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Autore: Phoenixstein    24/05/2015    2 recensioni
A volte, proprio quando la loro presenza si rende necessaria fra le mura del liceo, capita che sia il custode che il professor Gallagher siano introvabili. Gli studenti dicono di aver sentito degli strani rumori provenire dal capanno di Mickey Milkovich ma nessuno si è mai preso la briga di bussare perché hanno paura che lui si presenti alla finestra con un vecchio fucile a canne mozze.
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Alternate Universe in cui Ian è professore di Educazione Fisica e Mickey il custode della scuola
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A Ila,

la tua little bird ti ama tanto

 

 

 

From skin to heart

 

 

In ritardo per il suo appuntamento col preside, il professore di Educazione Fisica aprì il cassetto della scrivania alla disperata ricerca di una penna. Ian C. Gallagher. Un paio di rapidi movimenti del polso e la sua firma campeggiava in inchiostro blu a pie’ di pagina. Infilò la richiesta dentro una cartellina trasparente, si sistemò in spalla il borsone sportivo ed uscì chiudendo a chiave la porta. La penna che aveva abbandonato sul tavolo era scivolata lungo la superficie liscia dalla vernice un po’ smangiata ed era finita sul pavimento. Questo però il professor Gallagher, in corsa fra i corridoi del liceo Ragdale, non poteva saperlo.

Arrivato davanti all’ufficio del preside Lowell, Ian si passò una mano fra i capelli nel tentativo di domare il ciuffo rosso che gli cadeva sulla fronte, poi bussò. Sperava di sbrigare in fretta quella faccenda. Permessi, giustifiche, rapporti e scartoffie varie erano l’aspetto del suo lavoro che gradiva di meno. Preferiva stare a contatto con i suoi ragazzi, raccontargli della sua adolescenza passata a sfidare i propri limiti fisici nell’ROTC, motivarli a dare il meglio di sé durante le competizioni e ricordargli di fare sempre del sesso protetto. Ma soprattutto amava correre insieme a loro lungo il perimetro del cortile per passare casualmente davanti al capanno del non-così-burbero custode temuto da tutti. Non era una pertica d’uomo e le sue braccia non erano tronchi d’albero, ma fra i banchi si vociferava che nel trascurato disordine della sua modesta e blindata abitazione ci fossero più armi da fuoco che posate in cucina. Questo, Ian lo sapeva per certo. Anzi, nel secondo cassetto del comò di Mickey Milkovich aveva intravisto anche un paio di tirapugni e tre o quattro coltelli a serramanico. Non che il custode fosse uno di quei fanatici militanti di estrema destra a cui piace piantare grane, era semplicemente un grande ammiratore della difesa personale.

Il signor Lowell era un gran chiacchierone. La sua figura aveva assunto fra gli studenti quasi i tratti di una macchietta, con la sua risata grassa e la fissazione con le cravatte poco convenzionali. Ad Ian stava anche bene, meglio lui che non un ingessatissimo burocrate del cazzo, ma in quel momento non aveva proprio voglia di restare a sentire il resoconto del suo weekend al lago. Onestamente, aveva di meglio da fare che risolvere i problemi del preside con le formiche. Lui lo stava aspettando ed Ian sapeva che la pazienza non rientrava fra le sue virtù.

«Le farò avere il nome dell’insetticida che mi porto dietro in campeggio. È infallibile.» tagliò corto, battendosi i palmi delle mani sulle ginocchia come per congedarsi. Fece per alzarsi dalla sedia, ma Lowell sembrava volerlo trattenere ancora dato che finì col far virare la conversazione sui modi migliori di cucinare il pesce appena pescato. Ian fece appello a tutta la propria forza di volontà per non alzare gli occhi al cielo. Aveva improvvisamente bisogno di una sigaretta. Dannazione, avrebbe dovuto eliminare quella brutta piccola abitudine prima che diventasse vizio. Polmoni sani e buona respirazione erano fondamentali per la resistenza durante le attività sportive. Solo che a volte… a volte c’era troppo da sopportare.

«Mi perdoni, preside, resterei ad ascoltarla ma ho degli impegni urgenti. Riprendiamo la conversazione domattina davanti a un caffè?» riuscì a proporre, infilandosi a fatica fra le maglie di quello che era praticamente un monologo.

«Ma certo, Gallagher. Vada, vada! Glielo offro io quel caffè. Un buon italiano corretto, non l’intruglio insapore che servono in mensa. Buona serata!» esclamò il signor Lowell, alzandosi dalla poltrona per accompagnarlo personalmente alla porta.

Ian si incamminò verso l’uscita, il battito cardiaco che accelerava man mano che si avvicinava al limitare del cortile. Sorrise, strinse il labbro fra i denti, scosse la testa. “Sono fottuto.” realizzò, divertito dalla consapevolezza che quella cosa era cominciata come pelle su pelle ed era finita cuore su cuore. Perfino quando gli cadeva l’occhio sulle siepi potate di fresco si ritrovava a fare i conti con una gioia briosa da adolescente infatuato che si allargava visibilmente sul suo volto. Perché sapeva che le mani che avevano ripulito quelle piante erano le stesse che si prendevano cura - in qualche strano modo - anche di lui.

Si guardò attorno con aria circospetta, assicurandosi che nessuno studente fosse nei paraggi. Sentiva i cori delle cheerleaders che si allenavano sul campetto dall’altro lato del cortile, ma a parte loro non sembrava esserci nessun altro.

Diede sulla porta due colpi di nocche rapidi, uno lento, altri due rapidi. Il loro segreto, tutto chiuso in quel capanno. «Era ora, cazzo!» Fu la risposta che provenne dall’interno, seguita dal rumore di passi affrettati. La chiave girava nella toppa ed ogni mandata accresceva l’anticipazione che si attorcigliava senza sosta nello stomaco di Ian Gallagher.

«Sono felice anch’io di vederti.» rise, non appena Mickey lo tirò dentro afferrandolo per il colletto della camicia a quadri. Il borsone cadde per terra in un tonfo stanco. Il ghigno compiaciuto che il custode gli riservò aprì la strada ad un bacio furioso, stretto fra respiri affannati. I suoi denti gli catturarono docilmente il labbro, mentre mani bisognose di contatto non accennavano a lasciare la presa sulle sue spalle. Mickey non era abituato ad esprimersi a suon di smancerie, ma aveva altri modi per fargli capire quanto avesse bisogno di lui. Ian gli prese il volto fra le mani e lo vide chiudere gli occhi, palpebre che tremavano appena, labbra dischiuse e guance tinte di rosso. Bellissimo, rapito per il suo tocco soltanto. Mickey era un duro; era un colpo di pistola sparato al cielo o quel sorso di whiskey che è troppo e lo sai ma lo vuoi, eppure fra le sue braccia, a volte, svelava la fragilità di un bambino.

Ad Ian sarebbe piaciuto portarlo fuori. Un cinema, una cena. Niente di pretenzioso. Sognava di una serata da dividere con lui per strada, non da amici ma da amanti. Sognava di buttare giù le mura di quel capanno e di sfondare le ante dello stretto armadio dentro cui lui si ostinava a nascondersi. Sognava, appunto. Perché Mickey aveva detto no. Non possiamo tenerci per mano. No, non puoi baciarmi fuori da qui. Non lo devono sapere, Gallagher, non lo devono sapere. Mio padre mi ammazza, tu non lo sai. Non sai niente, Gallagher, sta’ zitto.

«Devo darti una cosa.»

A udire quelle parole, Ian riemerse dai propri pensieri. La rassegnazione e l’ebbrezza del momento danzavano nel suo cuore in un contrasto dolceamaro. «Oh.» sospirò, abbozzando un sorriso, genuinamente curioso.

Mickey prese una scatola di cartone che aveva poggiato sul davanzale della finestra e con lo sguardo basso l’aprì sotto il suo naso, mostrandogli il contenuto. «Per tua sorella…» farfugliò, cercando di combattere l’imbarazzo in maniera così evidente che Ian avrebbe voluto scattargli un’istantanea e conservarla per sempre. «La settimana prossima è il suo compleanno, no? Mi piace, è una ragazzina tosta, questi fanno per lei.» aggiunse il custode, spingendosi oltre la sua consueta soglia di gentilezza con somma sorpresa da parte di Ian.

Mickey teneva sempre le tapparelle abbassate. Un paio di guantoni da boxe splendevano sotto la lucetta fioca che pendeva dal soffitto del capanno. Rosso sgargiante, nuovi di zecca, Debbie li avrebbe adorati.

«Ti bacerà per questo. Lo sai, vero?» sogghignò Gallagher, sottraendogli con gratitudine il regalo per sua sorella.

«Fanculo.» si schernì l’altro, dandogli le spalle e dirigendosi verso il cucinino. Stappò una bottiglia di birra, tracannò un lungo sorso e si strofinò la bocca col dorso della mano. «Preferirei vederla in azione. Farà meglio ad ammazzare qualcuno con quelli.» aggiunse, inarcando il sopracciglio in modo fiero.

«Hmmmm, magari no. Magari si dovrebbe limitare al sacco.» replicò divertito Ian prima di raggiungerlo e rubargli la tedesca.

Mickey era sboccato, sfacciato e suo. Mani sporche e occhi puliti. Grande cuore, silenzi che urlavano. Maniere brusche, poche testarde paure. Poteva essere all’oscuro di quante ossa ci fossero in una mano ma conosceva i segreti dell’impianto elettrico della scuola ed era l’unico che sapesse fare pace con la vecchia caldaia. Ogni centimetro della sua pelle bianca era carta su cui scarabocchiare ubriache note disciplinari, le labbra di Ian colavano inchiostro.

   
 
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