A Ila,
la tua
little bird ti ama tanto
From skin
to heart
In
ritardo per il suo appuntamento col preside, il professore
di Educazione Fisica aprì il cassetto della scrivania alla
disperata ricerca di
una penna. Ian
C. Gallagher. Un paio
di rapidi movimenti del polso e la sua firma campeggiava in inchiostro
blu a
pie’ di pagina. Infilò la richiesta dentro una
cartellina trasparente, si
sistemò in spalla il borsone sportivo ed uscì
chiudendo a chiave la porta. La penna
che aveva abbandonato sul tavolo era scivolata lungo la superficie
liscia dalla
vernice un po’ smangiata ed era finita sul pavimento. Questo
però il professor
Gallagher, in corsa fra i corridoi del liceo Ragdale, non poteva
saperlo.
Arrivato
davanti all’ufficio del preside Lowell, Ian si
passò
una mano fra i capelli nel tentativo di domare il ciuffo rosso che gli
cadeva
sulla fronte, poi bussò. Sperava di sbrigare in fretta
quella faccenda. Permessi,
giustifiche, rapporti e scartoffie varie erano l’aspetto del
suo lavoro che
gradiva di meno. Preferiva stare a contatto con i suoi ragazzi,
raccontargli della
sua adolescenza passata a sfidare i propri limiti fisici
nell’ROTC, motivarli a
dare il meglio di sé durante le competizioni e ricordargli
di fare sempre del
sesso protetto. Ma soprattutto amava correre insieme a loro lungo il
perimetro
del cortile per passare casualmente
davanti al capanno del non-così-burbero custode temuto da
tutti. Non era una
pertica d’uomo e le sue braccia non erano tronchi
d’albero, ma fra i banchi si vociferava
che nel trascurato disordine della sua modesta e blindata abitazione ci
fossero
più armi da fuoco che posate in cucina. Questo, Ian lo
sapeva per certo. Anzi,
nel secondo cassetto del comò di Mickey Milkovich aveva
intravisto anche un paio
di tirapugni e tre o quattro coltelli a serramanico. Non che il custode
fosse
uno di quei fanatici militanti di estrema destra a cui piace piantare
grane,
era semplicemente un grande ammiratore della difesa personale.
Il signor
Lowell era un gran chiacchierone. La sua figura
aveva assunto fra gli studenti quasi i tratti di una macchietta, con la
sua
risata grassa e la fissazione con le cravatte poco convenzionali. Ad
Ian stava anche
bene, meglio lui che non un ingessatissimo burocrate del cazzo, ma in
quel
momento non aveva proprio voglia di restare a sentire il resoconto del
suo
weekend al lago. Onestamente, aveva di meglio da fare che risolvere i
problemi
del preside con le formiche. Lui
lo
stava aspettando ed Ian sapeva che la pazienza non rientrava fra le sue
virtù.
«Le
farò avere il nome dell’insetticida che mi porto
dietro
in campeggio. È infallibile.» tagliò
corto, battendosi i palmi delle mani sulle
ginocchia come per congedarsi. Fece per alzarsi dalla sedia, ma Lowell
sembrava
volerlo trattenere ancora dato che finì col far virare la
conversazione sui
modi migliori di cucinare il pesce appena pescato. Ian fece appello a
tutta la
propria forza di volontà per non alzare gli occhi al cielo.
Aveva improvvisamente
bisogno di una sigaretta. Dannazione, avrebbe dovuto eliminare quella
brutta
piccola abitudine prima che diventasse vizio. Polmoni sani e buona
respirazione
erano fondamentali per la resistenza durante le attività
sportive. Solo che a
volte… a volte c’era troppo da sopportare.
«Mi
perdoni, preside, resterei ad ascoltarla ma ho degli
impegni urgenti. Riprendiamo la conversazione domattina davanti a un
caffè?»
riuscì a proporre, infilandosi a fatica fra le maglie di
quello che era
praticamente un monologo.
«Ma
certo, Gallagher. Vada, vada! Glielo offro io quel caffè.
Un buon italiano corretto, non l’intruglio insapore che
servono in mensa. Buona
serata!» esclamò il signor Lowell, alzandosi dalla
poltrona per accompagnarlo
personalmente alla porta.
Ian si
incamminò verso l’uscita, il battito cardiaco che
accelerava man mano che si avvicinava al limitare del cortile. Sorrise,
strinse
il labbro fra i denti, scosse la testa. “Sono
fottuto.” realizzò, divertito
dalla consapevolezza che quella cosa era cominciata come pelle su pelle
ed era
finita cuore su cuore. Perfino quando gli cadeva l’occhio
sulle siepi potate di
fresco si ritrovava a fare i conti con una gioia briosa da adolescente
infatuato che si allargava visibilmente sul suo volto.
Perché sapeva che le
mani che avevano ripulito quelle piante erano le stesse che si
prendevano cura
- in qualche strano modo - anche di lui.
Si
guardò attorno con aria circospetta, assicurandosi che
nessuno studente fosse nei paraggi. Sentiva i cori delle cheerleaders
che si
allenavano sul campetto dall’altro lato del cortile, ma a
parte loro non
sembrava esserci nessun altro.
Diede
sulla porta due colpi di nocche rapidi, uno lento,
altri due rapidi. Il loro segreto, tutto chiuso in quel capanno.
«Era ora,
cazzo!» Fu la risposta che provenne dall’interno,
seguita dal rumore di passi
affrettati. La chiave girava nella toppa ed ogni mandata accresceva
l’anticipazione
che si attorcigliava senza sosta nello stomaco di Ian Gallagher.
«Sono
felice anch’io di vederti.» rise, non appena Mickey
lo
tirò dentro afferrandolo per il colletto della camicia a
quadri. Il borsone
cadde per terra in un tonfo stanco. Il ghigno compiaciuto che il
custode gli
riservò aprì la strada ad un bacio furioso,
stretto fra respiri affannati. I suoi
denti gli catturarono docilmente il labbro, mentre mani bisognose di
contatto non
accennavano a lasciare la presa sulle sue spalle. Mickey non era
abituato ad
esprimersi a suon di smancerie, ma aveva altri modi per fargli capire
quanto
avesse bisogno di lui. Ian gli prese il volto fra le mani e lo vide
chiudere gli
occhi, palpebre che tremavano appena, labbra dischiuse e guance tinte
di rosso.
Bellissimo, rapito per il suo tocco soltanto. Mickey era un duro; era
un colpo
di pistola sparato al cielo o quel sorso di whiskey che è
troppo e lo sai ma lo
vuoi, eppure fra le sue braccia, a volte, svelava la
fragilità di un bambino.
Ad Ian
sarebbe piaciuto portarlo fuori. Un cinema, una cena. Niente
di pretenzioso. Sognava di una serata da dividere con lui per strada,
non da
amici ma da amanti. Sognava di buttare giù le mura di quel
capanno e di
sfondare le ante dello stretto armadio dentro cui lui si ostinava a
nascondersi. Sognava, appunto. Perché Mickey aveva detto no.
Non possiamo
tenerci per mano. No, non puoi
baciarmi fuori da qui. Non lo devono sapere, Gallagher, non lo devono
sapere. Mio
padre mi ammazza, tu non lo sai. Non sai niente, Gallagher,
sta’ zitto.
«Devo
darti una cosa.»
A udire
quelle parole, Ian riemerse dai propri pensieri. La rassegnazione
e l’ebbrezza del momento danzavano nel suo cuore in un
contrasto dolceamaro. «Oh.»
sospirò, abbozzando un sorriso, genuinamente curioso.
Mickey
prese una scatola di cartone che aveva poggiato sul
davanzale della finestra e con lo sguardo basso
l’aprì sotto il suo naso,
mostrandogli il contenuto. «Per tua
sorella…» farfugliò, cercando di
combattere
l’imbarazzo in maniera così evidente che Ian
avrebbe voluto scattargli un’istantanea
e conservarla per sempre. «La settimana prossima è
il suo compleanno, no? Mi
piace, è una ragazzina tosta, questi fanno per
lei.» aggiunse il custode, spingendosi
oltre la sua consueta soglia di gentilezza con somma sorpresa da parte
di Ian.
Mickey
teneva sempre le tapparelle abbassate. Un paio di
guantoni da boxe splendevano sotto la lucetta fioca che pendeva dal
soffitto del
capanno. Rosso sgargiante, nuovi di zecca, Debbie li avrebbe adorati.
«Ti
bacerà per questo. Lo sai, vero?»
sogghignò Gallagher,
sottraendogli con gratitudine il regalo per sua sorella.
«Fanculo.»
si schernì l’altro, dandogli le spalle e
dirigendosi verso il cucinino. Stappò una bottiglia di
birra, tracannò un lungo
sorso e si strofinò la bocca col dorso della mano.
«Preferirei vederla in
azione. Farà meglio ad ammazzare qualcuno con
quelli.» aggiunse, inarcando il
sopracciglio in modo fiero.
«Hmmmm,
magari no. Magari si dovrebbe limitare al sacco.»
replicò
divertito Ian prima di raggiungerlo e rubargli la tedesca.
Mickey
era sboccato, sfacciato e suo. Mani sporche e occhi
puliti. Grande cuore, silenzi che urlavano. Maniere brusche, poche
testarde paure.
Poteva essere all’oscuro di quante ossa ci fossero in una
mano ma conosceva i
segreti dell’impianto elettrico della scuola ed era
l’unico che sapesse fare
pace con la vecchia caldaia. Ogni centimetro della sua pelle bianca era
carta
su cui scarabocchiare ubriache note disciplinari, le labbra di Ian
colavano
inchiostro.