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Autore: Piperilla    03/06/2015    0 recensioni
Antonia e Federica non hanno nulla fuori dall'ordinario - tranne forse il nome della prima - e vivono come qualsiasi altro ventiduenne: per la maggior parte dell'anno casa, università, uscite con gli amici e qualche lavoretto part time di tanto in tanto. Anche le vacanze sono sempre le stesse: nascoste in un paesino pressoché sconosciuto dell'Abruzzo con altri amici d'infanzia ad ammazzare il tempo con i falò notturni, i tornei di carte e qualche volta troppo alcool. Come si è detto: nulla fuori dall'ordinario.
Almeno fino a quando non si scontreranno con le inaspettate conseguenze di una scelta a prima vista solo un po' azzardata.
[Il rating potrebbe salire]
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
Capitoli:
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Le parole dure e impietose del capitano erano state il colpo di grazia, per le due sventurate ragazze. Né Federica né Antonia avevano osato ribattere: si erano limitate a scambiarsi uno sguardo – distrutto quello della prima, desolato quello della seconda – per poi abbassare gli occhi al pavimento, concentrandosi soltanto sulla necessità di restare in piedi. Antonia era particolarmente abbattuta: l’idea di saltare quella piccola voragine era stata sua, e se tutta quella situazione incredibile era reale, allora non solo si era messa nei guai da sola, ma aveva anche trascinato con sé l’amica.
   Pochi minuti dopo il loro arrivo una mezza dozzina di persone, tra cui la figura in nero che Grant aveva chiamato Mastro Devall, rientrarono nella sala, parlottando a bassa voce, e si disposero intorno al trono. Appena un istante più tardi un altro uomo fece il suo ingresso, avanzando a grandi passi: arrivato alla piattaforma, salì con un unico balzo i tre gradini e sedé sullo scranno.
   I soldati si inchinarono; Grant, con un colpo secco in mezzo alle scapole delle due donne, le costrinse a cadere sulle ginocchia prima di piegare il capo in gesto di rispetto.
   «Capitano Grant, Maestro Devall sostiene che hai una questione urgente da sottopormi» esclamò una voce maschile alta e chiara.
   Grant si raddrizzò. «È così» confermò.
   «Ebbene, capitano, parla» lo esortò il principe.
   Il capitano si schiarì la voce. «Circa tre ore fa, durante la ronda nel quadrante a sud-ovest della Torre della Quercia, ci siamo imbattuti in queste due donne. Erano armate e correvano; le abbiamo fermate e intimato loro di gettare le armi. Quando l’hanno fatto, abbiamo scoperto che sono due fattucchiere, e secondo quanto dispone il regolamento, le abbiamo incatenate e condotte al Suo cospetto».
   Uno dei presenti, un uomo vestito di porpora chiamato Illyrio, storse il naso. «Capitano, quante volte dovrò ripeterti che “fattucchiera” è un termine improprio?».
   Tutti lo ignorarono.
   «Sei sicuro di quello che dici, capitano?» chiese il principe, dubbioso. «Se davvero queste donne sapessero usare la Magia, dubito che sarebbero ancora in ceppi».
   Grant tolse le manette ad Antonia e prese uno dei bastoni che aveva fatto recuperare nel bosco dai suoi uomini. «Osservi bene, Maestà» disse, lanciando il pezzo di legno alla ragazza; lei lo afferrò, ma non accadde nulla.
   «Vedo, Grant» commentò ironico l’uomo seduto sul trono.
   «Maestà, le assicuro che la Magia compiuta era evidente» rispose il capitano, confuso. Si voltò verso gli altri uomini della ronda. «Il resto della guardia potrà confermarglielo».
   «Cionondimeno, capitano, ho bisogno di vederlo con i miei occhi: se mi conducessi diversamente, non sarei equo» disse con gravità il principe.
   «Permette, Maestà?» intervenne Illyrio. L’altro acconsentì con un gesto della mano e il primo uomo si mosse verso le prigioniere: era alto, magro, quasi emaciato, e il suo volto imperturbabile intimoriva più d’uno, a palazzo. Mentre camminava, Illyrio recuperò una penna di corvo che portava dietro l’orecchio destro, nascosta tra i lunghi capelli neri, e la mosse noncurante nell’aria; quella si trasformò in un pesante spadone a due mani e con un balzo l’uomo si slanciò verso Antonia, abbattendo la lama su di lei.
   Antonia, pur sapendo che un misero ramo secco poteva ben poco contro una spada, d’istinto aveva sollevato la sua unica arma nel tentativo di difendersi: si aspettava uno schianto secco e la lama che sprofondava nella sua carne, invece tutto quello che sentì fu il rintocco acuto generato da metallo contro metallo. Riaperti gli occhi – che non si era resa conto di aver serrato – vide che il ramo era tornato a essere una spada.
   Illyrio fece sparire la propria e si appuntò di nuovo la piuma dietro l’orecchio. «La loro è Magia istintiva, Maestà» decretò. «Nulla che siano in grado di controllare».
   «Liberate anche l’altra» ordinò il principe.
   Quando anche Federica fu libera, entrambe alzarono lo sguardo sul gruppo che avevano di fronte. Illyrio era senza dubbio il più inquietante, con il suo aspetto e quegli occhi di un azzurro spento, sbiadito; Mastro Devall, il più anziano, pareva una statua di marmo tanto era serio e concentrato; una coppia di uomini sui trent’anni, castani e identici fino all’ultima virgola, parlavano tra loro senza mai perderle d’occhio e per ultima, una donna con i capelli chiarissimi striati di grigio tormentava con le dita la tunica azzurro pallido che indossava.
   Dopo aver studiato il gruppo intorno all’immenso ciocco di legno che dominava la sala, le ragazze passarono a osservare l’occupante del trono. Interamente vestito di verde scuro, dimostrava meno di trent’anni nonostante i lineamenti decisi, l’espressione grave e le piccole rughe intorno agli occhi verdi. L’unica cosa a lasciare interdetti erano i suoi capelli: lunghi fino alle spalle, nella metà destra della testa erano castani, mentre in quella sinistra erano completamente bianchi, come divisi da una linea netta.
   Intanto, anche il principe le stava studiando con grande attenzione: specialmente Antonia, che sobbalzò quando lui le rivolse la parola.
   «Non siete in buone condizioni, signorina» disse senza alcun preavviso, guardandola intensamente. «Cosa vi è accaduto?».
   Federica scoccò un’occhiataccia a Grant, che non batté ciglio. Antonia prese un respiro profondo.
   «Sono caduta» rispose. Notando lo sguardo tutt’altro che persuaso del principe, ritenne opportuno spiegarsi meglio. «Mentre ero incatenata al lupo. Non riuscivo più a correre e…sono caduta. Mi ha trascinata per un po’…».
   Lo sguardo del principe si indurì nel rivolgersi a Grant, poi divenne rassegnato. «Per tutti gli Dèi, Jonas, era davvero necessario?» chiese con una punta di esasperazione.
   Il capitano mise su un’espressione arcigna. «Fattucchiere sconosciute nelle nostre terre, e mi chiedi se era necessario trattarle con rigore? Di questo passo, mi manderai dagli Orchi con un invito per il tè!»
   «Jonas Grant!» tuonò la donna con la tunica azzurra, severissima. L’uomo si strinse nelle spalle, e per un attimo sembrò a disagio; il principe, invece, dopo aver preso un respiro profondo, recuperò la calma.
   «Siete imparentate?» chiese ancora, notando le somiglianze tra le due straniere: entrambe sul metro e sessanta – anche se Antonia era di qualche centimetro più bassa di Federica – con lisci capelli castani, occhi scuri e il fisico asciutto, potevano facilmente essere scambiate per sorelle.
   «No» rispose Federica, massaggiandosi i polsi martoriati con una smorfia di fastidio. «Solo buone amiche».
   Il principe si appoggiò allo scranno. «Voi non siete di queste terre» disse con estrema sicurezza. «Devo dunque chiedervi come siete arrivate qui».
   Le ragazze si scambiarono un lungo sguardo.
   «Non ne siamo certe» esordì Antonia nervosamente. «Noi…eravamo nel punto più alto del nostro paese, in pratica un quadrato di roccia diviso a metà da una depressione del terreno: di solito per superarla ci caliamo giù e risaliamo dalla parte opposta, ma stavolta abbiamo pensato…», occhiataccia da parte di Federica; Antonia sbuffò, «be’, io ho pensato che avremmo potuto provare a saltarla: abbiamo preso la rincorsa e quando siamo atterrate, non eravamo più lì ma…nel bosco. Il vostro bosco, direi».
   «Vicino a qualcosa di insolito?» chiese il principe, sporgendosi in avanti.
   «C’era un arco di pietra in rovina, alle nostre spalle» rispose Antonia.
   Un moto di stupore percorse i presenti; il principe si batté un pugno su una coscia.
   «Incredibile» disse Illyrio, lasciando trasparire una vaghissima sorpresa. «Abbiamo due Viaggiatrici! Da quanto non se ne vedevano?»
   «Almeno trecento anni» rispose Mastro Devall, altrettanto stupito. «Nessuno era più riuscito a superare i Varchi dai tempi di Gowan». Si rivolse direttamente alle due ragazze, che erano sempre più confuse. «Come ormai avrete capito, vi trovate in uno dei mondi paralleli al vostro. Abbiamo tanti nomi per definire coloro che riescono a superare i Varchi tra mondi: Viaggiatori è il più comune, nonostante l’apparente banalità. Ora vi trovate nel nostro mondo: lo chiamiamo Staudeheim».
   «E io» aggiunse l’occupante del trono, scendendo dalla piattaforma e inchinandosi, «sono il principe Baumann, sovrano di questo regno. Al vostro servizio».
   «La Magia fa parte del tessuto del nostro mondo. È ovunque, permea e fluisce da ogni cosa: non tutti riescono ad afferrarla e governarla» intervenne Illyrio. «Voi due sì. A giudicare dal fatto che non sapete come padroneggiarla, ne deduco che nel vostro mondo la Magia non è presente, o lo è molto meno che da noi. In ogni caso, qui voi siete quelle che chiamiamo Magistrae Fascinationum: con un po’ di addestramento, imparerete a controllare la Magia e piegarla a vostro piacimento».
   «Un momento, un momento!» intervenne il capitano Grant, furioso. «Vorreste addestrarle nelle arti magiche? E perché non anche nell’uso delle armi?» aggiunse in tono di scherno.
   «Una buona idea» convenne serio il principe. «Di questi tempi più che mai è necessario che chi vive in queste terre sia in grado di difendersi»
   «E se fossero delle spie al soldo dei nostri nemici? Se fossero qui per conto degli Orchi, per ucciderci tutti?» esplose Grant.
   Baumann chiuse gli occhi per un istante. «Non lo credo, Jonas, ma so bene che le tue obiezioni non cesseranno se non di fronte a prove certe» disse. Si alzò e andò con sicurezza verso una tenda indistinguibile dalle altre prima di voltarsi verso le ragazze, accigliato. «Temo di non essere stato all’altezza dell’educazione che mia madre mi ha impartito» si scusò. «Posso sapere i vostri nomi?».
   Le ragazze si presentarono rapidamente.
   «Molto bene: Federica, Antonia, vi prego di venire davanti a questa tenda» riprese Baumann. Non appena le due giovani furono a trenta centimetri dalla cortina di velluto, l’uomo tirò un cordino, scostando il drappo: le ragazze balzarono indietro tanto in fretta da cadere sul pavimento, e Antonia non riuscì a trattenere un grido di paura mentre Federica strisciava il più lontano possibile. Di fronte ai loro occhi, infatti, era comparsa una figura spaventosa: un gigante alto quattro metri, glabro, con la pelle grigio-marrone, le labbra ritratte su due file di zanne giallastre e acuminate e un grosso, elaborato martello stretto nel pugno grande quanto la loro testa.
   «Le mie scuse» mormorò il principe; lasciò che la tenda tornasse a coprire la creatura immobile e aiutò personalmente le due ragazze a rialzarsi, soffermandosi più a lungo su Antonia. «Quella creatura è impagliata: non può farvi alcun male». Si voltò verso Grant, le sopracciglia sollevate. «Soddisfatto, Jonas?».
   L’interpellato rispose con un grugnito tanto incomprensibile da fare invidia a un Troll.
   «C-che…che diavolo è quello?» balbettò Federica, ancora terrorizzata.
   «Un Orco» rispose Baumann con espressione grave. «I nostri più acerrimi nemici ormai da alcuni secoli. Vivono in cunicoli scavati molti metri sotto la superficie, e usano i loro martelli per incanalare una Magia tipica della loro specie e causare scosse sismiche in grado di radere al suolo interi villaggi, a volte addirittura nei mondi confinanti: per questo li chiamiamo Signori del Terremoto».
   «Be’, sono orribili» commentò Federica, «e spero di non trovarmene mai uno vivo davanti».
   Il principe le rivolse un sorriso amaro. «Vivendo qui, dubito che ti riuscirà: gli Orchi sanno che non possiamo sconfiggerli, e sono ovunque».
   «Un motivo in più per tornare di corsa da dove veniamo» brontolò la ragazza, guardando di sottecchi Antonia. «Se solo ci fossimo riuscite quando siamo saltate dentro quel dannato arco!».
   «Non sempre i Varchi funzionano» spiegò Baumann. «Probabilmente eravate troppo concentrate su cose diverse dal Salto, dunque non ha funzionato»
   «Vorrà dire che la prossima volta lo faremo come si deve» rispose Federica senza battere ciglio. «Anzi, se poteste riaccompagnarci subito al Varco o come accidenti si chiama, ve ne saremmo davvero grate».
   Baumann guardò Grant, che scosse la testa. «Sono settimane che gli Orchi si aggirano in quella zona: andarci ora sarebbe un suicidio. È già un miracolo che queste due non si siano fatte uccidere quando sono arrivate».
   «Sembra che sarete nostre ospiti per un po’» disse il principe alle due donne. «Avete la mia parola che non appena sarà sicuro tentare, vi riaccompagneremo al Varco perché possiate tornare nel vostro mondo. Mentre siete qui, se lo desiderate, sarete istruite sull’uso delle armi e della Magia».
   Antonia guardò Federica e le sorrise; l’altra si strinse nelle spalle. «Visto che siamo bloccate qui, tanto vale!».
   Baumann batté le mani, un gran sorriso sul volto. «Eccellente!» esclamò. Si voltò verso la donna dai capelli chiari. «Isdrid, cara mamma, affido a te le nostre ospiti: guariscile e dà loro cibo, abiti adatti e qualsiasi cosa desiderino. Voi tutti, ritroviamoci stasera per la cena!».
   Gli uomini sciamarono fuori dalla stanza sparendo dietro tende e arazzi; la donna chiamata Isdrid affiancò le due ragazze e sorrise loro con fare materno mentre le invitava a seguirla.
   «Dovete scusare Jonas» disse mentre le conduceva in un corridoio dopo l’altro. «Prende molto sul serio il suo compito di difendere il palazzo».
   «Lei…lei è la regina?» chiese Antonia, in imbarazzo.
   La donna scoppiò a ridere. «Io? Santo cielo, no! Sono solo stata la balia del principe e di tutti quei ragazzacci scalmanati, incluso Jonas…peccato che non lui non dia retta neanche a me!» Tornò seria. «Inoltre, sono la Magistra Sanationis del castello: è una Magia diversa dalla vostra, si esprime totalmente nell’aiutare i processi risanativi del corpo. Anche per questo il principe vi ha affidate a me».
   «È tutta un’enorme allucinazione, vero?» chiese speranzosa Federica.
   «Temo di no» rispose gentilmente Isdrid. «Vedrai però che vivere nello Staudeheim non è poi tanto male!».

*

Guarite le ferite delle ragazze, Isdrid le aveva affidate a due servitrici del castello: senza alcuna esitazione le donne le avevano spinte in un bagno caldo e le avevano strofinate con delle grosse spugne e una gran quantità di sapone per eliminare dalla loro pelle ogni traccia di polvere e sudore. Terminata questa operazione, entrambe si erano trovate infilate contro la loro volontà in due tuniche a cui non erano affatto abituate.
   «Oh Dio, ma fanno sul serio?» mormorò Federica, sconvolta, scuotendo la gonna morbida che le arrivava fino ai piedi. «Così ci si vestivano le donne…ma nel Medioevo!»
   «Questi aggeggi sono fastidiosi» brontolò a sua volta Antonia, agitando le ampie maniche svasate.
   «E questa cintura mi sta strizzando i fianchi» si lagnò Federica.
   «Troppa stoffa sulle braccia e troppo poca sulla scollatura» decretò l’altra.
   «Avete finito di lamentarvi?» intervenne seccata una terza voce, facendole sobbalzare per lo spavento: il capitano Grant era sbucato alle loro spalle senza che se ne accorgessero.
   Le giovani donne gli scoccarono due identici sguardi infastiditi.
   «Che ci fai tu qui?» chiese Federica in tono aggressivo.
   Grant mise su un grugno da fare spavento e la fissò dall’alto in basso. «La Magistra Sanationis mi ha affidato l’incarico di scortarvi a cena» rispose arcigno.
   «Nello stesso modo in cui ci hai "scortate" a palazzo, magari?» disse sarcastica Antonia, toccandosi la testa quasi automaticamente: anche se ogni ferita era sparita, poteva sentire ancora i tagli aperti sulla propria pelle e il sangue impastarsi con la polvere.
   «Vedo che hai recuperato tutta la tua presenza di spirito» sputò Grant con disprezzo.
   «È più facile averne quando un bastardo non prova a ucciderti legandoti a un lupo lanciato al galoppo» ribatté la ragazza.
   L’uomo arrossì e si erse in tutta la propria altezza. «Come osi…» ringhiò.
   «Cosa? Darti del bastardo?». Anche Antonia si stava infuriando. «Semplice: dico soltanto quello che vedo!».
   Il capitano avanzò con due rapide falcate e si chinò su di lei, gli occhi socchiusi in un’espressione furiosa e i denti scoperti. «Sono ancora dell’idea di ucciderti, sudicia straniera»
   Antonia gli rise in faccia, sprezzante. «Provaci!».
   La mano di Grant scattò verso la sua gola, ma Antonia fu più veloce: tirò su la gonna e con un gesto fulmineo lo colpì al bassoventre con una ginocchiata.
   L’uomo crollò a terra gemendo e premendosi una mano sul punto colpito sotto lo sguardo incredulo di Federica e quello compiaciuto di Antonia.
   «Se vuole scusarci, capitano» disse quest’ultima, mettendo tutto il proprio disprezzo nell’usare il grado dell’uomo, «siamo attese a cena» concluse, scavalcandolo con noncuranza e avviandosi lungo il corridoio seguita dall’amica.
   
 
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