Avviso:
ho rivisto il primo
capitolo, aggiungendo dettagli e sistemando i dialoghi
perché mi sono resa
conto di alcune imprecisioni che mi erano sfuggite. Vi consiglio di
rileggerlo,
appena avete un minuto! J
Capitolo
2
-
Vieni! – disse William
battendo la mano sul libro aperto davanti a sé, e guardando
ostinatamente il
fratello, il cipiglio inquietantemente simile a quello della madre.
Eric
gli rivolse un’occhiata
poco convinta.
No,
decisamente non gli
andava di sentire le “spiegazioni” di Will, che
poteva tranquillamente durare
tutto il pomeriggio a parlare di qualsiasi cosa senza chiudere la bocca
nemmeno
per un secondo. Lui voleva andarsene a casa, non gli piaceva nemmeno un
po’
quel posto.
Eric
deglutì, rendendosi
conto del tacito accordo che aveva con il fratello: William prima si
era
prestato a giocare con lui, a scorrazzare per la stanza e fare la lotta
anche
se non gli piaceva molto. Ora toccava a lui assecondare il fratello,
che gli
piacesse o no.
Fece
alcuni passi incerti verso
l’altro, guardandolo quasi implorante, ma l’unica
cosa che ottenne fu
un’occhiata insistente.
-
‘Kay.. – borbottò,
mettendosi accanto a William a gambe incrociate e tenendo uniti i piedi
con le
mani. Si dondolò un po’ sul posto, ancora indeciso
sul darsi alla fuga o meno,
ma vedendo l’espressione dell’altro decise che
avrebbe resistito. La mamma sarebbe
venuta a prenderli quando
i primi due numerini del suo orologio fossero stati uno e sei. In quel
momento
erano uno e due, e tra poco sarebbero andati a fare il pisolino
pomeridiano.
Poteva farcela.
Dall’altra
parte della
stanza, seduta alla scrivania posta sotto la mensola che faceva
tutt’uno con la
parete mobile in legno chiaro dello spazio bimbi, Lilian Davis,
coniugata in
Lovelace, guardava in due bambini con sospetto.
Erano
stati fin troppo
tranquilli quel giorno, e la cosa non le piaceva granché; in
genere, quando
erano così… mansueti,
si preparavano
per combinare un disastro epico verso l’ora di chiusura, ed
era meglio non
perderli d’occhio. Soprattutto Eric, agitato e bizzoso
com’era. Davvero non
sapeva come facesse la madre a sopportarlo.
Cuore
di mamma.
Da
quando le aveva tirato
quella pedata, che aveva ovviamente fatto notare alla madre insieme al
resto
delle malefatte che aveva omesso fino a quel momento, erano
già passate un paio
di settimane e il piccolo mostro era stato insolitamente cupo e
tranquillo; uno
strano connubio di stati d’animo che l’aveva reso,
per sua grande gioia, anche
silenzioso e meno incline e tormentarla.
Almeno
per il momento.
Girò
il polso per
controllare l’orologio, mentre con l’indice
dell’altra mano si spingeva sul
naso gli occhiali ovali. A momenti avrebbe portato i bambini a
riposare, e
avrebbe finalmente avuto un paio d’ore di pace. Non che non
le piacessero i bambini,
o sarebbe andata a fare altro, ma alle volte, soprattutto con bambini
come il
piccolo Turner faceva veramente fatica ad essere paziente.
In
quel momento, fece il suo
ingresso il dottor Green. Era un uomo sulla quarantina, dai capelli
color
paglia e gli occhi chiari che, quando non lavorava agli ambulatori come
pediatra, si prestava volentieri a guardarle i bambini che non
dormivano durante
l’orario pomeridiano. Lei aveva perso ogni speranza di
convincere un ristretto
gruppo di bambini testoni a dormire… e aveva risolto il
problema con una
supplenza di un paio d’ore, dato che fare su e giù
non era proponibile.
-
Buon pomeriggio, Lilian.
– la salutò affabilmente,
avvicinandosi al cancellino d’entrata.
-
Buon pomeriggio, dottor
Green! Tra un momento porto i bambini a dormire nell’altra
stanza, mi dia solo
un secondo! –rispose, parlando più velocemente del
dovuto e alzandosi per
rivolgersi ai bambini, impegnati a giocare, chiacchierare o
semplicemente, in
particolare i più piccoli, a sonnecchiare sul posto.
-
Bambini, è l’ora del
riposino… - iniziò. Alcuni bambini si alzarono
subito, come se non vedessero
l’ora di sentire quelle parole, mentre altri non sembravano
troppo convinti sul
da farsi. – Tu Eric che fai? – chiese, guardando i
bambino da sopra gli occhiali.
Il fratello era già in piedi, l’ennesimo libro
sotto braccio. Probabilmente lo
usava al posto del pupazzo.
-
Allora? – insisté in tono
scocciato e sbrigativo, non ricevendo risposta.
Eric
fece un cenno di
diniego non troppo convinto, ma colse comunque l’occasione
per sfuggire al
fratellino, che lo guardò imbronciato andare via, passando
lo sguardo da Eric
al libro.
Mentre
guardava immusonito
un punto imprecisato poco più avanti, dove poco prima era
transitato il
fratello, gli scappò uno sbadiglio. Camminando
frettolosamente la raggiunse all’uscita
mentre nella stanza rimanevano Eric, il signor Green e altri tre
bambini.
-
No! – gridò ostinatamente
per l’ennesima volta il bambino, strattonando con forza il
braccio dalla mano
della signora Lovelace e guardandola corrucciato.
-
Via, Eric non fare i
capricci! – disse, facendo un passo avanti e incombendo su di
lui. Eric non
sembrò minimamente intimorito dalla figura che torreggiava
su di lei, e in
tutta risposta batté con forza un piede a terra. - Voglio
proprio vedere se
farai così anche quando arriverà tua madre!
– lo minacciò, ammonendolo con un
dito.
Nonostante
l’espressione
severa e arrabbiata della donna, Eric si limitò a incrociare
le braccia davanti
a sé e a lanciarle uno sguardo di sfida, che cozzava in modo
singolare con i
tratti ancora rotondeggianti e infantili del bambino.
-
Mi ha fatto chiamare? –
Lilian
si voltò, e vide
entrare a passo svelto la madre del piccolo mostro che aveva battuto i
piedi
per le ultime due ore, schiamazzando e facendo i dispetti a tutti
coloro che
gli erano capitati a tiro, fratello incluso, anche se William non si
era
scomposto e l’aveva lasciato pazientemente fare.
Elizabeth
si fermò oltre il cancellino
di legno e la squadrò dalla testa ai piedi, con aria
scettica: aveva i capelli scarruffati,
e qualche ciuffo sembrava essere sfuggito all’acconciatura
severa che portava
in genere; gli occhiali ovali, le erano scivolati quasi sulla punta del
naso, e
sembrava aver lotteggiato fino a quel momento, dato lo stato scombinato
dei
suoi vestiti.
Cercò
di guardarla
educatamente come a chiederle come mai l’avesse chiamata
strepitando come una
gallina, anche se temeva di sapere già la risposta. Le era
bastato vedere il
numero dello Spazio Bimbi per avere già un quadro piuttosto
completo della
situazione.
-
Certo, come al solito! Questo…
- respirò pesantemente, come se
stesse cercando di riprendere il controllo della situazione, passandosi
le mani
ai lati della testa per portarsi indietro i capelli.
-
Suo figlio – ricominciò,
in tono più fermo e duro. – non mi chieda per
quale assurda ragione, non vuole
muoversi da lì. Ho provato a prenderlo in braccio ma, come
vede, non è stato
molto d’accordo e mi ha anche strattonato i vestiti!
– terminò in tono
vagamente isterico.
Elizabeth
si passò una mano
sul viso, stanca. Quando era stata chiamata, come al solito, sapeva
già cosa le
sarebbe stato riferito e di quale dei due bambini si trattasse. Eppure,
in
quell’ultimo periodo più che mai, durante il quale
non aveva avuto un solo
momento di riposo, quelle scenate di Eric le pesava più del
solito.
-
Ha capito?! – strepitò
nuovamente la signora Lovelace.
Ma
non chiudeva mai quella boccaccia?
-
Certo, non sono mica
sorda. – ribatté lapidaria, facendo scivolare la
mano che aveva sugli occhi,
lungo il fianco e guardando sconsolata il bambino, che gli
rimandò un’occhiata
cupa e corrucciata.
Si
avviò in direzione del
figlio, decisa a tornarsene a casa il prima possibile. Non aveva
nessuna voglia
di discutere, ed era ormai al limite dell’esasperazione:
badare a due bambini
piccoli, alla casa ed avere quei turni massacranti non era semplice,
anche se
doveva riconoscere che sarebbe stato anche peggio senza suo marito che
l’aiutava.
-
Avanti Eric, andiamo a
casa. – lo incitò quando fu a un passo da lui,
facendogli cenno di perderle la
mano.
Per
tutta risposta il
bambino scosse la testa e batté un piede per terra.
– No! – gridò con vemenza,
stringendo i pugni lungo i fianchi.
Inspirò
profondamente,
cercando un modo per non perdere la poca pazienza che le era rimasta.
-
Stammi a sentire, Eric:
sono già abbastanza stanca, quindi non fare i capricci e
comportati per bene. –
gli disse sbrigativamente, piegandosi sui talloni per raggiungere la
sua
altezza.
Eric
rincrociò le braccia
davanti a sé, scuotendo la testa e piantandosi esattamente
dov’era.
Poteva
mettere al mondo un bambino più ostinato?
Si
risolleverò in piedi, le
gambe doloranti per aver corso da una parte all’altra
dell’ospedale per quasi
ventiquattr’ore, mentre il bambino le lanciava uno sguardo
temerario dal suo
metro scarso d’altezza.
No,
probabilmente no.
Esasperata,
si piegò un po’
per afferrarlo per un braccio e tirarlo verso l’uscita, ma
Eric strattonò con
forza il braccio dalla presa della madre emettendo un verso contrariato
a metà
tra un “no” e un mugolio di protesta.
Spazientita,
Elizabeth lo riagguantò
dal gomito, la presa un po’ più salda, e lo
tirò vicino a sé per prenderlo in
braccio e portarlo di peso verso l’uscita. Nel momento in cui
Eric si sentì
sollevare dal pavimento, iniziò a scalciare e premere le
mani sulle spalle
della madre per allontanarla, gridando e dimenandosi.
Elizabeth,
ormai prossima a
perdere definitivamente la pazienza, cercò di tenerlo fermo
nonostante il
figlio non sembrasse minimamente intenzionato a collaborare. Mentre
lotteggiavano, Eric le strinse la giacchetta agguantando anche alcuni
capelli,
e tirò strappandoglieli.
Complice
la fitta alla testa
e la stanchezza, Elizabeth perse definitivamente la pazienza;
posò bruscamente
il figlio a terra e gli tirò due sculaccioni mentre lo
teneva fermo per un
braccio.
Quando
ebbe finito seguirono
alcuni secondi di silenzio, durante i quali si risistemò la
giacca e si rilegò i
capelli, mentre il bambino la guardava dal basso con gli occhi lucidi e
pieni
di risentimento per la sculacciata appena ricevuta.
-
Avanti, muoviti. – ordinò
duramente, mentre prendeva senza troppa cura la mano del bambino e lo
trascinava fuori, dove lì stava aspettando, con
l’immancabile libricino sulle
gambe, William.
Intercettò
la moglie che
scendeva rapidamente le scale dalla reception del terzo piano. Non
sembrava particolarmente
allegra, anzi; sembrava piuttosto arrabbiata, e dall’occhiata
di rimprovero che
lanciò a quello che era senza dubbio Eric, ne comprese
all’istante anche il
perché.
-
Elizabeth? – la chiamò,
camminando a passo svelto verso di lei.
La
moglie si fermò, senza
lasciare il polso di Eric, che cercava di strattonarsi dalla presa
della madre
senza tuttavia riuscirci.
-
Che è successo? – chiese
dopo lungo momento di silenzio.
Sua
moglie sembrava sul
punto di avere una crisi di nervi o una crisi isterica, che dir si
voglia. La
capiva, era stanco e stressato anche lui, ma non avrebbe volto essere
presente all’esplosione
per niente al mondo.
-
Eric si è guadagnato una
bella sculacciata – lo informò, la voce fin troppo
controllata.
In
quello stesso momento,
William si allontanò dirigendosi verso le sedie stipate ai
lati del corridoio
asettico. Eric fece per seguirlo quasi istantaneamente, ma la madre
glielo
impedì, rafforzando un po’ la presa sul figlio,
che si lasciò scivolare a terra
ciondolando imbronciato.
C’era
qualcosa che ancora
non gli tornava, nel modo in cui si comportava Eric: era dispettoso,
confusionario e sicuramente poco ubbidiente… ma non era mai
stato un bambino
bizzoso, o che batteva i piedi per terra quando voleva qualcosa.
La
guardò sorpreso,
corrugando le sopracciglia. - Addirittura? –
Era
piuttosto strano: in
genere Elizabeth sbraitava e dava di matto, ma non alzava mai le mani
sui
bambini. Preferiva di gran lunga metterli in punizione o sgridarli per
poi
“riappacificarsi”, anche perché sapeva
che poi si sentiva in colpa, con loro.
Forse
era più esasperata di
quanto desse a vedere; nelle ultime due settimane,
un’epidemia d’influenza
aveva praticamente decimato il personale medico, e loro si erano visti
sommersi
di straordinari per coprire le ore dei colleghi a casa per malattia. Ed
avere
due bambini piccoli da gestire non era assolutamente una cosa
semplice…
soprattutto se si mettevano anche a rotolarsi per terra dopo un doppio
turno di
lavoro.
-
Alzati da terra! – intimò
la moglie guardando verso Eric, che nel frattempo si dondolava dal
braccio che
gli teneva la madre con fare annoiato, lo sguardo concentrato sul
fratello.
-
Eric, non ne posso più!
Ora, o ti alzi o… -iniziò la voce tremante per la
rabbia che cercava di
nascondere.
Aveva
già capito come
sarebbe evoluta la cosa, e conoscendo la moglie era meglio correre
immediatamente ai ripari.
Si
piegò sui talloni, le
braccia appoggiate sulle ginocchia, e guardò severamente il
figlio. Poi, prima
che la moglie potesse proferire parola, infilò le mani sotto
le braccia del
bambino e lo mise in piedi; si prese tutto il tempo per spolverargli il
dietro dei
pantaloni e sistemargli la felpa sulle spalle.
Eric
guardava immusonito per
terra, e Thomas avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere cosa gli passava
per
quella testolina mora e scarruffata dai capricci che aveva fatto fino a
quel
momento.
-
Vai a sederti due minuti
con tuo fratello, che parlo un attimo con la mamma? – chiese
al bambino,
indicandogli la sedia accanto a quella di William e porgendogli lo
zainetto.
Difficilmente alzava la voce con i bambini, al contrario della moglie,
ma
entrambi sapevano sempre quando la sua pazienza era in procinto di
finire e
arrivava il momento di ubbidire senza discussioni.
Eric
non protestò; si mise
lo zainetto in spalla e raggiunse il fratello, arrampicandosi sulla
sedia alla
sinistra di quella di William.
Mentre
si alzava da terra,
incrociò lo sguardo esasperato della moglie: urgevano
tre giorni di ferie.
-
Ah, quindi ora sarebbe
colpa mia?! Sono io quella esaurita? – gli strillò
contro, stringendo i pugni e
guardandolo furente.
Si
passò entrambe le mani
tra i capelli, cercando di mantenere la calma che lo contraddistingueva
e non peggiorare
la situazione.
Il
viaggio di ritorno verso
caso era stato silenzioso e teso; sua moglie non aveva gradito il suo
intervento con Eric e il fatto che le avesse semplicemente fatto notare
che,
forse, ma proprio forse, non era solo colpa del bambino, ma era anche
lei ad
essere arrivata al limite.
Non
l’avesse mai fatto.
Ogni
tanto si chiedeva
ancora cosa diavolo gli era passato per la testa, dieci anni prima,
quando
aveva chiesto a Elizabeth Lawrence di sposarlo. E aveva pure preparato
tutti
nei minimi dettagli, con candele, cena, anello ed entusiasmo... e si
era
addirittura messo in ginocchio al momento di farle la fatidica domanda.
Strano
che non gli fosse arrivata una pedata nei denti, a quel punto. Doveva
essere
ubriaco, o aver assunto qualche sostanza psicotropa,
dell’LSD, o qualcosa di
simile. Eppure non aveva mai fatto uso di droghe... al massimo fumava
una
sigaretta ogni tanto. Forse era stata sua madre a mettergli qualcosa
nel
piatto, per togliersi di torno definitivamente sia lui che Elizabeth.
Essere giovane,
stupido e innamorato non gli sembrava una scusa abbastanza convincente.
Gli
sembrava piuttosto, in quel momento, che stessero apertamente sfidando
le
convenzionali norme che prevedevano una convivenza pacifica tra
coniugi… e lui
non aveva nessuna voglia di ripetere l’esperienza
dell’ultima, epica,
litigata durante la quale aveva seriamente
temuto per la propria incolumità. Quasi come nel periodo in
cui erano stati
fidanzati.
-
Mi stai ascoltando? – si
sentì sibilare contro. Sua moglie era dall’altra
parte del tavolo della cucina,
in piedi e con i palmi delle mani appoggiate sulla superficie del
tavolo
coperto dalla tovaglia.
-
Sì, Elizabeth. Consiglierei
una visita da un bravo otorino a chiunque non ti avesse sentito da qui
alla
Recinzione. – rispose, stancatamene.
Pessima
risposta. Ma dato che la frittata è fatta, tanto
valeva proseguire con la discussione.
-
Che detto tra noi, se
anche tu cercassi di essere un po’ più tranquilla
e di moderare il tuo
temperamento, probabilmente lui non si sentirebbe autorizzato a battere
i piedi
per qualsiasi scemenza. –
Elizabeth
era evidentemente
furiosa, ed anche lui iniziava ad alterarsi seriamente. Uno,
perché non
sopportava di discutere in quel modo davanti ai figli, secondo,
perché era
impossibile andare d’accordo con sua moglie. Soprattutto
quando faceva così,
convinta di aver ragione, e non voleva sentire ragioni di sorta.
Nel
frattempo William ed
Eric, mentre finivano di mangiare, si rimbalzavano occhiate che
andavano dal
divertito al perplesso da una parte all’altra del tavolo,
ridendo e tirandosi
palline di pane che a turno mangiavano o rimandavano al mittente.
Eric
aveva anche fatto una
specie di barriera, e aveva ideato un prototipo di catapulta con una
forchetta
e un tappo in sughero.
-
Smettetela immediatamente.
– sibilò a entrambi Elizabeth. - Eric, posa all’istante
quella mollica di pane e stai composto! –
Eric
intanto aveva fatto a
pezzi un paio di fette di pane, e si era rifornito di munizioni per
colpire il
fratello dall’altra parte del tavolo, che comunque non era da
meno. Udendo il
rimprovero alzò gli occhi sulla madre, in
un’espressione fintamente innocente;
come a chiedersi cosa ci fosse che non andava bene, nel lanciarsi
palline di
pane a tavola mentre loro due discutevano.
-
Anche Will! – ribatté,
incrociando le braccia e poggiandosi allo schienale immusonito.
Thomas
guardò perplesso la
moglie, mentre si metteva dietro il figlio, gli infilava le mani sotto
le
braccia e faceva per tirarlo su. Ovviamente, la collaborazione tendeva
allo
zero.
Eric,
una volta seduto per
bene, si lasciò riscivolare in giù, facendo
ridere il fratello che tuttavia
lanciò un’occhiata inquieta alla madre.
-
Elizabeth, lasciali fare….
– tentò, raddrizzandosi sulla sedia. Era stanco e
nervoso, e non aveva nessuna
voglia di riiniziare una discussione sul comportamento dei bambini.
-
Non dirmi che devo fare!
Solo perché tu gli consenti qualsiasi cosa, non significa
che debba farlo anch’io!
–
-
Come, scusa?! Ti senti
quando parli? Hanno quattro anni, cosa vuoi che facciano? Che si
comportino
come adulti? Se è così,
può… - iniziò, sentendo montare la
rabbia tutta
insieme.
-
Non ho det.. – iniziò a
gridargli contro la moglie che ora gli stava di fronte, in piedi.
Pazienza
esaurita.
-
Fammi parlare! – urlò, a
sua volta, sbattendo una mano sul tavolo.
Regnò
il silenzio per alcuni
secondi, durante i quali si sentì addosso lo sguardo dei
bambini, sorpresi.
Difficilmente si arrabbiata, specie alla presenza dei figli e ancor
più
difficilmente ricorreva a mezzi prepotenti come sbattere una mano sul
tavolo
per farsi ascoltare dalla moglie.
Il
primo suono a rompere il
silenzio carico di tensione che si era creato, fu un mugolio
proveniente dalla
sua destra, dove sedeva Eric.
Si
girò lentamente verso il
figlio per chiedergli cos’altro ci fosse che non gli tornava
ma quando lo
guardò, sentì il senso di colpa crescergli nel
petto.
Eric
guardava il suo piatto
con gli occhi lucidi e l’aria spaventata, mentre si
tormentava le mani.
Girò
la testa verso la
moglie, leggendole sul viso la stessa espressione incredula che doveva
avere
lui.
Senza
perdere un secondo si
accovacciò accanto al bambino, e girò la sedia
verso sé stesso, in modo da
portelo guardare.
-
Eric? Che c’è? – chiese,
posandogli le mani sulle gambe e cercando di capire cosa gli fosse
passato per
la testa. Non gli piaceva per niente tutta quella
suscettibilità del figlio, e
non voleva nel modo più assoluto spaventarlo.
Il
bambino si strofinò il
pugno chiuso su un occhio, evitando accuratamente di guardarlo, e poi
scoppiò a
piangere. Di nuovo.
-
Te e la mamma litigate per
colpa mia… - mugolò, singhiozzando disperato.
-
Ma no, tesoro… - iniziò,
prendendolo in braccio e facendosi stringere le braccia intorno al
collo.
-
… perché sono cattivo! –
insisté, piangendo contro il suo collo.
Gli
massaggiò la schiena con
la mano che non lo reggeva, a disagio. Lo stesso disagio di cui
sembrava essere
preda Elizabeth, che al posto del solito sguardo battagliero, aveva
un’espressione colpevole e si mordeva nervosamente il labbro
inferiore.
Si
avviò verso il soggiorno,
continuando a passargli la mano sulla schiena per cercare di consolarlo.
-
Non è colpa tua Eric. – lo
rassicurò, scostandoselo dal collo per guardarlo; Eric
sembrava in preda a
chissà cosa, mentre sviava lo sguardo del padre e continuava
a torcersi le
mani, i lacrimoni che gli rigavano il viso.
-
No? – gli chiese incerto,
mentre facevano il giro del salotto e tornavano indietro.
-
No. Ti ricordi quando ti
ho detto che la mamma è una *femmina?
– gli sussurrò in un orecchio, in tono
confidenziale.
Eric
annuì gravemente. Era
stato quasi un trauma, quando gli
aveva spiegato che la mamma non era un maschio, e si ricordava che
entrambi i
bambini avevano guardato storto la moglie per giorni aspettandosi
chissà che
cosa.
-
Ecco. Vedi alle femmine….
Alle donne, bisogna voler bene e ascoltarle, ma hanno il grosso
difetto di voler sempre aver ragione, anche se qualche volta
hanno torto. – gli spiegò, pazientemente, senza
tuttavia risparmiarsi dallo
scoccare un’occhiata eloquente alla moglie.
Ogni
riferimento a persone o cose è del tutto casuale.
Eric
lo ascoltava
attentamente, il viso corrucciato e gli occhi lucidi.
-
Il problema, è che quando
pensano di aver ragione, non ascoltano mai.
E allora bisogna alzare un po’ la voce. –
Ogni
riferimento a Elizabeth Lawrence è puramente
casuale.
Eric
parve riflettere un
attimo sulle parole del padre, che nel frattempo aveva rifatto il giro
del
salotto e si era ridiretto verso la cucina adiacente, separata solo da
un
muretto basso.
-
Allora è colpa della
mamma! – decretò alla fine, quasi rincuorato,
guardando la madre come a dirgli
“Visto?”.
Parve
rabbuiarsi mentre lo
sguardo gli si faceva nuovamente pensoso. – Però,
non battere più la mano su
tavolo.. – gli disse, in un filo di voce, mordicchiandosi
l’interno delle
guance.
Nonostante
l’interdizione
che quella domanda aveva suscitato, sorrise al figlio. – Va
bene, la prossima
volta ti avviso, okay? – lo rassicurò. Eric
annuì, un po’ più contento e fece
per scendergli dalle braccia, ma Thomas lo trattenne. – Non
vuoi proprio dirmi
cosa c’è, eh? È successo qualcosa a
scuola? – gli sussurrò, in modo che solo
lui potesse sentirlo in orecchio. Eric scosse la testa con vigore e si
riaggrappò al collo del padre, che gli baciò la
testa.
Approfittando
della
distrazione del bambino, scoccò un’occhiata alla
moglie. Dovevano parlare.
Quando
entrò in camera,
trovo il marito seduto sul bordo del letto con già i
pantaloni blu scuri e la
maglietta a mezze maniche del pigiama addosso. Aveva le mani
intrecciate
davanti a sé, e sembrava non essersi minimante accorto del
suo arrivo, preso
com’era dai suoi pensieri.
-
Thomas? – lo chiamò,
camminando verso di lui e sedendoglisi accanto, mentre si stringeva
addosso la
felpa che gli aveva rubato poco prima. Come facesse suo marito a stare
a mezze
maniche con quel freddo, lo sapeva solo lui.
L’uomo
parve riemergere
dall’abisso dei suoi pensieri e la guardò, mentre
lei gli passava le mani
intorno al braccio e appoggiava la testa sulla sua spalla.
-
Tesoro? Che hai? Sei
preoccupato? – chiese titubante mentre passava distrattamente
le dita sulla
pelle scoperta del marito.
-
Un po’, - ammise. –
questa.. cosa, il fatto che Eric sia così nervoso e pianga
così spesso non mi
piace, Liz. Hai visto come ha
reagito
prima? Non so come spiegarmi in modo chiaro, ma ho una strana
sensazione. –
Anche
lei aveva notato lo
strano comportamento del figlio, che in genere non era così
schizzato. Certo,
era esagitato e iperattivo, ma piangeva veramente di rado.
Nell’ultimo
periodo, per
quando non fosse mai andato pazzo per la scuola, si inventava scuse su
scuse
non restare a casa… l’aveva accontentato un paio
di volte, permettendo anche a
William di fargli compagnia, ma la situazione stava diventato quasi
esasperante. Come se lei e suo marito non ne avessero già
fin sopra la testa.
A
lei sembravano solo
capricci, ed era convinta che fosse solo una fase. Eppure, il dubbio
che Thomas
avesse ragione, la tormentava.
-
Pensi ancora che ci sia
una causa scatenante? – chiese, mordendosi le labbra
nervosamente. – Se fosse
successo qualcosa di grave, ce lo direbbe no? Nessuno dei due si
è mai tenuto
niente dentro, e quando è capitato che avessero domande
hanno sempre chiesto. –
Thomas
storse la bocca; non
sembrava molto convinto, ed anche a lei sembrava di starsi arrampicando
sugli
specchi. Eppure era convinta di quello che aveva appena detto.
-
Sì, forse hai ragione. –
concluse lui, dopo un attimo di silenzio.
Si
sentiva un po’
rincuorata: forse davvero non c’era niente di più
ed erano semplicemente
stanchi e nervosi, tanto da ingigantire qualsiasi comportamento
infantile. Alla
fine dei conti, Eric aveva solo quattro anni… era normale
che battesse i piedi,
indipendente da quanto lei fosse propensa ad ascoltare e sopportare le
sue
bizze.
-
Scusami per prima, non
volevo spaventare i bambini.. –
Suo
marito era un padre
attento, presente e disponibile a seguire i figli in qualsiasi
assurdità
venisse loro in mente di fare. in genere, mentre lei preparava la cena,
Thomas
si piazzava in soggiorno con i figli e si prestava a qualsiasi
assurdità gli
venisse proposta, per quanto illogica potesse essere.
-
Lo so. Forse dovremo
davvero prenderci un paio di giorni di riposo, tutti e due. –
sospirò,
alzandosi per sedersi sulle gambe del marito e passandogli una mano tra
i
capelli.
Thomas
annuì un po’,
passandole una mano sulla schiena.
Lei
lo baciò sulle labbra,
accarezzandogli il collo con le dita e stringendosi un po’
più a lui.
Sentì
le dita del marito
passarle dietro la nuca, facendole venire la pelle d’oca,
mentre in un moto di
entusiasmo gli montava cavalcioni sopra, stringendogli le gambe intorno
ai
fianchi e spingendolo a stendersi sul materasso.
Non
era sicura che fosse un
granché come idea, dedicarsi a certe attività
a quell’ora dato che non aveva la certezza che i bambini
dormissero, ma non
ebbe tempo di far presente i suoi dubbi che si sentì
sollevare di peso e
trascinare fino ai cuscini.
Mugolò,
stringendo le
braccia intorno al collo del marito, quando sentì una mano
calda accarezzarle
dolcemente un fianco e lui scese a baciarle il collo.
Premette
le labbra sulle
sue, schiudendo la bocca per approfondire il bacio, un po’
più rilassata. Aveva
ragione, si preoccupava troppo di tutto. Se avesse continuato
così, sarebbe
diventata pazza.
Tanto
valeva farsi coinvolgere e spegnere per un apio d’ore
il cervello.
-
Mamma! –
…
come non detto.
Gonfiò
le guance, la bocca
ancora premuta su quella del marito che scoppiò
inevitabilmente a ridere,
appoggiando la fronte sul cuscino vicino alla sua testa.
Beato
lui che si divertiva.
-
Arrivo.. – urlò, per farsi
sentire dal figlio. – e tu levati, - borbottò al
marito, che la agevolò nel
farlo rotolare sulla schiena.
Indispettita,
afferrò uno
dei cuscini che avrebbe dovuto sistemare in salotto e lo
lanciò in faccia al
marito, che non si mosse di un millimetro mentre lei correva dai
bambini.
Entrò
nella camera di
William ed Eric, e per poco non le venne un colpo: Eric era seduto per
terra,
la schiena appoggiata al letto del fratello ed era bianco come un
cencio.
Un
secondo dopo era
inginocchiata accanto a lui, una mano sulla fronte del bambino. Non era
caldo,
ma era evidente che non si sentisse bene.
-
Mal di pancia.. – mugolò
stringendosi lo stomaco, le gambe piegate contro il petto.
Si
sedette accanto al
bambino, appoggiando anche lei la schiena al letto di William, e lo
invitò a
sedersi sulle sue gambe. Eric gattonò fino alla madre, e si
rannicchiò contro
di lei il viso mogio per il malessere.
William,
più agitato del
solito, si accoccolò dall’altro lato, guardando
preoccupato il fratellino
dondolarsi sul posto.
-
Vi va una tisana? – chiese
a entrambi, mentre lì coccolava. – te la senti
tesoro? – aggiunse, rivolta ad
Eric che annuì un po’.
In
quel momento si affacciò
alla porta Thomas, in ciabatte. – Che succede, qui?
–
-
Eric ha mal di pancia..
ora gli faccio una camomilla. –
Il
marito annuì. – Ci penso
io. – e sparì nuovamente, diretto verso la cucina.
Si
svegliò infastidita da un
rumore persistente proveniente dal comodino del marito. Si
passò una mano sugli
occhi, per acquistare un po’ di lucidità, e
puntò gli occhi grigio chiaro nella
direzione del rumore: era il telefono portatile che suonava
disperatamente.
Forse un’emergenza all’ospedale.. eppure non Thomas
non era di turno. Anche se
in quel periodo, con la disorganizzazione che c’era
all’ospedale, non si
sarebbe sorpresa per un cambio dell’ultimo secondo.
Si
avvicinò rapidamente
all’uomo, scuotendolo leggermente. – Thomas? Tesoro
svegliati! – lo chiamò.
Il
marito aprì gli occhi,
confuso. – Che c’è? –
biascicò mezzo addormentato. Doveva essere proprio a
pezzi, per non sentire quello squillo infernale.. considerando che
aveva il
sonno, in genere, più leggero del suo.
Era
anche vero che avevano
passato la serata con i bambini, aspettando che a Eric passasse la
nausea e che
William si calmasse. In tutto avevano dormito meno di tre ore, era
normale che
fosse stanco e meno reattivo del solito.
-
Il telefono, amore! –
Thomas
si girò su un fianco
e afferrò, muovendo la mano a tentoni il telefono portatile.
– Pronto? – disse
con voce impastata. Si schiarì la voce. – Pronto??
– ripeté, con voce più
chiara.
Seguirono
un paio di secondi
di silenzio. L’unica cosa che riusciva a sentire, da
lì, era il ronzio
concitato della voce dall’altro capo del telefono.
-
Stavo dormento, cosa vuole
che faccia alle tre e quarantacinque di notte? – rispose il
marito. Seguirono
altri secondi di silenzio. – Il chirurgo di turno
dov’è? – chiese con voce
stanca, anche se si era già alzato in piedi.
-
No, ho capito. Arrivo il
prima possibile, intanto preparate la sala operatoria e fate
un’ecografia…. Sì,
sarò lì tra massimo mezz’ora.
– e riattaccò.
-
Che è successo? – domandò,
mettendosi a sedere mentre guardava il marito dirigersi in tutta fretta
verso
l’armadio e raccattare velocemente un cambio.
-
Era l’ospedale. È arrivata
una paziente all’ottavo mese con un sospetto distacco della
placenta, e non c’è
il chirurgo di turno, quindi hanno chiamato me. –
spiegò sbrigativamente prima
di uscire e dirigersi in bagno.
Elizabeth
aspettò un po’
seduta sul letto, le ginocchia piegate davanti a sé, prima
che la porta si
riaprisse e suo marito entrasse vestito di tutto punto.
-
Vado, ci vediamo dopo
tesoro! – la salutò, avvicinandosi e schioccandole
un bacio sulle labbra prima
di afferrare la valigetta posata sulla cassettiera e precipitarsi
fuori. Sentì
i suoi passi frettolosi passare per l’ingresso, e
la porta chiudersi alle
sue spalle.
*
è un riferimento alla mia
one-shot “It’s
Women’s Day also for you?”,
che ho scritto per la “Festa della Donna” che
è ambientata poco prima di questa
long (sì, ho deciso di fare una cosa un po’
più lunga del previsto.)!
Eccoci
qua!
Vi
anticipo che ho intenzione
di alternare gli aggiornamenti di Braveheart
e di questa fic, quindi dovrete avere un po’ di pazienza in
questo periodo
super impegnatissimo!
Dunque,
dunque, dunque…Cosa
ne pensate del capitolo e dei genitori di Eric e Will? (Non sapete la
fatica
che ho fatto a scrivere sempre
“William”… ma agli Eruditi non piacciono
i
diminutivi xD)
Ho
cercato di creare a
entrambi un carattere ben definito e delle caratteristiche precise, in
modo che
possiate avere già un’idea di loro per il momento
in cui compariranno in “Braveheart”!
(Spoilero ovunque! xD)
Che
altro? Aspetto i vostri
pareri, commenti e opinioni belle o brutte che siano! Come pensate che
si evolverà la vicenda? Io dico che qualcuno
già indovina qualcosa!
Vi
chiedo scusa se non ringrazio
tutti come al solito ma sono di corsa, sappiate comunque che
ogni lettura, commento o inserimento tra
preferite/seguite/ricordate/quellochevipare, mi sempre felice come una
bambina a Natale!
Alla
prossima,
Kaithlyn