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Autore: Yume Azuka    06/01/2009    1 recensioni
Prima lei, poi Lui, Lui, Lui e Lui. Tutto davanti agli occhi, come in un film. E' giunto quel momento. Attenzione: uso improprio di parolacce
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Carosello funebre

Eccolo. È quel famoso momento di cui tutti parlano. Quello dove ti scorre davanti agli occhi tutta la tua vita, nel bene e nel male. In poche parole, il famoso istante in cui ti accorgi che stai per morire.
Oppure sei già morto, ma è da così poco che neppure te ne rendi conto.
E allora?
Mentre scivolano le lacrime sulle guance, vedo ogni attimo, come un fotogramma un po' sbiadito in una pellicola in bianco e nero del cinema muto, dove io sono la protagonista.
Wow... ho sempre sognato di essere Vera Vergani un giorno... non certo il mio ultimo però.
E così mi guardo mentre interpreto la tragica eroina di questo film...
Anche se in teoria dovrei essere IL protagonista... ma ormai ho perso la speranza per certe cose.
Le prime scene sono abbastanza banali, nulla di particolare. Una famiglia tranquilla, con sani principi morali.
Ironico come un singolo individuo riesca a prendere generazioni e generazioni di onesti lavoratori, buoni cristiani, accartocciarli ermeticamente in una palla che sta in un pugno e buttarli nel cesso con conseguente tirata dello sciacquone.
Qui le cose iniziano a farsi interessanti. L'adolescenza.
Quando i tuoi piccoli ormoni iniziano a ribollire in te e il tuo corpicino da pulcino muta per divenire il fisico asciutto e slanciato di un aquilotto. Non ancora completamente un uomo, ma siamo sulla buona strada.
Lo spargersi di testosterone a destra e a manca.
Però ti accorgi che a te non interessano i feromoni che le tue compagne di classe emanano, neppure di quella che tutti ritengono la più bella.
Invece ti concentri a guardare i muscoli aitanti dei tuoi amici durante gli allenamenti di calcio o quando andate in piscina per sfuggire alla calura estiva.
Sono tutte cottarelle leggere che comunque riesci a sorvolare.
E cerchi di metterti in testa anche tu, da solo, con tutte le tue forze, che a te non piacciono i maschi.
Provi tutte le opzioni che ti vengono in mente. Ricorri persino a Lei, timida e appartenente alla categoria delle bruttine ma accettabili, tuo sostegno nell'affermazione dell'eterosessualità. Simpatica e dolce, non lo avresti mai detto guardando la scorza. Ti ci affezioni, ma sai che non è ciò che vuoi. La baci, ed è come se il primo fiore di campo sbocciasse, preannunciando la primavera, ma non sono le rose.
E quindi tutto va in frantumi.
E assieme alle briciole della tua resistenza se ne sono andati intanto anche gli anni della pubertà.
Adesso sei un uomo, anche se non ti definiresti mai un adulto.
Che improvvisamente un giorno sul suo cammino incontra un Lui che lo fa totalmente impazzire.
Qui riprendo un attimo in mano il filo del discorso per raccontarlo meglio. D'altronde qua inizia la parte succulenta.
Era un giorno piovoso, in una città grigia, con tanto traffico di gente che si sfiorava nel passare ma senza vedersi e senza realmente toccarsi, ognuno nel proprio mondo distaccato. E visto che io non ero uno di costoro, - dicendola chiara: uno che va in giro tutto vestito di nero con extra di matita, eye-liner e mascara, sta fuori dal grigio di qualsiasi metropoli - me ne stavo benemeritamente bevendo un cappuccio sfogliando nel frattempo il maneggevole volume della Guida galattica per autostoppisti seduto al caffe della libreria – complimenti all'ideatore di questa comoda trovata – quando sentii il rumore di qualcosa che cade poco distante da me. Spostai lo sguardo. A terra c'era un grosso tomo stampato in carta di pessima qualità ma dal titolo interessante. Mentre mi allungavo un poco per leggere meglio, vidi questa mano grande e ben fatta che si abbassava per raccoglierlo. Era stata un'apparizione un po' sconcertante, nel mio campo visivo. La seguii mentre alzava il libro da terra e lo portava ad altezza busto, girandolo verso di me per permettermi di leggere meglio. Lo feci e poi guardai dritto in faccia Chi.
E questo Chi mi sorrise allegramente divertito.
Anche se è solo una scena riportata su celluloide, provo ancora tanto di quell'imbarazzo...
E come un filmino delle vacanze proiettato su un grosso telo bianco su cui un bimbo annoiato e vendicativo ha deciso di sfogare in parte la sua rabbia tagliandolo un poco, vedo scorrere gli attimi salienti.
Lui che sedeva accanto a me in quella libreria e si metteva a chiaccherare, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Eppure mi ci trovavo bene con questo sconosciuto. Dargli il numero di cellulare fu istintivo. E nella rubrica del mio telefono si aggiunse la voce “Andrea libreria”
Di base ci mandavamo messaggi per compiere raid in libreria. Poi c'erano anche gli occasionali “buona notte un bacio” e “buon giorno raggio di sole”
Mi chiedo ancora come un certo giorno, ad una certa ora, in un certo posto, siamo arrivati ad un certo gesto che mutò tutta la storia di li in avanti: un bacio. Un bacio vero.
Fu improvviso, fu dolce e caldo. Fu come una corsa sulla spiaggia ruvida sotto il bollente solo d'agosto.
E dopo quel bacio venne tutto il resto.
Non ho la forza di guardare a momenti. E il perché è semplice.
Rullo di tamburi prego, adesso arriva il colpo di scena.
Niente era vero.
Mi fu subito chiarito che comunque non ero io la persona amata da “Andrea libreria” . Era qualcun altro.
Qualcun altro.
Il sangue che a quel tempo mi scorreva nelle vene si congelò, per poi riprendere a scorrere ancora più velocemente, bruciando tutto sul suo cammino, tutto. Ogni giugulare, arteria, grande e piccola circolazione che potesse esistere – alla fine scienze è servita a qualcosa? - .
Avevo in fremito dentro di me. Era una lotta fra forze: da una parte avrei voluto dire che andava tutto bene, che non era importante, che finché non c'era quel qualcun altro, sarei potuto rimanere io e magari chissà, un giorno sarei riuscito a spodestargli il primato nel suo cuore.
Dall'altro canto, volevo mollargli un gancio dritto in faccia, proprio su quel suo bel visino che tanto mi aveva stregato assieme alle sue parole melliflue. Lurido bastardo. Ti odio ti odio ti odio ti detesto.
Ti amo.
Alla fine rimasi con lui, anche a quelle condizioni degeneri.
Al cuor non si comanda dicono – e inizio anche a capire perché ho il ruolo dell'eroina -
Continuò per un bel po' quella storia assurda.
Non aveva logica, ma in fondo non m'importava che ne avesse, anche se mi sentivo nettamente preso per i fondelli.
Credo che quello alla fine sia stato uno dei periodi più tetri della mia vita, dove per trovare un po' di sollievo ero costretto a ricorrere al dolce filo scaccia pensieri di una lametta ed agli abbracci di chi riusciva ad ascoltarmi senza mandarmi a quel paese dopo poche parole.
Ah gli amici... da quando ero a studiare lontano da casa, ero riuscito a trovare altra gente che mi volesse bene, almeno un poco. Almeno qualcuno.
Dopo il solito Qualcun altro entrò altra gente anche nella vita di “Andrea libreria”.
Lo ammetto, oltre all'odio si aggiunse pure la gelosia. Quei dannati sentimenti che mi facevano impazzire, martellando la cassa toracica sino al punto che mi sentivo mancare l'aria e la vista iniziava a sfarfallare.
Sarà che forse non ne potevo più di quella relazione-non relazione, sarà che anche i miei amici premevano perché volevano vedermi felice, ma decisi di chiudere.
Basta, tranciare definitivamente i rapporti.
Questo è il punto in cui la diva scampa dal primo pericolo nella trama delle sue disavventure.
Ero alla ferrovia, assieme a due miei compagni d'università quando feci qualcosa, per loro, d'impensato. Non ci ragionai sopra neppure io in realtà... presi il mio telefono cellulare, sollevai la cover nera dal retro, estrassi la batteria e mi feci scivolare fra le dita la piccola SIM. Così leggera... Così importante...
Fece un bel volo oltre ai binari. Un luccichio che portava una persona amata e spiacevole fuori dalla mia vita. Per sempre.
Il giorno dopo avevo già un'altra scheda e la maggior parte dei numeri importanti erano stati recuperati.
Ma purtroppo non siamo al lieto fine.
C'era nel mio corso universitario questo ragazzo. Bellissimo. Almeno per me.
Ogni volta che lo vedevo, i miei occhi erano calamitati su di lui. E lui mi sorrideva, mentre sistemava gli appunti con mani eleganti.
Mi giunsero voci che però non gradii... era già occupato...
Anche se lo volevo, non lo avrei mai sottratto a chi lo amava e che lui contraccambiava.
Continuò a sorridermi e io gli rispondevo con un sorriso dolce ed un po' triste di rimpianto.
Finì anche quell'arco della mia esistenza: con una laurea in mano, ero considerato, purtroppo, seriamente un adulto.
Anche se avrei voluto ancora accoccolarmi in grembo a mia madre per farmi riempire di baci le guance e pettinare i capelli con le sue leggere dita come quando ero un bambino.
Trovai un lavoro, non era tanto ma pur sempre qualcosa guadagnavo.
Un giorno lo dissi a casa. Raccontai del mio più grande segreto.
Mi venne sbattuta la porta in faccia da un padre furibondo, e mentre me ne andavo con niente in mano, udivo per la strada il pianto isterico di una madre delusa.
Per qualche tempo stessi da un amico, sul piccolo divano del piccolo salotto del suo piccolo appartamento. Ma era una situazione alquanto strana.
Io, lui, e la sua ragazza.
Non che avessi delle mire su di lui. Non che lui fosse omosessuale. Ma la sua ragazza era definitivamente gelosa.
Ogni volta che capitava a “casa”, nei suoi modi, nei suoi sguardi lo leggevo a caratteri cubitali.
E decisi che col prossimo stipendio che mi sarebbe arrivato, avrei cercato un appartamento in affitto, anche a costo di patire la fame venticinque giorni al mese.
Fortunatamente la pativo solo una settimana al mese, nella cui cercavo di farmi invitare a cena dai colleghi meglio agiati.
Fu così che iniziò a formarsi il mio rapporto con Lucio.
Quasi una routine.
Io senza soldi che mendicavo cibo a lui e lui che me li offriva senza chiedere nulla in cambio.
Ma poi, anche se avevo ancora i soldi per sfamarmi, mi invitava a casa sua lo stesso.
Diventavamo sempre più intimi. Nelle parole, nei gesti, finché una sera, davanti ad un gustoso piatto di vitello tonnato – la salsa che preparava Lucio era divina –, con le briciole di pane che gli adornavano gli angoli delle labbra, lo baciai.
Era tutta un'altra sensazione rispetto a quelli precedenti, con Andrea e con chiunque altro.
Era caldo e tenero. Come una folata di vento autunnale che solleva le foglie dorate e tu rimani ad ammirare lo spettacolo con un cartoccio di caldarroste in mano che quasi te le ustiona dall'intensità.
Era insicuro, ma provava a reagire.
Ne fui deliziato.
Si creò un rapporto stabile. Di amicizia e solidarietà. Finivamo anche a letto di tanto in tanto, ma consideravo Lucio più un bambino da tenere sotto la mia ala protettiva che un possibile partner. Mi tendeva una mano morbida che cercava infantilmente un appiglio, e io gliela porgevo.
Andammo avanti per qualche anno.
Poi arrivò il giorno in cui mi disse che aveva conosciuto questa ragazza e no, non ci stava ancora assieme, però gli sarebbe piaciuto approfondire la cosa.
Sostanzialmente, ero diventato un impedimento.
La nostra povera eroina si trova di fronte a nuove difficoltà, ma ce la farà.
Gli dissi che avevo compreso e gli augurai ogni felicità.
Quella sera mentre me ne tornavo al mio appartamento desolato, per le strade fredde e vuote di un'altra città grigia, fu la sciarpa che avevo tirato su fino al naso ad accogliere una lacrima solitaria.
Per un breve tempo a seguire fui come un foglio vuoto. Non provavo nessun sentimento particolare. Non me la sentivo di provarne.
Si potrebbe definire questo momento come la pausa fra primo e secondo tempo, ma non credo proprio che nei film muti ci fosse la divisione in tempi.
E comunque, siamo quasi alla fine.
Non so come, non so perché, ma intanto i rapporti con mia madre si erano ricuciti, anche se di nascosto da altri parenti-serpenti.
La mamma è sempre la persona più preziosa che esiste al mondo.
Mi dava qualche soldo ogni tanto, a volte mi sistemava l'appartamento che ormai ritenevo il mio piccolo nido e, la cosa più insperata e più gradita, mi passava delicatamente le dita sottili fra i capelli per sistemarli, dicendo che il suo bambino era proprio un bel ragazzo.
La situazione si sistemò. Con la promozione non avevo più problemi finanziari e poco a poco riuscì a permettermi un auto – anche se di seconda mano, la mia Y era un vero gioiellino – ed un pc con l'adsl.
Iniziai a frequentare le chats. Erano divertenti e ti permettevano di essere qualcun altro all'infuori di te. Quante volte mi feci passare per una liceale, prendendo per i fondelli uomini di mezz'età che cercavano una scappatella avventurosa dalla loro vita monotona e da una moglie non più giovane. Vecchi maiali.
Ma non facevo solo quello, anche se mi divertiva molto.
C'erano posti dove riuscivo ad essere anche me stesso.
Ed essendo me stesso, incontrai Lui, Mr.Q
prima furono solo parole virtuali, giochetti erotici fra due caratteri fittizi.
Poi inizio a chiedermi di più. Voleva conoscermi di persona.
Lo tenni sulle spine. Ero insicuro se ricascarci un'altra volta oppure no.
Gli amici, i pochi che ormai mi erano rimasti, mi incitavano a farmi una nuova vita, però mi raccomandavano la cautela: una persona conosciuta in chat, potrebbe essere un maniaco omicida, che ne sai?
Alla fine acconsentii.
Fino all'istante prima di incontrarlo, nel mio cervello si affollavano mille paturnie.
Poi, nell'istante in cui lui varcò le porte scorrevoli di quella libreria – sono un emerito pirla per esserci cascato un'altra volta – capii perché ero li dove ero, in quel preciso momento, in quel preciso luogo, in quel preciso pianeta. In quella precisa persona che ero.
Solo a guardarlo negli occhi, tutto aveva iniziato ad acquisire dei bordi precisi ed un senso a cui aggrapparsi. Mi sembrò quel giorno che il sole sorridesse al di fuori della libreria, ma che i suoi raggi arrivassero a baciarmi il volto e il cuore.
Quando la sua mano perfetta si alzò per accennare un sorriso, già io ero completamente suo.
Dal più profondo, mi sarei sacrificato a tutto per lui.
Guardando a posteriori posso ben notare la faccia da idiota che indossavo... Da idiota follemente innamorato.
Ogni giorno mi svegliavo, e il primo pensiero che avevo in testa era lui.
Mi credereste se vi dicessi che qualsiasi, ma proprio qualsiasi, cosa mi avesse chiesto, io l'avrei fatta, gliela avrei data?
Una volta riuscì a presentarmi senza preavviso all'uscita del suo lavoro con un mazzo gigante di rose rosse. Ne conseguii un boato di fischi e urletti d'approvazione dai suoi colleghi, mentre lui si fiondava fra le mie braccia per baciarmi.
Fu qualcosa di atomico e indescrivibile. Quel fuoco che d'inverno brami perché stai congelando, e quando ci sei di fronte, non riesci a reggere l'alta temperatura, ma allontanandotene, la brami di nuovo...
Così... Avrei voluto vivere per sempre così...
Ma ormai ho capito che questo film ha una trama tragica. Si sta avvicinando la scena madre, l'apice della storia. Preparate i popcorn.
Quel giorno l'ufficio era chiuso per ristrutturazione, e pensando di fargli un'altra gradita sorpresa, andai a trovarlo a casa sua. Ormai avevo anche le chiavi della porta, di li a breve, questione di giorni, gli avrei chiesto di vivere insieme.
Girai lentamente la chiave nella toppa e con passi silenziosi mi avvicinai alla camera da letto. Probabilmente era li a dormire, vista la sua assenza per casa. E comunque una sorpresa è una sorpresa.
Ma invece fui io a ritrovarmi con una sorpresa.
Lui se ne stava li, sul letto dove ricordo ancora quanto appassionatamente ci eravamo amati, mentre gridava di piacere, fottendo con quest'altro tizio.
Era la fine?
Che fine patetica... Non dissi nulla, non disturbai, me ne andai silenziosamente come ero venuto.
Ero... come dire... troppo? Troppo tutto.
Non... non mi sentivo di provare più nulla.
Forse questo è il momento dove la pellicola inizia a bruciare perché il proiettore si è surriscaldato.
Feci le cose in automatico.
Tornai a casa e il giorno dopo mi preparai per andare al matrimonio di Lucio con la sua fantomatica bella – e si, alla fine il ragazzo ce l'aveva fatta, almeno lui -
Non ricordo molto di quella domenica. La messa. Non so neppure perché andai in chiesa in primo luogo. Forse perché sentivo che era tutto sbagliato e cercavo di ripulirmi dalle scorie? Il potere catartico della religione...
E del banchetto, so solo che c'erano quasi tutti i miei vecchi colleghi. Le chiacchere su come andava la vita, i cenni che invitavano gentilmente a lasciar perdere l'argomento da parte mia, lo schermo del cellulare che appariva vuoto, nessuna chiamata persa, nessun nuovo messaggio, la birra, il vino, lo spumante.
Il potere calmante di ascoltare le sventure altrui... Un placido nascondiglio dove riposare momentaneamente, solo per poco.
Poi il saluto agli sposi prima di tornare a casa. - Bravo Lucio, complimenti! -
Poi salii sulla mia Y... Aveva un colore un po' troppo scuro ma scintillava incredibilmente. O era solo l'alcol a farmi vedere le cose deformate?
La strada era... bè... una strada di campagna... di terra rossa battuta e zeppa di buche, con i campi ai lati...
c'era Tozzi che cantava dal lettore cd... “...hei sole il sole è sempre il sole sempre il sole...”
Poi cos'era stato quel guizzo baluginante davanti al cofano?
Una bestia?
Non lo so, sento che ormai non ha più importanza... l'auto si stava cappottando in un fosso...
Concludendo, la mia vita più che un film, mi sembra una lunga pubblicità. Colorata e rumorosa, ma prettamente inutile.
Eppure, avrei voluto dire ancora una volta “ti amo”
Ma adesso, tutti a nanna.

Fine

O.O Giuro, non so che acciderboli ho scritto... Però mi è uscita di getto. Stavo ascoltando “Hei sole” di Umberto Tozzi, quando mi è venuto in mente il titolo, e subito dopo l'inizio, e poco dopo la fine. Il resto si è accodato tranquillamente perché sapeva di dover essere scritto. È inquietante tutto ciò... O.O''''''''
Questa è la prima originale che scrivo, e molto probabilmente anche l'ultima dato che me ne sento traumatizzata... è tutta la notte che sto ascoltando “Hei sole” per ricavarne la giusta atmosfera... (l'ho scritta tutta di getto, senza interruzioni tranne che per bere acqua, in 4 ore circa XD )
Comunque mi sento terribilmente crudele verso il mio povero protagonista senza nome... quante gliene ho fatte capitare, e senza il giusto compenso... ç______ç SCUSAMIIIIIIIIIII!!!!!! Nella tua prossima vita sarò più clemente... però tu smettila col fetish delle mani! XDDD

P.s. Vera Vergani fu un'attrice principalmente di teatro e poi di pellicole. Ero indecisa fra lei e Theda Bara come nome da inserire... Ma Theda aveva il ruolo della vamp per eccellenza, non era il caso. XD
P.s.2 Questo brano l'ho scritto nell'agosto '08... Complimenti a me per essere una procrastinatrice assurda! XD
P.s.3 Grazie Leslie, ti voglio bene!

  
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