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Autore: Vale11    03/06/2015    1 recensioni
Una raccolta di drabble e one shots che girano intorno a Riario e Da Vinci. Possono essere ambientate nel rinascimento come ai giorni nostri, possono andare dal comico al romantico, fino al decisamente deprimente.
"C’è chi gli ha detto che è quando sorride che fa più paura. Lui sa che il suo sorriso continuo è una reazione anche alla sua, di paura. Di quando ne aveva, di quando ne ha avuta. Di quando ne ha. Sorridi in faccia a chi ti sta frustando la schiena, e vedrai che gli confonderai le idee. Almeno quello. Ha imparato a sorridere così bene. Un sorriso freddo, falso e senza grazia alcuna."
Occhio, spoiler di brutto!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Leonardo sa di essere disordinato, sa che spesso lasciare la sua roba in giro non produce esattamente effetti positivi, e sa che quello che ha davanti è un effetto non positivo dovuto al fatto che è disordinato, e che lascia in giro la sua roba: quando Girolamo si è svegliato, dopo essere rimasto svenuto sul divano in pantaloncini per un paio d’ore di tanto necessario sonno, si è ritrovato circondato dagli schizzi che Leo ha fatto di tutto il suo corpo.
E delle sue cicatrici. 
Così, quando Leo si è affacciato in salotto per chiedergli se gli andava un caffè, ha visto Girolamo con gli occhi sgranati e le mani piene di fogli, occhi sgranati che poi si sono spostati sul viso dell’artista, si sono incupiti e hanno ripreso a guardare i disegni. Ha tentato un sorriso, ma il brivido freddo che gli è corso lungo la schiena ha fatto si che uscisse fuori una smorfia quasi disperata. Girolamo si è alzato coi fogli in mano, glieli ha sbattuti addosso ed è andato a buttarsi addosso una maglia a mezze maniche, si è infilato le scarpe da running ed è tornato a correre.
Leo è rimasto li, attaccato al muro, coi fogli stretti al petto dalle cinque dita di una mano aperta. Lo sa come si sente il suo ragazzo, quando ci sono di mezzo tutti i segni che ha addosso. Ci ha messo anni a raggiungere la sicurezza necessaria anche solo per sentirsi a suo agio senza una maglia, e ora ce la fa, ma ritrovarsi circondato dai disegni di quelle cicatrici non dev’essere piacevole.


Girolamo corre, svolta l’angolo, si caccia le cuffie nelle orecchie più in profondità, attraversa la strada. Corre.


Leonardo butta tutti gli schizzi sul tavolo, senza riuscire a decidersi a buttarli via. Dovrebbe, ma non vuole: non ci vede niente di orribile, nelle cicatrici di Girolamo; è orribile che gli siano state inflitte, ma le sue cicatrici di per sé non hanno niente che non va. Sono parte di ciò che l’ha reso com’è, sono un attestato alla sua resistenza e, anche se sa che Girolamo ne farebbe volentieri a meno, lui le ritiene preziose perché significano che è ancora vivo, che ogni colpo che ha ricevuto l’ha segnato, ma non l’ha ucciso. Non è poco, se gli è concesso dirlo. Deve trovare un modo per farglielo capire, vuole trovare un modo per farglielo capire, ma ogni volta che accenna all’argomento Girolamo reagisce chiudendosi a riccio.
E poi, c’è la questione di quelle due cicatrici sui polsi. Non le ha disegnate, grazie a Dio. Non vuole davvero sapere quale sarebbe stata la reazione del suo ragazzo in quel caso. 


Girolamo corre, non si ferma a prendere fiato, accelera, supera un paio di ragazzi. Corre.


Il problema non è facile da affrontare, ma con Girolamo non c’è mai niente di facile. Girolamo non è facile, è un casino fatto e finito dalla testa ai piedi impacchettato in un involucro che rasenta la perfezione. Proprio come Leonardo. Si tengono su a vicenda, ogni passo falso diventa pericoloso. Ha bisogno di parlarci, ma se n’è andato prima di potergli dire anche solo mezza sillaba. 
Da un’ultima occhiata agli schizzi, li impila in modo più o meno ordinato e li caccia in un cassetto. Poi si leva la maglia e i jeans, rimane in boxer sul divano e si mette ad aspettare.


Girolamo percorre l’ultima curva e si trova davanti al condominio dove vive con Leonardo. Non vuole tornare a casa, non vuole davvero. Svegliarsi circondato dai disegni di quegli orrori è stato pesante, e non ci vuole pensare. Si è sentito tradito, e nello stesso tempo si è reso conto che Leo non voleva fargli del male. 
Ma non può farci niente.
Si toglie le cuffie, spegne il lettore mp3 e lo caccia nelle tasche dei pantaloncini; sale le tre rampe di scale che lo portano davanti al suo appartamento, gira la chiave nella toppa…e si trova davanti Leonardo in mutande sul divano.
“Cos’è - gli chiede senza degnarlo di uno sguardo di troppo - un tentativo di distrarmi?”


Sapeva che sarebbe stato difficile, lo sapeva. Ma se lo merita, e non ha diritto di lamentarsi. Girolamo è freddo, più freddo del solito, cosa che entra di diritto nella categoria del guinness.
“Girolamo - gli dice mentre il suo ragazzo sta per imboccare il corridoio, entrare in bagno e, probabilmente, barricarcisi dentro per qualche ora - come mi vedi?”
Girolamo si pianta con un piede già nell’andito, si toglie gli occhiali da sole e gli lancia un’occhiata in tralice. E’ terrificante quando fa così, e sa che è arrabbiato solo in percentuale ridotta: la maggior parte di quello che ha addosso è delusione pura. Non vuole sapere che sguardo riserva a chi lo manda davvero in bestia.
“Con gli occhi, Leonardo. Ora scusa - continua senza guardarlo - ho bisogno di una doccia”
Leo si alza di scatto e lo raggiunge, lo blocca per un polso e lo tiene li. Girolamo si irrigidisce, chiude gli occhi e non si muove di un millimetro. Sa che trattarlo così gli fa male, ma ha bisogno che gli presti tutta la sua attenzione: allenta subito la presa, iniziando a disegnargli cerchietti col pollice sulle vene azzurre, fingendo di non sentire la pelle rialzata sotto il polpastrello.
“Girolamo - ripete piegandosi in avanti, cercando di entrare nel suo campo visivo. Inutile però, Girolamo tiene gli occhi chiusi - come mi vedi?”
“Dio santo, Leo! - Girolamo strappa le mani dalla sua presa, aprendo gli occhi a allontanandosi - che accidenti vuol dire, come ti vedo? Come vuoi che ti veda?”


Sta iniziando ad arrabbiarsi sul serio, e non gli piace non essere in pieno controllo di se stesso. Strappa le mani dalla presa di Leonardo e resta a fissarlo come se potesse bruciarlo solo guardandolo. Leo non si scompone, acchiappa al volo una delle sue mani e se la preme sulle costole.
“Senti, Girolamo? Le senti? - gli chiede - te lo chiedo di nuovo: come mi vedi?”
Girolamo resta zitto, a fissare il punto in cui Leo si sta premendo addosso la sua mano. Sotto il palmo sente una miriade di linee rialzate.
Cicatrici, anche li.
Ha sempre saputo che anche Leo ha la sua bella collezione, ma non gli ha mai chiesto niente perché sa che, spesso, farsele raccontare è doloroso quanto l’atto stesso di raccontare. Non vuole far soffrire Leo obbligandolo a ricordarsi certe cose, e non vuole soffrire vedendolo stare male. Far finta di niente è una buona soluzione, no?
Evidentemente no, perché Leo continua a tenersi la sua mano sulle costole, poi gli prende l’altra, la gira, e bacia la cicatrice circolare che ha sul palmo.
“Come mi vedi, Girolamo?”
Resta imbambolato per qualche secondo, prima di rispondere.
“Come un tonto in mutande? - si schiarisce la voce - Leo, per favore, ho bisogno di una doccia”
Leonardo annuisce, si avvicina e aspetta che si sia calmato un attimo prima di abbracciarlo, poi gli avvicina la bocca all’orecchio.
“Abbiamo tutti e due la nostra scorta di cicatrici, splendore - gli dice - e sono grato che tu abbia le tue, perché ti hanno reso quello che sei e sono la dimostrazione della tua resistenza. Mi senti? - gli chiede allontanandosi e appoggiandogli una mano su una guancia - mi dispiace di averti fatto stare male, e mi dispiace di doverti chiedere perdono così spesso, di farti del male così spesso. Mi dispiace. Ti racconterò tutte le storie dietro le mie cicatrici, se vuoi, e ti giuro, ti giuro, che per me tu sei tu, con o senza quei segni addosso”


Leonardo lo lascia andare e resta in attesa di una reazione, una qualsiasi. Girolamo lo fissa per qualche secondo, annuisce e va a cacciarsi in doccia. Poteva andare meglio. Ma poteva anche andare esageratamente peggio.


Girolamo è sotto l’acqua calda da cinque minuti buoni quando riacquista una vaga capacità di movimento: si lava come un automa,e intanto rimugina su quello che gli ha detto Leo. Lo apprezza, ma non riesce ad accettarlo appieno, non capisce come quell’ammasso di segni che si porta addosso possano avere una seppur minima valenza positiva. Quando si forza riesce a non farci caso, a fingere che non ci siano, ma sa che sono sempre li. Si asciuga i capelli con un asciugamano e si butta addosso un paio di pantaloni puliti e una delle magliette che si è portato dietro da quando viveva in borgo Alibizi, una vecchia t-shirt di David Bowie da cui non si separerebbe nemmeno sotto minaccia armata. Quando entra in cucina Leo è ancora in boxer ma ha avuto la decenza di infilarsi una camicia stazzonata e mezza sbottonata: gli sorride quando lo vede, ma non è il solito sorriso spaccafaccia di Leo, è più un “sono felice che tu sia abbastanza matto da decidere di restare con me, anche se sono un danno”.


Leonardo non sa bene come comportarsi, quando lo vede riemergere dalla doccia: gli scappa solo un mezzo sorriso impastato di senso di colpa, che gli sparisce totalmente dalla faccia quando Girolamo, mortalmente serio, gli si ferma davanti a pochi centimetri di distanza, lo prende per un polso e lo trascina sul divano. Quando sono seduti inizia a sbottonargli la camicia senza dire una parola, e Leonardo resta a fissargli le dita come ipnotizzato finché non sente la stoffa scivolargli via dalle spalle. Poi, sente le mani di Girolamo allontanarsi e alza lo sguardo: il suo ragazzo lo fissa come a chiedergli il permesso di fare qualcosa, quando annuisce sente le sue dita iniziare a mappare i segni che ha addosso.
“Incidente sul lavoro - gli dice quando Girolamo appoggia la mano sulle cicatrici che gli aveva fatto sentire prima. Sorride quando lo guarda storto - No, sul serio. Stavo usando la fiamma viva per un progetto e mi ha preso fuoco la maglia. Con me dentro”
Girolamo affoga una mezza risata in uno sbuffo sarcastico.
“Ridi, ridi. Fa un male boia”
Il suo spilungone preferito annuisce e sposta un dito dalle costole a un segno dentellato che ha sull’osso della scapola destra.
“Rissa”
Girolamo lo guarda con un sopracciglio alzato.
“Che vuoi che ti dica, ero un ragazzino agitato che faceva amicizia a modo suo”
Davanti allo sguardo interrogativo del suo ragazzo, Leonardo si sente in dovere di elaborare.
“Non avevo molti amici, al liceo. Non ho mai avuto un gran filtro fra bocca e cervello, lo sai - gli dice - e se qualcosa o qualcuno non mi piaceva glielo facevo subito presente. L’ho fatto presente a un tizio alto due volte me, grosso tre volte me e stupido dieci volte me. Che aveva sempre un temperino dietro. Ha fatto in tempo a tagliarmi prima che me lo levassero di dosso. Ha sanguinato parecchio, ma non era niente di particolarmente grave”
Girolamo passa le dita due o tre volte per tutta la lunghezza della cicatrice, poi le sposta su un segno irregolare che ha sul collo.
“Ah, quella è colpa di Zo - sorride allo sguardo minaccioso che si dipinge sulla faccia di Girolamo - no, splendore, non letteralmente. Mi sono cacciato in un’altra rissa per dargli una mano, e un tipo con un anello mi ha sbucciato il collo. Niente di grave, di nuovo”
Girolamo lo fissa scettico per un po’, poi ricomincia ad esplorarlo. Ha meno cicatrici di lui, le ha quasi finite. Scende con le mani sunto le spalle, fino alle nocche della mano sinistra.
“Ah”
Leonardo ha smesso di sorridere, e si fissa la mano tormentandosi il labbro inferiore con gli incisivi. Vorrebbe dirgli che non importa, che non è obbligato a raccontarglielo, ma appena apre bocca lo sente iniziare a spiegare.
“E’ successo un anno prima che ti conoscessi - gli dice - avevo appena finito l’esame di maturità, ed ero con altri compagni di scuola in giro per Firenze per festeggiare. Ero sbronzo, parecchio, e devo aver alzato un po’ la voce perché un gruppo di ragazzi più grandi si è avvicinato per dirci di fare più piano, e avevano anche ragione - sorride, continuando a guardarsi le nocche - ma ero ubriaco fradicio, e avevo voglia di far casino, quindi devo aver detto o fatto qualcosa di davvero pessimo. La cosa che mi ricordo, subito dopo, è che mi hanno usato come pallone da calcio per un po’. I miei amici si sono dileguati subito.”
Begli amici, vorrebbe dirgli Girolamo. Ma sta zitto. Leo si passa un dito sulle cicatrici soprappensiero.
“Ero quasi arrivato a casa, quindi mi hanno praticamente pestato sotto la finestra di camera mia - si interrompe, incamera aria e riparte - alla fine, prima di andarsene, uno di loro mi ha calpestato la mano col tacco dello stivale, per tre volte. Ho sentito tutte le dita rompersi. Ero sdraiato, e quando ho alzato la testa ho visto mio padre che mi guardava dalla finestra. Nemmeno fosse alla televisione - vede Leo zittirsi e irrigidire la mandibola - dev’essere stato uno spettacolo interessante”.
Girolamo non smette di fissarlo per un attimo, poi gli prende la mano e la tiene con una delle sue. Sente la tensione scivolare via dalle dita di Leonardo, finché l’artista non gli sorride a bocca chiusa. All’interno del gomito ci sono dei segni che non gli piacciono, non gli sono mai piaciuti e mai gli piaceranno. 
“Speedball - gli dice Leo indicandoli col mento - a mio favore, posso dire solo di averla presa tre volte in quel modo. Di solito la assimilavo in un modo diverso, ma lo sai anche da solo”
Lo sa benissimo, si ricorda perfettamente di quando Zoroastro l’ha chiamato per dirgli che Leonardo era quasi morto, e che era a Careggi. Gli viene la pelle d’oca.
Continua a tenergli la mano sinistra mentre fa scendere la destra lungo le gambe dell’artista, fino a trovare quella che sembra una bruciatura proprio sopra il ginocchio.
“Una scommessa - Leo fa una smorfia quando Girolamo lo guarda come a chiedergli se è del tutto rincoglionito - ero a Londra per un corso di inglese, volevo una birra e non avevo una lira. C’era questa cos,a in quel periodo: se ti spegni una sigaretta addosso ti pago da bere - si stringe nelle spalle - avevo appena sentito mio padre per telefono, quindi volevo davvero un po’ d’alcool da tirare giù. Mi sono spento una sigaretta su un ginocchio, ho avuto la mia pinta e me ne sono andato zoppicando.”
Girolamo lo guarda, poi annuisce. Non è il tipo che giudica, e sa cosa significa aver bisogno di spegnere il cervello, sa cosa vuol dire fare di tutto purché succeda.
Indica l’ultima cicatrice, sulla caviglia destra di Leonardo. Lo vede deglutire.
“La stessa rissa della mano, mi hanno spezzato una caviglia usandomi come pallone con troppo entusiasmo”


Leonardo resta a guardarlo, seduto in boxer davanti a lui sul loro divano celeste. Alza un sopracciglio e si avvicina.
“Splendore, ti va di dirmi qualcosa? E’ da quando mi hai dato del tonto in mutande che non apri bocca”
Girolamo continua a fissare la sua mano sinistra, presa fra le sue dita, poi gli bacia le nocche una per una. Resta senza fiato per un po’.
Girolamo continua a non dire una parola anche mentre lo obbliga a sdraiarsi, gattonando finché non raggiunge il suo viso e sedendo sui suoi fianchi. Appoggia le mani ai lati della sua testa e resta li, con quegli occhi enormi che lo fissano.
“Mi dispiace - gli dice baciandolo - mi dispiace tanto”
“E’ passato tanto tempo”
“Lo sai che non funziona così”
Leo annuisce.
“Lo so”
Poi, nessuno dice più niente.
  
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