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Autore: Kim WinterNight    01/06/2015    4 recensioni
«Ciao, cari lettori.
Mi presento: mi chiamo Albertina, per gli amici Berty. Ho quindici anni e vivo in Italia, precisamente in un paese fittizio che chiamerò… mmh… Bettola town.
Okay, lo so, il nome può sembrare buffo e non attinente al nostro caro Stato Italiano (Repubblica fondata sul Lavoro e bla bla bla), ma sfido chiunque a trovare un nome migliore di questo!»
Spero che la storia vi piaccia.
Non sono solita scrivere comici, però per queste vicende sono davvero ispirata e ho preso spunto da un sogno che ho fatto recentemente.
NOTE: tutti i personaggi sono di mia modesta invenzione e qualsiasi riferimenti a luoghi o persone è puramente casuale.
Genere: Demenziale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Incontri... “Galanti”!







«Mamma, mi vuoi spiegare cosa significa la scenetta patetica dell'altro giorno?» le chiedo, gironzolandole intorno come un'invasata, mentre lei cercava invano di correggere le verifiche di una quarta.

«Non capisco cosa ci sia di patetico nel parlare con un vecchio alunno» risponde, profondamente irritata.

Il fatto è che a me, tendenzialmente, non me ne frega un accidente di lei e dei suoi rapporti con gli ex alunni. Ho già i miei casini a causa del suo essere la mia professoressa di matematica nonché genitrice apprensiva, però quel Checco mi nasconde qualcosa, qualcosa che non mi passa neanche per la mente di ignorare.

Il fatto che mia madre eluda le mie domande ed eviti di rispondermi neanche avessi la peste bubbonica, non mi invoglia certo a lasciar perdere.

«Il problema è il come, mamma! Tu e lui sembravate... quasi... intimi...»

«Ah, ma insomma, Albertina! Cosa stai dicendo? E comunque, mi vuoi lasciar lavorare?» si lamenta, sbattendo senza alcuna grazia il pugno sul tavolo.

«Non finisce qui, Maria Vittoria!» affermo, e me ne vado in camera mia.



Devo ammettere che aspettavo da un po' di giorni di rivedere quel Checco. Non so perché, ma ho trascorso qualche momento delle mie impegnative giornate a pensare a cosa diavolo mi nascondono lui e quella scellerata di mia madre.

Comunque avrei altro a cui pensare, qualcosa di molto più importante, come ad esempio le interrogazioni di fine anno che si avvicinano.

Ma, onestamente, mi interessa di più l'assemblea musicale che si terrà tra un mese.

Oggi mi sento di buonumore, una delle ragioni – e direi la più importante – è che mia madre non è a scuola. Il suo giorno libero è anche il mio giorno libero, ormai questo è un rituale settimanale a cui non potrei rinunciare per nulla al mondo. Sono inoltre contenta che l'estate si avvicini, perché ciò significa che Maria Vittoria lavorerà per tutto giugno e io potrò godermi giornate di riposo assoluto e di dolce far nulla.

Almeno finché non rientra, sia chiaro.

Be', in ogni caso, dicevo... oggi sono proprio di buonumore, tant'è che mi avvio allegramente ai distributori automatici, dopo tre ore di lezione che non hanno contemplato scene imbarazzanti durante matematica.

Tita è con me, dal momento che Gabriel è assente e ovviamente lei non sa con chi stare.

«Non te la prendi davvero? Insomma, sto sempre con Bibbi e oggi che lui non c'è...»

«Bibbi?!» strillo, fermandomi in mezzo al corridoio e attirando l'attenzione di tutti, neanche a dirlo.

«Gabriel, no?»

«E tu lo chiami... Bibbi?»

Ho nuovamente alzato la voce sull'ultima parola, ma a me sinceramente quel nomignolo fa venire la pelle d'oca.

«Ma cosa importa? Rispondi alla mia domanda!» si spazientisce lei, scuotendo il capo e riprendendo a camminare.

«Ma ti pare che me la prendo? Ho fatto di tutto perché voi due vi accoppiaste...»

«Ehm, Berty?»

«Sì, Tita?»

«Ti faccio notare che l'amore non è soltanto un fatto di accoppiamento. Fino a prova contraria, io e Bibbi... ehm, cioè, io e lui non siamo animali.»

«Sì, vabbè, mi hai capito... ho fatto di tutto, no? E ora me la prendo? È giusto che voi due state insieme finché sarà tutto rose e fiori. Avrete tempo per separarvi, litigare, ammazzarvi...»

«Uff, quanto sei cinica! Uh... e quello chi è?» cambia discorso Tita, fissando dritto di fronte a sé.

Seguo il suo sguardo, incuriosita, e quasi rimango senza fiato nel vedere Checco di fronte alla macchinetta del caffè. Okay, volevo rivederlo, ma non mi aspettavo accadesse oggi. Era una così bella giornata...

«Oh, Berty! Vedessi che faccia hai!»

«Che faccia ho?» chiedo a Tita, stridula.

«Sembra... sembra...» tentenna lei.

«Sembra cosa?» insisto, irritata.

«Sembra...»

Intanto, Checco si accorge di me e interrompe bruscamente ciò che Tita stava per dire. Vorrei ucciderlo.

«Ciao, signorina! Tutto bene?» esordisce, avvicinandosi a me e guardandomi dall'alto verso il basso, con quegli occhi azzurri che sembrano scorci di cielo estivo. Sì, tutte queste stronzate non sono affatto da me, infatti ho paura. Cosa diavolo sto dicendo? Quasi quasi, vorrei che Maria Vittoria fosse qui...

Okay, sto impazzendo.

«Ciao, Francesco... così ti chiami? Tutto bene fino a pochi attimi fa. Incontrarti rende la mia giornata improvvisamente pessima» ribatto, senza scompormi troppo. Chi si crede di essere?

E poi... come mi ha chiamato? Signorina? È pazzo? Se va tanto d'accordo con mia madre, evidentemente sì.

«Wow, non pensavo di essere così importante per te, quale onore!»

Rimango immobile, mentre noto con disappunto che Tita se la ride sotto i baffi.

«Sì... eh, lei è Giuditta, comunque, una mia amica» cambio discorso io, cercando di non perdere la calma. Questo deficiente mi fa innervosire come pochi al mondo.

Tita gli fa un cenno con il capo e si avvicina a prendere una cioccolata dal distributore.

«Carina, la tua amica» commenta Checco, attirando subito la mia attenzione.

«Ha un ragazzo» dico, senza sapere neanche perché.

Non può pensare di provarci con Tita, quel Checco.

«Peccato. Comunque, non mi chiamo Francesco.»

«Interessante. Piuttosto, cosa ci fai qui?» domando, facendo per avvicinarmi alla mia amica.

«Ho un incontro con i rappresentanti d'istituto tra dieci minuti. Mi accompagni?»

«Scordatelo. Ho un'interrogazione alla prossima ora» mento.

«Peccato, signorina. Tua madre come sta?»

«Lei sta sempre alla grande. Mangia, dorme, pontifica, scopa...»

«Che caratterino» dice, scoppiando a ridere.

Lo fisso, senza cambiare espressione.

«Ti va un caffè? So che la prof non vuole, ma non le diremo niente, eh?»

«Grazie, ma me lo prendo da sola. Non sono una morta di fame, sai?»

Checco scuote il capo e si avvicina nuovamente alla macchinetta. Tita ha appena ritirato la sua bevanda e la rimesta nel bicchiere, spostando lo sguardo da me a lui, confusa.

Poi, cosa che non è esattamente da lei, gli chiede: «Quindi tu... com'è che ti chiami?».

Non ci credo, mi ha appena tradito! Comunica con il nemico, ci intavola conversazioni, approfondisce la conoscenza! Mi sento quasi ferita, ma è pur sempre dell'ingenua Giuditta che stiamo parlando, perciò posso passarci sopra.

«Filippo» fa lui.

Io mi immobilizzo e smetto di respirare, mentre Tita rischia di strozzarsi con la cioccolata e sputacchia senza ritegno, imbrattandosi come una bambina.

«C-come?» balbetto, sinceramente sconcertata.

No, adesso qualcuno di voi mi spiega perché diamine questo beota si chiama Filippo ma da tutti è conosciuto come Checco. Vi prego, liberatemi dal male, ne ho bisogno! Cioè, tipo, non per dire, ma... Pippo era troppo scontato? O Fili? O in qualunque altro modo, insomma! Che schifo è?

«Sì, mi chiamo Filippo Marzani, piacere!» esclama lui tutto contento, ignorando le nostre espressioni sconcertate e lo scempio che sta combinando Tita a causa sua.

La domanda, a questo punto, sorge spontanea: «Scusa, che cosa c'entra Checco con Filippo?».

Fortunatamente, sono riuscita a formulare questo interrogativo, perché cominciavo a pensare che la mia mascella si fosse pietrificata.

Checco sospira.

«Storia lunga...»

«Racconta, abbiamo tempo» taglio corto, poi attiro l'attenzione di una mia compagna, la quale non si sposta mai dalla classe se non ha appresso la borsa in spalla. Le chiedo un fazzoletto per Tita, poi torno dai due dopo aver trafugato l'intero pacchetto, mentre la gallina di turno mi sbraita contro, dicendo qualcosa sul fatto che non aveva altri fazzoletti.

«Tempo non ce n'è poi tanto, tra quattro minuti...»

«Senti, Pippo, comincia a parlare, prima che mi stanchi e ti mandi all'inferno senza ascoltare la tua storia. Tieni, Tita, pulisciti bene. Guarda te che disastro...»

«Okay, il fatto è che... è stata tua madre a darmi questo soprannome per niente azzeccato.»

«Motivo? Tita, sei ancora sporca, qui, ecco, sul labbro!»

«Bleah... tutta colpa di quello lì...» biascica lei, passandosi con cura il fazzoletto sulle labbra.

«Lei diceva che ero simpatico come Checco Zalone, così...»

«Uh, Tita, hai sentito? Che storia avvincente! Pensa che Maria Vittoria me l'ha tenuto nascosto per più di una settimana, neanche fosse un segreto nazionale o avesse a che fare con la mafia russa. Tutto qui?»

«Eh, sì... questo è essenzialmente il motivo.»

«Non è trascorso neanche un minuto. Hai ancora più di centottanta secondi per trovare una motivazione valida al tuo nome d'arte, Pippo» osservo, poi strappo i fazzoletti dalle mani di Tita e individuo nuovamente la gallina. Non appena lei si accorge che la sto guardando e fa per avvicinarsi, le lancio il pacchetto, centrandola in pieno viso.

Da quel momento, una serie di strilli e imprecazioni si diffonde nell'atrio, facendomi pensare che in classe ho a che fare con delfini spiaggiati e pollai OGM.

Il che non mi rincuora, ma mi permette di farmi due risate, poi commento: «Canestro! Michael Jordan mi fa un baffo».

«Imparerai mai ad avere un po' di riguardo per gli altri, signorina?»

«Pippo, sparisci. Mi hai sconvolto l'esistenza fin troppo. Tita, andiamo in bagno, così ti dai una lavata, sei in uno stato pietoso. Ci si vede, Zalone!» concludo, poi mi allontano con Tita sottobraccio.

Una volta giunta in bagno, mi rendo conto che, per colpa di quel demente, non ho preso neanche oggi il caffè.

E allora capisco: dev'essere una cospirazione architettata da Maria Vittoria per evitare che io assuma caffeina in sua assenza! Brutta strega, come ho fatto a non pensarci prima? Essendo oggi il suo fottuto giorno libero, ha inviato Pippo/Checco a rompermi le palle. Si è scelta uno scagnozzo degno di nota, a quanto pare; sì, perché a causa delle sue chiacchiere sono rimasta fregata anche questa volta.

Una volta uscite dal bagno, veniamo intercettate da Mauro, il quale sta ridacchiando come suo solito. Cos'avrà in mente?

«Ciao, belle ragazze! Oh, Berty, ti ho visto in compagnia di un bel giovanotto, che ti sta succedendo? Lui non ti fa vomitare quanto me?» mi punzecchia, lanciandomi un'occhiata colma di qualcosa che riconosco come disprezzo. Spero di sbagliarmi, ma temo di no. Mauro ce l'ha con me? Possibile che io gli piaccia davvero? No, certo, mi prende in giro. È pur sempre Mauro, il senza cervello più egocentrico dell'Universo. Ah, ecco, ora capisco perché ce l'ha con me: ho scalfito il suo ego smisurato, povero cucciolo. Evidentemente non ha ancora aperto il libro che gli abbiamo regalato per il compleanno, altrimenti saprebbe come recuperare i punti perduti in poche e semplici mosse.

«Non essere geloso, tra lui e te non saprei chi scegliere. Siete due campioni dell'idiozia fai-da-te» rispondo, senza troppo entusiasmo.

«Piccola ingrata. Ho una sfida per te, però ho una condizione.»

Nell'udire quella parola, quelle cinque dolci lettere, la mia attenzione viene catturata completamente e l'adrenalina comincia a scorrere nelle vene, come sempre accade in questi casi. Eh sì, cari EFP-spettatori, le sfide sono le uniche cose capaci di farmi provare delle vere e proprie emozioni, non so cosa ci sia di meglio di un bel traguardo da superare e raggiungere ad ogni costo!

«Spara, Marzi!» sbotto.

È inquietante quanto il cognome di Mauro e quello di Checco si somiglino, comunque...

«La mia condizione è che tu devi accettare la sfida prima di sapere di cosa si tratta» annuncia fiero Mauro, sorridendo come non mai.

Il cervello di una persona normale funzionerebbe così: Non accetto neanche se mi paghi per farlo, come posso fidarmi di un troglodita come te?

Il mio, invece, ha espresso soltanto questo pensiero: Non rifiuterei neanche per idea, una sfida è pur sempre una sfida e va vinta, AD OGNI COSTO!

Il che è grave, perché, dopo aver annunciato a Mauro che avrei accettato, lui mi guarda con aria estremamente soddisfatta, poi strizza l'occhio a Tita e mi si avvicina, afferrandomi il mento con la mano.

Poi dice: «Vieni a letto con me».

  
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