alta voce.
  • Ed… - e sciolse l’abbraccio. – Io…sono così dispiaciuta. Ho fatto un terribile errore e mi sono comportata come una sciocca bambina. Potrai mai perdonarmi?
La guardò negli occhi per un istante, udendo quelle parole e analizzando il loro significato. Non leggeva nei suoi occhi la gioia che gli aveva ridato? Non importava più quanto fosse stata via, il tempo si era ridotto ad un secondo e lo spazio ad un millimetro, da quando l’aveva vista. Il passato era passato, gli importava solo del presente. Le prese il viso tra le mani e la baciò, godendosi la sensazione di quella distanza che lentamente si annullava del tutto.
Il sapore delle sue labbra non era cambiato.
 
Quando si svegliarono il mattino seguente, aveva i suoi capelli in bocca. Le erano cresciuti tantissimo e il suo viso era più magro, più adulto. Non aveva la sua roba con sé, rimasta in albergo nella stanza di Taylor, così le aveva ceduto una sua t-shirt. Quando l’aveva vista cambiarsi con naturalezza davanti a lui, il batticuore prese il sopravvento su di lui, ma dovette frenarsi all’ennesimo crampo allo stomaco. Sentiva ancora i baci infiniti di quella notte buia.
Ora che non sentiva più dolore, la guardava più serenamente. La sveglia impostata sul suo cellulare le fece aprire gli occhi. Sobbalzò, per qualche motivo, ma poi lo vide e si portò una mano al viso. Sospirò pesantemente.
  • Credevo di aver sognato. – gli spiegò, con la voce roca, tuffandosi nel suo petto.
Emanava sempre quel calore assurdo. La sensazione del suo corpo accanto al suo, ancora la stupiva.
  • Anch’io l’ho creduto. – le disse. – Tra un’ora e mezza devo essere in radio. Vuoi venire con me?
  • Certo che voglio venire con te. – rispose, sorridendo sul suo petto.
Si alzarono forzatamente e le cedette il turno in bagno, mentre lui chiamava J e lo informava degli ultimi avvenimenti. Per tutta risposta, lui gli disse che già lo sapeva perché i giornali avevano messo la “coppia eterna” in prima pagina. Figurarsi.
Sentì il rumore del getto d’acqua e lei che canticchiava One. Gli vennero i brividi nel sentire quella canzone rimbombare nel bagno. Si alzò e si diresse alla porta, per ascoltarla meglio: la sua voce era allegra e squillante.
  • Would you staaaaaaay with meeee?
Rise e si portò le mani alla testa, preso dall’adrenalina che ancora circolava dalla sera precedente. Si morse il labbro al pensiero che lei fosse lì dentro e lui fosse ancora lì fuori.
Due minuti dopo stava già entrando nella doccia e la stava baciando, l’impulso di averla era irrefrenabile. Era diventata così leggera che riuscì a tenerla in braccio, aiutato dalle mensole della cabina doccia. Sfiorandola di nuovo, come se fossero tornati nel bungalow a Paestum, seppe che non avrebbero più sofferto, non avrebbero più dovuto separarsi. Potevano amarsi.
 
Taylor gli aveva inviato un sms, spiegandogli il motivo per cui il suo ex l’aveva preso a pugni: l’idiota credeva che fossero andati a letto. Ecco perché lo odiava e le diceva che non era il tipo per lei, era stupido.
Sara, leggendo il messaggio insieme a lui, cominciò a parlare in napoletano e non riuscì a capire una sola parola, ma probabilmente stava imprecando contro quel tizio.
La vide sfilarsi l’accappatoio e scavare nella sua valigia alla ricerca di qualcosa che potesse indossare temporaneamente e che potesse nascondere la sua identità.
Per fortuna i giornalisti non avevano scoperto dove alloggiasse, altrimenti sarebbero stati già all’ingresso dell’hotel. Con indosso una sua t-shirt e un suo jeans, si pose il problema delle scarpe, ma fu presto risolto dal negozio dell’hotel, fornito di ogni cosa. Stavolta niente mutandine, ci avrebbero pensato poi.
  • Sei sicuro di stare bene? Non ti fa male?
Continuava a sfiorargli le ferite e si intenerì a tal punto che credette di sciogliersi. Aveva quell’espressione preoccupata che bastava a rispondere a tutte le sue domande.
L’incontro alla radio gli sembrò interminabile sapendo che lei era fuori ad aspettarlo e poi le domande del conduttore avevano come argomento principale il ritorno di Sara nella sua vita. Raccontò la prima cosa che gli venne in mente, senza consultare J e andò via, portandola con sé. Ci volle un’eternità a ritrovare i suoi bagagli, poiché Taylor aveva dovuto barricarsi in un motel in periferia a causa dei giornalisti.
Una volta riavuta la sua valigia, Sara si sentì come sulla soglia di un nuovo e lungo viaggio, che cominciava nel suo cuore e finiva in quello di Ed.
 
Preso il primo aereo per New York, dormirono per quasi tutto il viaggio, lei per il jetleg, lui per recuperare le ore di sonno perdute a causa del mal di testa.
J li attendeva all’aeroporto, sommerso dai giornalisti. Quella volta uscirono dal gate insieme, mano nella mano e col sorriso stampato sul volto. J abbracciò Sara, ignorando la miriade di flash che li sommergeva.
  • Grazie a Dio sei tornata. Questa volta, vedi di restare!
Lei rise, seguendo lui e Ed alla macchina nera che li attendeva fuori.
Quando giunsero alla porta del suo appartamento, Ed aprì e la prese in braccio.
  • Per scaramanzia. – disse.
Non appena i bagagli furono sistemati e la cena cinese ordinata, la prese con sé e la portò sul divano.
  • Si può sapere cos’hai fatto tutto questo tempo lontano da me? – era sereno, mentre le faceva quella domanda.
  • Oh, sai, mi sono laureata, sono andata a vivere da sola, ho trovato un lavoro. – lo guardava dritto negli occhi, con dolcezza. – Qualche volta sono uscita con qualche bel fusto, ma non avevano abbastanza sharm per me.
  • Lo prenderò come un complimento. – rise. – Ti ho cercata.
  • Lo so, ma ero così presa dai miei tentativi di dimenticarti che…
  • Io non ci sono mai riuscito.
  • E tu cos’hai fatto, oltre ubriacarti?  - e lo guardò male, mentre lo diceva.
  • Oh, beh, ho scritto un album, ho fatto un tour, salutavo la mia ex dal palco e poi tornavo a bere.
Sembrò che il tempo non bastasse per raccontarsi ogni cosa.
  • Ogni volta che lo facevi, avrei voluto raggiungerti, ma poi non avrei saputo cosa fare. Però, ti ho pensato. Ogni giorno. E quando ho letto One…
  • L’ho scritta da ubriaco, seduto nella vasca da bagno.
  • Cosa?!
Cenarono accanto alla vetrata. Ed portava ancora quel braccialetto al polso, i loro nomi incisi si vedevano appena nella penombra. Le ordinò di indossare seduta stante la sua medaglietta, altrimenti le avrebbe messo il muso. Pochi secondi dopo l’aveva già al collo.
Sembrava tutto normale mentre erano seduti lì a raccontarsi di quell’anno che ormai sembrava così distante, come se stessero parlando di eventi lontani nel passato. Riusciva a scorgere la sua cicatrice all’attaccatura dei capelli, lucida rispetto alla sua pelle opaca, priva di trucco. Se ripensava a cosa avevano condiviso, gli veniva da pensare che la loro fosse una storia degna di un romanzo, le cui pagine, da quel momento in poi, erano ancora bianche.
Voleva riempirle insieme a lei, fino alla fine.
 
 
Da quando il tempo aveva ripreso a scorrere normalmente, Sara si era trovata un lavoro come insegnante di italiano, nell’attesa di completare i suoi studi di inglese e aspirare ad insegnare in una vera scuola. Intanto, mettevano da parte i soldi per una casa, una macchina, un viaggio, anche se lui insisteva sul fatto che lei non dovesse sforzarsi così tanto, ma perdeva ogni volta contro la sua voglia di vivere la vita.
Era tornato in Italia con lei e avevano passato l’estate a girare la Sardegna in moto, con soltanto una tenda in spalla, invece lei aveva passato il Natale con lui, in Inghilterra. Finalmente aveva conosciuto la sua famiglia, compresi suo padre e suo fratello, col quale andava pericolosamente d’accordo. Lo prendevano in giro per qualsiasi cosa.
Ogni tanto i giornali parlavano di loro, qualche volta l’avevano invitata ad apparire in qualche programma e – sotto minaccia di J – lei ci andò, per il suo bene.
Ogni tanto, la vedeva distante anni luce, persa nei suoi ricordi e nella nostalgia di casa sua. Le mancavano Napoli, gli amici, la famiglia. Una volta gli aveva detto che il suo sogno era quello di insegnare in un certo quartiere della città, per aiutare i bambini a combattere l’ignoranza con la quale venivano cresciuti. A volte si sentiva in colpa a tenerla lì, ma lei ribadiva che era una sua scelta.
Di tanto in tanto, fuggivano da New York e giravano per il continente. Voleva che anche lei si innamorasse di quella terra, come lui aveva amato l’Italia. Non ci volle molto.
Ormai aveva lasciato il piccolo appartamento che aveva preso tempo prima, lasciandoci una parte di sé che non voleva rivedere mai più. Sua madre li invitò a passare la Pasqua a casa sua e lì conobbe la sterminata famiglia De Amicis, con tutti i suoi zii e zie, cugini e cugine e chi più ne ha più ne metta. Per lo più, partecipò ascoltando le traduzioni napoletano-italiano della sua fidanzata, ridendo di gusto a certe battute di spirito sui suoi capelli rossi.
Il padre di Sara gli raccomandò di avere cura della sua principessa e suo fratello lo minacciò di morte nel caso in cui l’avesse fatta soffrire. La madre si limitò a piangere, abbracciandolo. In quel clima così caldo e familiare, si sentì accettato, accolto, a casa. Il fatto di essere entrati nelle rispettive famiglie, gli lasciava sperare che avrebbero potuto godere per sempre di quella serenità, insieme.
Non mancarono i momenti brutti, i litigi, i giorni di pioggia troppo lunghi e spesso gli eventi li segnarono a fondo, qualche volta facendogli credere che stessero di nuovo per spezzarsi. Ma come diceva quella canzone? “Non siamo rotti, soltanto piegati e possiamo imparare ad amare di nuovo”.
Quando la sera, a letto, spegnevano la luce e facevano l’amore, ricominciavano tutto da capo, imparando a conoscersi ogni giorno. Era quello l’amore. Un pezzetto di felicità al giorno.
 
Dopo tanti pezzetti, Ed aveva completato il suo puzzle. Aveva costruito quell’idea fino all’ultimo pezzetto di lego.
Sara era riuscita a trovare un posto nella scuola pubblica a Londra, dove ora lavorava e viveva da sola e lui, una volta appurato il successo del suo nuovo album, aveva cominciato il tour mondiale. Non si vedevano da mesi e le mancava da morire. La immaginava andare a letto da sola ogni sera e svegliarsi ogni mattina, altrettanto sola. Lui faceva lo stesso, ogni giorno in un paese diverso. Skype li aiutava a sentirsi vicini, ma spesso non aveva neanche il tempo di scendere dal palco che stava già salendo su un aereo, diretto in un posto sempre troppo lontano da lei, ma ormai l’attesa era terminata e avevano superato la prova.
La sua ultima tappa era in Irlanda, a pochi chilometri da lei e quella era la sua occasione.
Erano mesi che ci pensava: ormai avevano entrambi 26 anni e lui sapeva già da parecchio che tra altri 70 sarebbero stati ancora insieme, quindi, perché no?
J gli ribadiva di avere ancora tanta strada da fare e tanti giorni da passare lontano da casa, ma questo non lo frenava dal desiderare di passare la sua vita con lei.
Ormai intestarditosi a voler fare qualcosa di assolutamente esagerato e poco intimo, prese la situazione in mano e gestì quel concerto come più gli piaceva.
Modificò la scaletta e prenotò un biglietto aereo per lei, raccomandandole di lasciare qualsiasi sua attività e raggiungerlo.
Sara non sapeva cosa stesse tramando, ma doveva essere importante per farla andare in Irlanda il giorno prima che lui tornasse a casa. In ogni caso, fece i bagagli e lo raggiunse, contenta del fatto che il volo fosse breve.
Un tassista la aspettava al gate con un cartellone con su scritto il suo cognome, la portò direttamente all’entrata secondaria dello stadio in cui si sarebbe tenuto il concerto.
Era una sera d’estate e lei scalpitava all’idea di rivederlo.
Nonostante il concerto non fosse ancora cominciato, non riuscì ad incontrarlo e dovette stare seduta in uno stanzino ad aspettare che l’evento avesse inizio. L’unico modo che aveva per passare il tempo, era giocare con la sua medaglietta.
Dopo un tempo che le sembrò infinito, qualcuno andò a prenderla e la condusse dietro le quinte.
Quando le luci del palco si accesero, lui era già lì. Era incredibile come il solo guardarlo la facesse ancora sentire una ragazzina. I loro occhi si incontrarono e lui le sorrise in un modo che la rese sicura del fatto che quello era un miracolo. Erano più di tre anni che era la sua ragazza e qualche volta stentava ancora a crederci. Però, eccolo lì. Raggiante.
Non ci fu l’occasione di abbracciarlo per le successive tre ore di concerto. La folla lo acclamava come fosse un dio, le ragazze strepitanti urlavano il suo nome, agitando i cartelloni.
Accomodata su una sedia, non potè fare altro che aspettare e godersi lo spettacolo.
  • E ora, vi devo chiedere un grande favore. Dovreste chiamare qui sul palco una persona, ok?
La folla urlò.
  • Ripetete con me: Sara!
E un coro assordante urlò il suo nome a gran voce, ripetendolo come se sapessero che lei, in quel momento, era sconvolta e impietrita dietro le quinte.
Lui la guardò, tendendo la mano verso di lei. Non era mai salita su un palco durante un concerto, soprattutto in veste di fidanzata del cantante. Lui non aveva mai fatto niente del genere. J, alle sue spalle, la incitò ad entrare prima che facessero una figuraccia.
Con le gambe tremanti, fece il primo passo verso di lui. Cavolo – pensò – sono in pantaloncini e t-shirt.
Non appena la luce colpì la sua figura, le urla del pubblico le fecero gelare il sangue, così si concentrò sulla figura di Ed, che la aspettava, mettendo preventivamente la chitarra a terra per abbracciarla.
Non appena i loro corpi si incontrarono, dovette trattenere le lacrime. Ogni volta che si rivedevano dopo tanto tempo, capiva che quel ragazzo era ogni cosa, per lei. Il suo calore le serviva a vivere.
Ben presto, purtroppo, dovettero separarsi. Non capiva ancora perché mai fosse lì.
  • Oggi è un giorno importante per me – disse rivolto al pubblico – Vi starete chiedendo perché – e guardò lei, ancora confusa e impaurita dalla sensazione che le dava il palcoscenico. – Ho conosciuto Sara diversi anni fa e non avrei mai pensato che un giorno sarebbe stata al mio fianco, su questo palco, ma è qui. Photograph, Give me love, One, sono tutte canzoni che non sarebbero mai esistite se non fosse stato per lei. Ha cambiato il senso della mia vita, delle mie parole, della mia musica. Ha cambiato me. Stasera, vorrei dedicarle una canzone che ho scritto tempo fa e che ha acquisito significato soltanto quando lei è entrata nella mia vita.
Senza distogliere lo sguardo da lei, cominciò a pizzicare le corde. Sara restò immobile quando le luci dello stadio si spensero e il pubblico accese i flash dei cellulari. Riconobbe immediatamente le prime note di quella canzone.
Cosa diavolo stava succedendo?
  • When your legs don’t work like they used to before…
Ed cominciò a cantare Thinking out loud senza mai staccare gli occhi dai suoi, cantando per la prima volta con un sentimento del tutto nuovo. La vide impietrita e confusa, ma ormai era troppo tardi per fermarsi. Pensava soltanto alla gioia che avrebbe provato quando gli avrebbe risposto. Il pubblico portava il tempo e cantava con lui.
Ogni parola della canzone, vibrò dritta nel suo cuore, come se la ascoltasse per la prima volta.
Non l’aveva mai visto con quella luce negli occhi e quando terminò la canzone, invece di abbracciarla, si fermò a pochi passi da lei. Posò la chitarra e prese il microfono. Il cuore le batteva all’impazzata.
  • Dal primo momento in cui ti ho vista, ho capito che avresti fatto la differenza nella mia vita – deglutì, nervosamente -  e mi sono innamorato di te ogni giorno, tutti i giorni.
Ed aveva la gola secca. Sentiva le mani tremargli mentre infilava le dita in tasca. Il mondo intero li stava guardando.
  • La mia vita è come un romanzo a metà, il resto delle sue pagine sono ancora bianche.
Senza sapere se avrebbe retto all’emozione, si inginocchiò, uscendo da qualsiasi schema lo riguardasse. Nessuno avrebbe mai pensato che le avrebbe chiesto di sposarlo durante un concerto, non aveva mai avuto la minima intenzione di farlo, chi sa cosa gli era passato per la mente. Tuttavia, si era appena inginocchiato e nonostante fosse stanco morto, con le dita tremanti per lo sforzo, non avrebbe voluto essere da nessun’altra parte se non lì. Rise, strizzando gli occhi quando la vide portarsi le mani al viso, improvvisamente consapevole di cosa stesse accadendo. Si passò una mano tra i capelli, cercando di trattenersi lì, invece di alzarsi e abbracciarla. Prese fiato, cercando di mantenere il controllo, invano. La voce gli tremava.
  • Vuoi… - e rise ancora, sentendo la platea strepitare. – Vuoi scriverle con me?
Prese lo scatolino che aveva in tasca e lo aprì. La vide piegarsi in due, reagendo istintivamente all’emozione. Era ansioso di ascoltare la sua risposta, nonostante lei stesse già per piangere.
Sara non si aspettava certo quello. Non si aspettava che Ed si inginocchiasse davanti a lei con un anello. Le mancavano il respiro e le parole per rispondere e lui aveva lo sguardo pieno d’attesa. Le formicolavano le gambe, credette di svenire, ma sì, sì, sì. Riuscì soltanto ad annuire e ad allargare le braccia per accoglierlo nel suo abbraccio.
Ed la sollevò da terra, senza controllo, sentendola piangere tra le sue braccia.
Presto Sara sarebbe stata sua moglie e lui non vedeva l’ora di essere suo marito ed amarla e onorarla finchè la morte non li avesse separati.
La foto del loro bacio su quel palco, era sulle prime pagine di mezzo mondo.



Angolo autrice:

Ok, ragazzi, ci siamo. Eccoci al penultimo capitolo.
Lo so, è un po' scontato e prevedibile e forse un po' deludente, ma eccolo.
Ci vediamo prestissimo per l'ultimo capitolo. :)
https://www.youtube.com/watch?v=7PaUCcIPeCM

 
  
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