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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    25/05/2015    2 recensioni
[Angst/HurtComfort/FamilyFluff][PostHades]
Versione riveduta e corretta, divisa opportunamente in capitoli, della mia fic con lo stesso nome.
Quando non si sa se le cose miglioreranno o meno, quando un certo numero di segreti sono talmente dolorosi da rischiare di distruggere una famiglia ancora prima che questa possa muovere i primi passi...
Quando la Guerra Santa porta ferite molto più profonde di quelle fisiche.
Genere: Drammatico, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Pegasus Seiya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nei Giardini Che Nessuno Sa'
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CAPITOLO 11

FINALMENTE, CASA

Shiryu salutò con un cenno le due infermiere che sedevano al bancone della reception per dirigersi a passo spedito verso la sala mensa; una volta svoltato l’angolo, si concesse uno sbadiglio, ampio al punto da quasi slogargli la mascella.

Non l’avrebbe mai ammesso di fronte al fratello ma era stanco morto: ora che tutto sembrava si stesse normalizzando, le tensioni e le preoccupazioni dei mesi precedenti si facevano sentire forte e chiare, lasciandolo prostrato ed esausto.

Ma era disposto a qualunque sacrificio per stare vicino a Seiya in quei momenti così delicati della sua ripresa, non aveva intenzione di lasciarlo solo e avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere per supportarlo al meglio: era suo fratello e ora che aveva bisogno di loro, non lo avrebbe abbandonato per alcun motivo al mondo.

Perso nelle sue elucubrazioni, aveva percorso distrattamente quasi tutto il corridoio che conduceva al refettorio senza notare il ragazzo che sfrecciava nella direzione a lui opposta, salvo poi andarci a sbattere contro, finendo ambedue a terra; seccato e frastornato, Dragoon aprì bocca per mormorare parole di rimprovero ma poi riconobbe la zazzera scura che si agitava assieme alla testa del proprietario: “Jabu, sbaglio o ti hanno già sgridato a sufficienza oggi? Sai che non devi metterti a correre così, sei ancora debole.” fece notare lui, aiutando però il fratello a rialzarsi.

Unicorn accettò di buon grado la mano tesa del ragazzo più grande e si scrollò i vestiti con noncuranza: “Venivo a vedere come andavano le cose.” replicò tranquillamente, “Saori-sama è passata da noi prima.” spiegò, “Ha detto che sarebbe passata in stanza da Seiya, ti ha dato il cambio?”.

Con un braccio attorno alle sue spalle, Shiryu lo guidò verso la mensa: “Tutto a posto, si è di nuovo addormentato e Saori-san è rimasta con lui. Ha detto che ci penserà lei a tenergli compagnia per stanotte, non è da solo.”

Fecero qualche passo in silenzio, poi Jabu si decise a riprendere la parola, guardando però a terra con imbarazzo: “C-Come stai tu?” chiese in un sussurro, “Hai un’aria stravolta.”

Shiryu si lasciò andare ad un sospiro: “Sono solo un po’ stanco, non darti pensiero per me.” rispose, forse un po’ troppo seccamente di quanto avesse voluto; Jabu, difatti, alzò la testa di scatto, fissandolo con severità negli occhi arrossati e velati.

“Me ne do eccome. Non voglio che tu ti ammali, non adesso che abbiamo risolto un problema di questa portata. Non... non è il caso.”

Il Saint di Dragoon si diede dello stupido e aumentò la stretta sul corpo tremante del compagno, fermando la marcia e poggiando la fronte contro la sua tempia: “Scusa, hai ragione. Non volevo essere aggressivo. Ti assicuro che sto bene, ho solo bisogno di dormire un po’.” e affiancò alle proprie parole un sorriso incoraggiante che sortì l’effetto sperato.

Jabu, infatti, si rilassò e, divincolatosi, lo afferrò per il polso: “Vieni, ti abbiamo preso qualcosa da mangiare.” disse, tirandoselo dietro.

I due ripresero a camminare velocemente e, quando entrarono nella sala, riconobbero subito la figura di spalle che, seduta ad un tavolo d’angolo, sembrava fissare il vuoto con una tazza tra le mani: “Ichi, il tè si raffredda.” furono le prime parole di Shiryu mentre lo avvicinava; il ragazzino sobbalzò e subito il maggiore si sentì in colpa, doveva avere i nervi a fior di pelle.

I due nuovi arrivati si affrettarono a prendere posto al tavolino, il rumore delle sedie spostate riecheggiò nel locale deserto e Jabu spinse davanti al fratello un paio di involti ancora tiepidi: “Vado a dire alla signorina che sei arrivato, così ti prepara un po’ di zuppa. Si è raccomandata di avvertirla per tempo.”.

Hydra raccolse efficientemente i rifiuti lasciati sul tavolino nel silenzio più assoluto mentre Dragoon sbocconcellava distrattamente il contenuto di una ciotola di riso con alghe: pur non avendo molta fame, sapeva di dover mangiare, non voleva far preoccupare ulteriormente i fratelli per la propria salute.

I suoi occhi s’incantarono a fissare la figura saltellante di Jabu che gesticolava animosamente nel parlare con una giovane donna dietro il bancone, la quale alzò la testa per rivolger loro un saluto gentile, salvo poi concentrarsi sul ragazzo stranamente silenzioso dinanzi a sé.

Dopo aver ripulito il tavolo, infatti, il fratello si era chiuso nuovamente in sé stesso, le mani attorno alla tazza ormai raffreddatasi nel vano tentativo di scaldarsi, lo sguardo perso nel vuoto come quando erano arrivati.

Era strano quell’atteggiamento, doveva ammetterlo: di solito, riuscire a zittire Ichi era una cosa difficile e complessa, a volte rivaleggiava con Jabu e Seiya per parlantina, mentre ora sembrava una statua di cera, tanto era immobile e rabbuiato.

Ma come rompere quel mutismo? Come far breccia in lui?

Shiryu non riusciva a trovare un’idea soddisfacente, l’unico rumore che si udiva tra loro era il tintinnare delle hashi sul bordo della ciotola che andava via via svuotandosi, non un sussurro né un respiro: Ichi teneva ostinatamente la bocca chiusa, sembrava quasi non respirare nemmeno.

Jabu, da lontano, osservava la scena con un misto di preoccupazione: era tutto il pomeriggio che cercava di far parlare Hydra – senza riuscirci – e aveva sperato che almeno il fratello maggiore avesse più successo di lui.

“Cosa dobbiamo fare con te…?” borbottò Unicorn, calciando un sasso invisibile in segno di frustrazione.

“Sembra sul punto di esplodere.”

La voce triste della cuoca lo fece sobbalzare mentre la ragazza, levatasi la cuffia, rifaceva la coda che teneva fermi i suoi capelli lunghi e scuri: “Guarda le sue labbra, se le sta mordendo a sangue.” indicò lei, puntando un dito snello verso il giovane dai capelli bianchi, “Sono di turno da oggi pomeriggio e ho avuto modo di osservarlo,” disse lei a di giustificazione, come se si scusasse della propria invadenza, “vi ho osservati entrambi e mi siete sembrati subito due cuccioli sperduti.” aggiunse prima di prendere in mano uno straccio e cominciare a pulire il bancone.

Noi…” iniziò il più giovane – la sua interlocutrice non poteva avere più di 25 anni – ma venne subito interrotto: “So chi siete. Non c’è nessuno qui che non vi conosca, proprio per questo voglio esservi d’aiuto.” intervenne.

Dalla cucina si udì un sibilo e lei subito sparì dietro la porta, riapparendo dopo alcuni minuti con un vassoio e tre ciotole piene fino all’orlo: “Ho pensato che un piatto di ramen sarebbe stato più indicato, c’è un freddo che penetra fin nelle ossa stanotte.” aggiunse, stringendosi nello scialle, “Minaccia neve, state attenti se avete intenzione di tornare a casa.”.

Con un cenno del capo e il cuore gonfio di sollievo e gioia per quell’ennesimo atto di gentilezza che era stato loro donato, Jabu si affrettò a prenderlo in mano: “Grazie di cuore.” disse infine lui con un inchino.

“Per qualunque cosa, sono qui.” concluse lei, ritornando alle proprie occupazioni.

Più sereno, Unicorn trasportò il vassoio fino al tavolo e distribuì celermente le porzioni ai fratelli: “Mangiate finchè è caldo.” si raccomandò, prendendo poi posto accanto a Ichi, “Anche tu.” gli disse, scrutandone il viso con preoccupazione.

La donna aveva ragione: sembrava teso come una corda di violino in procinto di spezzarsi.

Si misero a mangiare sempre in silenzio: ora si udiva soltanto lo sciabordare del brodo caldo mentre i loro corpi si rinfrancavano.

Ma Ichi non si mosse, restò immobile mentre le mani tornavano a raffreddarsi, finito l’influsso benefico del calore della tazza.

Shiryu e Jabu si scambiarono uno sguardo pensieroso poi accantonarono le stoviglie e si concentrarono su di lui: “Ti senti bene?” azzardò Unicorn, poggiando la propria mano su quella del fratello quasi coetaneo.

Questi sussultò ma fu l’unico cenno di vita che fece.

“Vuoi che vada a chiamare qualcuno?” chiese ancora, guardandolo con aria dolce.

Hydra scosse appena la testa, il cuore troppo pesante e addolorato per fare altro.

Dragoon allungò le proprie dita a sfiorare la pelle tirata della guancia del ragazzino più giovane, che cominciò subito a venir solcata da calde lacrime: “Ehi… non fare così…” cercò di sembrare il più possibile rassicurante, “Parlaci… Siamo qui per te.” mormorò implorante.

Jabu, da parte sua, allungò un braccio per cingere il corpo – ora tremante – del compagno, poggiò la propria fronte su quella ampia dell’altro e ne accarezzò la schiena sussultante: “Shhh… va tutto bene…” gli mormorò, “Non sei solo.”.

Fu l’ultima goccia.

La potenza con cui il pianto di Ichi eruttò era pari alla distruzione perpetrata da un vulcano risvegliatosi improvvisamente, la forza che egli mise nell’abbraccio soffocante riservato a Jabu prorompente come un fiume in piena.

Shiryu si rese conto solo in quel momento della fragilità immensa dei propri fratelli: quante cose ancora non sapeva di loro?

Quante ferite solcavano i loro animi invecchiati in guerra?

Quante cicatrici segnavano i loro corpi?

Dragoon avvertì distintamente l’impulso di abbracciarli a propria volta e così fece: alzatosi e fatto il giro del tavolo, affondò le braccia in quell’intrico di corpi e capelli, raccogliendo le loro membra stanche e bisognose di affetto e rassicurazione per stringerli a sé.

Scusatemi…” borbottò Hydra all’improvviso.

“Non parlare…” mormorò Shiryu a voce bassa: “Non ce n’è bisogno…”.

I lunghi minuti trascorsi in silenzio furono infine interrotti dalla risata nervosa di Jabu, il primo a staccarsi, forse un po’ a disagio: “Che ne dite di finire di mangiare e poi andare a casa? Credo ci farebbe bene riposare un po’. A tutti.” propose, scoccando uno sguardo perentorio verso i due compagni.

“Dico che sto morendo di fame.” sorrise appena Ichi, attaccando i tagliolini in brodo con rinnovato entusiasmo.

La tempesta sembrava passata, ma Shiryu aveva tutta l’intenzione di proseguire quel discorso, magari una volta a casa, nella privacy delle quattro mura della Villa; c’era tanto da fare e si rese conto che le sue priorità stavano lentamente cambiando: non era solo Seiya ad avere bisogno di conforto e vicinanza ma anche loro ne sentivano l’urgenza.

Nessuno escluso.

§§§

Stretti nelle spalle, i tre ragazzi guardarono con rassegnazione la pioggia battere forte nel cortile della clinica: non si erano minimamente accorti del cambio repentino di tempo, doveva aver anche tuonato ma non avevano udito assolutamente nulla, troppo concentrati su altre cose com’erano.

“Nessuno di voi ha un ombrello, vero?” chiese Jabu, sfregandosi gli occhi e trattenendo uno sbadiglio.

“E se andassimo a chiederne uno a Satsuki-san?” propose Hydra, il cui unico scopo al momento era correre il prima possibile a casa e dormire.

“L’ho sentita parlare con Meiko-san prima, ha chiesto se può accompagnarla a casa lei perché lo ha dimenticato.” rispose Shiryu.

Stavano valutando se farsi o meno la strada di casa a passo di corsa, facendo lo slalom tra una goccia e l’altra, e asciugarsi una volta tornati al Manor, quando una voce seccata spezzò il filo dei loro discorsi, chiedendo di Saori.

Voltatisi, videro Tatsumi affacciato dal finestrino della macchina.

Saori-san è in camera da Seiya, ha detto che resterà con lui per stanotte.” replicò Shiryu tranquillo, stringendosi nel bavero dell’abito cinese, già zuppo dopo nemmeno qualche minuto: “Se hai intenzione di aspettarla, preparati a passare la notte qua.” concluse il Dragone, infilandosi le mani in tasca e dirigendosi verso il cancello, seguito a breve distanza dagli altri due, coi cappucci alzati per proteggersi dalla pioggia.

“Dove state andando?”

La domanda dell’uomo lasciò i tre guerrieri spiazzati, che si fermarono sul sentiero asfaltato reso scivoloso dall’acqua piovana: “A casa, qualche ora ho bisogno di trascorrerla con la testa poggiata su un cuscino.” replicò Unicorn, sottolineando il suo bisogno di riposo con un sonoro sbadiglio.

“E avete davvero intenzione di tornarci a piedi?”.

Shiryu si fermò a guardarlo, sorpreso, mentre la pioggia gli picchettava insistente sul volto, offuscandogli la vista: “Salite, o rischiate di ammalarvi.” borbottò Tatsumi, armeggiando con i comandi e il cruscotto dell’auto, “E sbrigatevi.” li rimproverò, visto che nessuno dei tre accennava a muoversi da lì.

Una delle portiere posteriori si aprì.

Come colpiti da una scarica elettrica, i Saints sobbalzarono, per poi infilarsi nell’abitacolo tiepido, rabbrividendo per la differenza di temperatura tra l’interno e l’esterno, mentre l’auto, lentamente e slittando nel fango, si muoveva, il rumore dei tergicristalli era come una ninna nanna per i loro corpi esausti: “Se non ce la fate più, dormite. Vi sveglio io quando saremo arrivati.”.

Ma le parole del maggiordomo non raggiunsero mai l’orecchio dei tre, i quali erano già miseramente crollati tra le braccia di Morfeo, le teste poggiate le une contro le altre e le mani intrecciate.

§§§

Non fu semplice, per Tatsumi, svegliare i ragazzi e spingerli su per i gradini del loggiato della Villa una volta arrivati a casa: erano assonnati e sfiniti e solo una buona dose di aiuto da parte delle domestiche che – evidentemente – stavano ad aspettare con l’orecchio teso riuscì a condurli infine all'asciutto mentre lui sistemava con cura l’auto nel garage.

Quando infine anche lui rientrò, chiudendosi la porta alle spalle a doppia mandata, ad accoglierlo trovò soltanto Akiko: “I signorini sono in salotto a scaldarsi davanti al caminetto, abbiamo portato loro degli abiti puliti. Saori-ojousama?” domandò lei, asciugandosi le mani nel grembiule.

Tatsumi fece un cenno affermativo con la testa e si levò il soprabito bagnato: “Ojou-sama è in clinica con Seiya.” disse con tono severo, “Mi è stato riferito che passerà la notte lì.”.

Con espressione sollevata, la donna di servizio prese il cappotto dalle mani del maggiordomo e lo appese con cura all’attaccapanni: “Ne sono lieta” soggiunse, facendo un rapido inchino di commiato prima di dirigersi a passo svelto verso la cucina.

Malgrado l’ora tarda, gran parte delle domestiche era lì, tutte affaccendate tra fornelli e bucato: “Akiko-san, puoi portare tu queste tazze ai signorini?” domandò subito Miyuki – una delle più anziane di casa – non appena la ebbe vista entrare.

Ella annuì senza proferire verbo e, preso in mano il vassoio, uscì nuovamente nel corridoio; in capo a qualche minuto, era dinanzi alla porta del salotto principale: bussò, l’orecchio teso a sentire una qualsivoglia voce darle il permesso di entrare, poi udì un borbottio affermativo che riconobbe appartenente a Jabu-bocchan e infine aprì la porta.

La stanza era avvolta dal tepore delle fiamme guizzanti e immersa in una tenue semioscurità: i tre ragazzi erano accoccolati sul divano, gli abiti puliti indosso e i visi stanchi ma forse troppo sovraeccitati per dormire serenamente come avrebbero voluto: la donna rivolse loro un lieve cenno di saluto e poggiò il vassoio sul basso tavolino in cristallo a metà tra i divani e il caminetto stesso, dispose le chicchere e la teiera e tolse le stoviglie abbandonate lì dall’ora di cena, ultima volta in cui aveva visto gli altri signorini prima che questi si fossero ritirati a loro volta nelle proprie stanze.

“Avete bisogno di qualcosa?” chiese lei con tono premuroso: “Abbiamo acceso il riscaldamento anche nelle vostre camere da letto, ma se avete ancora freddo ci sono delle coperte negli armadi”.

Ichi le sorrise grato: “Grazie, va bene così.” disse, servendosi per primo: “Tra poco comunque andremo a riposare.” intervenne Shiryu, versando del tea anche per Unicorn, “Perché non andate a dormire anche voi? Sarete tutte stanche dopo una così lunga giornata di lavoro.” propose il maggiore dei tre.

Ma la domestica scosse la testa: “Essere al vostro servizio non è un peso, bocchan. Adesso che sappiamo che Seiya-bocchan sta bene, lavoreremo con più entusiasmo. E poi, Shun-bocchan e Hyoga-bocchan non sono ancora tornati e vogliamo essere sveglie per accoglierli come si deve.” dichiarò lei con entusiasmo, raccogliendo i loro vestiti umidi per la pioggia e sporchi per la lunga permanenza in ospedale.

“Vi auguro una buona notte.” concluse prima di congedarsi con un inchino.

Nella stanza cadde un silenzio tranquillo, rotto di quando in quando dal crepitio del fuoco e dal picchettare della pioggia sui vetri; rinfrancati dal calore degli infusi, infine, i ragazzi poggiarono le chicchere sui piattini tintinnanti e si lasciarono avvolgere dal tepore della stanza: e se si fossero addormentati lì?

Non c’erano pericoli, erano a casa…

Casa…

Con una risatina a stento trattenuta, Jabu riflettè che era la prima volta – in tanti anni – che pensava a quella grande villa come ad una casa sicura, un nido dove riposare le ali prima di riprendere il volo, forse il fulcro che poteva dar vita alla famiglia che tanto aveva sognato in passato e che ancora sognava, quella famiglia che vedeva testardamente possibile nel legame con quei fratelli estraniati che condividevano con lui quel morbido divano che li stava precipitando nel sonno.

…Non ho la forza di alzarmi…” ammise improvvisamente Hydra, sistemandosi meglio sulle sue gambe usate come cuscino: “Restiamo ancora un po’ qui?” chiese lui con voce bassa e gorgogliante.

…Ma una volta spentosi il fuoco… non prenderemo freddo?” chiese Jabu, faticando a tenere gli occhi aperti

“Basta usare una coperta…” notò Shiryu, alzandosi per andare a prenderne una dal cesto che le ospitava.

Quando il morbido trapuntino avvolse i due fratelli, questi si raggomitolarono il più possibile per assorbire quel calore piacevole mentre Dragoon andò a sedersi sulla poltrona, come a voler vegliare su di loro.

Fu in questa posizione che li trovarono – ormai ore dopo – Shun e Hyoga di ritorno dall’Istituto dove erano rimasti a cena: con le giacche grondanti di acqua e i volti arrossati, entrarono in salotto per vedere cosa stessero facendo i fratelli – Akiko li aveva intercettati all’ingresso, preoccupata perché non aveva più sentito nulla provenire dalla stanza ma troppo discreta e restia a disturbarli per aprire la porta e sbirciare all’interno –, Shun si commosse e Hyoga, più in disparte, si diresse verso il caminetto per attizzarne la fiamma.

“Ehi, Jabu-kun… ragazzi… non stareste più comodi a letto?” chiese il ragazzo a voce bassa, scuotendo appena i fratelli suoi coetanei; ma questi mugolarono nel sonno, scostandosi.

“Lasciali stare, Shun. Hanno avuto una giornata lunga.”.

Shiryu si alzò dalla poltrona e andò ad aiutare il fratello più giovane a levarsi il cappotto, allontanandolo dal divano per non svegliare gli altri: “Sono piuttosto stanchi, hanno bisogno di dormire.” dichiarò Dragoon con aria serena.

“Ma non c’è rischio che si ammalino?” Shun sembrava pensieroso.

“C’è un bel caldo qui.” disse invece Hyoga, riponendo l’attizzatoio: “Staranno bene. Piuttosto, notizie di Ikki?” domandò con espressione indecifrabile.

Shiryu scosse la testa: “Non si è visto. Akiko-san ha detto nulla?”.

Andromeda scosse la testa, anche nella penombra si poteva vedere il turbamento del suo animo riflesso nelle lacrime a stento trattenute che si affollavano ai suoi occhi: “Ho sentito Miyuki-san e Maiko-san borbottare qualcosa in corridoio mentre venivamo qui, pare che sia chiuso nella sua stanza e che non abbia intenzione di uscire, men che meno di mangiare… non capisco cosa gli prenda.” mormorò il ragazzino, portandosi la mano destra sul cuore.

 Shiryu sospirò: “Allora domani vedrò di fare io qualcosa… Ora andate, è tardi per tutti. Domattina vi conviene dormire un po’ di più.”.

“Se vai in clinica… ecco… io vorrei venire con te…” disse Shun, tormentandosi le mani.

Dragoon sorrise e gli accarezzò la testa spettinata: “Vedremo domani. Non voglio che tu ti sforzi ulteriormente né che tu ti privi di sonno.” Il suo tono era severo eppure carezzevole, “Ora andate, vi raggiungo subito.”.

Hyoga allacciò le dita con quelle di Shun, rivolse al coetaneo un cenno affermativo e uscì, lasciandolo solo: con cura, rimboccò la coperta dei fratelli, li osservò per qualche secondo, poi lasciò a propria volta il salotto, chiudendosi accuratamente la porta alle spalle e ripromettendosi di tornare a controllarli la mattina seguente prima di colazione.

Nel corridoio, Shun e Hyoga non c’erano ma poteva udirne i passi mentre salivano le scale che portavano al piano delle camere e né seguì i passi, diretto finalmente verso la propria stanza e desideroso di non pensare più a nulla, solo di chiudere gli occhi e abbandonarsi al sonno.

Domani sarebbe stato un altro giorno e voleva affrontarlo al massimo delle forze disponibili.

§§§

Ikki era abbandonato sul letto, gli occhi sfatti di lacrime e le vesti sporche, aveva il viso scavato per la scarsità di nutrienti e una leggera barba incolta, segno di trascuratezza; la stanza non era messa in condizioni migliori: coi vestiti sparsi per ogni dove, pareva un campo di battaglia.

Quello della Fenice era un sonno poco riposante, tormentato da incubi e da risvegli solitari, simboli del suo animo esausto.

Nel pugno stretto, serbava quello che pareva un biglietto, vergato in una grafia semplice e dall’inchiostro sbavato per le lacrime che lo avevano picchettato: la frase era una soltanto.

Seiya si è svegliato.

La firma? Quella svolazzante di Shun.

Ma Ikki non aveva la minima intenzione di uscire da lì: non aveva il coraggio di guardare negli occhi Seiya, non riusciva a dimenticare l’orrore del sangue – fuoriuscito dal corpo minuto del Pegaso - che gli scivolava mortifero tra le mani.

Non riusciva a dimenticare neppure un momento di quei lunghi mesi di follia e agonia e, chiuso nel suo profondo rammarico, marciva nel più profondo dei sensi di colpa.

 

   
 
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