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Autore: _Blanca_    22/05/2015    4 recensioni
| Assassin's Creed III | ● | Connor Kenway × Nuovo Personaggio | ● | storia in stand by |
1769. Colonia di Massachusetts Bay. Cecilia ha quattordici anni quando viene derubata di un'esistenza semplice e benestante. Rimasta sola in un mondo che si prepara alla rivoluzione e alla guerra, la ragazzina diventerà donna. E la donna scoprirà le difficoltà della vita e dell'amore.
"A Davenport Manor non si ricevevano mai visite. Così, quel tardo pomeriggio d'autunno, Cecilia, china sul focolare, quasi trasalì udendo un irruente bussare all'ingresso. Lasciò gli avanzi del pranzo a riscaldare nel caldaio, appeso sul fuoco, e attraversò di corsa la cucina: era l'ora del tramonto e rettangoli di luce si stiracchiavano pigramente sopra i porosi mattoni color tabacco del pavimento. [...] Nel buio salone da pranzo, [Cecilia] scostò qualche centimetro dei pesanti tendaggi verdi, odorosi di polvere e legna bruciata, e spiò oltre i pannelli di vetro della finestra. Era stata una giornata fresca e serena, ma nel fremere degli aceri gialli c'era un sentore di pioggia in arrivo. L'indesiderato visitatore era ancora davanti alla porta. [...] Era un nativo."
Genere: Generale, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Kenway, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Cap 13











XVI. Guai a Wheeler's Inn












Wheeler's Inn. Due miglia da Braintree. 6 settembre 1774


Cecilia vide il tronco crollato sbarrarle la strada, ma non rallentò la corsa. Al momento giusto, scivolò sotto l'ostacolo. Gettò le gambe in avanti — gli stivali scavarono un solco tra fogliame e terriccio — e tornò in piedi, riprendendo a correre. Poco più avanti, sfruttò una piatta sporgenza di roccia per spiccare un balzo e raggiungere la biforcazione al centro di un albero.
Lì si fermò. In piedi, premendo i palmi contro la corteccia.
Guardò davanti a sé, oltre le ultime colonne di alberi. Dall'altra parte della strada deserta, una lieve altura, punteggiata di betulle, candide e slanciate, ospitava un edificio, a due piani, di mattoni rossi: la locanda della famiglia Wheeler. Uno dei lati più corti della locanda si allungava in una costruzione più bassa e coperta da un tetto spiovente; botti e grosse casse stavano addossate contro il muro: doveva essere un magazzino. Ma in quel soleggiato e ventoso pomeriggio, non un filo di fumo si levava dai comignoli di pietra e né c'erano cavalli legati davanti alla locanda.
Cecilia saltò giù dall'albero atterrando, come le era stato insegnato, con la dolcezza necessaria ad attutire la caduta: ginocchia piegate, busto raccolto verso le gambe, le mani sul terreno. Era stanca, ma soddisfatta. Aveva raggiunto la locanda correndo tra la vegetazione, invece di percorrere la strada. Alberi e rocce, trasformati in un percorso a ostacoli, l'avevano lasciata con il respiro corto in cambio di qualcosa di simile al senso di libertà abbandonato alla tenuta.  La futura costellazione di lividi sulle braccia e sulla gambe non la preoccupava ― quattro volte era caduta, due erano state tanto dolorose da costringerla a fermarsi. La preoccupava, invece, l'aver constatato quanto i mesi di semi-immobilità ― le passeggiate e le corse dietro ai bambini erano state il massimo del moto ― avessero reso i muscoli meno pronti e i polmoni meno resistenti di quel che ricordasse.
Cecilia tamponò la fronte sudata con la manica della giacca, promettendo di concedersi più spesso uscite simili.
Dopotutto, era stato facile ottenere il permesso di lasciare la fattoria.
Il clima aveva giocato a suo favore: il vento, sceso dal nord, aveva trasportato frescura e nuvole. E le nuvole avevano benedetto i tre giorni precedenti con  brevi temporali ristoratori.
Fondamentale, però, era stato il desiderio della signora Adams di spedire una nuova lettera. Per quasi tutta l'estate, la fattoria era rimasta isolata  e consegnare la lettera alla locanda era il solo modo di assicurarsi che il messaggio iniziasse il suo viaggio verso Philandephia. Anche Cecilia aveva una lettera da spedire e Sally era ansiosa di far avere sue notizie al caro signor Wheeler.
«Prendi un cavallo» le aveva proposto la signora Adams. Cecilia aveva risposto che preferiva camminare. «Non sarà pericoloso, tutta quella strada da sola? E se incontri i briganti?» era intervenuta Sally. Sarebbe stata cauta, aveva assicurato Cecilia. Poi, davanti all'animata perplessità della domestica per la particolarità degli abiti da viaggio ― «Ti si vedono le gambe!» ― si era limitata a un incontestabile: «Si vedono perché ce le ho, le gambe.» Pochi minuti dopo, era uscita di casa, con la daga al fianco e le lettere nella tasca interna della giacca da cavallerizza.

* * *

Il vento costringeva l'insegna della locanda a sbatacchiare come una campana, cigolando come un vecchia ruota. Ma l'attenzione di Cecilia venne catturata da altro: perché la porta d'ingresso era socchiusa e dall'interno non giungeva alcun suono?  Non una voce. Non un passo. Cecilia, per un istante, contemplò l'assurda ipotesi che la locanda fosse abbandonata. Tese l'orecchio: il  sibilo del vento, i fischi delle cinciallegre dal cappuccio nero e, di tanto in tanto, lo sgraziato gracchiare di qualche volatile.
«No! Vi prego! Basta!»
Cecilia sobbalzò.
Una voce di donna era esplosa nel silenzio, con la stessa inaspettata violenza di un colpo di pistola. La fonte era vicina, ma non arrivava dall'interno, perché Cecilia l'aveva udita riverberare nell'aria.
La decisione fu immediata.
La ragazza corse fino alle casse, addossate al muro del magazzino. Vi salì sopra e si aggrappò alla sporgenza del tetto, puntellando i piedi tra le irregolarità dei mattoni. Risalì la lieve pendenza, tenendosi bassa con il busto. Veloce e silenziosa come un ragnetto, trovando appoggio negli infissi di una finestra dalla imposte aperte e pitturate di bianco, scalò il muro del piano successivo. Di nuovo, si aggrappò alla sporgenza offerta dal tetto. Con una spinta delle braccia, fu sul tetto della locanda: il punto più sollevato della  zona.
Non ci fu bisogno di aguzzare lo sguardo.
La voce la guidò.
«Così lo ammazzerete!»
Attenta a non inciampare nelle tegole, Cecilia percorse il pendio del tetto che si affacciava sul retro dell'edificio. Si acquattò sul bordo e guardò giù.
La porta sul retro della locanda era spalancata. E la donna era, in realtà, solo una ragazzina. Stava inginocchiata a terra, tra i sassi e la polvere del cortile: uno spiazzo deserto tra la locanda e una costruzione che Cecilia riconobbe come una stalla. Un soldato inglese ― la lunga giubba scarlatta non lasciava spazio a dubbi ― teneva ferma la ragazzina, costringendole il braccio in una posizione dall'aria dolorosa. Lo affiancava un altro soldato, con il moschetto in spalla.
La ragazzina non gridava per sé. Chiedeva pietà per la figura raggomitolata a terra.
Tre soldati avevano accerchiato un uomo. Tutti insieme, senza sosta, sferravano calci e colpivano con il manico dei moschetti, con rumore di carne sbattuta sul bancone di un macellaio.
In un'ondata di orrore Cecilia comprese che l'uomo a terra era Josiah Wheeler.
Un sesto soldato ― forse un ufficiale: aveva delle mostrine dorate sulle spalle e, al posto del tricorno, un alto copricapo coperto di piume ― con le braccia dietro la schiena, la spada a un fianco e il lucido manico di una pistola dall'altro, sembrava in soddisfatta contemplazione dell'operato dei sottoposti.
Il terrore di Cecilia non fu dissimile da quello che, tanto tempo prima, aveva provato nei boschi del tenuta, alla mercé di un lupo affamato. Braccia e gambe si fecero pesanti come pietra, il respiro si congelò nel petto e i polmoni iniziarono a bruciare.
Dal signor Wheeler si levò un gemito spezzato che pareva dover essere il suo ultimo respiro.
«Basta!» gridò la ragazzina, in lacrime.
E Cecilia si riscosse: il bruciore si era risolto in un'implosione di rabbia.
La mano destra scattò verso l'impugnatura della daga, ma le dita si bloccarono al primo contatto con la liscia pietra. Sei soldati. Sei uomini avvezzi al combattimento, armati di moschetti, spade e pistole. Anche con quello che le aveva insegnato Connor, affrontarli tutti insieme sarebbe stato una sentenza di  morte. 
I muscoli ancora caldi, il cuore che pompava veloce come dopo una corsa forsennata, Cecilia si voltò per risalire la pendenza, a passi rapidissimi ma leggeri. Balzò sul magazzino e dal magazzino alle casse, fino a rimettere i piedi a terra.
E dietro alle casse restò nascosta, sporgendosi il minimo indispensabile per controllare oltre l'angolo, prima di portare pollice e indice tra le labbra.
Fischiò forte. Fischiò tre volte.
L'ultimo fischio si spense e vi fu un interminabile attimo di silenzio. Cecilia temette di essere sul punto di vomitare il suo stesso cuore, mentre il sudore le incollava la camicia alla schiena e la mano faceva scivolare la daga fuori dal fodero. Era terrorizzata dalla possibilità di non possedere il coraggio necessario per usare davvero l'arma su di una persona. Non ci pensare, si scongiurò. Agisci. Con un movimento del polso, roteo l'arma, ritrovandosi con la punta verso l'alto.
Un debole scricchiolio di sassi e l'ombra sul terreno a tradirono l'avvicinarsi di un soldato.
Cecilia si ritirò dietro la cassa, pronta a scattare a tradimento, come un serpente nascosto sotto una pietra.
Il soldato, moschetto in spalla, sbucò oltre l'angolo.
Lei lo vide prima che lui si accorgesse di lei.
L'uomo aveva superato la cassa di un passo appena quando la lama della daga affondò tra i suoi reni. Si udì un suono, come di stoffa strappata. L'uomo inarcò la schiena, ma non urlò: il dolore inaspettato doveva avergli sottratto il fiato. Cecilia, che aveva spinto metà della lama nella carne, spinse ancora di più, ruotando l'impugnatura. Avvertì il soldato barcollare. Lesta, lo afferrò il retro del colletto della giubba, ritirò la lama e assecondò la caduta, facendo stendere il corpo, in preda agli spasmi, dietro la cassa.
Non le fu concesso tempo di rendersi conto delle sue azioni.
«Ohi! Fermo!»
Un secondo soldato aveva appena girato l'angolo.
Cecilia agì d'istinto.
Un passo di lato la salvò dall'affondo della baionettata. Chiuse la mano libera sulla canna del moschetto e con una spinta mantenne l'arma lontano da sé per l'attimo necessario a sferrare un calcio al ginocchio del soldato. Con uno scricchiolio preoccupante, l'uomo si piegò sulle gambe, mentre Cecilia sollevava l'altra mano, stretta attorno all'impugnatura del daga, mirando alla tempia, sostenuta da ogni piccola goccia di furiosa energia concentrata nel suo corpo. 
L'impatto avvenne e fu doloroso per entrambi. Cecilia dovette mordersi le labbra per trattenere un acuto gemito e il soldato, intontito dal colpo, impossibilitato a reggersi saldamente su entrambe le gambe, oscillò di lato e batté la testa contro il bordo della cassa. Il tricorno ruzzolò via e l'uomo stramazzò sulla schiena. Cecilia, con il braccio indolenzito, rinfoderò la daga. Pestò senza pietà tra le gambe del soldato. Quello guaii e lei riuscì a strappargli via il moschetto. Un sibilo e poi un tonfo soffocato: Cecilia aveva piantato la baionetta tra le viscere del soldato.
Ma il trambusto era stato troppo.
Un terzo soldato corse sul posto in quell'esatto momento.
Colpendo la canna dell'inglese con quella del moschetto rubato, con un schianto secco, come di un ramo spezzato, Cecilia riuscì a deviare l'arma nemica di lato e verso il basso. L'istante successivo, la baionetta, già sporca di sangue, si stava conficcando nell'inguine del soldato.
Il soldato lasciò la propria arma, per stringere le mani sulla canna. Un rivolo di sangue scuro gli sfuggì dalle labbra, mentre fissava Cecilia con occhi increduli e insieme terrorizzati. E Cecilia, orrificata, avvertendo un rigurgito salirle alla bocca, tirò via la lama. Una chiazza vermiglia si allargò sulle braghe del soldato, che finì prima in ginocchio e poi bocconi, mentre Cecilia arretrava di scatto di tre passi.
Un dolore indicibile alla schiena le succhiò via il fiato dai polmoni.
Boccheggiò. Il moschetto le cadde di mano. Al secondo colpo ― un pugno alla bocca dello stomaco ― crollò piegata su se stessa, una guancia premuta tra l'erba e gli occhi socchiusi. Si sentì sul punto di soffocare. Non sentiva più aria nel petto e il dolore dallo stomaco si espanse a tutto il corpo, ingabbiando ogni singolo muscolo.
Il tacco di un stivale nero premette sulla sua spalla con la violenza riservata alla carcassa di bestia. Cecilia rotolò sulla schiena. Sbatté le palpebre. Trovò la punta di spada alla gola. Era stato l'ufficiale a colpirla. Prima alle spalle, poi allo stomaco. L'uomo ora la scrutava dall'alto, truce, ma più sorpreso che minaccioso. «Una donna?» mormorò.
«Signore...»  disse una seconda voce maschile, «sono morti!»

* * *

Cecilia venne costretta a inginocchiarsi sulla breccia e non sarebbe riuscita a tenere la schiena dritta se uno dei soldati non le avesse stretto una mano sulla spalla. L'avevano trascinata sul retro della locanda, legato i polsi e sottratto la daga. Davanti a lei, l'ufficiale stava esaminando l'arma. Senza dire nulla, la gettò via, come fosse stata un torsolo di mela. La daga cadde a una ventina di passi di distanza, rimbalzando sui sassi con un fiacco rumore metallico. 
Il signor Wheeler e la ragazzina erano rimasti sotto l'occhio vigile dell'ultimo soldato. Josiah giaceva ancora a terra, immobile e con gli occhi chiusi. Era svenuto, forse. Cecilia non osò pensare al peggio. La ragazzina, stravolta dal pianto, stava piegata su di lui.
«Chi sei?»
L'ufficiale interrogò Cecilia e Cecilia, senza rispondere, lo guardò dritto in volto. L'inglese dimostrava una trentina di anni increspati su un viso dall'espressione irosa e spazientita. Aveva la mascella larga e del sangue rappreso a un angolo della bocca.
«Chi è questa donna?»
L'ufficiale si rivolse alla ragazzina.
Quella trasalì. «Non... non lo so...»
«Dimmi chi è!»
«Non lo so! Lo giuro! Non l'ho mai vista prima!» singhiozzò.
«Dice la verità» intervenne Cecilia. La parole vennero esalate a fatica, ma con fermezza.
L'ufficiale tornò su di lei. La squadrò per un lungo momento. «Bugiarda» decretò. «Siete entrambe complici di quest'uomo.» Le sue parole era appesantite dall'odioso accento inglese.
Cecilia non aveva la più pallida di cosa l'ufficiale stesse dicendo. Mi impiccheranno. Solo questo le attraversò la mente. La consapevolezza fu come una ferita che si fa notare prima per il sangue e solo dopo, molto dopo, per il dolore. Non pensò a chi avrebbe lasciato in questo mondo o a cosa non avrebbe mai avuto la possibilità di vivere. Guardò la ragazzina: terrorizzata e tremante, lo sguardo basso e il viso arrossato, una patetica incarnazione della paura. Allora, tutto ciò a cui riuscì a pensare fu alle innumerevoli volte in cui lei non aveva saputo far altro che ubbidire e abbassare lo sguardo. Se solo, si disse, avesse vissuto con maggiore coraggio, con maggiore scaltrezza, con più determinazione, forse la vita non l'avrebbe condotta a una forca alla vigilia dei sui diciotto anni.
L'ufficiale portò le mani dietro la schiena. Ispirò rumorosamente dal naso e la sua voce acquistò il tono di annoiato annuncio. «Josiah Wheeler, e sua sorella Elizabeth Wheeler, sono colpevoli del reato di contrabbando di armi e polvere da sparo. Quattro casse di moschetti sono state trovate all'interno della loro locanda. Ed è chiaro che le armi siano destinate alla milizia, in aperta trasgressione alle ordinanze del Governatore. Un reato che verrà punito con l'arresto―»
«E questo vi dà il diritto di accanirvi in tre su un uomo disarmato?»
«Ha fatto resistenza. Ha osato attaccarmi» disse l'ufficiale, spicciolo. Portò la mano inguantata di nero al fianco. «In quanto all'omicidio volontario di tre soldati dell'Esercito di Sua Maestà, la punizione è... la morte.» Estrasse la pistola. «Inutile un processo per chi è colto sul fatto.»
Puntò la pistola alla fronte di Cecilia.
Lei fissò la stretta e tonda bocca nera. La divorò un tremito di paura, ma non trasalì. Non implorò. Non disse nulla. Abbassò le palpebre e attese.











Angolo Autrice.
Vediamo finalmente una Cecilia costretta a ricorrere alle sue acerbe capacità di lotta. Sì, è andata male. Molto male. Ed è proprio per questo che è stato un capitolo divertente da scrivere. Se chi sta leggendo questa fan fiction, come immagino, conosce bene le tematiche del videogioco, ha giocato o letto i libri, spero non troverà nella descrizione dello scontro niente di particolarmente trucolento, per gli standard di Assassin's Creed. Per sicurezza, ho alzato il rating della storia ad arancione e aggiunto l'avvertimento violenza nelle note introduttive. 
Sappiamo che Connor è l'Assassino con lo stile di combattimento più brutale, cosa anche legata al suo background nativo americano (i nativi erano effettivamente abbastanza violenti nelle tecniche di combattimento, non avevano certo l'eleganza di uno spadaccino europeo). Nella fanfiction, sappiamo che Cecilia ha trascorso più di due anni ad assorbire lo stesso tipo di approccio allo scontro. Da qui, la sua rozza 'tecnica', che consiste nel colpire a tradimento e nei punti più deboli.
Fatto questo breve appunto, rinnovo i ringraziamenti ai miei recensori e/o lettori silenziosi – che, ho visto, nelle ultime settimane essere aumentati!

   
 
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