CAPITOLO 11
FINALMENTE, CASA
Shiryu salutò con un cenno le due infermiere che
sedevano al bancone della reception per dirigersi a passo spedito verso la sala
mensa; una volta svoltato l’angolo, si concesse uno sbadiglio, ampio al punto
da quasi slogargli la mascella.
Non l’avrebbe mai ammesso di
fronte al fratello ma era stanco morto: ora che tutto sembrava si stesse
normalizzando, le tensioni e le preoccupazioni dei mesi precedenti si facevano
sentire forte e chiare, lasciandolo prostrato ed esausto.
Ma era disposto a qualunque
sacrificio per stare vicino a Seiya in quei momenti
così delicati della sua ripresa, non aveva intenzione di lasciarlo solo e
avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere per supportarlo al meglio: era suo
fratello e ora che aveva bisogno di loro, non lo avrebbe abbandonato per alcun
motivo al mondo.
Perso nelle sue elucubrazioni,
aveva percorso distrattamente quasi tutto il corridoio che conduceva al
refettorio senza notare il ragazzo che sfrecciava nella direzione a lui
opposta, salvo poi andarci a sbattere contro, finendo ambedue a terra; seccato
e frastornato, Dragoon aprì bocca per mormorare
parole di rimprovero ma poi riconobbe la zazzera scura che si agitava assieme
alla testa del proprietario: “Jabu, sbaglio o ti
hanno già sgridato a sufficienza oggi? Sai che non devi metterti a correre
così, sei ancora debole.” fece notare lui, aiutando però il fratello a
rialzarsi.
Unicorn accettò di buon grado la mano tesa del
ragazzo più grande e si scrollò i vestiti con noncuranza: “Venivo a vedere come
andavano le cose.” replicò tranquillamente, “Saori-sama
è passata da noi prima.” spiegò, “Ha detto che sarebbe passata in stanza da Seiya, ti ha dato il cambio?”.
Con un braccio attorno alle sue
spalle, Shiryu lo guidò verso la mensa: “Tutto a
posto, si è di nuovo addormentato e Saori-san è
rimasta con lui. Ha detto che ci penserà lei a tenergli compagnia per stanotte,
non è da solo.”
Fecero qualche passo in silenzio,
poi Jabu si decise a riprendere la parola, guardando
però a terra con imbarazzo: “C-Come stai tu?” chiese
in un sussurro, “Hai un’aria stravolta.”
Shiryu si lasciò andare ad un sospiro: “Sono solo
un po’ stanco, non darti pensiero per me.” rispose, forse un po’ troppo
seccamente di quanto avesse voluto; Jabu, difatti,
alzò la testa di scatto, fissandolo con severità negli occhi arrossati e
velati.
“Me ne do eccome. Non voglio che
tu ti ammali, non adesso che abbiamo risolto un problema di questa portata.
Non... non è il caso.”
Il Saint di Dragoon
si diede dello stupido e aumentò la stretta sul corpo tremante del compagno,
fermando la marcia e poggiando la fronte contro la sua tempia: “Scusa, hai
ragione. Non volevo essere aggressivo. Ti assicuro che sto bene, ho solo
bisogno di dormire un po’.” e affiancò alle proprie parole un sorriso
incoraggiante che sortì l’effetto sperato.
Jabu, infatti, si rilassò e, divincolatosi, lo
afferrò per il polso: “Vieni, ti abbiamo preso qualcosa da mangiare.” disse,
tirandoselo dietro.
I due ripresero a camminare
velocemente e, quando entrarono nella sala, riconobbero subito la figura di
spalle che, seduta ad un tavolo d’angolo, sembrava fissare il vuoto con una
tazza tra le mani: “Ichi, il tè si raffredda.” furono
le prime parole di Shiryu mentre lo avvicinava; il
ragazzino sobbalzò e subito il maggiore si sentì in colpa, doveva avere i nervi
a fior di pelle.
I due nuovi arrivati si
affrettarono a prendere posto al tavolino, il rumore delle sedie spostate
riecheggiò nel locale deserto e Jabu spinse davanti
al fratello un paio di involti ancora tiepidi: “Vado a dire alla signorina che
sei arrivato, così ti prepara un po’ di zuppa. Si è raccomandata di avvertirla
per tempo.”.
Hydra raccolse efficientemente i rifiuti lasciati
sul tavolino nel silenzio più assoluto mentre Dragoon
sbocconcellava distrattamente il contenuto di una ciotola di riso con alghe:
pur non avendo molta fame, sapeva di dover mangiare, non voleva far preoccupare
ulteriormente i fratelli per la propria salute.
I suoi occhi s’incantarono a
fissare la figura saltellante di Jabu che gesticolava
animosamente nel parlare con una giovane donna dietro il bancone, la quale alzò
la testa per rivolger loro un saluto gentile, salvo poi concentrarsi sul
ragazzo stranamente silenzioso dinanzi a sé.
Dopo aver ripulito il tavolo,
infatti, il fratello si era chiuso nuovamente in sé stesso, le mani attorno
alla tazza ormai raffreddatasi nel vano tentativo di scaldarsi, lo sguardo
perso nel vuoto come quando erano arrivati.
Era strano quell’atteggiamento,
doveva ammetterlo: di solito, riuscire a zittire Ichi
era una cosa difficile e complessa, a volte rivaleggiava con Jabu e Seiya per parlantina,
mentre ora sembrava una statua di cera, tanto era immobile e rabbuiato.
Ma come rompere quel mutismo?
Come far breccia in lui?
Shiryu non riusciva a trovare un’idea
soddisfacente, l’unico rumore che si udiva tra loro era il tintinnare delle hashi sul bordo della ciotola che andava via via svuotandosi, non un sussurro né un respiro: Ichi teneva ostinatamente la bocca chiusa, sembrava quasi
non respirare nemmeno.
Jabu, da lontano, osservava la scena con un misto
di preoccupazione: era tutto il pomeriggio che cercava di far parlare Hydra – senza riuscirci – e aveva sperato che almeno il
fratello maggiore avesse più successo di lui.
“Cosa dobbiamo fare con te…?” borbottò Unicorn, calciando
un sasso invisibile in segno di frustrazione.
“Sembra sul punto di esplodere.”
La voce triste della cuoca lo
fece sobbalzare mentre la ragazza, levatasi la cuffia, rifaceva la coda che
teneva fermi i suoi capelli lunghi e scuri: “Guarda le sue labbra, se le sta
mordendo a sangue.” indicò lei, puntando un dito snello verso il giovane dai
capelli bianchi, “Sono di turno da oggi pomeriggio e ho avuto modo di
osservarlo,” disse lei a mò di giustificazione, come
se si scusasse della propria invadenza, “vi ho osservati entrambi e mi siete
sembrati subito due cuccioli sperduti.” aggiunse prima di prendere in mano uno
straccio e cominciare a pulire il bancone.
“Noi…”
iniziò il più giovane – la sua interlocutrice non poteva avere più di 25 anni –
ma venne subito interrotto: “So chi siete. Non c’è nessuno qui che non vi
conosca, proprio per questo voglio esservi d’aiuto.” intervenne.
Dalla cucina si udì un sibilo e
lei subito sparì dietro la porta, riapparendo dopo alcuni minuti con un vassoio
e tre ciotole piene fino all’orlo: “Ho pensato che un piatto di ramen sarebbe stato più indicato, c’è un freddo che penetra
fin nelle ossa stanotte.” aggiunse, stringendosi nello scialle, “Minaccia neve,
state attenti se avete intenzione di tornare a casa.”.
Con un cenno del capo e il cuore
gonfio di sollievo e gioia per quell’ennesimo atto di gentilezza che era stato
loro donato, Jabu si affrettò a prenderlo in mano:
“Grazie di cuore.” disse infine lui con un inchino.
“Per qualunque cosa, sono qui.”
concluse lei, ritornando alle proprie occupazioni.
Più sereno, Unicorn
trasportò il vassoio fino al tavolo e distribuì celermente le porzioni ai
fratelli: “Mangiate finchè è caldo.” si raccomandò,
prendendo poi posto accanto a Ichi, “Anche tu.” gli
disse, scrutandone il viso con preoccupazione.
La donna aveva ragione: sembrava
teso come una corda di violino in procinto di spezzarsi.
Si misero a mangiare sempre in
silenzio: ora si udiva soltanto lo sciabordare del brodo caldo mentre i loro
corpi si rinfrancavano.
Ma Ichi
non si mosse, restò immobile mentre le mani tornavano a raffreddarsi, finito
l’influsso benefico del calore della tazza.
Shiryu e Jabu si
scambiarono uno sguardo pensieroso poi accantonarono le stoviglie e si
concentrarono su di lui: “Ti senti bene?” azzardò Unicorn,
poggiando la propria mano su quella del fratello quasi coetaneo.
Questi sussultò ma fu l’unico
cenno di vita che fece.
“Vuoi che vada a chiamare
qualcuno?” chiese ancora, guardandolo con aria dolce.
Hydra scosse appena la testa, il cuore troppo
pesante e addolorato per fare altro.
Dragoon allungò le proprie dita a sfiorare la pelle
tirata della guancia del ragazzino più giovane, che cominciò subito a venir
solcata da calde lacrime: “Ehi… non fare così…” cercò di sembrare il più possibile rassicurante, “Parlaci… Siamo qui per te.” mormorò implorante.
Jabu, da parte sua, allungò un braccio per
cingere il corpo – ora tremante – del compagno, poggiò la propria fronte su
quella ampia dell’altro e ne accarezzò la schiena sussultante: “Shhh… va tutto bene…” gli
mormorò, “Non sei solo.”.
Fu l’ultima goccia.
La potenza con cui il pianto di Ichi eruttò era pari alla distruzione perpetrata da un
vulcano risvegliatosi improvvisamente, la forza che egli mise nell’abbraccio
soffocante riservato a Jabu prorompente come un fiume
in piena.
Shiryu si rese conto solo in quel momento della
fragilità immensa dei propri fratelli: quante cose ancora non sapeva di loro?
Quante ferite solcavano i loro
animi invecchiati in guerra?
Quante cicatrici segnavano i loro
corpi?
Dragoon avvertì distintamente l’impulso di
abbracciarli a propria volta e così fece: alzatosi e fatto il giro del tavolo,
affondò le braccia in quell’intrico di corpi e capelli, raccogliendo le loro
membra stanche e bisognose di affetto e rassicurazione per stringerli a sé.
“Scusatemi…”
borbottò Hydra all’improvviso.
“Non parlare…”
mormorò Shiryu a voce bassa: “Non ce n’è bisogno…”.
I lunghi minuti trascorsi in
silenzio furono infine interrotti dalla risata nervosa di Jabu,
il primo a staccarsi, forse un po’ a disagio: “Che ne dite di finire di
mangiare e poi andare a casa? Credo ci farebbe bene riposare un po’. A tutti.”
propose, scoccando uno sguardo perentorio verso i due compagni.
“Dico che sto morendo di fame.”
sorrise appena Ichi, attaccando i tagliolini in brodo
con rinnovato entusiasmo.
La tempesta sembrava passata, ma Shiryu aveva tutta l’intenzione di proseguire quel discorso,
magari una volta a casa, nella privacy delle quattro mura della Villa; c’era
tanto da fare e si rese conto che le sue priorità stavano lentamente cambiando:
non era solo Seiya ad avere bisogno di conforto e
vicinanza ma anche loro ne sentivano l’urgenza.
Nessuno escluso.
§§§
Stretti nelle spalle, i tre
ragazzi guardarono con rassegnazione la pioggia battere forte nel cortile della
clinica: non si erano minimamente accorti del cambio repentino di tempo, doveva
aver anche tuonato ma non avevano udito assolutamente nulla, troppo concentrati
su altre cose com’erano.
“Nessuno di voi ha un ombrello,
vero?” chiese Jabu, sfregandosi gli occhi e
trattenendo uno sbadiglio.
“E se andassimo a chiederne uno a
Satsuki-san?” propose Hydra,
il cui unico scopo al momento era correre il prima possibile a casa e dormire.
“L’ho sentita parlare con Meiko-san prima, ha chiesto se può accompagnarla a casa lei
perché lo ha dimenticato.” rispose Shiryu.
Stavano valutando se farsi o meno
la strada di casa a passo di corsa, facendo lo slalom tra una goccia e l’altra,
e asciugarsi una volta tornati al Manor, quando una
voce seccata spezzò il filo dei loro discorsi, chiedendo di Saori.
Voltatisi, videro Tatsumi affacciato dal finestrino della macchina.
“Saori-san
è in camera da Seiya, ha detto che resterà con lui
per stanotte.” replicò Shiryu tranquillo,
stringendosi nel bavero dell’abito cinese, già zuppo dopo nemmeno qualche
minuto: “Se hai intenzione di aspettarla, preparati a passare la notte qua.”
concluse il Dragone, infilandosi le mani in tasca e dirigendosi verso il
cancello, seguito a breve distanza dagli altri due, coi cappucci alzati per
proteggersi dalla pioggia.
“Dove state andando?”
La domanda dell’uomo lasciò i tre
guerrieri spiazzati, che si fermarono sul sentiero asfaltato reso scivoloso
dall’acqua piovana: “A casa, qualche ora ho bisogno di trascorrerla con la
testa poggiata su un cuscino.” replicò Unicorn,
sottolineando il suo bisogno di riposo con un sonoro sbadiglio.
“E avete davvero intenzione di
tornarci a piedi?”.
Shiryu si fermò a guardarlo, sorpreso, mentre la
pioggia gli picchettava insistente sul volto, offuscandogli la vista: “Salite,
o rischiate di ammalarvi.” borbottò Tatsumi,
armeggiando con i comandi e il cruscotto dell’auto, “E sbrigatevi.” li
rimproverò, visto che nessuno dei tre accennava a muoversi da lì.
Una delle portiere posteriori si
aprì.
Come colpiti da una scarica
elettrica, i Saints sobbalzarono, per poi infilarsi
nell’abitacolo tiepido, rabbrividendo per la differenza di temperatura tra
l’interno e l’esterno, mentre l’auto, lentamente e slittando nel fango, si
muoveva, il rumore dei tergicristalli era come una ninna nanna per i loro corpi
esausti: “Se non ce la fate più, dormite. Vi sveglio io quando saremo
arrivati.”.
Ma le parole del maggiordomo non
raggiunsero mai l’orecchio dei tre, i quali erano già miseramente crollati tra
le braccia di Morfeo, le teste poggiate le une contro le altre e le mani
intrecciate.
§§§
Non fu semplice, per Tatsumi, svegliare i ragazzi e spingerli su per i gradini del
loggiato della Villa una volta arrivati a casa: erano assonnati e sfiniti e
solo una buona dose di aiuto da parte delle domestiche che – evidentemente –
stavano ad aspettare con l’orecchio teso riuscì a condurli infine all'asciutto
mentre lui sistemava con cura l’auto nel garage.
Quando infine anche lui rientrò,
chiudendosi la porta alle spalle a doppia mandata, ad accoglierlo trovò
soltanto Akiko: “I signorini sono in salotto a
scaldarsi davanti al caminetto, abbiamo portato loro degli abiti puliti. Saori-ojousama?” domandò lei, asciugandosi le mani nel
grembiule.
Tatsumi fece un cenno affermativo con la testa e si
levò il soprabito bagnato: “Ojou-sama è in clinica
con Seiya.” disse con tono severo, “Mi è stato
riferito che passerà la notte lì.”.
Con espressione sollevata, la
donna di servizio prese il cappotto dalle mani del maggiordomo e lo appese con
cura all’attaccapanni: “Ne sono lieta” soggiunse, facendo un rapido inchino di
commiato prima di dirigersi a passo svelto verso la cucina.
Malgrado l’ora tarda, gran parte
delle domestiche era lì, tutte affaccendate tra fornelli e bucato: “Akiko-san, puoi portare tu queste tazze ai signorini?”
domandò subito Miyuki – una delle più anziane di casa
– non appena la ebbe vista entrare.
Ella annuì senza proferire verbo
e, preso in mano il vassoio, uscì nuovamente nel corridoio; in capo a qualche
minuto, era dinanzi alla porta del salotto principale: bussò, l’orecchio teso a
sentire una qualsivoglia voce darle il permesso di entrare, poi udì un
borbottio affermativo che riconobbe appartenente a Jabu-bocchan
e infine aprì la porta.
La stanza era avvolta dal tepore
delle fiamme guizzanti e immersa in una tenue semioscurità: i tre ragazzi erano
accoccolati sul divano, gli abiti puliti indosso e i visi stanchi ma forse
troppo sovraeccitati per dormire serenamente come avrebbero voluto: la donna
rivolse loro un lieve cenno di saluto e poggiò il vassoio sul basso tavolino in
cristallo a metà tra i divani e il caminetto stesso, dispose le chicchere e la
teiera e tolse le stoviglie abbandonate lì dall’ora di cena, ultima volta in
cui aveva visto gli altri signorini prima che questi si fossero ritirati a loro
volta nelle proprie stanze.
“Avete bisogno di qualcosa?”
chiese lei con tono premuroso: “Abbiamo acceso il riscaldamento anche nelle
vostre camere da letto, ma se avete ancora freddo ci sono delle coperte negli
armadi”.
Ichi le sorrise grato: “Grazie, va bene così.” disse,
servendosi per primo: “Tra poco comunque andremo a riposare.” intervenne Shiryu, versando del tea anche per Unicorn,
“Perché non andate a dormire anche voi? Sarete tutte stanche dopo una così
lunga giornata di lavoro.” propose il maggiore dei tre.
Ma la domestica scosse la testa: “Essere
al vostro servizio non è un peso, bocchan. Adesso che
sappiamo che Seiya-bocchan sta bene, lavoreremo con
più entusiasmo. E poi, Shun-bocchan e Hyoga-bocchan non sono ancora tornati e vogliamo essere
sveglie per accoglierli come si deve.” dichiarò lei con entusiasmo,
raccogliendo i loro vestiti umidi per la pioggia e sporchi per la lunga
permanenza in ospedale.
“Vi auguro una buona notte.” concluse
prima di congedarsi con un inchino.
Nella stanza cadde un silenzio
tranquillo, rotto di quando in quando dal crepitio del fuoco e dal picchettare
della pioggia sui vetri; rinfrancati dal calore degli infusi, infine, i ragazzi
poggiarono le chicchere sui piattini tintinnanti e si lasciarono avvolgere dal
tepore della stanza: e se si fossero addormentati lì?
Non c’erano pericoli, erano a casa…
Casa…
Con una risatina a stento
trattenuta, Jabu riflettè
che era la prima volta – in tanti anni – che pensava a quella grande villa come
ad una casa sicura, un nido dove riposare le ali prima di riprendere il volo,
forse il fulcro che poteva dar vita alla famiglia che tanto aveva sognato in
passato e che ancora sognava, quella famiglia che vedeva testardamente
possibile nel legame con quei fratelli estraniati che condividevano con lui
quel morbido divano che li stava precipitando nel sonno.
“…Non
ho la forza di alzarmi…” ammise improvvisamente Hydra, sistemandosi meglio sulle sue gambe usate come
cuscino: “Restiamo ancora un po’ qui?” chiese lui con voce bassa e
gorgogliante.
“…Ma
una volta spentosi il fuoco… non prenderemo freddo?”
chiese Jabu, faticando a tenere gli occhi aperti
“Basta usare una coperta…” notò Shiryu, alzandosi
per andare a prenderne una dal cesto che le ospitava.
Quando il morbido trapuntino
avvolse i due fratelli, questi si raggomitolarono il più possibile per
assorbire quel calore piacevole mentre Dragoon andò a
sedersi sulla poltrona, come a voler vegliare su di loro.
Fu in questa posizione che li
trovarono – ormai ore dopo – Shun e Hyoga di ritorno dall’Istituto dove erano rimasti a cena:
con le giacche grondanti di acqua e i volti arrossati, entrarono in salotto per
vedere cosa stessero facendo i fratelli – Akiko li
aveva intercettati all’ingresso, preoccupata perché non aveva più sentito nulla
provenire dalla stanza ma troppo discreta e restia a disturbarli per aprire la
porta e sbirciare all’interno –, Shun si commosse e Hyoga, più in disparte, si diresse verso il caminetto per
attizzarne la fiamma.
“Ehi, Jabu-kun…
ragazzi… non stareste più comodi a letto?” chiese il
ragazzo a voce bassa, scuotendo appena i fratelli suoi coetanei; ma questi
mugolarono nel sonno, scostandosi.
“Lasciali stare, Shun. Hanno avuto una giornata lunga.”.
Shiryu si alzò dalla poltrona e andò ad aiutare il
fratello più giovane a levarsi il cappotto, allontanandolo dal divano per non
svegliare gli altri: “Sono piuttosto stanchi, hanno bisogno di dormire.” dichiarò
Dragoon con aria serena.
“Ma non c’è rischio che si
ammalino?” Shun sembrava pensieroso.
“C’è un bel caldo qui.” disse invece
Hyoga, riponendo l’attizzatoio: “Staranno bene.
Piuttosto, notizie di Ikki?” domandò con espressione
indecifrabile.
Shiryu scosse la testa: “Non si è visto. Akiko-san ha detto nulla?”.
Andromeda scosse la testa, anche
nella penombra si poteva vedere il turbamento del suo animo riflesso nelle
lacrime a stento trattenute che si affollavano ai suoi occhi: “Ho sentito Miyuki-san e Maiko-san borbottare
qualcosa in corridoio mentre venivamo qui, pare che sia chiuso nella sua stanza
e che non abbia intenzione di uscire, men che meno di
mangiare… non capisco cosa gli prenda.” mormorò il
ragazzino, portandosi la mano destra sul cuore.
Shiryu sospirò: “Allora
domani vedrò di fare io qualcosa… Ora andate, è tardi
per tutti. Domattina vi conviene dormire un po’ di più.”.
“Se vai in clinica…
ecco… io vorrei venire con te…”
disse Shun, tormentandosi le mani.
Dragoon sorrise e gli accarezzò la testa spettinata:
“Vedremo domani. Non voglio che tu ti sforzi ulteriormente né che tu ti privi
di sonno.” Il suo tono era severo eppure carezzevole, “Ora andate, vi raggiungo
subito.”.
Hyoga allacciò le dita con quelle di Shun, rivolse al coetaneo un cenno affermativo e uscì, lasciandolo
solo: con cura, rimboccò la coperta dei fratelli, li osservò per qualche
secondo, poi lasciò a propria volta il salotto, chiudendosi accuratamente la
porta alle spalle e ripromettendosi di tornare a controllarli la mattina
seguente prima di colazione.
Nel corridoio, Shun e Hyoga non c’erano ma
poteva udirne i passi mentre salivano le scale che portavano al piano delle
camere e né seguì i passi, diretto finalmente verso la propria stanza e
desideroso di non pensare più a nulla, solo di chiudere gli occhi e
abbandonarsi al sonno.
Domani sarebbe stato un altro
giorno e voleva affrontarlo al massimo delle forze disponibili.
§§§
Ikki era abbandonato sul letto, gli occhi sfatti
di lacrime e le vesti sporche, aveva il viso scavato per la scarsità di
nutrienti e una leggera barba incolta, segno di trascuratezza; la stanza non
era messa in condizioni migliori: coi vestiti sparsi per ogni dove, pareva un
campo di battaglia.
Quello della Fenice era un sonno
poco riposante, tormentato da incubi e da risvegli solitari, simboli del suo
animo esausto.
Nel pugno stretto, serbava quello
che pareva un biglietto, vergato in una grafia semplice e dall’inchiostro
sbavato per le lacrime che lo avevano picchettato: la frase era una soltanto.
Seiya si è svegliato.
La firma? Quella svolazzante di Shun.
Ma Ikki
non aveva la minima intenzione di uscire da lì: non aveva il coraggio di
guardare negli occhi Seiya, non riusciva a dimenticare
l’orrore del sangue – fuoriuscito dal corpo minuto del Pegaso - che gli
scivolava mortifero tra le mani.
Non riusciva a dimenticare
neppure un momento di quei lunghi mesi di follia e agonia e, chiuso nel suo
profondo rammarico, marciva nel più profondo dei sensi di colpa.