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Autore: Genevieve De Cendres    03/06/2015    1 recensioni
E mentre la sigaretta si spegne, si spegne anche l'ultimo frammento di te;
scivoli via insieme alla cenere.
Non sei più fuoco ma bruci comunque.
Genere: Malinconico, Poesia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Lettera a_





Ripercorro le nostre strade, questa volta tu non sei con me. Mi perdo nei ricordi di noi, sedendomi su quella panchina sporca in fondo alla via e annego con lo sguardo in quello spazio vuoto, dove una volta c'era la tua auto e c'eravamo noi, a litigare, a ridere, ad amarci.
C'eravamo noi sotto il cielo nero, sotto le chiome scosse dal vento, sotto l'estate, sotto la pioggia, come quella sera in cui, dopo le urla e le lacrime, sei scesa dalla macchina trascinandomi fuori, dopo che sei riuscita a rubarmi le parole che più di ogni altra temevo, quelle che avrebbero reso tutto reale,e mi hai calmata premendo le labbra contro le mie.
La pioggia a bagnarci e l'anima a scaldarci. Solo noi due, il tuo sorriso sul mio, denti contro denti e profumo di tabacco. In un calore che mai prima avrei potuto immaginare o provare. Paura che muta in gioia, tra le tue braccia, come sempre.

E poi tutto scivola via.

Quasi non me ne accorgo mentre percorro la strada in salita e sporco le ballerine nere trascinandole sulla strada asfaltata che corre lungo il colle, tra i vigneti e l'aria farinosa dell'estate nei polmoni, convinta sia questo il profumo della felicità mentre cerco di non scivolare sull'unico tratto sdruccioloso, alzando la testa alla ricerca di un punto di riferimento, guardando davanti a me con gli occhi strizzati, il calore del sole come una pellicola sulle braccia chiare. Scorgendo una casa rossa e gialla in lontananza

 Eccolo, il mio faro.


Poi la penombra di una stanza durante il tramonto, luce cremisi su zigomi abbronzati, sorrisi, sospiri, discorsi privi di senso ma che un senso lo trovavano, poi, guardandosi negli occhi.
Un caffè pessimo qualche mattina, che bevo comunque perché lo hai fatto tu, un gatto che fa l'occhiolino vicino alla porta e le tue labbra sulla fronte. Cosa posso chiedere di più, mentre mi vizi così tanto?

La tua voce che si alza quando mi rimproveri con aria divertita, avrò detto qualche stronzata delle mie. Abbasso gli occhi ma sorrido, non mi dispiace essere presa in giro se sei tu, a farlo.
 


Ti vedo correre dentro il negozio, esci porgendomi la miniatura di un faro. Arriccio il naso, non voglio che si spendano soldi per me, ma sono felice comunque.  Come lo sono quando aprendo gli occhi e vedendoti accanto alla finestra umida borbotto "Dimmi che siamo a Parigi." ma Jesolo è sufficiente con te accanto.
Poi penso che mi hai portato male quando in spiaggia mi si rompono le infradito e tu mi presti le tue, "che hanno retto dieci anni" e che la commessa vuole buttare, convinta fossero loro quelle rotte. Chissà quale sarebbe stata la tua faccia se non mi avessi vista tornare con loro. Ma sono troppo impegnata a borbottare per pensarci in quel momento. E poi l'acqua è calda anche se tira un vento freddo, la spiaggia deserta. Cosa aspettiamo? Probabilmente il sole, ma preferiamo correre il rischio di beccarci una polmonite e anche se per poco ci tuffiamo. Guardo il faro, quello vero, ma non me la sento di riproporti un'altra passeggiata. La prima ci è bastata.
 
 
Si litiga per la mia testardaggine. Ancora una volta. E mentre percorro a passo svelto la strada per la stazione la tua frase mi colpisce in pieno petto "Io ti aspetto sempre, ma quando si tratta di aspettare me? Tu non lo fai mai."
Sono troppo arrabbiata per dargli il giusto peso, ma la verità è che non ce l'ho con te.

L'idea di tornare a casa mi fa impazzire. Ma non sono arrabbiata con te. Non davvero. Perché piango secondo te?
 

 Sono preoccupata e felice quando ti guardo, qualcosa dentro di me dice che devo proteggerti, l'errore è stato promettertelo. Non sono capace di dirti ciò che provo e potrebbe renderti felice, come faccio a proteggerti?
La terra si apre sotto di noi amore e io non posso farci niente. Non lo senti?

Altre liti, di nuovo, non so neanche più per cosa.
Ma sono certa che la colpa è ancora mia, anche se non lo dirò. Non a te.
 
 
Sono qui seduta sul divano e non ti riconosco. Le tue parole incrinano qualcosa che si spezza poi, bastava aspettare un po'. Solo un po' di pazienza e ce l'avresti fatta a rompermi.
Penso ancora che la colpa sia mia ma non riesco a capire dove sia l'errore e quale potrebbe esser stata una soluzione:
Se non ti avessi parlato dei miei demoni non avresti potuto ferirmi nel tentativo di sconfiggerli.
Ma il parlarne guarda cosa ha portato.
 

Sono stanca, siamo stanche. Compro un altro pacchetto di sigarette cosciente del fatto che significhi farsi del male e no, non perché "il fumo uccide", lo è perché l'associazione è naturale. Quasi la odio, quasi ti odio mentre ne accendo una e me la porto alle labbra. Perché non siamo riuscite ad amarci, o forse lo abbiamo fatto troppo e nel modo sbagliato. Perché non abbiamo mai desiderato altro io e te, e non abbiamo avuto mezze misure. Siamo state avide e ce lo siamo strappate l'amore. Lo abbiamo preteso.

Almeno è quello che voglio credere.
 
 
E mentre la sigaretta si spegne, si spegne anche l'ultimo frammento di te;
scivoli via insieme alla cenere.
Non sei più fuoco ma bruci comunque.

 
  
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