Un giorno importante
Il
Governo Mondiale non ammetteva vizi lungo l'aspro
sentiero di chi era destinato a diventare più
forte della Giustizia stessa.
Era un percorso difficile ed ostile, fatto di sacrificio mentale prima
che
fisico; un tragitto impietoso ma necessario ad instillare nei suoi
giovanissimi
agenti i semi dell'obbedienza, del cinismo, della
determinazione.
Per questo, al Cipher Pol n.9 non permettevano ai bambini di coltivare
alcun
genere di hobby che li distraesse dai loro doveri.
L'addestramento e
l'apprendimento delle Rokushiki erano le Priorità,
nonché l'unico motivo per
cui quei piccoli marmocchi dimenticati dalla società e
nascosti agli occhi del
mondo venissero sfamati e allevati sull'isola.
Ma in tutto il Vecchio ed il Nuovo Mondo, ogni bambino amava giocare e
coltivare interessi: per quanto duramente istruiti e rigidamente
addestrati, i
bambini del futuro CP9 non facevano eccezione.
Se si passava in rassegna l'isola nelle ore immediatamente
successive ai pasti,
in quelle che precedevano il sonno della sera o gli allenamenti del
mattino, si
poteva sorprendere Califa a sfogliare libri e agende; Blueno scagliare
una
roccia, un frutto od un qualsiasi
oggetto di fortuna con una mazza da Baseball; Jabura guardare ragazzine
conosciute per altre terre in foto (nascoste
con cura sotto un asse del pavimento nella sua camera); Fukuro e
Kumadori comporre filastrocche in rima e
poesie,
per recitarle in una tediosa ed oltremodo delirante cantilena.
Se si osservava con più attenzione tra il selvaggio
boschetto tropicale, si riusciva
perfino a scorgere Lucci passeggiare con Hattori, un
piccolo colombo
bianco
che da quando aveva raccolto da un nido abbandonato non lasciava mai la
sua
spalla.
E lungo la battigia, con un immancabile berretto di tela a ripararlo
dal sole
cocente, Kaku, il più piccolo dei sette; costruiva modellini
di navi da
collaudare nelle acque basse prima che Jabura potesse trovarli e
distruggerli. Questo, fin quando non annunciò di voler
impiegare il suo
tempo libero a
guadagnare qualche soldo, fermandosi nelle cucine dell'unico
grande e vivibile
edificio dell'isola ad aiutare i pochi inservienti presenti.
Non passava giorno che non venisse schernito per quella decisione: cosa
se ne
faceva un poppante dei soldi, se non poteva andare oltre i confini di
quell'atollo
deserto che contava appena una decina di anime e nessun
esercizio
commerciale?
Kaku aveva le sue ragioni, ma non poteva rivelarle. Non prima di
qualche mese,
almeno.
Perché c'erano due cose che la giovanissima
recluta del Governo amava più dei
modellini navali, e per cui il suo interesse non sarebbe mai scemato
negli
anni. La prima erano i cappelli, naturalmente: da quando aveva memoria,
ne
aveva sempre indossato uno prima di uscire dalle sue stanze, rifiutando
di
toglierlo persino durante gli allenamenti.
La seconda, e più importante, era la persona che godeva di
tutta la
sua stima e ammirazione: Rob Lucci. Quel ragazzino di undici
anni, taciturno e
talentuoso, che
se ne andava in giro con l'inseparabile Hattori. Lucci che
non aveva paura di niente
e nessuno. Lucci che era l'unico in grado di tenere testa a
Jabura nella lotta,
avendo ben sette anni in meno. Lucci che aveva imparato le Rokushiki
prima
degli altri e che non lo prendeva mai in
giro per il
suo naso buffo. Lucci... che, a differenza sua, amava la notte e odiava
la luce troppo intensa.
Da quell'ultima constatazione era nata l'idea del
regalo. Kaku ci aveva pensato
con largo anticipo, affinché potesse permettersi di pagarlo
coi suoi ristretti
guadagni mensili ed assicurarsi di scegliere l'oggetto giusto.
Così, a distanza di cinque lunghi mesi durante i quali aveva
sacrificato le ore
destinate allo svago, in
una fresca
giornata di fine Aprile che annunciava pioggia, il bambino si
trovò al punto cruciale
del suo progetto.
«È
tutto quello che ho, ma dovrebbe bastare» riferì
ad un
quattordicenne Blueno, un ragazzone di costituzione robusta, con petto
ampio e altezza sopra la media.
Stava per partire in missione su un'isola
del Mare Orientale,
dove il Governo
lo spediva a sedare i disordini generati da
una guerra civile. Quale occasione migliore per commissionare il suo
acquisto?
«D'accordo» fece Blueno, infilandosi
le banconote dentro uno dei taschini
interni della giacca. Erano avvolte in un foglio con annotazioni
scritte a
mano, che lui avrebbe semplicemente dovuto consegnare al punto
vendita Doskoi
Panda,
un
franchising di abbigliamento e accessori molto rinomato.
«Tornerai
in tempo?»
Blueno gli rivolse
un'occhiata annoiata, in cui Kaku
scovò un filo
d'esasperazione.
«Manca più di un mese, Kaku.»
«Lo so,
ma è importante! Ed io non posso uscire
dall'isola...»
Abbassò
lo sguardo. Come detestava essere piccolo, in quei
momenti!
Il ragazzo dalla
chioma taurina sembrò captare il suo
dispiacere. Non che ci
volesse molto: Kaku era il più giovane tra le reclute e
aveva un carattere
sensibile per
natura; lo si leggeva come un libro aperto. Un
modo
d'essere che avrebbe imparato a modificare (non ad eradicare
del tutto), crescendo.
«Tornerò
in tempo, non preoccuparti.» Gli diede le spalle e
salì sulla rampa che conduceva alla
nave pronta
all'imbarco.
Ma come Kaku lo
vide a metà
tragitto, rialzando il nasino
quadrato, si sentì assalire da un dubbio troppo impellente
perché potesse
tenerselo dentro.
«Blueno!»
gridò. «Credi che
gli piacerà?»
Blueno si
voltò appena, osservandolo con la coda degli
occhi. Sembrò soppesare
la domanda per non più di un secondo, poi il suo viso da
acerbo adolescente si
addolcì.
«Nessuno lo conosce meglio di te.»
Giugno arrivò, portandosi via il freddo residuo di Aprile e
gli sporadici ma
intensi acquazzoni di Maggio. Il giorno cerchiato in rosso sul
calendario di
Kaku giunse poco dopo, al secondo dì del mese, sbocciando in
cielo
con un'alba
nitidissima e splendente.
L'attesa aveva fomentato l'animo del bambino per un
periodo così lungo che gli
aveva reso impossibile dormire nelle ultime notti e che gli era
costata, appena due giorni prima, l'ennesima frattura delle dita mentre
si
esercitava con lo
Shigan.
Solo vedere Lucci serio ed ermetico nella sua cameretta
aveva leggermente
placato l'entusiasmo. Gli metteva
sempre una certa soggezione rimanere a tu per tu con lui,
ma adesso, mentre stringeva tra le mani il pacco regalo che gli
aveva
consegnato, si sentiva il cuore in tumulto, come un tamburo in preludio
di un triplo salto mortale.
La confezione era molto semplice -una scatola rigida e bianca con
coperchio
dello stesso colore, chiusa da un nastro blu lucido- però di
dimensioni
vistose. Quando Blueno gliel'aveva portata dalla Mirrorball
Island, Kaku s'era
dato un bel daffare per nasconderla agli occhi di tutti gli altri,
specialmente
da Fukuro, che proprio non era capace di mantenere un segreto, e da
Jabura che,
non sapeva come, ma avrebbe di certo trovato il modo di rovinargli i
piani.
«Allora... lo apro?» chiese Lucci, spezzando
finalmente il
silenzio denso di perplessità in cui si era chiuso dopo gli
auguri del
bambino.
Kaku gli aveva chiesto di passare dalla sua stanza prima del
solito
addestramento e lui si era immaginato di tutto -chiarimenti
sull'esecuzione
dello Shigan? La confessione dell'ultimo atto di bullismo
ricevuto da Jabura?
Fukuro che canticchiava sfottò sul suo naso? (Senza notare
che, per Dio, aveva
una cerniera al posto della bocca!)- ma non certo quello.
Il piccolo annuì contento. «Sì!
Aprilo!»
Lucci obbedì senza altre domande e dall'incarto
tirò fuori un cappello. Era un
cilindro di feltro a tesa larga, completamente nero, eccetto che per la
fascia
attorno alla cupola, rosso scuro. Sembrava fatto su misura,
perché la testa di un adulto non avrebbe potuto calzarlo.
«Ho pensato che tu non ce lo avevi, un cappello!»
esclamò Kaku. «Questo modello lo portano anche
alcuni
nobili
mondiali, lo sapevi?»
Lucci quasi non ascoltò. Il suo primo pensiero fu che Kaku
doveva aver preso in prestito, o
peggio
rubato dei soldi a qualcuno (cosa per cui l'avrebbe punito).
Ma il secondo
pensiero gli disse che non era possibile, non era da lui;
ricordò allora che da diversi mesi
il bambino
si fermava a pulire le cucine per mettere qualche di Berry da
parte. Dunque
aveva probabilmente speso gran parte dei suoi soldi per... un regalo.
Per lui.
«Perché?»
«È il tuo compleanno» si
accigliò il
bambino. Non era forse la cosa
più naturale del mondo?
Non per Lucci, evidentemente, che inclinò la testa
da un lato senza
mutare la sua imperturbabile espressione. «E
allora?»
Kaku deglutì, nervoso. Non capiva cosa stesse sbagliando.
Gli era successo altre volte, di capire le parole di Lucci ma
allo
stesso tempo di non intenderlo affatto. Ma gli
piaceva
anche questo, di Rob: era come uno di quei libri scritti con parole
difficili, che andavano tradotte ed interpretate per essere lette, ma
che
una
volta comprese ti lasciavano un senso di meraviglia per la
profondità del
significato.
Il fiore all'occhiello dei futuri killer del Governo Mondiale
tirò un sospiro
d'impazienza, piegando le ginocchia e abbassandosi
all'altezza del bambino per parlargli faccia a faccia.
«Kaku, non ha alcuna importanza in che giorno uno nasce.
Ogni giorno nascono
migliaia di bambini, tutti uguali. Ciò che cambia
è cosa faranno nella vita,
che persone diventeranno...»
Fece una pausa, cercando le parole
più semplici e
dirette per arrivare al nodo della questione, proprio come gli
avevano insegnato gli educatori. «I giorni che
meritano di essere festeggiati
sono solo quelli importanti. Quelli in cui raggiungiamo un traguardo.
Come
quando
portiamo a termine una missione per il Governo... o quando impariamo
una
delle Sei Arti.»
Lucci gli indicò con un cenno il cilindro. «Non ha
senso farmi un regalo. Il semplice fatto che io sia
nato
in questo giorno, non rende questo giorno
importante.»
Kaku abbassò il viso, i riccioli biondo rame a nascondergli
un sentore di dispiacere negli occhi, ricadendo morbidi sulla sua
fronte.
«Non è vero.» Mormorò.
«Tu non sei uguale a tutti gli altri.»
Lucci inarcò leggermente un sopracciglio, seccato. Tanta
pena per nulla. Aveva
recepito solo la prima frase del suo discorso?
Scosse la testa. «Non è questo il
punto...»
«Non è vero quello che hai detto!»
protestò imperterrito Kaku scuotendo il
capo a sua volta, ma con più foga. «Io non sono
come Lucci. Lucci non è come
Blueno, Kumadori, Fukuro, Califa e, non è affatto,
come Jabura!»
Aveva cominciato a parlare come se dovesse essere lui,
il moccioso di otto anni, a spiegargli una cosa elementare.
Questo sarebbe stato sufficiente a spazientire Lucci, se le parole
fossero
uscite dalla bocca di una qualsiasi delle persone menzionate dal
bambino. Ma
con Kaku la storia era un po' diversa; quando si trattava di
lui, la sua soglia di
sopportazione aumentava senza che nemmeno se ne accorgesse.
«Lucci è diverso, e questo è
speciale.» Ribadì accorata la
voce di Kaku, trovando per la prima
volta il coraggio non solo di andare in disaccordo col suo modello, ma
di farlo
guardandolo negli occhi, con un'inedita testardaggine.
«Perciò se il due di
Giugno è nato Lucci, il due Giugno è un giorno
importante!»
L'espressione del festeggiato rimase attonita e statica.
Nessuna luce nei suoi
occhi dorati, che sembravano neri come gli abissi se non li si guardava
da
vicino.
Lucci pensò che essere piccoli era davvero una cosa
patetica, quasi penosa. Non
si aveva il senso della realtà e nemmeno di quel che si
diceva: come Kaku,
adesso. Una giovane promessa del CP9, certamente più forte e
maturo rispetto
a qualunque altro bambino della sua età, ma ugualmente
sciocco e stupidotto
nella sua ostinazione.
«Come credi.» Si limitò a rispondere.
Prese atto che convincerlo era impossibile, e non aveva intenzione di
picchiarlo
per costringerlo a ragionare come faceva con Jabura (ma Jabura non era
piccolo,
era solo un grande scemo). Gli posò una mano sulla testa e
scompigliò appena le
sue ciocche color miele che coprendogli quegli occhi grandi,
azzurri come le acque più cristalline dell'oceano, gli
conferivano un aspetto infantile ed innocente. Persino più
marcato che in
Califa, pressappoco della sua stessa età.
«Un giorno cambierai idea, Kaku.»
Le labbra di Kaku s'incrinarono in un broncio.
Osservò a testa bassa
Lucci che se ne andava, il cilindro che gli aveva regalato stretto al
fianco,
trasportato con noncuranza.
Pensò che aveva sbagliato tutto. Forse, se avesse scelto un
regalo
migliore, l'altro
non l'avrebbe ripreso e non sarebbe mai sorta quella
discussione.
Poi però il ragazzo raggiunse la porta ed il rumore
del pomello che
girava non lo seguì. Kaku sollevò timidamente il
volto e vide che Lucci si era
fermato davanti al solo
specchio presente nella
sua stanza, affisso al centro e per tutta la lunghezza dell'anta di
legno, a scrutare il proprio riflesso... col cilindro indosso.
Gli occhi di Kaku si fecero più grandi, riempiti di colpo da
un fulgore di
speranza. Lucci li intercettò, rivolgendogli le ultime
parole di quella mattina:
«Comunque... hai scelto bene. Mi piace.»
Il viso del bambino s'illuminò. Di più;
s'infiammò di una gioia incontenibile, sbocciando in un
sorriso così ampio da far apparire i
contorni
geometrici del naso tanto piccoli al centro di un visetto da fanciullo
ancora
puro, inviolato dall'impronta nera del Governo Mondiale.
Irradiava felicità al solo guardarlo. E per quello che fu un
attimo, ma
che durò molto di più nella sua mente, Lucci
lo avvertì spezzare le sue difese.
Gli sfiorò il cuore, come una corda di violino suonata
dall'arco giusto,
guidata dalla mano giusta, levando una nota maledettamente giusta.
Aveva avuto
per la prima volta l'impressione, che gli negli anni si
sarebbe trasformata in
certezza, che Kaku l'avesse toccato in un modo
così intimo e profondo da lasciare
un'impronta indelebile in lui. Nell'unico modo che nessuno sarebbe mai
riuscito ad imitare.
*****
Sedici
anni e quindici ore dopo quella mattina, in un'isola
assai più vasta e lontana da quella in cui aveva trascorso i
suoi primi anni di
vita e parte della sua adolescenza, Rob Lucci rincasò.
Era finita un'altra opprimente ed improduttiva giornata
lavorativa al Dock Uno
della Galley-La, e non certo perché mancasse da saldare ed
inchiodare assi
navali nel suo reparto (di quelle ce n'erano sempre a
bizzeffe). No, era il suo
vero lavoro a non dare risultati.
Nessun risvolto sui progetti di Pluton, né su dove Iceburg
li nascondesse, solo
false piste ed un mucchio di congetture improbabili.
E dopo quattro anni, lui era ancora lì. A fare il galoppino
e il dipendente
per quella vecchia volpe. A costruire navi ed imbarcazioni spesso
destinate a
feccia piratesca. A sorbirsi la demenza di Pauly e compagni.
Chiuse la porta alle sue spalle, spingendola col solo peso del
corpo.
Odiava quel posto e odiava quella dannatissima metropoli
dell'acqua. Il fatto di possedere il Neko Neko no
Mi
era solo uno dei tanti motivi.
Accese la luce e sentì Hattori volar via dalla sua spalla,
come di consueto,
per andarsi ad appollaiare sulla spalliera della poltrona. Il suo era
un
appartamento nuovo ma modesto, una sessantina di metri quadrati o poco
più, in
una zona rispettabile di Water Seven. In confronto alle stanze
riservategli dal Cipher Pol risultava misero, ma era ciò che
poteva permettersi
con lo stipendio da carpentiere, e in fin dei conti Lucci aveva passato
notti
in posti ben peggiori.
Fece per muovere un passo ma notò qualcosa di strano:
Hattori che deviava dalla
poltrona e si posava sul bastone della tenda in cima alla finestra; la
porta
che dava sul corridoio aperta, come non l'aveva lasciata al
mattino. C'era qualcuno.
Avvertì dei passi e dal buio oltre la soglia distinse un
viso familiare.
«Ti aspettavo, Lucci.»
Kaku si palesò tenendo le braccia dietro la schiena, simile
ad un
soldato
sull'attenti.
Lucci gli rivolse uno sguardo inespressivo. Non era sorpreso di
vederlo, del
resto era l'unico, assieme a Califa, ad avere le chiavi del
suo alloggio da
usare in caso di emergenze (Blueno, ovviamente,
non ne
aveva bisogno).
Raggiunse la poltrona e si mise a sedere, sperando in una svolta nelle
indagini. «Perché sei qui?»
Kaku avanzò con aria seria fin quando non lo ebbe di
fronte. Lucci sembrava
stanco, ma conoscendolo si augurava che avesse scoperto qualcosa
riguardo a
quel Cutty Flam che cercavano, o magari circa il loro personalissimo
Santo
Graal, i progetti di Pluton.
«Nessuna novità sulla missione» gli
anticipò.«Sono qui per un altro
motivo.»
Lucci non fece in tempo a chiedere chiarimenti che
si ritrovò la
risposta davanti: stretto tra le braccia di Kaku, un cesto con tre
regali
dentro.
«Oggi sono ventisette, giusto?» Il ragazzo si
lasciò andare in un sorriso: «Tanti
auguri!»
Due occhi d'oro, incastonati tra i tratti severi del volto,
sussultarono appena.
Per qualche secondo il leader del CP9 non trovò modo di
replicare, preso alla
sprovvista ancora nello stesso giorno e ancora dalle stesse parole.
D'altra
parte, aveva imparato a non dare importanza a ricorrenze come quelle in
età
talmente precoce che era ormai impensabile
chiedere alla sua
memoria un simile sforzo.
«Oh, è per questo...»
commentò
infine con una punta di stizza,
poggiando insofferente le spalle sullo schienale. «Non
ricordo di averti autorizzato ad entrare per
questo.»
E Kaku interpretò la sua espressione con un inequivocabile: Credevo
che questa ridicola fissa ti fosse
passata.
«Lo so, scusa.» Ma non si sentiva colpevole neanche
un po'.
Posò il cesto sul tavolino di fronte alle ginocchia
dell'altro e gli porse
il primo regalo: un pacchetto rettangolare e sottile, chiuso da un
fiocco
argentato. Lucci, con aria poco interessata, contornata in compenso da
una
notevole riluttanza,
sciolse il nodo che teneva chiuse le due parti dell'astuccio,
rivelando una
cravatta grigio perla. Un colore che spiccava molto sul
completo
nero del Governo Mondiale.
«Sai chi la manda?»
Ci dovette pensare solo un secondo o due. Nessuno dei suoi (finti)
colleghi
della Galley-La
avrebbe mai pensato di regalargli un accessorio così
apparentemente inusuale
per lui, eccetto chi sapeva che ad essere inusuale era proprio la
tenuta da
carpentiere.
«Califa.»
L'altro annuì con un sorriso.
Ero indecisa sul colore. Spero che
non lo
trovi molesto, gli
aveva detto la bionda
sistemandosi gli occhiali sul naso quel pomeriggio, e Kaku, vedendo per
la
prima volta la stoffa uscire dalla scatola, si chiedeva cosa potesse
mai esserci di molesto in una tonalità talmente neutra (ma
soprattutto,
che cosa
al mondo non trovasse molesto la sua collega).
Il secondo regalo era una bottiglia di liquore, più
precisamente di scotch whisky,
con una semplice coccarda rossa applicata sul collo di vetro ambrato.
«Blueno.» Indovinò Lucci, senza nemmeno
doverci
riflettere.
Da quando si erano infiltrati a Water Seven faceva il barista in
un'osteria
dove, di tanto in tanto, Lucci, Kaku, Pauly e gli altri carpentieri del
Dock Uno passavano a consumare qualche stuzzichino o un paio di boccali
di birra.
Ma Lucci aveva sempre preferito il sapore pungente e aromatico dello
scotch, ragion
per cui
Blueno era diventato il suo fornitore di fiducia; sapeva addirittura
quali varietà di
produzione prediligeva e, stando
all'etichetta, quella che gli aveva destinato era tra le sue
preferite, oltre
che più ricercate.
Spero non voglia darlo anche
al piccione... Ma non dirglielo, questo. Kaku
sorrise solo dentro di sé,
stavolta. Era più probabile che Lucci cominciasse a fare le
fusa piuttosto che smettesse
di condividere qualcosa con Hattori, il suo piccolo assistente alato.
«E per esclusione, questo è il mio»,
concluse passandogli l'ultima scatola, la
più grande del cesto. «Di sicuro anche gli altri
ti avrebbero mandato gli
auguri, se non fossimo sotto copertura...»
Per fortuna lo siamo, allora,
pensò
seccamente Lucci. L'ultima volta che il resto del CP9 aveva
tentato di festeggiarlo, diversi
anni prima, era finita a scazzottate con Jabura, col capo che si
ustionava sulle
candele
della torta e Fukuro e Kumadori che tentavano di spegnergli la faccia
lanciandogli addosso del sakè e spaccandogli in testa una
bottiglia d'acqua,
rispettivamente. Risultato? Un mese di straordinari non retribuiti per
tutti e
quattro, e Spandam che vomitava ingiurie fino a notte fonda: la
peggiore festa
di sempre. Anche se Kaku, Blueno e Califa, dietro una maschera di
fasullissimo contegno,
avevano riso di gusto.
Con una lieve smorfia a seppellire il compleanno passato, Lucci
tornò a quello
presente, rigirandosi tra le mani l'ultimo regalo su cui
campeggiava il marchio
Criminal. La firma era diversa, ma
le
sue dimensioni e la forma sapevano già di
déjà vu. E infatti, ne estrasse un cilindro nero,
stavolta con fascia e rivestimento interno di seta
bianca.
«Ho pensato che tu non ce lo avevi, un cappello!»
Di
nuovo, aveva ragione.
L'ultimo cilindro di Kaku l'aveva perso sette o
otto anni prima in missione, quando
già da due gli andava stretto. Questo nuovo cappello
sembrava indubbiamente più
pregiato, ma comunque abbastanza simile a quello che gli aveva regalato
la
prima volta, al tempo in cui lui le prendeva ancora da Jabura e Kaku a
stento gli arrivava alla vita. Sembravano trascorsi
secoli.
Kaku studiò in silenzio la reazione dell'uomo,
criptica e statica come di
regola. Ma lui ci aveva fatto il callo e aveva i suoi personali
stratagemmi per
interpretarla: aveva imparato che le emozioni balenavano per pochi
istanti negli occhi di Lucci, come un lampo impercettibile a sguardi
estranei. Se solo avesse alzato il viso un
po' di più, lui le avrebbe colte; ma quando lo
fece era già troppo tardi.
«Tutto qui?»
Kaku restò attonito. Prima per la domanda, poi
perché si sentì un idiota a non
aver intuito il fine dell'altro.
In un guizzo degno di un felino, Lucci gli afferrò il bavero
della felpa e lo
tirò a sé, costringendolo a piegarsi e
premendo le labbra contro le sue.
Il bacio fu tanto improvviso e inaspettato che Kaku si sentì
le guance
avvampare. Capitava sempre
più raramente che
Lucci gli dedicasse quel tipo di attenzioni e nella maggior parte dei
casi
duravano un nonnulla: il tempo di una pausa caffè dentro il
ventre buio di una
nave da rifinire, o di un saluto notturno nel vicolo dietro al bar di
Blueno,
dopo l'ennesima bevuta con gli altri.
Solo in casi rari Lucci si fermava a casa sua, o lui da Lucci.
Avvertì la lingua del leader sfiorargli le labbra. Chiuse
gli occhi e lasciò
che le oltrepassasse, mentre osava cercare un contatto più
intimo con lui, intrecciandogli
le dita tra i capelli, facendo presa sulla sua nuca per aumentare la
pressione
su quella bocca, tutt'altro che muta e gelida come l'intera
Water Seven pensava. Sentì il
suo cuore prendere la rincorsa
e, a giudicare dalla bramosia nei gesti di Lucci, capì che
non era il solo.
Quando si staccarono per riprendere fiato la presa sulla felpa
cessò, ma non lo
sguardo del compagno su di lui.
«Spegni la luce.»
Era uno di quei rari e fortunati casi, dunque.
Kaku non se lo fece ripetere.
Lucci
lo guardò allontanarsi verso l'interruttore e calarsi
il berretto sulla fronte. Felice.
Non l'aveva visto in faccia e anche se l'avesse
fatto forse non vi avrebbe scovato alcun mutamento, ma lui lo sapeva
perché lo
conosceva. Non come le
persone comuni dicevano di conoscersi dopo un paio d'anni,
no. Tutte stronzate,
quelle. Pauly conosceva lui, Kaku, Califa e Blueno da quattro anni e
non aveva la
più pallida idea di chi aveva di
fronte.
Lucci conosceva Kaku dalla quasi totalità dei suoi ventidue
anni e da almeno la
metà condivideva con lui gli incarichi governativi.
Erano cresciuti
insieme. Per il Governo si erano spezzati le ossa, avevano sputato
sangue,
avevano ucciso e avevano rischiato di essere uccisi innumerevoli
volte. E tutte le volte, Kaku
gli era rimasto accanto senza tremare, senza esitare qualunque cosa
accadesse.
L'aveva seguito e poi spalleggiato in silenzio, col rigore e
col rispetto che
aveva preteso da lui sin da quando non era che un infante.
Anche quando
tra
loro era nata quell'attrazione che
ancora faticava a spiegarsi, Kaku aveva saputo mantenere la
compostezza e le giuste
distanze, pur restandogli vicino... come quel
cilindro
elegante e perfettamente immobile sul bracciolo alla sua destra.
Concentrandosi sull'oggetto, Lucci rivide quel bimbo dai
capelli chiari, che oggi era il suo uomo più fidato,
offrirgli in regalo un cappello signorile acquistato coi suoi primi
guadagni.
«Lucci è diverso, e questo è speciale.»
Sfiorò la cima del cilindro, sorprendendosi per il ricordo che la percezione del tessuto sulle dita gli rievocava alla mente.
«Perciò se il due di Giugno è nato Lucci, il due Giugno è un giorno importante!»
Realizzò
che Kaku non aveva mancato di farglielo notare
ogni anno, dovunque fossero. Persino quando
erano in
missione lontani trovava il modo di fargli arrivare un augurio, e
riusciva a non farsi mandare al diavolo come Fukuro e
Kumadori, snobbare come Califa e Blueno, o
picchiare
come
solo
quel cane di Jabura sapeva fare.
Pensandoci bene, l'unico motivo per cui Lucci ricordava la ricorrenza
della sua nascita, era
per loro. Per le trovate di quei cinque, e per Kaku.
Prese il cappello e lo ripose nella sua scatola (evidentemente sulla
poltrona sarebbero stati
stretti, tra poco), mentre afferrava un ultimo ricordo.
«Come credi. Un giorno cambierai idea, Kaku.»
La
luce si spense. I lineamenti austeri e perennemente
contratti attorno ai suoi occhi si rilassarono.
Agli angoli delle labbra, ben celato dall'oscurità, fugace
come la fievole
brezza
primaverile che cedeva il passo all'estate, si
delineò qualcosa di simile ad un
sorriso.
Dopotutto, non l'aveva cambiata.
Il due Giugno, per Kaku, continuava ad essere un giorno importante.
E quello, per Lucci, restava ogni anno il regalo migliore.
Note dell'autrice
Dopo
due o tre anni di sospensione, finalmente questa storia
ha avuto il suo finale. Per quanto non sia proprio soddisfatta di
come l'abbia
scritta e rimaneggiata nel tempo (ma quando mai?) ho deciso di
pubblicare ugualmente, in
primis per ricordare il compleanno di Lucci, personaggio a cui sono
molto
legata, in secondo luogo perché ho constatato
che esistono veramente poche storie sulla Lucci/Kaku e di questo mi
struggo abbastanza.
Il pensiero che potesse esserci qualche povera
disgraziata come la sottoscritta, che a tanta distanza dalla saga di
Water Seven apre ancora EFP alla speranzosa ricerca del tag
"Lucci/Kaku", mi ha dato la spinta giusta per pubblicare xD
Ad onor della cronaca, ho basato la descrizione del CP9 giovane sui
disegni
pubblicati da Oda nelle SBS, tenendo però in considerazione
anche le differenze
d'età reali dei personaggi e le loro personalità
da adulti
(purtroppo emerse
solo a sprazzi nell'opera originale). Lucci in realtà
portava già un cilindro
da bambino, ma l'inesattezza era necessaria ai fini del
racconto.
Ed infine sì, ho trattato male Jabura in questa storia, ma
ci tengo a precisare
che in realtà lo adoro.
Questo è quanto. Grazie a chi è arrivato alla
fine!
Vegethia