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Autore: Dira_    02/06/2015    6 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo LIV
 
 
 
 

I want to learn to love in kind
‘Cause you were all I ever longed for

(The Wolf, Mumford’s & Sons)
 
 
9 Agosto 2028
Londra, Piccadilly Circus.
Pomeriggio
 
Sören era sospeso. Per meglio dire, era in attesa: e per sua esperienza, non c’era niente di peggio del lento sgocciolare via dei minuti, delle ore, aspettando che arrivasse il momento in cui sarebbe entrato in scena.
Era stato un soldato paziente al soldo di suo zio.
Una volta.
Ora era diverso. C’erano sempre degli ordini di mezzo, ma stavolta aveva scelto di seguirli.  Scelto di mettersi in prima linea e fare il doppiogioco con John Doe, l’uomo che meglio di tutti sapeva leggergli nella mente, avendo vissuto gomito a gomito per tanto, troppo tempo.
Lily aveva ragione, era un suicidio.
Si passò una mani tra i capelli, guardando dalla finestra dell’albergo: sotto di lui frotte di Babbani gremivano Piccadilly Circus, presi nelle loro vite, ignari di cosa si muoveva nel sottosuolo di quella Londra di cui si credevano incontrastati padroni.
Li invidiava.
Avrebbe voluto essere un senza-magia per doversi preoccupare solo dei frutti del proprio lavoro, di una routine noiosa e di essere all’altezza delle aspettative della donna che amava.
Lilian …
Lily che dopo la lite al Ministero si era rifiutata di chiamarlo o mandargli un Gufo, neppure due righe. Non l’aveva cercata: non avrebbe saputo cosa dirle oltre a ciò che si erano già abbondantemente urlati addosso.
L’ho persa?
Il suo malato senso del dovere aveva infine esasperato la sua piccola strega inglese?  
Forse si è stufata di aver paura per te. Forse sta riconsiderando la sua scelta … forse sta pensando che sarebbe stato meglio avere un mago come Ross al proprio fianco.
Un mago che non rischia di lasciarla sola.
Sfilò una sigaretta dalla stecca che Milo gli aveva fatto recapitare tramite gli auror: avrebbe voluto averlo tra i piedi per chiedergli consiglio. Peccato che l’amico stesse guarendo tra le braccia di Zabini. Non sarebbe stato giusto disturbarlo.
Visto che tra l’altro ha dato le dimissioni.
Sei solo, principino. Solo ad attendere il via libera per farti ammazzare.
Si accese la sigaretta con un movimento brusco della mano e finì per bruciarne metà perché troppo nervoso. Ne fumò l’altra ipnotizzato dal frenetico muoversi della città sotto di sé.
Non chiamarla. Non azzardarti a chiamarla.
Due colpi alla porta lo distolsero da un momento di purissima commiserazione. Chiuse la finestra e si impose di non farsi prendere dal panico.
Ci siamo?
“Prince.” La voce di uno degli Auror di scorta fece capolino dalla porta. “Hai una visita.”
Lily!
Non era Lily, perché entrò Dionis, il suo buon amico Dionis … con la figlia.
“Cosa…” Esordì stupefatto, mentre l’altro faceva un cenno di ringraziamento ai due agenti e si chiudeva la porta dietro. “ … che ci fai qui?”
“Sono venuto a trovarti!” Spiegò come se fosse ovvio, bilanciando la bambina su un braccio mentre con l’altro teneva un passeggino chiuso. “All’oscuro di Lily e Roxanne.” Aggiunse con un sorriso complice.
Suo malgrado ricambiò. “Immagino che tua moglie non sarebbe felice di sapere che porti Alexandra in bocca al pericolo.”
L’altro scrollò le spalle, baciando la testolina della figlia dormiente. “Questo posto pullula di auror, è probabilmente il più sicuro dell’intero Mondo Magico.”
Non aveva tutti i torti, quindi gli fece cenno di sedersi. Era così disperato che persino intrattenere un padre di famiglia con infante al seguito gli sembrava allettante.
“Posso farvi portare qualcosa da bere? Per la bambina?”
Dionis scosse la testa. “Ha già mangiato, ma per me una birra.” Gli strizzò l’occhio. “Faust solo sa quanto ne abbia bisogno!”
Sören sorrise di rimando. Ne ordinò due, una anche per sé dato che ne sentiva la disperata necessità.
Almeno non bevo da solo come un ubriacone …
“Sto bene.” Si premurò di esordire quando entrambi ebbero due boccali schiumosi alla mano. “Sto aspettando.”
“Di entrare in azione.” Indovinò Dionis dando un lungo sorso appagato. “Hai quella faccia.”
“… quale faccia?”
“Quella che avevi su cinque anni fa, per tutto il tempo.”
Sono già entrato nel personaggio? Grandioso.
Dionis dovette intuire qualcosa dalla sua espressione perché gli scoccò un’occhiata di scuse. “Intendevo dire che sembri preoccupato.”
“Lo sono.”
“… quindi è pericoloso.”
Sören fece una smorfia amara, quasi quanto il sapore della birra. “… hai parlato con Lily.”
L’amico ebbe il buon gusto di non accampare scuse. “Roxanne è una delle persone da cui va’ per sfogarsi e farsi bacchettare … non ci ho parlato, ma l’ho ascoltata.” Abbozzò un sorriso. “Non è più arrabbiata con te.”
“No?” Ironizzò. “Il trattamento del silenzio parla di tutt’altro.”
“È una Weasley.” Ribatté come se quello spiegasse tutto. “Hanno un orgoglio sconfinato. Mantiene il punto perché non sa come ammettere che ha esagerato.”
“… non ha esagerato. Ha detto tutte cose vere.”
Fin troppo.
Dionis rimase in silenzio: quello che apprezzava dell’amico è che non era tipo da aprir bocca e lasciar andare. “Lily sa di chi si è innamorata.” Si risolse a dire. “Vedrai, tornerà.”
Sören sospirò: avrebbe voluto credergli, ma non poteva togliersi dalla testa il tarlo di aver tirato la corda, di averle chiesto troppo.
È una costante tra di noi. Lei vive tranquilla la sua vita ed io vengo a sconvolgergliela.
“Me la tieni d’occhio un secondo? Pausa bagno.” La domanda dell’amico lo riportò bruscamente coi piedi per terra.
“… tenere d’occhio chi?”
Avrebbe preferito rimanere senza risposta perché gli venne porta Alexandra. L’infante Alexandra.
“Non sono bravo con i…” Non fece in tempo a finire la frase che l’altro gliela mise sulle ginocchia senza troppe cerimonie.
“Sei o non sei il suo padrino?” Sogghignò infame prima di sparire in bagno.
Dannato senso del dovere!
La bambina, trovandosi su un nuovo paio di gambe si agitò scocciata, spingendolo a frenare l’inevitabile caduta con le mani. Si ritrovarono così a fissarsi negli occhi.
“Buongiorno.” Propose e fu felice che non ci fosse nessuno a testimoniare la sua agghiacciante inadeguatezza.
Lily si sarebbe sganasciata dalle risate.
Alexandra in compenso, molto più simile al suo comprensivo padre, gorgogliò qualcosa fissandolo corrucciata.
Non piangere. Ti prego. Non piangere.
“Sono l’ultima persona a cui dovresti essere affidata.” Borbottò mentre questa sgambettava senza senso logico alcuno.
Come fanno i neonati, cioè.
“Sarò un pessimo padrino.” Le confidò. “Come sono pessimo in un sacco di cose. Ad essere una persona in generale, suppongo.”
Alexandra per tutta risposta gli diede una botta sul braccio con un piede e gli sorrise.
… quando sorride assomiglia a Lilian.
O forse era lui che se lo immaginava perché ne sentiva la mancanza.
“Vedo che avete fatto amicizia!” Lo prese in giro Dionis, tornando con un sorriso che avrebbe avuto voglia di cancellargli dalla faccia a suon di Fatture. “Quando è così tranquilla è carina, vero?”
“Sì, lo è.” Scrollò le spalle passandogliela. 
“Tutto a posto?” Domandò riprendendosela con la tranquillità consumata del genitore. “Sei impallidito!”
“Avevo paura di farla cadere.” Ammise malmostoso. “È la prima volta che prendo in braccio un bambino.”
Dionis lo guardò sorpreso, ma si astenne dal commentare: un altro dei suoi innumerevoli meriti. “Un giorno avrai figli anche tu.” Annunciò con il suono di una profezia.
Sbuffò. “L’ultima cosa a cui penso al momento è tramandare una discendenza.”
“Non adesso infatti, un giorno.” Gli mise una mano sul braccio. “Prima o poi la guerra finisce amico mio.”
È per farla finire che ho accettato il piano di Harry Potter, cosa credete?
Non lo disse però, preferendo dare un sorso alla sua birra.
È per tornare da te, mia Lilian.
Sperava solo di non trovare una porta sbarrata.
 
****
 
 
Scozia, Hogsmeade.
Mattina.

 
“Non puoi tenerla chiusa in casa per sempre.”
James voleva sempre aver ragione. Era cresciuto facendo a gomitate per farsi notare tra la selva di cugini e quando era arrivato ad Hogwarts, con i riflettori puntati su di lui, primo figlio del Salvatore, aveva solo dovuto rincarare la dose.
Avere ragione era sempre stata un po’ la sua ancora di salvezza. Ci si aggrappava con le unghie e coi denti e funzionava. Più o meno sempre.
Con Teddy era diverso. Normalmente il coltello dalla parte del manico l’aveva l’altro, con la sua stupida pacatezza.
C’erano momenti però in cui era certo di non sbagliarsi.
Tipo quello.
“La pulce ha bisogno di uscire e prendere una boccata d’aria. Sta dando di testa.” Continuò mentre il compagno fingeva di non ascoltarlo, concentrato a scegliere un libro dalla mostruosa biblioteca che fagocitava buona parte del salotto. E delle scale. E di camera loro.
Ricordati che lo ami tanto, Potter. Proprio tanto.
Te lo vuoi pure sposare!
“Non è sicuro.” Ribatté per circa la milionesima volta. “Dopo quello che è successo con Vulneraria…”
“Non l’avevo capito le prime novemila volte che me l’hai detto, eh.” Gli fece notare affiancandoglisi. Ted non stava scegliendo un bel niente: se ne stava con lo sguardo fisso nel vuoto. “Il Grande Lupo non è qui, Teddy.” Tentò di rassicurarlo, perché la visita del licantropo l’aveva scosso, e tanto: quando era tornato a casa l’aveva trovato poco tassorossescamente sul piede di guerra. “Il Ministero gli ha spedito una lettera di diffida. Se mette di nuovo piede ad Hogsmeade si può scordare di vedere Benedetta!”
“I Mannari non riconoscono l’autorità del Ministero, James.” Ed eccolo lì, il tono da professorino stronzo. A volte si chiedeva se avrebbe mai smesso di considerarlo un suo studente.
Per un anno in cui lo sono stato! Porca puttana, segnato tutta la vita.
“E allora perché non se l’è già venuta a prendere?”  
“Perché qualcuno l’ha consigliato bene. Flynn probabilmente.” Sbottò seccato, chiarendo quanto l’opinione che aveva della funzionaria fosse precipitata dopo il disastro che aveva combinato spifferando la vera natura di Ben al branco.
“Flynn ha solo fatto il suo lavoro.” Gli fece notare, perché funzionario in senso lato lo era anche lui e c’erano regole che andavano rispettate.
Ugh. Sto davvero diventando una persona adulta.
Ripeto, ugh.
Ted, a tutta quella assennatezza, fece una smorfia. “… Ben è impossibile oggi.” Ammise.
Era l’apertura che cercava. “Guarda che è così da giorni. Non puoi costringerla a starsene in casa. Ha il richiamo della foresta nelle vene!” Scherzò, ma non del tutto: Ben adorava stare fuori all’aria aperta, più di qualsiasi altro bambino avesse conosciuto.
Ed ho conosciuto me.
Appena le davi il via si lanciava fuori, tornando dentro solo per i pasti e per dormire. Pareva bearsi del contatto con l’erba, dell’odore della foresta vicina e della fauna che riusciva a scovare.
Il compagno fece una smorfia, ma il fatto che avesse rilassato le spalle era un ulteriore segnale stesse cedendo. “Magari domani la portiamo alla Tana … oggi non è la giornata giusta.”
“Perché ci sono un paio di bancarelle e un po’ di gente in più?”
“È la festa della fondazione, James.” Ted lo guardò con riprovazione, quasi fosse colpa sua che ogni anno Hogsmeade festeggiasse l’esser stata creata da un mago che aveva avuto la brutta abitudine di farsi perseguitare da ogni Babbano incontrato sul suo cammino.
“Appunto!” Rincarò. “Vuoi fargliela perdere? Ha visto così poco del Mondo Magico che mi stupirei se riuscisse ad impugnare la bacchetta prima di arrivare a Hogwarts!”
Ted si morse un labbro e lì seppe di aver colpito duro. Benedetta era praticamente digiuna del mondo a cui si supponeva dovesse appartenere e, sebbene si fosse integrata senza troppi problemi, non aveva ancora manifestato un reale interesse per la magia se non quella usata per far alzare in volo una scopa.
“Potresti approfittarne per farle una lezioncina su quanto sia fico essere un mago.” Suggerì. “E poi potreste andare alla bancarella di Mielandia … ho saputo che ci sono gli Zuccotti a metà prezzo!”
“Non te ne comprerò una scorta mensile come l’anno scorso.” Sorrise Ted, arreso.
“Eddai!”
“Li hai finiti in due giorni, Jamie. Ti sei sentito malissimo.”
“Ho imparato la lezione!” Gli assicurò accarezzandogli le spalle, perché il contatto fisico era un buon modo per distrarlo quando c’erano proibizioni pretestuose di mezzo. “Ti giuro che ne mangio solo uno al giorno.”
“Controllerò.” Lo ammonì sfiorandogli le labbra con un bacio. “Se riesci a staccare prima ti aspettiamo.”
“Non credo.” Sospirò. “Stanotte ho la ronda a Notturn Alley. Dopo l’attacco degli Infetti abbiamo dovuto raddoppiarle. Opinione pubblica.” Sbuffò.
Ted annuì e per un attimo esitò. E non c’entrava Ben, perché l’aveva già convinto.
… ah, è per la proposta. Sicuro per quello.
“Jamie, dobbiamo parlare…” Iniziò infatti.
“Sto un po’ in ritardo.” Lo fermò. “Facciamo stasera?”
Ted battè le palpebre sorpreso. “Come … uhm, come vuoi.” Sicuro, perché non era da lui procrastinare su decisioni come quella.
A meno che non avesse un piano. La sua Seconda Proposta di Matrimonio – quella che aveva bisogno delle maiuscole perché sarebbe stata fighissima – si sarebbe svolta e compiuta quella sera stessa, tutto grazie al valido ficcanasare di Malfuretto e sua sorella, che stranamente in quei giorni gli aveva dedicato più tempo di quanto avesse fatto negli ultimi mesi.
Ma non dovrebbe stare con il Pipistrello?
A sentire Scorpius avevano litigato poco dopo la riunione nella stanza di suo padre; forse era per quello.
Mah, chissenefrega. Meglio così. Quando le ho chiesto di darmi una mano era tutta contenta.
Lily adorava quel genere di boiate romantiche e quindi, come in tutte le cose che le piacevano, era brava. Lei e Malfoy avevano orchestrato una cena in un ristorante extra-lusso Babbano e lui avrebbe dovuto solo pettinarsi e ‘evitare di vestirsi come un motociclista gay’, Lily dixit.
Doveva essere una sorpresa però, da lì il suo finto turno a Notturn Alley.
“Allora vado.” Disse. “Dì alla pulce che me ne deve una.”
Ted sospirò divertito. “Diventerai il suo preferito.”
Sogghignò. “Lupacchiotto mio, lo sono già!”
Pettinarsi e invitarlo a cena. Facile come bere un bicchiere di succo di zucca.
Cosa poteva andare storto?
 
 
****
 
 
Casa di Michel Zabini
Brunch.
 
“Sono convalescente e sono già incatenato ai fornelli. Com’è?”
“La storia della tua vita, piccolo angioletto biondo!”
Milo scoccò un’occhiataccia a Loki, ma non la intendeva sul serio; dopotutto il mago gli stava facendo un favore.
Non mi tratta da moribondo.
Michel e lui erano una coppia e viadiscorrendo, okay, ma da adone strafigo il suo novello ragazzo si era trasformato in una specie di zietta rompicoglioni.
E chi l’avrebbe mai detto? Checazzo.
Da quando l’aveva portato a casa lo teneva confinato nella stanza della musica, agitandosi anche quando doveva andare a pisciare.  
Rigirò un pancake con un colpo di spatola, ignorando l’avvicinarsi di soppiatto dell’altro ragazzo. “Dì un po’, ma il tuo amichetto quando la farà finita?” Gli domandò invece.
“Finché non ti riprendi del tutto, credo.”
“Grandioso.” Fece una smorfia. “Se sapevo che mi sarei messo con l’ansia fatta persona avrei lasciato perdere.”
Loki evitò per un soffio il calcio che tentò di rifilargli quando tirò via un pancake dalla pila pronta per una colata di sciroppo. “È un bambino disagiato, sai.” Decretò leccandosi le dita.
“L’avevo capito.”
“No, sul serio. La classica storia del piccolo lord cresciuto nel lusso ma senza affetto, hai presente? Suo padre è un grosso dildo di legno.”
Milo sogghignò al paragone. “Hai un’approfondita conoscenza in materia?”
“Sono versatile se c’è una donna di mezzo.” Stette al gioco.
“E sua nonna?” Quella nonna che gli aveva regalato un’intera stanza della musica e che l’aveva cresciuto?
Quella doveva avergli voluto bene in maniera funzionale, no?
Loki fece una smorfia. “Amara, sì. Mike è stato con lei fino a poco prima di andare ad Hogwarts. Non ho mai capito perché Zabini Senior ce l’avesse spedito … da piccolo era il perfetto Purosangue modello! Io e Scorpius sembravamo dei barboni a confronto.”
… forse perché tutta ‘sta purezza di sangue non ce l’ha?
Ma era il Grande Segreto, e lui era venuto a sapere solo per quel do ut des che si era instaurato all’inizio della loro relazione. Non l’avrebbe tradito.
“Secondo me quando Blaise ha realizzato che Mike stava crescendo esattamente come sua madre si è preso un colpo ed è corso ai ripari strappandoglielo dalle mani.”
“Che cos’ha che non va questa Amara?”
Loki sospirò. Un po’ troppo serio per i suoi gusti. “Hai presente quando Mike smette di sembrare un manichino impagliato? Quella è l’influenza nefasta di sua nonna.”
“Ah.”
Il problema ce l’ha quello stronzo!
Loki scrollò le spalle. “Per tornare al discorso, il nostro buon Zabini non ha ben chiaro come dimostrare che tiene a qualcuno a parte finirci a letto … così strafà.”
“Già.” Brontolò finendo di disporre la colazione sul tavolo e facendogli cenno di mettersi a sedere. “Vorrei solo si desse una calmata. Non smetterò di respirare nel sonno o roba del genere!”
Loki fece un cenno svagato, gettandosi poi sul cibo come se non lo vedesse da giorni. Considerato che era tornato quella mattina con la barba lunga, l’aria di chi aveva dormito nei propri vestiti e senza un soldo in tasca forse era così.
“Provaglielo. Facci sesso.” Aggiunse, vuotando la propria tazza di the che si premurò di riempirgli di nuovo.  
Milo, colui che sfama i maghi bisognosi. Suona bene. Visto che sono senza lavoro, andrà alla grande sul mio curriculum.
“È quello che cerco di fare da giorni.” Grugnì dando una forchettata svogliata alle sue frittelle. “Se non lo infilo dentro un buco impazzisco.”
Il mago gli diede una pacchetta simpatetica sul braccio. “Ti sono vicino, ma non posso fare niente a parte riempirgli il the di Pozione Erettile.”
“… idea grandiosa, fallo.”
Sogghignarono come due idioti e Milo si chiese, per stupida associazione di idee, come se la stesse passando il principino. Sapeva che stava lavorando con gli Auror e non voleva disturbarlo, così gli aveva mandato una stecca delle sue sigarette preferite e aveva tenuto chiuse le comunicazioni.
Tanto ha Zenzero, no?
Una chiamata avrebbe potuto anche farla però. Non che non si fidasse della rossa, ma aveva letteralmente allevato l’idiota per cinque anni.
Era naturale sentirsi apprensivo.
Fece per raggiungere la tasca della tuta, dove teneva il cellulare, che un rumore, un forte scoppio, allarmò sia lui che l’altro. O meglio, Loki per poco non si gettò sotto il ripiano in marmo.
“Non avrai mica portato qui i tuoi guai?” Si informò preoccupato.
“Non ho dato a nessuno l’indirizzo di Mike, come potrei? È un amico!” Fece una pausa. “Certo, quello pareva proprio lo scoppio di un incantesimo…”
Milo masticò un’imprecazione a mezza voce. “Non vorrai mandarmi a vedere da solo?” Chiese dato che conosceva quel tipo di linguaggio corporeo, così come il sorrisetto da vero figlio di troia che gli servì. “Sono un Magonò!”
“Sei imponente e minaccioso.” Gli fece notare zuccherino. “E poi pensaci, se cercano me, non daranno certo grane a te!”
“A meno che non vogliano pestarmi per sapere dove sei tu.” Sibilò. Poi individuò la fonte dei rumori: proveniva dalla sala della musica!
La collezione!
Non credeva che Michel avesse detto a molti dell’esistenza di un intero patrimonio dentro una stanza della propria casa.
Quindi …
“Hai detto a qualcuno della Guallazzi?” Domandò all’altro.
“Della che?”
“Gli strumenti musicali, la collezione!” Chiarì afferrando il primo coltellaccio che gli capitò a sotto mano: fortuna voleva che il maghetto avesse il pallino per l’arredamento e avesse acquistato quella cucina Babbana completamente arredata. “Hai detto a qualcuno che l’ha ereditata da sua nonna e la tiene in casa?”
Loki batté le palpebre. “Potrei…” Ammise. “Ma…”
“Cazzo!” Corse verso la stanza con tutta la velocità che la sua stupida convalescenza gli permetteva. Aveva suonato quegli strumenti, li aveva toccati e adorati.
E poi, erano palese che Michel ci tenesse più per il loro valore sentimentale che finanziario.
“Milo, aspetta!” Gli andò dietro Loki, bacchetta alla mano. “Se ti succede qualcosa Mike mi ammazza!”
“Se succede qualcosa ai violini io ammazzo te!” Lo minacciò spalancando la porta della stanza, coltello ben stretto in pugno.
Non fu pronto a trovarsi di fronte una donna.
Eh?
Strega, pelle color cioccolato e dai vestiti dalla foggia etnica, coloratissimi, con un turbante fissato con una spilla che conteneva lo smeraldo più grosso che avesse visto in vita sua.
Lo scoppio. Era una Materializzazione.
Loki fu più svelto di lui. Lo vide abbassare la bacchetta e aggiustarsi il colletto della camicia.
Sul serio?
“Il piccolo Loki …” Salutò questa aprendo le braccia come un angelo accogliente da dipinto pre-raffaellita. Abbracciò il ragazzo in un frusciare di vesti, baciandogli poi le guance. Pareva la danza di una farfalla. “Come sei cresciuto, mon joli!”
Loki si scostò per farle il baciamano. A guardarlo bene non pareva sorridesse come suo solito, tutto sguainare di denti bianchi e occhi salaci. Sembrava davvero contento di vederla.  
Chi cavolo è ‘sta tizia? Direi una parente, ma coi colori non ci siamo.
“È passato tanto tempo, tante.” Okay. L’aveva chiamata zia in francese? Allora erano parenti! “Non sapevo foste tornata in Inghilterra.”
“Solo in visita.” Spiegò. Cristo, era nato e sarebbe morto frocio, ma una donna così, quando ti guardava, e stava guardando verso di lui con espressione interrogativa, era capace di mettere in discussione qualche certezza. “Mon ange è qui?”
Mon ange … è come mi chiama Michel.
Fece due più due. E no, non era un deficiente per non esserci arrivato prima: la top-model che aveva davanti non mostrava più di trent’anni!
Dovrebbe averne almeno il doppio.
Dannati maghi e le loro magie.
Loki scosse la testa. “È fuori, ma tornerà per pranzo. Permettetemi di presentarvi il mio amico.” Fece un gesto à la Purosangue nella sua direzione. “Milo Meinster.”
Milo si trovò nella scomoda posizione di reggere ancora il coltello. Lo posò sul tavolino da caffè sentendo ogni oncia del suo essere un teppistello di strada. “… ho il piacere di conoscere la nonna di Michel?” Domandò andando dritto al punto.
La strega sorrise e confermò con un piccolo cenno della testa. Per quel sorriso si sarebbero potute combattere guerre. Una fottuta Elena d’Africa.
Ora capiva perché Michel l’aveva fatto fesso.
Con ‘sti geni….
“Pensavamo fossero entrati dei ladri.” Disse senza lasciarsi abbindolare.  
La strega non parve  toccata dalla frecciatina. Si guardò invece attorno. “È rimasta esattamente come ricordavo.” Commentò. Diede poi un’occhiata alle vetrine. “Ma non del tutto.”
Ah, si è accorta che ho tolto un po’ di polvere.
Soprattutto dal suo preferito, il Guarnieri del Gesù. Non per altro, ma era rimasto esposto con la sua custodia sul tavolino da caffè. “Mi fa piacere che Michel la usi con i suoi amici.” Disse rivolgendosi a Loki.
Mi sta ignorando!
Non che si fosse presentato al suo meglio, se ne rendeva conto, tuttavia la cosa gli scocciava. E lo scocciava soprattutto non sapere il perché.
Loki annuì, come un pupazzo caricato a molla. “Sì, l’ha riaperta per Milo!”
La strega parve sorpresa. Sicuro, perché far entrare nel luogo sacro dei Purosangue uno straccione come lui?
“Apprezzi la musica?” Gli domandò.
“Io e suo nipote condividiamo gli stessi interessi.”
“In molti campi?”
“Parecchi, sì. Sono il suo ragazzo.” Confermò alzando il mento, perché poteva indossare una tuta Babbana e aver bisogno di una rasatura, ma non aveva intenzione di sentirsi a disagio in un posto che era diventa la cosa più simile al concetto di casa che conoscesse.
“Oh.” Inclinò la testa da un lato e per la prima volta parve guardarlo davvero. “Deve aver cambiato gusti.”
Ma vaffanculo!
Elena d’Africa o meno l’aveva appena offeso. “Da quando l’ha visto l’ultima volta? Forse.” Ritorse ignorando il sussulto di quell’idiota di Loki, ridotto ad una larva adorante.
Etero. Vedono una vagina e perdono il cervello.
La strega non perse il sorriso. Pareva proprio non registrare gli insulti. “Questo violino è stato usato di recente.” Osservò. “L’hai suonato tu?”
Quella domanda non se l’aspettava. Decise di puntare sull’onestà: magari le avrebbe fatto prendere un colpo, sapere che le sue zozze mani da Magonò avevano toccato la sua preziosa collezione. “Sì, Michel mi ha dato completo accesso alla stanza, archi compresi.”
“Potresti suonarmi qualcosa?”
“Adesso?”  
“Adesso.” Confermò. Si voltò verso Loki. “Joli, mi porteresti una tazza di the? Non ne ho avuta ancora una decente da quando sono arrivata a Londra. Mi fido della tua mano.”
“Subito!”  
Che pena …
Quando l’altro se ne fu andato la guardò dritta in faccia. Lui non si sarebbe fatto fregare da un po’ di sbattere di ciglia.
C’è già suo nipote che mi danna l’anima così.
“Non sono un suonatore ambulante.” Non più almeno. “Suono quando mi va.”
La donna fece una breve risata. “Hai il sangue caldo, vero? Voi tedeschi siete così pieni di passione…” Stava flirtando con lui?
Per mettere fine a quel momento disagio le prese il violino dalle mani, incastrando un fazzoletto tra collo e viso. “Ha qualche pezzo preferito?”
“Stupiscimi.”
… ed è irritante come il maghetto, ovvio.  
Fece mente locale e decise di evitare il classico. Anzi, decise di saltarlo, prendendo un’opera pressoché sconosciuta di un compositore afro-americano la cui musica aveva conosciuto spulciando i negozi di dischi di Boston.
Non si aspettava che la donna lo conoscesse. Fu quindi inevitabile spalancare la bocca come un pesce lesso quando applaudì la conclusione del movimento. “Danzatrice africana … che caro, hai trovato un pezzo che mi si addicesse!”
“… Lo conosce?”
La strega, che nel frattempo si era adagiata sul divano – non seduta, donne come lei non si sedevano sulle proprie chiappe come i comuni mortali – emise un piccolo sbuffo divertito. “Dopo che hai visto questa stanza pensi davvero che non conosca la materia?”
“… in effetti.” Borbottò stringendo il violino come uno stupido peluche. “Michel mi ha detto che è una specie di esperta.”
“Preferisco definirmi appassionata.” Lo corresse con un sorriso amabile. Ora che l’aveva sentito suonare era gentile!
… dai, sii onesto e guardati allo specchio. Al momento sei giusto un bel sentire.
“Come vuole.” Si strinse nelle spalle, riponendo il Guarnieri nella custodia. Si asciugò il sudore con il fazzoletto che aveva usato per imbracciarlo: aveva suonato con l’ansia addosso.
Perché ti importa così tanto piacerle?
Perché quella donna era il motivo per cui una persona come Michel si era interessata a lui. Era stata la musica ad averli uniti nonostante la differenze, e doveva ringraziare la principessa africana lì davanti se il suo ragazzo l’aveva preso in considerazione, almeno all’inizio.
“Siediti qui con me.” Lo invitò con un gesto.  
Obbedì perché non è che potesse andare da altre parti, e non riusciva ancora a stare in piedi per lunghi periodi.
“Il tuo modo di suonare…” Iniziò.
Mi ha riconosciuto! Pericolo!
Prima che il vecchio panico tornasse a tutta forza, la strega aggiunse. “… è ciò che ha allontanato mio nipote dalle spire di suo padre?”
Eh?
La sua espressione dovette parlare da sola perché l’altra ridacchiò. “Mi sono forse sbilanciata troppo? Eppure non me lo spiego, sai.”
“Cosa?”
“Mio nipote che si licenzia dal Ministero. Suo padre non avrebbe mai fatto una cosa simile.”
“Michel non è suo padre.”
La donna gli mise a sorpresa una mano sulla sua. Inanellata fino all’ultimo dito, eppure calda. “No, non lo è, vero?”
“Francamente, signora, non mi sarei mai innamorato di un palo in culo.” Disse fuori dai denti. Si morse la lingua. “Volevo dire…”
“No, no, ho capito benissimo cheri.” Rise di cuore. “Milo, hai detto?”
“Sissignora.”
Gli rivolse un sorriso che fu impossibile non ricambiare. “Piacere di conoscerti, Milo.”
 
 
Michel capì che qualcosa non andava a casa sua quando, entrato in cucina, vide Loki preparare una tazza di the.
Non che l’amico non fosse in grado di scaldare un po’ d’acqua, ma era l’assoluta precisione con cui stava preparando un vassoio di biscotti che lo preoccupava.
“Nott?” Lo apostrofò piegando il trench sottobraccio: sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe dovuto indossarlo sopra il completo da lavoro. Era stato strano chiudere le ultime pratiche e mettere i suoi pochi effetti personali in una scatola.  
Si apre un nuovo capitolo della mia vita.
Non era mai stato convinto di qualcosa come lo era di quelle dimissioni.
E del fatto che Loki non preparasse il the.
“Buongiorno a lei, Mastro Zabini!” Lo salutò distratto. “… a tua nonna piacciono i biscotti al cioccolato?”
“Mia nonna?” Si era bevuto il cervello? Era tutta quella droga che si fumava in compagnia di Emil pensando di farlo alle sue spalle?
“Sì.” L’altro lo fissò perplesso. “È venuta a trovarti!”
Se nella stanza fosse appena atterrato un Ungaro Spinato ne sarebbe stato meno sorpreso. “Mia nonna.” Ripeté come un ritardato. “È qui.”
Loki parve di colpo realizzare che non stava dandogli una notizia già digerita. “Oh … ehm.” Ebbe il buon gusto di schiarirsi la voce. “Non lo sapevi?”
“No.” Articolò glaciale perché davvero, era l’unico modo in cui poteva reagire.
Sua nonna, Amara Zabini, aveva accuratamente evitato di mettere piede in Inghilterra per più di una decade e ora improvvisamente tornava. Senza pensare di avvisarlo con uno straccio di Gufo!
Si rendeva conto di star reagendo come un amante tradito, ma era la cosa più vicina a cui poteva paragonarsi.
“Dov’è Emil?”
“A tenerle compagnia!”
Meraviglioso.
Li trovò nella stanza della musica mentre conversavano del più e del meno in francese, quando il suo ragazzo a volte si rifiutava perfino di parlar in inglese giusto per il gusto di dargli fastidio.
“Vedo che possiamo saltare le presentazioni.” Sbottò interrompendoli.
Mon ange…”
Non era cambiata di una virgola, ma non era una sorpresa: l’unico contatto che aveva avuto con lei in tutti quegli anni erano state foto patinate, dalle principali rubriche di gossip magico. Aveva visto come la caducità umana l’avesse appena sfiorata.
La stella del jet-set magico …
Rivederla fu essere catapultati nell’infanzia dorata che aveva disperatamente cercato di dimenticare per anni.
I bei ricordi fanno male.
“Potevate almeno mandarmi un Gufo.” Ribatté rigido. “Non attendevo una vostra visita.”
Emil, che fino a quel momento era rimasto seduto a guardarli, si alzò in piedi. “Mi sa tanto che la sorpresa non è riuscita, Amara.”
La chiama già per nome?
Era ridicolo esser geloso di sua nonna. Da un punto di vista d’età, forse: peccato l’avesse vista sedurre schiere di maghi molto più giovani di lei e non sarebbe stato strano se …
“Togliti quei pensieri sciocchi dalla testa, mon ange.” Lo fermò Amara con tono di biasimo. Naturalmente: aveva sempre saputo leggere nel cuore degli uomini. “Giustifico la tua rabbia, ma non la gelosia. Non potrei mai rubarti qualcosa.”
Milo inarcò le sopracciglia. “Io sarei la cosa? Grazie, eh!”
Michel dovette frenare un sorriso, perché nonostante tutto l’altro era riuscito a stemperare un po’ la tensione. “Cosa ci fate qui, nonna? Pensavo non voleste più mettere piede a Londra.”
“Sono venuta a conoscenza del contrasto tra te e Blaise.” Lo fermò prima che potesse chiedere come. “Ho le mie fonti, mon ange …  E non ho mai smesso di chiedere di te.”
Fece una smorfia. “Questo mi fa piacere, ma…”
“Ma ti ho abbandonato.” Concluse per lui. “Non è forse quello che pensi?”
“Non…”
Vide con la coda dell’occhio Emil spostarsi alle sue spalle. Non fece niente, neppure lo toccò eppure gli diede un incredibile conforto averlo vicino. “Mio padre mi voleva accanto a sé. Non avevate il potere di fermarlo. E poi, è passato tanto tempo.” Mormorò sentendosi un bugiardo.
“Potevo averti per me, se avessi insistito.” Sua nonna lo guardò con un sorriso carico d’affetto e rimpianto. “Ma pensai che avessi bisogno di stabilità … una famiglia. Forse ho sbagliato.”
“Voi eravate la mia famiglia …” Trovò giusto farle notare. “Ma la vita che ho qui … mi piace.” E si accorse che era vero. Hogwarts, Serpeverde, Albus, Loki e Scorpius erano pezzi importanti della sua vita. “È piena.” Scoccò un sorriso al compagno, prendendogli la mano e baciandogli la guancia. “E poi, se fossi rimasto con voi, non avrei conosciuto il mio Emil.”
Negli occhi di sua nonna passò un lampo di consapevolezza. Anche lei ricordava il piccolo violinista prodigio che gli aveva rubato il cuore da bambino? “… Emil Von Houten!” Sì, lo ricordava. “Si diceva…”
“Fossi morto? No, vivo e vegeto. Solo un po’ troppo Magonò.” Il suo ragazzo si strinse nelle spalle ma dalla postura intuì la sua inquietudine.
“Mia nonna non tradirà il tuo segreto.” Lo rassicurò.
“Non ne ho intenzione, conosco il Mondo Magico continentale e capisco perché hai deciso di sparire.” Confermò mettendogli una mano sulla spalla. “Anche se è un peccato aver perso un talento come il tuo nella scena musicale magica.”
Milo scrollò ancora le spalle, un gesto che riassumeva in toto l’atteggiamento dietro cui si riparava ogni volta che veniva tirato in ballo il suo passato da Purosangue: conoscendolo aveva capito che era una posa, ma non sarebbe stata dismessa per sua nonna, una sconosciuta.
“La vita a volte va diversamente da come te lo aspetti.” Gli venne in soccorso. “Io ne sono la prova vivente.”
“A questo proposito…” Li guardò entrambi “… hai deciso cosa vuoi fare adesso?”
“Non ancora.” Ammise. Si guardò con Emil. “Perché?”
La strega fece un sorriso che gli ricordò che dopotutto, suo padre non era arrivato alla posizione professionale che aveva solo grazie al sangue dei Burke.
“Potrei avere una proposta.”
Emil, che era allenato a cogliere le opportunità quando gli si presentarono, fu più lesto di lui. “Sarebbe?”
Sua nonna gli sorrise. “Voglio che tu lavori per me, Michel.” Si voltò verso il suo ragazzo, soppesandolo con lo sguardo. “Voglio che entrambi veniate a lavorare per me.”

 
****
 
Hogsmeade, Pomeriggio.
 
“Benedetta, resta vicino a me!”
Aveva ripetuto quella frase almeno un migliaio di volte nel giro di un’ora. E non aveva mai odiato così tanto Hogsmeade.
Il villaggio, di solito sonnolento come si conveniva alla sua latitudine e alla scarsità di persone, quel giorno straripava di banchetti, musica e persone.
Ted non amava quel genere di aggregazione sociale; si teneva lontano persino dalla festa del Solstizio di Ottery St. Catchpole, che pure aveva visto generazioni di Weasley partecipare con entusiasmo.
Ben, da bambina qual’era, era della sua opposta opinione: mordeva il freno, tirandolo qui e là e cercando in ogni modo di eludere la mano che teneva ferma la sua.
“Voglio cercare Ceddy!” Gli spiegò irritata. “Voglio andare in giro con lui!”
“Siete troppo piccoli per andare in giro da soli.” Non avrebbe affidato la sua unica nipote al figlio maggiore di Neville, per quanto avesse preso dal padre e fosse quindi più responsabile di undicenne medio. “Ora lo cerchiamo.” Si arrese vedendola rabbuiarsi e covare un principio di bizza.
Se solo il Plenilunio non fosse così vicino …
Si rassegnò a cercare nella selva di teste quella bruna di Neville; dove c’era il collega e buon amico di solito c’erano anche i suoi figli.
Disciplinati, loro.
Lo trovò nei pressi dello stand di Mielandia, ovviamente, a contrattare con i figli la quantità minima di dolci concessa a testa. “Ehi!” Lo salutò con una pacca sulla spalla, mentre Benedetta svicolava per gettarsi con entusiasmo di un cucciolo sul primogenito Paciock. “Non pensavamo sareste venuti!”
“Già, cambio di piani.” Sorrise impacciato di rimando. Si erano lasciati abbastanza bruscamente dopo l’aggressione di Vulneraria: aveva la vaga impressione avrebbe dovuto scusarsi. “Ben rischiava di far saltare in aria la casa.”
Neville rise. “I miei si sono svegliati all’alba per essere sicuri di essere i primi ad arrivare.” Scrollò le spalle. “Per una volta che da queste parti si organizza qualcosa…”
“Bel tempismo.”
L’amico intuì il suo disagio. “James è passato da Hannah stamattina, mi ha detto che avete fatto denuncia al Ministero.”
“Sì, ma una diffida è poco più che un pezzo di carta per un uomo come Vulneraria.”
“Non c’è modo di raggiungere un accordo?” Domandò, perché per esser stato Grifondoro aveva l’indole da paciere di un tassorosso.
“È venuto qui pretendendo di vedere la bambina. Non ho la minima intenzione di fargliela vedere.”
“È suo nonno.”
Bisnonno.”
“Ted…”
“Sì, lo so, non è questo il punto.” Diede un’occhiata a Benedetta, che stava attentando al sacchetto di Cedric, il quale pazientemente sopportava il furto. “Il punto è che la considera una sua proprietà, una proprietà del branco.” Soltanto a dirlo si sentiva il sangue bollire nelle vene. “Non gliene importa nulla della sua serenità. Se non l’avessi fermato se la sarebbe presa e portata via come un sacco.”
Neville fece una smorfia. “Non sto dicendo che tu non abbia ragione. Solo … Benedetta ha perso i suoi genitori. Ha te e James, certo, ma … parte della sua famiglia è quel branco. Non credo sia giusto tenerla lontana da quella parte della sua vita.”
Ragionevole Neville …
In un contesto scolastico, o che non lo avesse riguardato da vicino, avrebbe convenuto con lui.
Peccato non fosse nessuno dei due casi.
“Se quella parte della sua vita la minaccia, sì, Nev. È giusto.” Che suonava terribilmente come un “ha iniziato lui”, ma decise di fingere non fosse così.
L’altro mago non rispose, anche se immaginava come la pensasse dalla piega scontenta delle labbra. Si guardò invece attorno. “Dove sono finiti?”
Non gli servì sapere il soggetto per capire di chi parlava. Si voltò e vide che Benedetta e Cedric non erano più dove dovevano essere, ovvero accanto a loro. “Ben!” Chiamò incredulo. Un momento. Un momento aveva distolto lo sguardo ed era già sparita!
“Non ti agitare, saranno andati da Zonko.”
“Non mi sto agitando.” Rispose sapendo benissimo di fare l’opposto.
Fatti neanche dieci passi trovarono Cedric, che si stava guardando confuso e preoccupato attorno, come qualsiasi bambino che avesse perso i genitori.
Nessuna traccia di Ben.
“Ced, dov’è Benedetta?” Domandò Neville, e vederlo preoccupato gli diede esattamente la conferma che cercava per andare nel panico.
“Non lo so…” Aggiunse il ragazzino. “Era con me fino ad un secondo fa!”
“L’hai persa di vista?” Si dominò per non suonare aggressivo. Non gli riuscì tanto bene da come Cedric lo guardò ansioso. “Dove stavate andando?” Cercò di razionalizzare: Ben non era nuova a quel genere di improvvise sparizioni. Come ogni seienne che si rispettava prendeva iniziative senza chiedere o allertare nessuno.
“Da Zonko!”
Ted non se lo fece ripetere due volte, ma Neville non fu da meno: si assicurò che il figlio raggiungesse i Tre Manici e poi lo seguì.
Bambini con i propri genitori, un gran scoppio di botti e dimostrazioni di giocattoli targati Tiri Vispi … ma nessuna traccia della bambina.
“Si sarà persa, c’è tanta gente.” Tentò Neville, ma la sua faccia parlava da sola.
Ted non rispose: non gli serviva possedere un sesto senso per capire e Ben non si sarebbe mai spontaneamente allontanata da un bambino che aveva cercato per tutto il pomeriggio.
Quando vide per terra un sacchetto di dolci, lo stesso sacchetto che Ben aveva preso dalle mani di Cedric capì.
Era stata rapita.
 
****
 
Piccadilly Circus, Pomeriggio.
 
Lily non aveva resistito: era andata a trovare Sören.
Era ancora arrabbiata, certo. Nervosa e di cattivo umore, ma non era riuscita a stargli lontano con lo spauracchio di fare troppo tardi, arrivare all’albergo e scoprirlo in viaggio verso la missione suicida del secolo.
Solo a posteriori avrebbe potuto dire se era stata una cattiva idea; dopotutto lei era Lily Luna, la strega dagli innumerevoli colpi di testa.
A volte mi va di culo, altre …
Inspirò, mentre l’ascensore dell’albergo la sputava al piano scelto. Subito vide gli Auror piantonare annoiati il corridoio; per ragazzi addestrati a catturare maghi oscuri quella doveva essere una corveè insostenibile. Li salutò quindi con il suo sorriso più gentile, che in qualche modo si sentiva responsabile delle scelte di suo padre.
Tranne quando manda il mio ragazzo al macello!
“Sono venuta a trovare l’agente Prince.” Spiegò loro.  
Non è che a papà è venuta la brillante idea di limitargli anche le visite?
“Non è qui, è stato scortato nella sala duelli dell’albergo.” Gli spiegò uno dei due auror.
“ … lo aspetto dentro!” E sgusciò prima che potessero protestare. Non che l’avrebbero fermata o altro.
Figlia del capo. Sono intoccabile.
La stanza come al solito non sembrava abitata; Sören aveva un talento naturale per non lasciare mai traccia di sé nei posti che abitava. Solo un libro lasciato aperto sul divano del salottino testimoniava che una presenza umana aveva calcato quei luoghi.
Qualcuno avrebbe potuto vederlo come un pregio, visto il lavoro che svolgeva. A lei stringeva il cuore.
Non è che lo fa con cognizione di causa. Gli viene naturale … non sa come vivere un posto.
Si sedette sul divano, sfogliando il libro: era l’antologia di Keats che gli aveva prestato.
Oh, Ren …
Le mancava. Essere innamorate alla follia era una vera scocciatura. Non era facile rimanere incazzate incanalando i propri sentimenti in un sentiero unico.
Sono tutti sparsi in giro. A manciate.
“Lily…” La voce dell’altro, entrato in tuta ed espressione sorpresa, la destò dalla contemplazione del suo universo romantico personale.
“Oh … ehi!” Trovò appropriato ribattere. Se fossero stati in una di quelle commedie romantiche Babbane di cui faceva scorpacciata quando era giù di morale si sarebbero corsi incontro per poi baciarsi selvaggiamente.
Quella era invece la vita reale, quindi si fissarono come due stoccafissi per circa mezzo minuto prima che l’altro si schiarisse la voce. “Ehi.” Rispose, impacciato come e quanto lei. “… non mi aspettavo di trovarti qui.”
“La scorta mi ha fatto entrare.”
“Non intendevo in quel senso.”
Lily sospirò. Erano bloccati come due soldatini dementi.
Avanti, coraggio!
Decise di non girarci troppo intorno. “Sono ancora arrabbiata con te.” Sancì e Sören annuì. Bene, almeno quello l’aveva capito. “Ma non ce la facevo più.”
“… a fare cosa?”
“A starti lontana.” E non era mai stata quel genere di ragazza. O forse sì: forse non c’era niente di male a sentire la mancanza, stile braccio amputato, di un’altra persona.
Ammetterlo faceva un po’ spavento.
Sören le sorrise, uno di quei suoi micro-sorrisi che esplodevano tutti negli occhi. “Anche tu mi sei mancata.” Fece un passo in avanti. “Volevo mandarti un Gufo, ma non sapevo se avresti gradito.”
“Non lo so.” Ammise. “Continuo a credere che il piano di mio padre sia delirante e che tu sia un pazzo ad avergli dato retta.” Fece un grosso sospiro, perché percepiva l’incazzatura montare di nuovo e quello era un buon modo per spingerla tutta giù. “I suoi piani funzionano quando lui è il protagonista … non so se sia fortuna, o perché è il Prescelto, o perché non fa altro da quando aveva undici anni, ma tu … tu non sei lui.”
“Non ho mai avuto la presunzione di pensarlo.” Saggio, saggio Ren e la sua stupida ragionevolezza. “Liebchen … ti ho spiegato perché lo faccio.”
Ancora quel nomignolo. La mandava ai matti perché le rendevano le ginocchia deboli, facendole venir voglia di baciarlo a morte. “Sì, perché te l’hanno ordinato.” Ribatté sostenuta.
Sören scosse la testa. “Non è solo per questo. È per poter pensare ad avere un futuro assieme, senza ombre, senza dovermi preoccupare che qualcuno faccia del male a te … o a me. Che sia una persona…” Esitò “O il mio passato.”
… già.
Razionalmente aveva capito che era quello ciò che l’altro aveva voluto dirgli nella stanza degli schedari.
Peccato che tu non l’abbia lasciato parlare.
Non gliel’avrebbe comunque data vinta. “Di quale futuro parli se rischi la vita?”
“Un rischio non è una condanna a morte … non sono un mago alla sua prima magia.” Un secondo sorriso, e stavolta le stava di fronte, con la sua stupida maglietta del DALM americano e l’odore fresco della doccia, la pelle ancora calda dall’allenamento, fremente di magia, tanto che anche la sua in qualche modo la sentiva e …
E datti una calmata, non sei in calore!
… Morgana, l’astinenza che brutta bestia che è.
“Non sono un leader, Lily.” Oh, okay, stava parlando. Attenzione. Era importante.
Lo guardò in faccia per darsi un tono. “In … in che senso?”
“Che non sono io quello con le idee.” Si passò una mano tra i capelli facendoli ricadere sugli occhi. Era incredibile come gli crescessero, giusto suo padre aveva altrettanto bisogno delle forbici.
Incrociò le braccia al petto per reprimere il desiderio di passarci in mezzo le dita. “Ancora, non capisco dove tu voglia andare a parare.”
E non è perché ho perso il filo del discorso per sbavare sui tuoi addominali.
Non adesso, almeno.
“L’idea di tuo padre è buona.” Non le diede il tempo di protestare. “Lo è. Sono anni che il DALM inglese e quello americano tentano di catturare Doe senza successo. L’unica variabile che non hanno ancora usato è usare il suo stesso gioco contro di lui.”
“Non capisco perché la variabile debba prevedere te!”
“Perché non sono quello con le idee.” Ripeté paziente. “Sono un soldato, e imparo ciò che mi viene insegnato. È la cosa in cui sono più bravo. E farlo mi aiuterà…”
“A fare cosa?” Okay, aveva il brutto vizio di interrompere, però sul serio, cosa?
Sören la guardò come se stesse valutando la sua domanda. “A continuare ad imparare ciò che desidero fare meglio di qualunque altra cosa.”
Le sembrava di essere un pappagallo, ma i suoi poteri LeNa non erano mai riusciti a sondare a dovere la testa di legno che aveva di fronte.
Sì, lo amava anche per quello. “Sarebbe?”
“Amarti. È questo il futuro che immagino per noi.”
 
Semplice, diretto. Con Lily bisognava essere così, lo aveva imparato a sue spese. Mai prendere la strada lunga, mai tentare di abbellire un concetto che la sua piccola inglese preferiva spogliato sino all’osso.
Questo però non significava non usare le parole a suo favore.  
Perché da come la sua ragazza – lo era ancora? – lo guardò capì di averle indovinate, le parole giuste. Da come lo placcò, più che abbracciarlo, perché i Potter non avevano la minima idea di come entrare nello spazio vitale altrui, sia che fossero minacciosi come James Sirius, sia che fossero impiccioni nati come Albus.
Francamente, preferiva l’alternativa di Lily, dita nei capelli e un bacio che gli rimescolò il sangue. Fece per prendere l’iniziativa e spostarsi verso la camera da letto – erano giuste le vibrazioni che sentiva? – quando Lily lo afferrò per la maglietta e lo fece crollare sul divano con quello che fu, a conti fatti, uno sgambetto.
(Erano giuste.)
“Continua.” Gli soffiò sulle labbra salendogli addosso. “Quello che dici ha senso.”
“Ne sono … lieto.” Boccheggiò mentre l’altra lo invitava senza mezzi termini a togliersi la maglietta per poi seminare una scia di baci lungo il suo petto e poi stomaco. “… Voglio… voglio stare con te … e non solo in una stanza di albergo o dietro il cortile di casa tua. Voglio avere del tempo da dedicarti, senza pensieri. Senza nessuno in mezzo … a parte i tuoi fratelli. Loro sono onnipresenti.” La buttò sull’ironia perché era l’unico modo per non perdere l’ultimo scampolo di dignità mentre Lily passava un dito sull’elastico dei suoi inutili pantaloni.
Lily che fece uno dei suoi sogghigni furbi. “Stai andando molto bene…” Lo lodò. “Quella parte sull’amarmi non parla solo del lato carnale, vero?”
“No!” Esclamò perché doveva essere quella la risposta corretta. Forse. O forse no da come all’altra brillavano gli occhi per una risata mal trattenuta. “… o meglio sì, anche.”
“Infatti mi sembrava.”
“Quello che intendo dire è … ” Chiuse gli occhi perché se l’avesse guardata un altro mezzo secondo avrebbe smesso di formulare frasi di senso compiuto. Doveva concentrarsi. Lily lo stava stuzzicando, perché era Lily, ma voleva anche una risposta seria. “… che voglio passare il resto della mia vita a fare le cose che fanno le persone normali. Con te. Avere progetti, sposarsi e … avere figli, credo, un giorno. Se andrà anche a te. Ed ho accettato perché tutto questo inizi il prima possibile. So che sei arrabbiata, ma vorrei che lo capissi.”
Non ci furono movimenti o commenti, così arrischiò ad aprire gli occhi, anche solo per esser sicuro di non aver esagerato e rovinato tutto.
Lily stava per mettersi a piangere.
Ho sbagliato tutto.
“No, no!” Lo fermò. “Non hai sbagliato!”
No?
Era per il suo potere o per il terrore dipinto sulla sua faccia perché l’altra scosse la testa con una risatina. “… Ho capito, Ren. Ho capito sul serio stavolta.” Si chinò a sfiorargli le labbra con un bacio, e non era passionale e non parlava di mandarlo al San Mungo, ma era forse persino più tranquillizzante. “Voglio la stessa cosa. Ti amo.”
Gli parve che un macigno gli fosse appena stato tolto dal petto. “Ti amo anch’io.”
Lily gli passò le dita tra i capelli, il sorriso adesso una sfumatura molto più vicina al discorso di prima. “A proposito del lato carnale della faccenda…”
 
 
Dopo, tra lenzuola sgualcite, vestiti che avrebbero dovuto trovarsi piegati su una sedia, ma in fondo non era così importante, e il calore dei loro corpi intrecciati, Lily avrebbe solo voluto dormire. Erano giorni che non lo faceva a dovere.
“… Liebchen?”
Sören ovviamente non era della sua stessa opinione.
Sveglio come un Gufo a mezzanotte!
Sbadigliò senza preoccuparsi di nasconderlo. “Dimmi.”
“Sei ancora la mia ragazza, giusto?”
Sorrise, tentata di non rispondergli e lasciarlo ancora un po’ a cuocere nel suo brodo.
… nah. Depravata, ma non crudele.
Si voltò verso di lui, posandogli la testa contro il petto. “Sarò sempre la tua ragazza, Ren.”
Venne ricompensata con un abbraccio da undici Mago. “Sempre.” Ripeté contento.
Due scemi in mezzo ad una tempesta.
Andava bene così; navigare a vista non era poi così male. Perché ne era certa, la costa era vicina.
 
****
 
Note:

La canzone del capitolo qui.
 
Un'idea di come può essere Amara Zabini qua. E poi ditemi che Michel non le somiglia.
Finito con un mezzo cliff-hanger (dai, un po’ di drama ai Jeddy dovevo pur darlo! Mi stanno diventando piccolo-borghesi) e annuncio ci vorrà un po’ per il nuovo capitolo.
Come qualcuno forse sa, se mi ha su fb, mi trasferisco a Milano per lavoro. Grandi Speranze e Cambiamenti e tutto il resto, quindi per un periodo non ben definito avrò meno tempo a disposizione da dedicare alla scrittura.
Non disperate comunque; la DP Saga è sempre nei miei pensieri, come lo siete voi, quindi grazie per i commenti, per i messaggi su fb e per la presenza. Siete voi il carburante di questa storia! <3
  
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