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Autore: Arlie_S    24/05/2015    3 recensioni
[PREQUEL AMBIENTATO CIRCA 14 ANNI PRIMA DELL'INIZIO DI DIVERGENT]
Cosa è successo, prima degli eventi che tutti conosciamo, nella vita di Eric per farlo diventare quello che ritroviamo in Divergent? Cosa l'ha portato ad essere il ragazzo freddo e incapace di relazionarsi agli altri?
In questa breve fic, ho cercato di dare la mia personale visione dei fatti.
I personaggi sono i soliti, con qualche new entry, della mia long "Braveheart", solo che qualcuno si è un po'...ristretto!
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[Cap.1]
Calmati. Conta fino a dieci: uno, due, tre..
Meglio se arrivo a cento.
- Come prego? – chiese freddamente, fingendo di non aver capito.
- È talmente agitato e incostante, signora, che non so davvero come farà! Ed io difficilmente mi sbaglio sui bambini di cui mi occupo - le disse in tono confidenziale. Molto bene; quella era sicuramente, da un punto di vista di ricerca, la frase che comprovava la sua teoria: quella donna era un’idiota.
- Lo diceva anche della figlia del dottor Evenson, il primario. – le fece notare, cercando di contare fino a cento prima di dire o fare qualcosa di cui sicuramente non si sarebbe pentita, ma che avrebbe potuto crearle non pochi problemi.
Genere: Commedia, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Eric, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Avviso: ho rivisto il primo capitolo, aggiungendo dettagli e sistemando i dialoghi perché mi sono resa conto di alcune imprecisioni che mi erano sfuggite. Vi consiglio di rileggerlo, appena avete un minuto! J

 

 

Capitolo 2

 

 

 

- Vieni! – disse William battendo la mano sul libro aperto davanti a sé, e guardando ostinatamente il fratello, il cipiglio inquietantemente simile a quello della madre.

Eric gli rivolse un’occhiata poco convinta.

No, decisamente non gli andava di sentire le “spiegazioni” di Will, che poteva tranquillamente durare tutto il pomeriggio a parlare di qualsiasi cosa senza chiudere la bocca nemmeno per un secondo. Lui voleva andarsene a casa, non gli piaceva nemmeno un po’ quel posto.

Eric deglutì, rendendosi conto del tacito accordo che aveva con il fratello: William prima si era prestato a giocare con lui, a scorrazzare per la stanza e fare la lotta anche se non gli piaceva molto. Ora toccava a lui assecondare il fratello, che gli piacesse o no.

Fece alcuni passi incerti verso l’altro, guardandolo quasi implorante, ma l’unica cosa che ottenne fu un’occhiata insistente.

- ‘Kay.. – borbottò, mettendosi accanto a William a gambe incrociate e tenendo uniti i piedi con le mani. Si dondolò un po’ sul posto, ancora indeciso sul darsi alla fuga o meno, ma vedendo l’espressione dell’altro decise che avrebbe resistito. La mamma sarebbe venuta a prenderli quando i primi due numerini del suo orologio fossero stati uno e sei. In quel momento erano uno e due, e tra poco sarebbero andati a fare il pisolino pomeridiano. Poteva farcela.

Dall’altra parte della stanza, seduta alla scrivania posta sotto la mensola che faceva tutt’uno con la parete mobile in legno chiaro dello spazio bimbi, Lilian Davis, coniugata in Lovelace, guardava in due bambini con sospetto.

Erano stati fin troppo tranquilli quel giorno, e la cosa non le piaceva granché; in genere, quando erano così… mansueti, si preparavano per combinare un disastro epico verso l’ora di chiusura, ed era meglio non perderli d’occhio. Soprattutto Eric, agitato e bizzoso com’era. Davvero non sapeva come facesse la madre a sopportarlo.

Cuore di mamma.

Da quando le aveva tirato quella pedata, che aveva ovviamente fatto notare alla madre insieme al resto delle malefatte che aveva omesso fino a quel momento, erano già passate un paio di settimane e il piccolo mostro era stato insolitamente cupo e tranquillo; uno strano connubio di stati d’animo che l’aveva reso, per sua grande gioia, anche silenzioso e meno incline e tormentarla.

Almeno per il momento.

Girò il polso per controllare l’orologio, mentre con l’indice dell’altra mano si spingeva sul naso gli occhiali ovali. A momenti avrebbe portato i bambini a riposare, e avrebbe finalmente avuto un paio d’ore di pace. Non che non le piacessero i bambini, o sarebbe andata a fare altro, ma alle volte, soprattutto con bambini come il piccolo Turner faceva veramente fatica ad essere paziente.

In quel momento, fece il suo ingresso il dottor Green. Era un uomo sulla quarantina, dai capelli color paglia e gli occhi chiari che, quando non lavorava agli ambulatori come pediatra, si prestava volentieri a guardarle i bambini che non dormivano durante l’orario pomeridiano. Lei aveva perso ogni speranza di convincere un ristretto gruppo di bambini testoni a dormire… e aveva risolto il problema con una supplenza di un paio d’ore, dato che fare su e giù non era proponibile.

- Buon pomeriggio, Lilian. – la salutò affabilmente, avvicinandosi al cancellino d’entrata.

- Buon pomeriggio, dottor Green! Tra un momento porto i bambini a dormire nell’altra stanza, mi dia solo un secondo! –rispose, parlando più velocemente del dovuto e alzandosi per rivolgersi ai bambini, impegnati a giocare, chiacchierare o semplicemente, in particolare i più piccoli, a sonnecchiare sul posto.

- Bambini, è l’ora del riposino… - iniziò. Alcuni bambini si alzarono subito, come se non vedessero l’ora di sentire quelle parole, mentre altri non sembravano troppo convinti sul da farsi. – Tu Eric che fai? – chiese, guardando i bambino da sopra gli occhiali. Il fratello era già in piedi, l’ennesimo libro sotto braccio. Probabilmente lo usava al posto del pupazzo.

- Allora? – insisté in tono scocciato e sbrigativo, non ricevendo risposta.

Eric fece un cenno di diniego non troppo convinto, ma colse comunque l’occasione per sfuggire al fratellino, che lo guardò imbronciato andare via, passando lo sguardo da Eric al libro.

Mentre guardava immusonito un punto imprecisato poco più avanti, dove poco prima era transitato il fratello, gli scappò uno sbadiglio. Camminando frettolosamente la raggiunse all’uscita mentre nella stanza rimanevano Eric, il signor Green e altri tre bambini.

 

 

 

 

 

 

 

 

- No! – gridò ostinatamente per l’ennesima volta il bambino, strattonando con forza il braccio dalla mano della signora Lovelace e guardandola corrucciato.

- Via, Eric non fare i capricci! – disse, facendo un passo avanti e incombendo su di lui. Eric non sembrò minimamente intimorito dalla figura che torreggiava su di lei, e in tutta risposta batté con forza un piede a terra. - Voglio proprio vedere se farai così anche quando arriverà tua madre! – lo minacciò, ammonendolo con un dito.

Nonostante l’espressione severa e arrabbiata della donna, Eric si limitò a incrociare le braccia davanti a sé e a lanciarle uno sguardo di sfida, che cozzava in modo singolare con i tratti ancora rotondeggianti e infantili del bambino.

- Mi ha fatto chiamare? –

Lilian si voltò, e vide entrare a passo svelto la madre del piccolo mostro che aveva battuto i piedi per le ultime due ore, schiamazzando e facendo i dispetti a tutti coloro che gli erano capitati a tiro, fratello incluso, anche se William non si era scomposto e l’aveva lasciato pazientemente fare.

Elizabeth si fermò oltre il cancellino di legno e la squadrò dalla testa ai piedi, con aria scettica: aveva i capelli scarruffati, e qualche ciuffo sembrava essere sfuggito all’acconciatura severa che portava in genere; gli occhiali ovali, le erano scivolati quasi sulla punta del naso, e sembrava aver lotteggiato fino a quel momento, dato lo stato scombinato dei suoi vestiti.

Cercò di guardarla educatamente come a chiederle come mai l’avesse chiamata strepitando come una gallina, anche se temeva di sapere già la risposta. Le era bastato vedere il numero dello Spazio Bimbi per avere già un quadro piuttosto completo della situazione.

- Certo, come al solito! Questo… - respirò pesantemente, come se stesse cercando di riprendere il controllo della situazione, passandosi le mani ai lati della testa per portarsi indietro i capelli.

- Suo figlio – ricominciò, in tono più fermo e duro. – non mi chieda per quale assurda ragione, non vuole muoversi da lì. Ho provato a prenderlo in braccio ma, come vede, non è stato molto d’accordo e mi ha anche strattonato i vestiti! – terminò in tono vagamente isterico.

Elizabeth si passò una mano sul viso, stanca. Quando era stata chiamata, come al solito, sapeva già cosa le sarebbe stato riferito e di quale dei due bambini si trattasse. Eppure, in quell’ultimo periodo più che mai, durante il quale non aveva avuto un solo momento di riposo, quelle scenate di Eric le pesava più del solito.

- Ha capito?! – strepitò nuovamente la signora Lovelace.

Ma non chiudeva mai quella boccaccia?

- Certo, non sono mica sorda. – ribatté lapidaria, facendo scivolare la mano che aveva sugli occhi, lungo il fianco e guardando sconsolata il bambino, che gli rimandò un’occhiata cupa e corrucciata.

Si avviò in direzione del figlio, decisa a tornarsene a casa il prima possibile. Non aveva nessuna voglia di discutere, ed era ormai al limite dell’esasperazione: badare a due bambini piccoli, alla casa ed avere quei turni massacranti non era semplice, anche se doveva riconoscere che sarebbe stato anche peggio senza suo marito che l’aiutava.

- Avanti Eric, andiamo a casa. – lo incitò quando fu a un passo da lui, facendogli cenno di perderle la mano.

Per tutta risposta il bambino scosse la testa e batté un piede per terra. – No! – gridò con vemenza, stringendo i pugni lungo i fianchi.

Inspirò profondamente, cercando un modo per non perdere la poca pazienza che le era rimasta.

- Stammi a sentire, Eric: sono già abbastanza stanca, quindi non fare i capricci e comportati per bene. – gli disse sbrigativamente, piegandosi sui talloni per raggiungere la sua altezza.

Eric rincrociò le braccia davanti a sé, scuotendo la testa e piantandosi esattamente dov’era.

Poteva mettere al mondo un bambino più ostinato?

Si risolleverò in piedi, le gambe doloranti per aver corso da una parte all’altra dell’ospedale per quasi ventiquattr’ore, mentre il bambino le lanciava uno sguardo temerario dal suo metro scarso d’altezza.

No, probabilmente no.

Esasperata, si piegò un po’ per afferrarlo per un braccio e tirarlo verso l’uscita, ma Eric strattonò con forza il braccio dalla presa della madre emettendo un verso contrariato a metà tra un “no” e un mugolio di protesta.

Spazientita, Elizabeth lo riagguantò dal gomito, la presa un po’ più salda, e lo tirò vicino a sé per prenderlo in braccio e portarlo di peso verso l’uscita. Nel momento in cui Eric si sentì sollevare dal pavimento, iniziò a scalciare e premere le mani sulle spalle della madre per allontanarla, gridando e dimenandosi.

Elizabeth, ormai prossima a perdere definitivamente la pazienza, cercò di tenerlo fermo nonostante il figlio non sembrasse minimamente intenzionato a collaborare. Mentre lotteggiavano, Eric le strinse la giacchetta agguantando anche alcuni capelli, e tirò strappandoglieli.

Complice la fitta alla testa e la stanchezza, Elizabeth perse definitivamente la pazienza; posò bruscamente il figlio a terra e gli tirò due sculaccioni mentre lo teneva fermo per un braccio.

Quando ebbe finito seguirono alcuni secondi di silenzio, durante i quali si risistemò la giacca e si rilegò i capelli, mentre il bambino la guardava dal basso con gli occhi lucidi e pieni di risentimento per la sculacciata appena ricevuta.

- Avanti, muoviti. – ordinò duramente, mentre prendeva senza troppa cura la mano del bambino e lo trascinava fuori, dove lì stava aspettando, con l’immancabile libricino sulle gambe, William.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Intercettò la moglie che scendeva rapidamente le scale dalla reception del terzo piano. Non sembrava particolarmente allegra, anzi; sembrava piuttosto arrabbiata, e dall’occhiata di rimprovero che lanciò a quello che era senza dubbio Eric, ne comprese all’istante anche il perché.

- Elizabeth? – la chiamò, camminando a passo svelto verso di lei.

La moglie si fermò, senza lasciare il polso di Eric, che cercava di strattonarsi dalla presa della madre senza tuttavia riuscirci.

- Che è successo? – chiese dopo lungo momento di silenzio.

Sua moglie sembrava sul punto di avere una crisi di nervi o una crisi isterica, che dir si voglia. La capiva, era stanco e stressato anche lui, ma non avrebbe volto essere presente all’esplosione per niente al mondo.

- Eric si è guadagnato una bella sculacciata – lo informò, la voce fin troppo controllata.

In quello stesso momento, William si allontanò dirigendosi verso le sedie stipate ai lati del corridoio asettico. Eric fece per seguirlo quasi istantaneamente, ma la madre glielo impedì, rafforzando un po’ la presa sul figlio, che si lasciò scivolare a terra ciondolando imbronciato.

C’era qualcosa che ancora non gli tornava, nel modo in cui si comportava Eric: era dispettoso, confusionario e sicuramente poco ubbidiente… ma non era mai stato un bambino bizzoso, o che batteva i piedi per terra quando voleva qualcosa.

La guardò sorpreso, corrugando le sopracciglia. - Addirittura? –

Era piuttosto strano: in genere Elizabeth sbraitava e dava di matto, ma non alzava mai le mani sui bambini. Preferiva di gran lunga metterli in punizione o sgridarli per poi “riappacificarsi”, anche perché sapeva che poi si sentiva in colpa, con loro.  

Forse era più esasperata di quanto desse a vedere; nelle ultime due settimane, un’epidemia d’influenza aveva praticamente decimato il personale medico, e loro si erano visti sommersi di straordinari per coprire le ore dei colleghi a casa per malattia. Ed avere due bambini piccoli da gestire non era assolutamente una cosa semplice… soprattutto se si mettevano anche a rotolarsi per terra dopo un doppio turno di lavoro.

- Alzati da terra! – intimò la moglie guardando verso Eric, che nel frattempo si dondolava dal braccio che gli teneva la madre con fare annoiato, lo sguardo concentrato sul fratello.

- Eric, non ne posso più! Ora, o ti alzi o… -iniziò la voce tremante per la rabbia che cercava di nascondere.

Aveva già capito come sarebbe evoluta la cosa, e conoscendo la moglie era meglio correre immediatamente ai ripari.

Si piegò sui talloni, le braccia appoggiate sulle ginocchia, e guardò severamente il figlio. Poi, prima che la moglie potesse proferire parola, infilò le mani sotto le braccia del bambino e lo mise in piedi; si prese tutto il tempo per spolverargli il dietro dei pantaloni e sistemargli la felpa sulle spalle.

Eric guardava immusonito per terra, e Thomas avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere cosa gli passava per quella testolina mora e scarruffata dai capricci che aveva fatto fino a quel momento.

- Vai a sederti due minuti con tuo fratello, che parlo un attimo con la mamma? – chiese al bambino, indicandogli la sedia accanto a quella di William e porgendogli lo zainetto. Difficilmente alzava la voce con i bambini, al contrario della moglie, ma entrambi sapevano sempre quando la sua pazienza era in procinto di finire e arrivava il momento di ubbidire senza discussioni.

Eric non protestò; si mise lo zainetto in spalla e raggiunse il fratello, arrampicandosi sulla sedia alla sinistra di quella di William.

Mentre si alzava da terra, incrociò lo sguardo esasperato della moglie: urgevano tre giorni di ferie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Ah, quindi ora sarebbe colpa mia?! Sono io quella esaurita? – gli strillò contro, stringendo i pugni e guardandolo furente.

Si passò entrambe le mani tra i capelli, cercando di mantenere la calma che lo contraddistingueva e non peggiorare la situazione.

Il viaggio di ritorno verso caso era stato silenzioso e teso; sua moglie non aveva gradito il suo intervento con Eric e il fatto che le avesse semplicemente fatto notare che, forse, ma proprio forse, non era solo colpa del bambino, ma era anche lei ad essere arrivata al limite.

Non l’avesse mai fatto.

Ogni tanto si chiedeva ancora cosa diavolo gli era passato per la testa, dieci anni prima, quando aveva chiesto a Elizabeth Lawrence di sposarlo. E aveva pure preparato tutti nei minimi dettagli, con candele, cena, anello ed entusiasmo... e si era addirittura messo in ginocchio al momento di farle la fatidica domanda. Strano che non gli fosse arrivata una pedata nei denti, a quel punto. Doveva essere ubriaco, o aver assunto qualche sostanza psicotropa, dell’LSD, o qualcosa di simile. Eppure non aveva mai fatto uso di droghe... al massimo fumava una sigaretta ogni tanto. Forse era stata sua madre a mettergli qualcosa nel piatto, per togliersi di torno definitivamente sia lui che Elizabeth. Essere giovane, stupido e innamorato non gli sembrava una scusa abbastanza convincente. Gli sembrava piuttosto, in quel momento, che stessero apertamente sfidando le convenzionali norme che prevedevano una convivenza pacifica tra coniugi… e lui non aveva nessuna voglia di ripetere l’esperienza dell’ultima, epica, litigata durante la quale aveva seriamente temuto per la propria incolumità. Quasi come nel periodo in cui erano stati fidanzati.

- Mi stai ascoltando? – si sentì sibilare contro. Sua moglie era dall’altra parte del tavolo della cucina, in piedi e con i palmi delle mani appoggiate sulla superficie del tavolo coperto dalla tovaglia.

- Sì, Elizabeth. Consiglierei una visita da un bravo otorino a chiunque non ti avesse sentito da qui alla Recinzione. – rispose, stancatamene.

Pessima risposta. Ma dato che la frittata è fatta, tanto valeva proseguire con la discussione.

- Che detto tra noi, se anche tu cercassi di essere un po’ più tranquilla e di moderare il tuo temperamento, probabilmente lui non si sentirebbe autorizzato a battere i piedi per qualsiasi scemenza. –

Elizabeth era evidentemente furiosa, ed anche lui iniziava ad alterarsi seriamente. Uno, perché non sopportava di discutere in quel modo davanti ai figli, secondo, perché era impossibile andare d’accordo con sua moglie. Soprattutto quando faceva così, convinta di aver ragione, e non voleva sentire ragioni di sorta.

Nel frattempo William ed Eric, mentre finivano di mangiare, si rimbalzavano occhiate che andavano dal divertito al perplesso da una parte all’altra del tavolo, ridendo e tirandosi palline di pane che a turno mangiavano o rimandavano al mittente.

Eric aveva anche fatto una specie di barriera, e aveva ideato un prototipo di catapulta con una forchetta e un tappo in sughero.

- Smettetela immediatamente. – sibilò a entrambi Elizabeth. - Eric, posa all’istante quella mollica di pane e stai composto! –

Eric intanto aveva fatto a pezzi un paio di fette di pane, e si era rifornito di munizioni per colpire il fratello dall’altra parte del tavolo, che comunque non era da meno. Udendo il rimprovero alzò gli occhi sulla madre, in un’espressione fintamente innocente; come a chiedersi cosa ci fosse che non andava bene, nel lanciarsi palline di pane a tavola mentre loro due discutevano.

- Anche Will! – ribatté, incrociando le braccia e poggiandosi allo schienale immusonito.

Thomas guardò perplesso la moglie, mentre si metteva dietro il figlio, gli infilava le mani sotto le braccia e faceva per tirarlo su. Ovviamente, la collaborazione tendeva allo zero.

Eric, una volta seduto per bene, si lasciò riscivolare in giù, facendo ridere il fratello che tuttavia lanciò un’occhiata inquieta alla madre.

- Elizabeth, lasciali fare…. – tentò, raddrizzandosi sulla sedia. Era stanco e nervoso, e non aveva nessuna voglia di riiniziare una discussione sul comportamento dei bambini.

- Non dirmi che devo fare! Solo perché tu gli consenti qualsiasi cosa, non significa che debba farlo anch’io! –

- Come, scusa?! Ti senti quando parli? Hanno quattro anni, cosa vuoi che facciano? Che si comportino come adulti? Se è così, può… - iniziò, sentendo montare la rabbia tutta insieme.

- Non ho det.. – iniziò a gridargli contro la moglie che ora gli stava di fronte, in piedi.

Pazienza esaurita.

- Fammi parlare! – urlò, a sua volta, sbattendo una mano sul tavolo.

Regnò il silenzio per alcuni secondi, durante i quali si sentì addosso lo sguardo dei bambini, sorpresi. Difficilmente si arrabbiata, specie alla presenza dei figli e ancor più difficilmente ricorreva a mezzi prepotenti come sbattere una mano sul tavolo per farsi ascoltare dalla moglie.

Il primo suono a rompere il silenzio carico di tensione che si era creato, fu un mugolio proveniente dalla sua destra, dove sedeva Eric.

Si girò lentamente verso il figlio per chiedergli cos’altro ci fosse che non gli tornava ma quando lo guardò, sentì il senso di colpa crescergli nel petto.

Eric guardava il suo piatto con gli occhi lucidi e l’aria spaventata, mentre si tormentava le mani.

Girò la testa verso la moglie, leggendole sul viso la stessa espressione incredula che doveva avere lui.

Senza perdere un secondo si accovacciò accanto al bambino, e girò la sedia verso sé stesso, in modo da portelo guardare.

- Eric? Che c’è? – chiese, posandogli le mani sulle gambe e cercando di capire cosa gli fosse passato per la testa. Non gli piaceva per niente tutta quella suscettibilità del figlio, e non voleva nel modo più assoluto spaventarlo.

Il bambino si strofinò il pugno chiuso su un occhio, evitando accuratamente di guardarlo, e poi scoppiò a piangere. Di nuovo.

- Te e la mamma litigate per colpa mia… - mugolò, singhiozzando disperato.

- Ma no, tesoro… - iniziò, prendendolo in braccio e facendosi stringere le braccia intorno al collo.

- … perché sono cattivo! – insisté, piangendo contro il suo collo.

Gli massaggiò la schiena con la mano che non lo reggeva, a disagio. Lo stesso disagio di cui sembrava essere preda Elizabeth, che al posto del solito sguardo battagliero, aveva un’espressione colpevole e si mordeva nervosamente il labbro inferiore.

Si avviò verso il soggiorno, continuando a passargli la mano sulla schiena per cercare di consolarlo.

- Non è colpa tua Eric. – lo rassicurò, scostandoselo dal collo per guardarlo; Eric sembrava in preda a chissà cosa, mentre sviava lo sguardo del padre e continuava a torcersi le mani, i lacrimoni che gli rigavano il viso.

- No? – gli chiese incerto, mentre facevano il giro del salotto e tornavano indietro.

- No. Ti ricordi quando ti ho detto che la mamma è una *femmina? – gli sussurrò in un orecchio, in tono confidenziale.

Eric annuì gravemente. Era stato quasi un trauma, quando gli aveva spiegato che la mamma non era un maschio, e si ricordava che entrambi i bambini avevano guardato storto la moglie per giorni aspettandosi chissà che cosa.

- Ecco. Vedi alle femmine…. Alle donne, bisogna voler bene e ascoltarle, ma hanno il grosso difetto di voler sempre aver ragione, anche se qualche volta hanno torto. – gli spiegò, pazientemente, senza tuttavia risparmiarsi dallo scoccare un’occhiata eloquente alla moglie.

Ogni riferimento a persone o cose è del tutto casuale.

Eric lo ascoltava attentamente, il viso corrucciato e gli occhi lucidi.

- Il problema, è che quando pensano di aver ragione, non ascoltano mai. E allora bisogna alzare un po’ la voce. –

Ogni riferimento a Elizabeth Lawrence è puramente casuale.

Eric parve riflettere un attimo sulle parole del padre, che nel frattempo aveva rifatto il giro del salotto e si era ridiretto verso la cucina adiacente, separata solo da un muretto basso.

- Allora è colpa della mamma! – decretò alla fine, quasi rincuorato, guardando la madre come a dirgli “Visto?”.

Parve rabbuiarsi mentre lo sguardo gli si faceva nuovamente pensoso. – Però, non battere più la mano su tavolo.. – gli disse, in un filo di voce, mordicchiandosi l’interno delle guance.

Nonostante l’interdizione che quella domanda aveva suscitato, sorrise al figlio. – Va bene, la prossima volta ti avviso, okay? – lo rassicurò. Eric annuì, un po’ più contento e fece per scendergli dalle braccia, ma Thomas lo trattenne. – Non vuoi proprio dirmi cosa c’è, eh? È successo qualcosa a scuola? – gli sussurrò, in modo che solo lui potesse sentirlo in orecchio. Eric scosse la testa con vigore e si riaggrappò al collo del padre, che gli baciò la testa.

Approfittando della distrazione del bambino, scoccò un’occhiata alla moglie. Dovevano parlare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando entrò in camera, trovo il marito seduto sul bordo del letto con già i pantaloni blu scuri e la maglietta a mezze maniche del pigiama addosso. Aveva le mani intrecciate davanti a sé, e sembrava non essersi minimante accorto del suo arrivo, preso com’era dai suoi pensieri.

- Thomas? – lo chiamò, camminando verso di lui e sedendoglisi accanto, mentre si stringeva addosso la felpa che gli aveva rubato poco prima. Come facesse suo marito a stare a mezze maniche con quel freddo, lo sapeva solo lui.

L’uomo parve riemergere dall’abisso dei suoi pensieri e la guardò, mentre lei gli passava le mani intorno al braccio e appoggiava la testa sulla sua spalla.

- Tesoro? Che hai? Sei preoccupato? – chiese titubante mentre passava distrattamente le dita sulla pelle scoperta del marito.

- Un po’, - ammise. – questa.. cosa, il fatto che Eric sia così nervoso e pianga così spesso non mi piace, Liz. Hai visto come ha reagito prima? Non so come spiegarmi in modo chiaro, ma ho una strana sensazione. –

Anche lei aveva notato lo strano comportamento del figlio, che in genere non era così schizzato. Certo, era esagitato e iperattivo, ma piangeva veramente di rado.

Nell’ultimo periodo, per quando non fosse mai andato pazzo per la scuola, si inventava scuse su scuse non restare a casa… l’aveva accontentato un paio di volte, permettendo anche a William di fargli compagnia, ma la situazione stava diventato quasi esasperante. Come se lei e suo marito non ne avessero già fin sopra la testa.

A lei sembravano solo capricci, ed era convinta che fosse solo una fase. Eppure, il dubbio che Thomas avesse ragione, la tormentava.

- Pensi ancora che ci sia una causa scatenante? – chiese, mordendosi le labbra nervosamente. – Se fosse successo qualcosa di grave, ce lo direbbe no? Nessuno dei due si è mai tenuto niente dentro, e quando è capitato che avessero domande hanno sempre chiesto. –

Thomas storse la bocca; non sembrava molto convinto, ed anche a lei sembrava di starsi arrampicando sugli specchi. Eppure era convinta di quello che aveva appena detto.

- Sì, forse hai ragione. – concluse lui, dopo un attimo di silenzio.

Si sentiva un po’ rincuorata: forse davvero non c’era niente di più ed erano semplicemente stanchi e nervosi, tanto da ingigantire qualsiasi comportamento infantile. Alla fine dei conti, Eric aveva solo quattro anni… era normale che battesse i piedi, indipendente da quanto lei fosse propensa ad ascoltare e sopportare le sue bizze.

- Scusami per prima, non volevo spaventare i bambini.. –

Suo marito era un padre attento, presente e disponibile a seguire i figli in qualsiasi assurdità venisse loro in mente di fare. in genere, mentre lei preparava la cena, Thomas si piazzava in soggiorno con i figli e si prestava a qualsiasi assurdità gli venisse proposta, per quanto illogica potesse essere.

- Lo so. Forse dovremo davvero prenderci un paio di giorni di riposo, tutti e due. – sospirò, alzandosi per sedersi sulle gambe del marito e passandogli una mano tra i capelli.

Thomas annuì un po’, passandole una mano sulla schiena.

Lei lo baciò sulle labbra, accarezzandogli il collo con le dita e stringendosi un po’ più a lui.

Sentì le dita del marito passarle dietro la nuca, facendole venire la pelle d’oca, mentre in un moto di entusiasmo gli montava cavalcioni sopra, stringendogli le gambe intorno ai fianchi e spingendolo a stendersi sul materasso.

Non era sicura che fosse un granché come idea, dedicarsi a certe attività a quell’ora dato che non aveva la certezza che i bambini dormissero, ma non ebbe tempo di far presente i suoi dubbi che si sentì sollevare di peso e trascinare fino ai cuscini.

Mugolò, stringendo le braccia intorno al collo del marito, quando sentì una mano calda accarezzarle dolcemente un fianco e lui scese a baciarle il collo.

Premette le labbra sulle sue, schiudendo la bocca per approfondire il bacio, un po’ più rilassata. Aveva ragione, si preoccupava troppo di tutto. Se avesse continuato così, sarebbe diventata pazza.

Tanto valeva farsi coinvolgere e spegnere per un apio d’ore il cervello.

- Mamma! –

… come non detto.

Gonfiò le guance, la bocca ancora premuta su quella del marito che scoppiò inevitabilmente a ridere, appoggiando la fronte sul cuscino vicino alla sua testa.

Beato lui che si divertiva.

- Arrivo.. – urlò, per farsi sentire dal figlio. – e tu levati, - borbottò al marito, che la agevolò nel farlo rotolare sulla schiena.

Indispettita, afferrò uno dei cuscini che avrebbe dovuto sistemare in salotto e lo lanciò in faccia al marito, che non si mosse di un millimetro mentre lei correva dai bambini.

Entrò nella camera di William ed Eric, e per poco non le venne un colpo: Eric era seduto per terra, la schiena appoggiata al letto del fratello ed era bianco come un cencio.

Un secondo dopo era inginocchiata accanto a lui, una mano sulla fronte del bambino. Non era caldo, ma era evidente che non si sentisse bene.

- Mal di pancia.. – mugolò stringendosi lo stomaco, le gambe piegate contro il petto.

Si sedette accanto al bambino, appoggiando anche lei la schiena al letto di William, e lo invitò a sedersi sulle sue gambe. Eric gattonò fino alla madre, e si rannicchiò contro di lei il viso mogio per il malessere.

William, più agitato del solito, si accoccolò dall’altro lato, guardando preoccupato il fratellino dondolarsi sul posto.

- Vi va una tisana? – chiese a entrambi, mentre lì coccolava. – te la senti tesoro? – aggiunse, rivolta ad Eric che annuì un po’.

In quel momento si affacciò alla porta Thomas, in ciabatte. – Che succede, qui? –

- Eric ha mal di pancia.. ora gli faccio una camomilla. –

Il marito annuì. – Ci penso io. – e sparì nuovamente, diretto verso la cucina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si svegliò infastidita da un rumore persistente proveniente dal comodino del marito. Si passò una mano sugli occhi, per acquistare un po’ di lucidità, e puntò gli occhi grigio chiaro nella direzione del rumore: era il telefono portatile che suonava disperatamente. Forse un’emergenza all’ospedale.. eppure non Thomas non era di turno. Anche se in quel periodo, con la disorganizzazione che c’era all’ospedale, non si sarebbe sorpresa per un cambio dell’ultimo secondo.

Si avvicinò rapidamente all’uomo, scuotendolo leggermente. – Thomas? Tesoro svegliati! – lo chiamò.

Il marito aprì gli occhi, confuso. – Che c’è? – biascicò mezzo addormentato. Doveva essere proprio a pezzi, per non sentire quello squillo infernale.. considerando che aveva il sonno, in genere, più leggero del suo.

Era anche vero che avevano passato la serata con i bambini, aspettando che a Eric passasse la nausea e che William si calmasse. In tutto avevano dormito meno di tre ore, era normale che fosse stanco e meno reattivo del solito.

- Il telefono, amore! –

Thomas si girò su un fianco e afferrò, muovendo la mano a tentoni il telefono portatile. – Pronto? – disse con voce impastata. Si schiarì la voce. – Pronto?? – ripeté, con voce più chiara.

Seguirono un paio di secondi di silenzio. L’unica cosa che riusciva a sentire, da lì, era il ronzio concitato della voce dall’altro capo del telefono.

- Stavo dormento, cosa vuole che faccia alle tre e quarantacinque di notte? – rispose il marito. Seguirono altri secondi di silenzio. – Il chirurgo di turno dov’è? – chiese con voce stanca, anche se si era già alzato in piedi.

- No, ho capito. Arrivo il prima possibile, intanto preparate la sala operatoria e fate un’ecografia…. Sì, sarò lì tra massimo mezz’ora. – e riattaccò.

- Che è successo? – domandò, mettendosi a sedere mentre guardava il marito dirigersi in tutta fretta verso l’armadio e raccattare velocemente un cambio.

- Era l’ospedale. È arrivata una paziente all’ottavo mese con un sospetto distacco della placenta, e non c’è il chirurgo di turno, quindi hanno chiamato me. – spiegò sbrigativamente prima di uscire e dirigersi in bagno.

Elizabeth aspettò un po’ seduta sul letto, le ginocchia piegate davanti a sé, prima che la porta si riaprisse e suo marito entrasse vestito di tutto punto.

- Vado, ci vediamo dopo tesoro! – la salutò, avvicinandosi e schioccandole un bacio sulle labbra prima di afferrare la valigetta posata sulla cassettiera e precipitarsi fuori. Sentì i suoi passi frettolosi  passare per l’ingresso, e la porta chiudersi alle sue spalle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

* è un riferimento alla mia one-shot “It’s Women’s Day also for you?”, che ho scritto per la “Festa della Donna” che è ambientata poco prima di questa long (sì, ho deciso di fare una cosa un po’ più lunga del previsto.)!

 

 

Eccoci qua!

Vi anticipo che ho intenzione di alternare gli aggiornamenti di Braveheart e di questa fic, quindi dovrete avere un po’ di pazienza in questo periodo super impegnatissimo!

Dunque, dunque, dunque…Cosa ne pensate del capitolo e dei genitori di Eric e Will? (Non sapete la fatica che ho fatto a scrivere sempre “William”… ma agli Eruditi non piacciono i diminutivi xD)

Ho cercato di creare a entrambi un carattere ben definito e delle caratteristiche precise, in modo che possiate avere già un’idea di loro per il momento in cui compariranno in “Braveheart”! (Spoilero ovunque! xD)

Che altro? Aspetto i vostri pareri, commenti e opinioni belle o brutte che siano! Come pensate che si evolverà la vicenda?  Io dico che qualcuno già indovina qualcosa!

Vi chiedo scusa se non ringrazio tutti come al solito ma sono di corsa, sappiate comunque che  ogni lettura, commento o inserimento tra preferite/seguite/ricordate/quellochevipare, mi sempre felice come una bambina a Natale!

 

Alla prossima,

Kaithlyn

  
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