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Autore: Vale11    26/05/2015    2 recensioni
Una raccolta di drabble e one shots che girano intorno a Riario e Da Vinci. Possono essere ambientate nel rinascimento come ai giorni nostri, possono andare dal comico al romantico, fino al decisamente deprimente.
"C’è chi gli ha detto che è quando sorride che fa più paura. Lui sa che il suo sorriso continuo è una reazione anche alla sua, di paura. Di quando ne aveva, di quando ne ha avuta. Di quando ne ha. Sorridi in faccia a chi ti sta frustando la schiena, e vedrai che gli confonderai le idee. Almeno quello. Ha imparato a sorridere così bene. Un sorriso freddo, falso e senza grazia alcuna."
Occhio, spoiler di brutto!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Girolamo dorme sul divano, con addosso solo un paio di pantaloncini da jogging. E’ raro che succeda, di solito è così attento a non far vedere a nessuno le sue cicatrici che gira in maglietta anche in spiaggia. Le ha nascoste anche a Leo, per un bel pezzo, poi si è lasciato convincere ad andare in piscina durante un agosto decisamente troppo caldo e si è lasciato beccare da tutta la compagnia. Zo, Nico, Vanessa, Giuliano, c’era pure suo fratello Lorenzo. Se devi distruggere qualcosa fallo egregiamente, no? Si è sentito sollevato quando tutti l’hanno fissato per qualche secondo, per poi sorridere come se non avessero visto niente e invitarlo a raggiungerli in acqua. 
Anche Leo, anche lui non ha detto niente ma è diventato, se possibile, ancora più iperprotettivo. 
Quindi, Girolamo dorme in pantaloncini, mezzo sdraiato e mezzo seduto sul divano celeste che hanno in salotto, una replica del Trono di spade in tv che viene ignorata, un gomito appoggiato alla spalliera e l’altro braccio appoggiato sullo stomaco. Tiene le gambe allungate, incrociate all’altezza delle caviglie come sempre, e la testa buttata indietro. Leo pensa che si sveglierà con un torcicollo magistrale, ma non ha il cuore di svegliarlo quando dorme così bene. E’ raro dormire pacificamente, per tutti e due: ognuno ha la sua personale qualità di incubi, ed entrambi si svegliano nel panico a metà nottata almeno due o tre volte la settimana. Hanno una scorta di tè e cioccolata calda a posta per questo. 
Girolamo dorme, e Leo ha sempre avuto problemi coi cartelli che dicono “guardare, ma non toccare”: si siede accanto al suo ragazzo, attento a non svegliarlo, e tira fuori il blocco da disegno: è un’occasione rara, davvero rara, per disegnarlo completamente rilassato. Non è quasi mai così sereno, è sempre teso, controllato, calmo. Ma sereno, mai. 
Inizia dal viso, lo studia per l’ennesima volta come fosse la prima e resiste a stento alla voglia di passargli le mani fra i capelli: è sempre così in ordine che ha una voglia matta di spettinarlo. Non lo fa, concentrandosi sulle linee delle sopracciglia, degli occhi, del naso e della bocca. Ha una cicatrice vicino alla tempia destra, che somiglia vagamente e in modo inquietante a uno degli anelli che porta suo padre. Ne ha un’altra più piccola che gli attraversa il sopracciglio sinistro, una sotto l’occhio destro e una sotto il labbro inferiore. Quella se la ricorda, quando l’ha portato all’ospedale per la storia della concussione, suo padre e “la mensola” aveva un labbro spaccato. Nascosta sotto la barba ha un’altra cicatrice, Leo sa che c’è perché lo ha accompagnato al matrimonio di un collega, e per l’occasione Girolamo si era completamente sbarbato. Dimostrava meno anni di quanti ne avesse in realtà, in quel modo, e Leo aveva notato la linea bianca che gli attraversava il mento. Quando l’aveva toccata in punta di dita Girolamo aveva tirato fuori uno dei suoi mezzi sorrisi e si era allontanato, dicendo di dover andare in bagno. Poi aveva scoperto che era l’unico segno tangibile che aveva addosso della sera in cui era morta Amelia: il finestrino si era rotto e l’aveva tagliato proprio in quel punto. 
Leonardo passa al collo, tracciando sul foglio le linee forti dei tendini e il pomo d’Adamo, ben visibile nella gola tesa e piegata all’indietro. Ci sono altre cicatrici, li. Una strana, circolare, che sembra una bruciatura, proprio al punto di incontro fra collo e spalla, a destra. Dev’essere stata fatta anni prima, perché è un po’ sbiadita e sformata. Proprio sotto il mento ha un taglietto piuttosto fresco, che si è fatto il giorno prima radendosi. Sotto l’orecchio destro c’è una traccia irregolare, che Leo sa derivare dall’impatto contro un anta dell’armadio. Non era colpa di nessuno, quella volta: era scivolato da solo, nel suo monolocale tascabile di borgo Albizi, e si era letteralmente aperto la testa. Aveva chiamato Leo con il poco di coerenza che gli rimaneva, e Leo l’aveva caricato di corsa nel furgone di Zo e portato all’ospedale. L’aveva preso in giro per settimane, quando l’avevano rispedito a casa. 
Le spalle di Girolamo sono relativamente pulite, scevre da segni e cicatrici, se non fosse che si vedono spuntare le tracce rosse, irregolari e terrificanti di quelle che Leo sa essere le scudisciate che Sisto gli ha impresso addosso per anni con l’uso sapiente di fibbia e cintura: di nuovo, Leo disegna le linee dei tendini, dei muscoli e la curva delle braccia prima di osservargli avambracci e mani. Passa un dito, leggerissimo, sulle nocche della mano destra notando il leggero avvallamento in corrispondenza del dito medio e le cicatrici su pollice, medio, anulare e indice. Si ricorda pure quelle, sorride. 
Erano nel centro di Milano quando un paio di ragazzi li avevano avvicinati dicendogli di andarsene, perché li i froci non li volevano. Aveva cercato di trascinare via Girolamo, ma il suo ragazzo si era buttato i capelli dietro le spalle, si era piantato davanti al tizio biondo davanti a lui che non la finiva di blaterare, aveva incassato un paio di spintoni e poi aveva lasciato andare un destro mostruoso che aveva preso il tipo allo stomaco, l’aveva steso e aveva fatto passare la voglia al suo amico anche solo di aprire bocca. Poi, certo, appena rientrato in albergo aveva iniziato a tirar giù tutti i santi del paradiso cacciando la mano nel frigobar vuoto, cercando di alleviare un minimo il dolore, finché Leo non si era rotto l’anima di sentirlo lamentarsi e l’aveva obbligato a salire su un taxi con lui, diretto in ospedale. Si era rotto quattro dita e, da quel giorno, si ricordava sempre di proteggersi il pollice prima di tirare un pugno a qualcuno. 
L’altra mano non ha segni simili, ma una cicatrice che ne attraversa quasi tutto il dorso. Ce l’ha da quando è piccolo, quando l’ha usata per proteggersi da un altro bambino in istituto che gli era andato addosso brandendo una squadra di metallo, di quelle usate per il disegno geometrico: aveva deviato il colpo, ma la punta della squadra gli aveva aperto la mano. Di tutto quello che poteva succedergli, proprio uno squadra. Gli veniva da ridere quando lo raccontava. Leo trovava meno divertente che un bambino di otto anni avesse già insito l’istinto di proteggersi a mani nude dagli altri. 
Il palmo della mano sinistra, quella con le dita rotte, è adornato da un’altra cicatrice circolare, simile a quella che ha sulla spalla, e Leo conosce anche quella. Gli ha detto di non aver reagito quando Sisto l’ha usato come posacenere, una volta. Non ha emesso un suono che fosse uno. Poi è andato al liceo per una settimana di fila con un pacchetto di ghiaccio istantaneo stretto fra le dita, senza rispondere a nessuna domanda sull’argomento, raccontando a chi chiedeva qualcosa di essersi bruciato in cucina. 
Leo disegna le sue mani tre, quattro volte. Adora le sue mani. 
Il petto di Girolamo è interessante, certamente. Leo disegna i pettorali, scende giù a copiare perfettamente la linea piatta dello stomaco su cui riposa una delle due mani che ha disegnato prima, si ferma a riprodurre i fianchi e la linea delle ossa che protrudono sotto la pelle tirata. Una cicatrice circolare, anche li. A Leo quella non piace davvero, la prima volta che l’ha notata ha chiesto a Girolamo se Sisto l’avesse toccato anche in altri modi, se l’avesse mai molestato (non riesce a dire violentato, non ce la fa), e Girolamo ha spalancato gli occhi, scosso la testa come se avesse un terremoto nel cervello e ripetuto più di una volta che no, lo picchiava e basta. Come fosse qualcosa di cui sentirsi sollevati. La cicatrice circolare non ha motivo di sentirsi sola, perché dai fianchi, di nuovo, sbucano le tracce delle frustate di Sisto, ancora ben visibili dopo anni. 
Ha una linea pallida, sottile e irregolare che gli attraversa il costato sinistro, e Leo sa che arriva da uno scontro verbale piuttosto acceso con suo padre che è finito con Sisto che lo ha mandato a sbattere contro il davanzale in pietra dell’unica finestra dell’appartamento e con due costole rotte, una delle quali era andata a tanto così da perforargli un polmone. 
Leo non era a Firenze, quel giorno. 
Lo aveva portato in ospedale Zo, paradossalmente preoccupatissimo e decisamente tentato di inseguire Sisto per fargli ingoiare un’accetta, dalla parte tagliente. Quando Nico gli aveva telefonato, dicendogli che Girolamo e Zoroastro erano in ospedale, aveva pensato che avessero fatto a botte: dopo aver scoperto che il suo migliore amico ci aveva portato il suo ragazzo aveva preso Zo di peso e l’aveva abbracciato per almeno dieci minuti, poi gli aveva pagato il pranzo fuori per cinque giorni finché Zo stesso gli aveva detto di abbozzarla: non voleva essere ripagato per quello che aveva fatto, l’avrebbe rifatto senza pensarci nemmeno. Ma Riario continuava a non piacergli, sia chiaro. 
I fianchi scompaiono nei pantaloncini di stoffa blu, tagliati a metà coscia per correre più comodamente: Leo disegna anche quelli, poi gli studia le gambe, i nodi delle ginocchia, i segni che ci sono sopra: sa che si è rotto il ginocchio destro a diciott’anni, mettendosi in mezzo fra Lucrezia e un tipo in bicicletta che stava per arrivarle addosso. Ad essere del tutto onesti era Lucrezia che si era cacciata in mezzo di strada senza guardare, con Amelia dietro, e lui aveva reagito d’istinto. A quel giro l’aveva portato al pronto soccorso suo zio, mentre Lucrezia era arrivata poco dopo piangendo disperatamente e chiedendogli scusa di continuo. Era uno spettacolo talmente assurdo che Girolamo, rincretinito dall’anestesia, aveva iniziato a ridere e non era riuscito a smettere per un po’. 
Suo padre non si era visto. 
Ha ancora la cicatrice dell’operazione: una linea retta circondata dai cerchietti lasciati dai fori della cucitura. 
La coscia della gamba sinistra ha una brutta cicatrice, invece, che si è procurato scappando di casa quando aveva sedici anni per raggiungere casa di suo zio e il santuario che rappresentava sua cugina: era uscito dalla finestra, di notte, ed era rimasto attaccato alla rete che circondava il giardino di suo padre con i pantaloni della tuta: aveva sperato che con uno strattone sarebbe riuscito a liberarsi, invece si era infilato uno degli spunzoni della rete nel muscolo e si era procurato un brutto taglio. Non sapeva nemmeno se avesse l’antitetanica allora, e aveva deciso di arrivare al pronto soccorso per conto suo, in metropolitana, dimenticandosi che il suo abbonamento era ancora sul suo comodino insieme al cellulare e alle chiavi di casa. Era strato costretto a rientrare passando di nuovo per la finestra, e non sapeva ancora come aveva fatto con una gamba sbranata in quel modo, aveva dovuto svegliare suo padre, prendersi una lavata di capo e incassare ceffoni e offese, finché Sisto non si era reso conto che forse forse stava sanguinando un po’ troppo e l’aveva portato al pronto soccorso dell’ospedale di Roma. L’aveva lasciato li davanti, da solo, e se n’era andato. 
Leo disegna anche quel marchio, disegna tutto. 
Le caviglie di Girolamo sono difficili da vedere, incrociate come sono, ma Leo le conosce a memoria e disegna perfettamente pure quelle. Sale con un dito lungo i polpacci nudi fino a sentire la pelle distorcersi dietro la coscia, per una delle frustate di Sisto con la mira sbagliata. Non era raro che lo colpisse anche dietro le gambe, quando partiva con la cintura. 
Leo sa che la parte più cruenta delle cicatrici di Girolamo, al momento, è invisibile: la sua schiena, i suoi fianchi, sono un intreccio di linee rosse più o meno marcate, regolari, larghe o strette. Sono una ragnatela di abusi e sofferenza tenuta stretta fra i denti per anni, decenni, che gli ha lasciato addosso, e dentro, segni inequivocabili. Non le vede, ma le conosce a memoria. Ci ha passato le mani sopra innumerevoli volte, quando Girolamo si sveglia di soprassalto cercando di toccarle con le mani per essere sicuro che non ce ne siano di nuove, e l’unico modo per calmarsi è toccargli la schiena, far scivolare le dita fra le scapole per dimostrargli che sta bene, che è li con lui, che non è successo niente. Conosce la posizione di ogni singola frustata, ogni singolo segno, e tutti gli fanno venir voglia di mettersi a urlare. Non capisce, non ci arriva. Non comprende come un padre possa fare qualcosa del genere al proprio figlio. Certo, non che suo padre sia stato l’epitomo dell’amore familiare, ma non gli ha mai fatto niente del gente: anzi, ultimamente si stanno anche riavvicinando. Ogni tanto coglie un bagliore di orgoglio quando parla di suo figlio maggiore, del suo figlio bastardo. Girolamo no, non ha mai avuto il piacere di una conversazione civile con suo padre. 
Non capisce come possa avergli fatto una cosa del genere, come possa un uomo trattare così un bambino, un ragazzo, un adulto un…lui. Non capisce come qualcuno possa voler trattare così Girolamo, che ai suoi occhi è l’immagine della perfezione, con tutte le anomalie del caso. Non capisce come Girolamo sia riuscito a crescere così, nonostante quello che gli è successo: se fosse diventato un serial killer non se ne sarebbe stupito, se avesse reagito con rabbia distruttiva a tutto ciò che aveva intorno non si sarebbe sentito di biasimarlo. E invece no, è cresciuto solo spaventosamente introverso, anche se freddo e fin troppo schivo. Per anni toccarlo è stato come innescare una bomba a orologeria, solo ultimamente sembra riuscire ad accettare che Leo lo tocchi senza schizzare per aria. Non capisce, non vuole capire, vuole solo poterlo toccare, appunto, e dimostrargli che tutto quello che gli ha detto suo padre non è vero. Che è importante, che vale tantissimo, che è splendido. 
Sente la gola chiudersi, lascia cadere sul tappeto blocco e matite e gli passa un braccio dietro il collo facendolo aderire con la schiena al suo petto: Girolamo mugugna qualcosa aprendo gli occhi, quasi schizzando a sedere, ma Leo lo tiene li. 
“Ehi, sono io. Sono io, non spaventarti - gli dice a bassa voce facendogli a poggiare la testa a una spalla - sdraiato così ti saresti beccato un torcicollo della Madonna, splendore. Sono io, tranquillo.” Girolamo annuisce senza smettere di fissarlo, passandosi la lingua sulle labbra. Leo aspetta che annuisca di nuovo per stringerlo di più. 
“Lo sai che ti amo, si? Lo sai?” Sente una delle mani di Girolamo, una delle mani che ha disegnato innumerevoli volte, appoggiarsi sulle sue e stringergli le dita. 
“Leo, va tutto bene?” La voce di Girolamo è arrochita dal sonno. Gli piace. Sorride nell’incavo del suo collo. 
“Va tutto bene. Tu sei qui, io sono qui e va tutto bene” 
Lo lascia addormentarsi di nuovo. Non si muove di un millimetro. Non lo lascia andare.

  
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