Videogiochi > Assassin's Creed
Segui la storia  |       
Autore: Lusivia    05/06/2015    2 recensioni
[STORIA IN VIA DI REVISIONE: primi SETTE capitoli aggiornati.]
Un tempo credevo che quelle piccole sferette bianche fossero la sola cosa che mi impedisse di impazzire, quel filo stretto attorno alle rovine della mia mente, e tutto ciò che dovevo fare per evitare il collasso era chiudere gli occhi e buttarle giù.
Per diciotto anni avevo vissuto nella convinzione che fosse giusto così, che non poteva esserci via d'uscita da quella villa nascosta tra le colline, ma spiriti antichi avevano cominciato a sussurrare le loro verità.
Un giorno, da un debole atto di ribellione scoprii che ciò che vi era dentro di me era molto più che il riflesso della malattia; era qualcosa di più antico, l'eco del sangue versato in nome di quell'eterna battaglia che continuava ad emettere i suoi clangori, ma l'umanità era ormai troppo giovane per ricordarne il suono.
Ho dovuto vivere le favole narrate dalle antiche voci nella mia testa per scoprire la verità su di me, sul mondo, sull'autentica faccia dell’umanità, e ancora non sono sicura che sia davvero tutto.
Ma ora dimmi, Laura: quanto indietro vuoi tornare per scoprire che la tua vita è, ed è sempre stata, una bugia?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Kadar Al-Sayf, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
                                               
                                                                                                     
                                                               Capitolo 13

                                                                                     
                                                                 Volere più tempo.







Quando cominciai a riprendere coscienza, mancavano poche ore all’alba.
Durante la notte avevo riposato sulla sedia accanto alla libreria, in una posizione decisamente scomoda per la mia schiena, che, infatti, si risvegliò capricciosa dal sonno.
Un nastro violaceo filtrò dalla coltre delle mie ciglia, irradiandosi tra la nebbia fino ad accecarmi.
Udii delle voci, voci lontane che bisbigliavano.
Strizzai gli occhi gonfi verso la fonte di quella luce e distinsi due figure, una più bassa dell’altra e con un cappuccio bianco in testa.  
Riconobbi Malik, immerso per metà tra la penombra dell’infermeria e lo squarcio aranciato della porta semichiusa, poi un secondo individuo in bianco che dava le spalle all’alba.
Provai ad affinare l’udito abbastanza da carpire il succo della loro conversazione veloce, ma arrivai troppo tardi perché Malik aveva già posto un punto alla cosa voltando la faccia al suo interlocutore.
Poche parole furono aggiunte, poi l’Assassino se ne andò a testa piegata.
Malik, invece, rimase davanti alla porta ancora per un po’,concedendo solo a una metà del suo corpo di bagnarsi nel calore del giorno e con l’iride sottile puntata all’orizzonte.
Qualcosa, però, lo turbò e subito sbatté la porta.
Il silenzio zittì l’aurora nascente e il buio tagliò fuori il nastro luminoso che si era srotolato fin dentro la stanza, lasciandoci nel semi-buio di due persiane dischiuse.
– Scusa. Ti ho svegliato.
Non appena Malik mi parlò, smisi immediatamente di far finta di dormire e alzai la testa dalle ginocchia, abbassandole sull’orlo della sedia.
– Ero già sveglia. – sussurrai.
Lui rimase di spalle, dopo di che si voltò e marciò come un soldato d’ombra verso le persiane.
Le aprì di scatto verso l’interno e subito la luce inondò la stanza, colpendomi gli occhi e facendomi ritrarre sulla sedia come un pipistrello che si nasconde dietro la membrana sottile delle ali.
Malik, invece, si fece travolgere dalla luce con tutto il corpo.
Non appena le mie irridi si riabituarono alla luce, immaginai guardandolo ad una strana somiglianza con i corvi.
Essi guardano fumosi la sfera rossa mentre rinasce dall’orlo della terra e sale in cielo, consapevoli d’esser più brutti alla luce che nascosti dall’abbraccio delle tenebre, e se ne dolgono.
Lo stesso faceva Malik.
– Hai dormito bene? – parlò per primo.
Mi drizzai sull’attenti – Sì. – risposi – Sì, ho dormito bene…
– Nessuno ti ha costretto a dormire sulla sedia.
Mi presi un momento per analizzare il vero significato di quelle parole.
Non lo capii. – Lo so.
Lui allargò le spalle in un bel respiro. – Hai pulito, ho notato.
Lanciai un’occhiata al pavimento immacolato, poi al coltello che avevo ripulito e rimesso tra gli altri strumenti chirurgici, infine sui miei abiti, ancora macchiati di sangue.
Tornai su di lui con la bocca serrata, rimanendo zitta.
Uno stormo di uccelli sorvolò velocissimo il cortile, lanciando il suo grido fin dentro l’infermeria, per poi sfumare verso il villaggio.
Masyaf era ancora calata nel silenzio.
– Non ti chiederò… – cominciò d’un tratto lui – perché l’hai fatto. E non ti chiederò perché tu mi abbia fatto partecipe del tuo passato intimo.
– …Lo capisco.
– …Bene. – Malik rilassò le spalle.
Mentre lui si accaniva a trovare fuori dalla finestra le parole giuste, finendo, tuttavia, per perdersi daccapo ogni volta, io mi ero alzata in piedi ed ero rimasta ferma accanto alla sedia.
Quel gelo che proveniva dal suo corpo fumoso.
Era così frustrante.
– Cosa è venuto a dirti l’Assassino di poco fa? – chiesi poi.
Lui indugiò. – Nulla.
Sapevo che stesse mentendo, ma preferii non peggiorare la situazione con la mia insistenza.
– Vorrei che tu te ne andassi. Tra non molto, arriverà il dottore e preferirei che tu non fossi qui.
Mi presi un attimo per incassare il colpo. – Sono d’accordo. – convenni, dirigendomi a testa alta verso l’uscita.
– Laura.
Chissà perché, sentirlo dire il mio nome fu come un colpo di frustra dietro la schiena, e mi costrinsi a desistere sulla soglia.
Non mi voltai, ma sentivo i suoi occhi dietro le scapole, piantati come due chiodi roventi nella carne.
– Ci vorrà del tempo.  
Non parlai. Ma lo capii. Lo capii subito.
– Lo so Malik.
Così, lasciai la stanza e la sua aura opprimente alle mie spalle, ritrovandomi un po’ più leggera quando presi a marciare silenziosa nel corridoio, senza pensare, senza capire.  
Non cercai di criptare il suo messaggio gettato all’ultimo secondo dalla nave che affondava, ma lo presi per così com’era.
Ci voleva tempo.
Ed io, d’altro canto, decisi di affogare il mio di tempo in un’abluzione nella fontana nel vivaio a ovest, immersa da boccioli rossi, lunghe siepi verdi e bianchi archi che sorvolavano il prato.
Affondai le gambe nell’acqua gelata della polla e subito mi ricordarono le figure ondulate di statue greche in fondo agli abissi.
Scrutai per un momento attraverso gli archi di pietra, che s’inseguivano in una mastodontica successione lungo il corridoio del piano superiore e inferiore, e costatai con sollievo d’esser completamente sola.
Così, piantai le braccia ai lati del canale di getto della fontana, trattenni il respiro e infilai l’intera testa sotto l’acqua.
Il gelo dei fluidi surgelò all’istante il sangue, i pensieri e infine il cervello, costringendomi a riemergere con un colpo sonante di frusta dei capelli lunghi.
Senza intrattenermi oltre, uscii dall’acqua con le mani strette sulle guance rosse e, avvicinatomi al muretto, raccolsi gli abiti che avevo lasciato asciugare, rivestendomi velocemente.
Una volta che ebbi salvato le mie grazie dalla possibilità di esser sorpresa da qualche mattutino di passaggio, raccolsi i capelli gocciolanti in una treccia e lasciai che si asciugassero al sole.
Prima di andare, però, infilai il naso tra le pieghe della manica per controllare d’aver lavato via, assieme al lerciume e il sudore, anche l’odore del sangue, e notai con sollievo che adesso avevo un odore vagamente gradevole.
Tra non molto, Masyaf si sarebbe svegliata.
Giacché ero affamata, mi diressi verso la cucina, sperando, d’altro canto, di poter scorrere le ore tra il chiacchiericcio delle badanti e una parola buona della cuoca, che sembrava così predisposta nei miei confronti.
Camminavo, ed ero sola.
Eppure, avevo l’impressione che qualcuno mi stesse alle calcagna.
Rallentai il passo, sperando di determinare la distanza che intercorreva tra me e l’altro individuo, ma non appena lo feci i passi si bloccarono.
Non mi voltai.
Andai avanti.
E di nuovo i passi ricominciarono. Ma, questa volta, furono più forti, come quelli di un gigante.
Riecheggiarono nel corridoio, così tra le mie meningi, e fui costretta a fermarmi per evitare che il pavimento finisse sottosopra.
Mentre il mondo ancora oscillava, e gli occhi tentavano disperati di bloccare il loro pulsare davanti al cervello, sentii qualcosa toccarmi i capelli, qualcosa di molto freddo e umido.
Rabbrividii intensamente, avvertendo i primi bisbigli alle orecchie.
Bisbigli sottili, affilati, inquietanti.
Risate dall’animo circense che tentavano di infilarsi nel mio costume di carne e sangue, per privarmi della possibilità di muovermi, per piegarmi alla follia della loro essenza.
Tra non molto, avrei perso i sensi.
No, non avrei lasciato che mi prendessero di nuovo…!
Scattai in un disperato impeto di ribellione, afferrando il pugnale al mio fianco e tendendo il corpo in avanti, pronta ad infilzare nello stomaco qualsiasi demonio si fosse appena materializzato dinnanzi a me, e ci riuscii.
Sapevo che fosse un’allucinazione, eppure non potei far a meno di guardarla diritto in faccia.
Davanti a me, occhi puri come il cielo d’estate.
Sentii lo stomaco cedere in un groviglio di nervi, scattai indietro e subito la mia mente fu strappata via da quell’illusione condensatasi davanti al mio sguardo incredulo.
Abbas.
C’era Abbas di fronte a me.
No, non era così…
Un minuto fa, il mio pugnale aveva perforato lo stomaco dello spettro di Kadar.
E ora era sparito, lasciando che mi ritrovassi davanti Abbas, indietro di qualche passo per evitare di esser trapassato dalla mia lama folle per una sola frazione di secondi.
Inorridii quando compresi ciò che avevo rischiato di fare e, chinando il collo di scatto sul petto, rinfoderai l’arma nel suo astuccio.
Notai allora che le mani mi stavano tremando, e di ciò se ne accorse anche l’Assassino.
– Che diavolo…?
Cercai di fuggire da lì il più velocemente possibile, ma fui bloccata dal suo braccio, che si piantò tra me e il muro a destra.
Mi ritrovai con il suo fiato, vagamente annaffiato di spirito, sulla fronte e gli occhi minuscoli che sezionavano la mia espressione turbata pezzo per pezzo.
Poi, finalmente, sorrise attraverso la coltre di barba –Oh, oh, dove vai? – mi canzonò – Hai appena tentato di infilzarmi senza alcun motivo…e poi credi di poter andare via senza darmi neanche una spiegazione?
– Scusami, io non…
– Eppure, dovresti esser più gentile con noi altri. Sai, non ti sei neanche presa la briga di presentarti con il tuo vero nome…Nadim.
L’Assassino richiamò il braccio nell’esatto momento in cui i nostri corpi si distanziavano l’uno dall’altro, come due calamite di polo diverso, e ci fissammo.
Io mi presi un minuto per rispondere.
– Abbas. Mi rincresce aver messo tutti voi in un tal disagio. Suppongo che dev’essere stato imbarazzante scoprire che sotto le spoglie di un Novizio si nascondeva una donna. Correggimi se sbaglio.
– Affatto, dici il vero. Per nulla piacevole.
– … In ogni caso, spero che la mia presenza non vi disturbi oltre dalla vostra attività venatoria. E perdonami per poco fa, ma ero ancora intorpidita dal risveglio.
– Oh, cose che capitano.– cominciò ironico mentre arcuava un sopracciglio – Insomma, chi siamo noi per contrastare il volere del Gran Maestro? Se ha voluto tenerti con noi, chissà, magari è per un qualche progetto lungimirante, o utopico. Speriamo, però, che tu non ammazzi qualche confratello mentre giochi con il tuo stuzzicadenti!
Abbas tirò su un’espressione soddisfatta, perfettamente consapevole che non avrei potuto reagire a quella sua spocchiosa irriverenza, dopo di che roteò il suo agile corpo per liquidarmi senza troppe cerimonie.
Qualche pensiero divertente, però, lo fece ritornare sui suoi passi proprio mentre mi accingevo ad accomiatarmi.
– Sai, ragazzina, ho sentito molte voci su di te. Voci dissonanti, perché, pare, nessuno sa chi tu sia in realtà. C’è chi dice che tu sia la figlia dell’Al-Sayf, che sei giunta dalle lontane terre aldilà del mare, e chi, più malignamente, ti apostrofa come una cagna che presta servizio ai Templari. Mi chiedo, a questo punto, quale sia la verità.
– Sono la sorella di Malik e Kadar. Questo deve bastare a te come agli altri.
– Interessante. – sembrò ancor più stuzzicato – Sono curioso di sapere di più.
– Che vorresti sapere? – lo squadrai circospetta.
– Ad esempio, per quale ragione tu abbia deciso di cercare gli Assassini proprio adesso.
– Sinceramente, non vedo il perché dovrei risponderti.
Il suo sorriso, imboscato dietro la compatta barba nera, si spezzò in un’amara delusione.
– Chi ti credi di essere, ragazzina?– borbottò con sprezzo.
– Chi ti credi di essere tu, che osi rovistare nel mio passato. – risposi indispettita.
– Oh, vedi di inchiodarti quella lingua a un palo, femmina pallida! – sputò, additandomi con l’indice corto – Non m’importa se quello stupido senza palle di Altaïr ti permette di schiamazzare come una gallinella impettita, o se quel diavolo fallito di tuo fratello tenta di non farti passare per la puttana del borgo, anche se, adesso, credo che potrà fare poco o nulla per te.
– Che intendi dire? – sbottai, allagando le narici come un toro pronto a caricare.
Abbas alzò le spalle con ostentato e goduto cinismo – È inutile. Una carcassa da buttare al porto. Un animale malato che nessuno vuole, neanche per macellarlo. Suvvia, a cosa credi possa servire adesso? L’ha detto anche Al Mualim, è arrivato il momento di sbarazzarsi di lui…
– Non è vero!
– Vivi d’illusioni, allora. Tutti sanno quanto gli è costata cara la stupidità di Altaïr, ma, soprattutto, che non potrà mai più tornare a servire la Confraternita. E questo lo sa anche Malik, sennò perché si sarebbe nascosto? È un codardo.
– L’unico codardo qui sei tu, anzi, Malik ha avuto una carriera più gloriosa di quanto tu possa mai aspirare a ottenere! – esclamai e nel medesimo istante venni scaraventata contro il muro, ritrovandomi con il petto compresso dal gomito di Abbas.
Serrai gli occhi in un gemito orgogliosamente mantenuto e, anzi, fronteggiai il suo sguardo lampeggiante mentre mi mandava chiari segni intimidatori con inspiegabile coraggio, come se poco m’importava di finire con una costola incrinata o, peggio, il labbro spaccato da un suo secco schiaffo.
– Te lo dirò una sola volta… rimangiati quello che hai detto.
– No, Abbas.
E quell’irriverenza, quell’indolenza alla mia sorte, lo irritò a tal punto da farlo sbraitare con la bava.
– Ragazzina impertinente, osi perfino tenermi testa! – strillò e caricò un manrovescio contro il mio labbro.
Piegai la testa di lato, ma non accennai un solo lamento, neanche un sussulto. Non mi aspettavo che lo facesse per davvero e rimasi paralizzata.
– Oramai, Al Mualim non fa altro che parlare di te, ed io sono a dir poco allibito! Dice che tu sei una di quelle poche rarità che abbia mai visto nella sua vita, e che nessuno mai, eccetto Altaïr, ha imparato così velocemente. In oltre, la tua natura ti rende un’eccezionalità! La… piccola cristiana che aspira a ottenere un posto tra gli Assassini! La donna che ha osato prendere in giro il Gran Maestro! Il Piccolo Miracolo dagli artigli di ferro! Dovrebbero vederti adesso, coloro che ti apostrofano con tali nomignoli, quanto sei coraggiosa!
– Ho…– sibilai – ho più palle io di te, che malmeni così una ragazza, bastardo!
Un altro schiaffò caricò sulla mia guancia, illividendola all’istante, ed io mi ritrovai a sputare sangue dalla guancia morsa tra i denti.
Ebbi appena il tempo di alzare il volto su di lui per vedere il suo sguardo delirante puntare il prossimo punto da colpire, caricando la mano con uno scatto di tutto il braccio all’indietro.
Un fischio dall’alto, i secondi si polverizzarono di fronte all’aspettativa di un dolore maggiore dei precedenti, e l’istinto di conservazione m’inondò il cervello seduta stante.
Scaglia il ginocchio contro la zona sensibile tra le sue gambe divaricate, Abbas strillò dal dolore e inarcò la schiena indietro, dandomi così spazio sufficiente per sgusciare sotto il suo braccio e portarmi dietro di lui proprio mentre con la mano tentò di riacciuffarmi.
Lo osservai piegarsi su se stesso con il cavallo stretto nel palmo sinistro, grugnire selvaggiamente e lanciarsi su di me sebbene il dolore lo avesse rallentato parecchio, ciononostante i suoi denti digrignati lasciavano ben intendere che la sua ira fosse più forte che mai.
Istintivamente balzai all’indietro e, proprio mentre lui stendeva il braccio in avanti per non rovinare a terra, già con il corpo pronto a scattarmi dietro, io posizionai i piedi come un corridore e fuggii.

*  *  *

Tastai piano il livido e subito ritrassi il dito, sibilando di dolore.
Dannazione, Abbas aveva la mano pesante. Ma, per lo meno, anche lui avrebbe avuto dei dolori per un po’ e questa piccola soddisfazione m’invogliò a sorridere nonostante le fitte.
Scossi con rassegnazione la testa mentre con le dita rigiravo il sottile frammento di specchio, scorgendo riflesso il dorso sinuoso delle verdi colline e la schiena gibbosa delle montagne più lontane.
Guardai attraverso la feritoia della torre, dove il cielo illividito preannunziava in lontananza l’arrivo di una tempesta.
– Ti hanno pestato per benino, eh…
La voce di Rauf mi colse completamente alla sprovvista e, anzi, per poco non ridussi in frantumi lo specchio sul pavimento della torre.
Lo trovai cresciuto.
Poi, dandogli un’altra occhiata, in qualche modo anche più saggio.
Non sembrava più lo stesso adolescente smaliziato e incantato della vita, anzi, oramai aveva proprio l’aspetto di un vecchio lupo irretito e dal muso pieno di cicatrici.
– Sai com’è, a volte posso essere molto irriverente.–sorrisi stupidamente mentre rigiravo lo specchio – Tu, invece, sembri… star alla grande.
Lui piegò leggermente la testa a destra, squadrandomi con l’occhio grigio, e mi rallegrai nello scorgere ancora una sfumatura fanciullesca su quel suo volto scettico.
Poi, scosse la testa con un sorriso stanco e si sedette difronte a me.
Allungò la mano verso il livido sulla mia faccia e lo tastò quel tanto che bastava per spingermi a scacciarlo con un colpetto della mano, un po’ risentita.
– Deve farti parecchio male. – convenne, ritirando il braccio – Ti ci vorranno quattro giorni perché hai la pelle chiara, ma il livido svanirà in fretta. Eppure, ti dirò Laura: il viola ti dona.
Gli lanciai un’occhiata scoraggiata, studiandolo mentre gettava i palmi indietro e si poggiava sulle braccia nel medesimo istante in cui scioglieva i muscoli del suo viso in un’espressione meno dura, tornando per poco in pace con se stesso.
Passò qualche minuto così.
– Hai ragione, Laura. – disse poi, rivolgendomi un’occhiata pensierosa – Sto meglio. Ma tu… tu, invece, sembri parecchio confusa.
Sorrisi amaramente – È tanto evidente?
– Abbastanza. Senti, so che il nostro inizio non è stato molto… gradevole, ma adesso siamo qui, e abbiamo entrambi vissuto un’esperienza forte che ci ha sfiancato parecchio. Sinceramente, io sono stanco. E se vuoi, posso ascoltarti, tanto non ho nulla di meglio da fare.
Ci rimuginai.
– Non credo tu possa aiutarmi. – e gli girai la testa.
Lui aggrottò la fronte – Perché?
– Perché è qualcosa che non posso spiegare.
– Provaci.
Se solo fosse stato così facile dirgli la verità.
Il tentato suicidio di Malik, il mio blocco mentale alla morte di Kadar, il suo spettro che quella mattina si era addensato in un’allucinazione, i continui pensieri che rivolgevo a casa, Altaïr.
Magari fossi riuscita a capire quali di queste cose mi facesse star così male adesso.
– Impazzirai se non butti fuori le tue emozioni.–azzardò poi.
Risi piano – Fidati, è già successo.
– E allora affoga nei tuoi dubbi. Sguazzaci, ingoiali a bocca aperta; tanto, Malik non riavrà mai più il suo braccio. E Kadar non risorgerà dalla tomba.
– Io ho già fatto tutto ciò che potevo. – sibilai, stringendo le dita intorno allo specchio frastagliato – Credimi, Rauf, ci ho provato. Ma è così difficile. Malik è difficile. È… è come un cubo di rubik.
– Un cubo di…cosa?
– Lascia stare. Il fatto è che non so più quale strada prendere ora. All’inizio di questa storia, avevo creduto che abbandonarmi al flutto degli eventi, seguirli senza pormi interrogativi, fosse la scelta giusta per far passare il tempo. Credevo che le cose sarebbero tornate alla normalità da sole, come succede sempre. Ma poi…
– Poi sei rimasta. E ti sei affezionata.
Calai nel silenzio per qualche istante, chinando lo sguardo verso quello scorcio riflesso sulla superficie levigata tra le mie mani, e vidi frammenti di me: le labbra screpolate, una guancia livida, i capelli legati stretti.
Sapevo che, se avessi visto il riflesso dei miei occhi, ci avrei trovato le lacrime.
Annuii lentamente, e quella fu la conferma dei sospetti di Rauf.
– Non so... quale sia il motivo di quell’oscuro silenzio nel fondo dei tuoi occhi, Laura. – iniziò incerto – Né quale tipo di situazione tu stia vivendo con Malik. Ma posso dirti che, qualsiasi cosa sia, non è colpa tua. E che tutto si aggiusterà, te lo prometto.
Tirai su con il naso, strofinando le lacrime con cruccio – Come puoi dire questo con certezza?
– Perché anch’io ho dovuto fare i conti con me stesso e con il mondo, quando credetti di aver condannato a morte la prima e ultima donna per cui provai un sentimento autentico. Mi ero colpevolizzato perché miserevolmente consapevole di non poter far nulla per salvarla dalla malattia che gli stava divorando la vita. Perché ero impotente. Perché ero un penoso ragazzino di dodici anni che non poteva far altro se non piagnucolare al suo capezzale e stringerle la mano gelata, attendendo, sperando, pregando…senza risultati. Ecco perché ti capisco, Laura, e per questo ti dico che non è colpa tua. L’unica cosa che puoi fare, ora, è dare a te e Malik del tempo. E tutto si aggiusterà, piccola. Te lo giuro.
Asciugai con forza le lacrime agli occhi, strofinai il naso rosso e feci scivolare lo sguardo verso l’orizzonte.
La tempesta era in arrivo.
– Sono stanca di fuggire, Rauf, non ne ho più il fiato. Vorrei trovare una strada anche per me, adesso.

*   *  *

– Ero arrivato da poco a Masyaf, allora avevo solo dieci anni, ed ero ridotto così male quando sono stato accolto dal Gran Maestro che mi fu assegnata una badante affinché mi rimettesse in sesto. – cominciò a raccontare Rauf mentre mi accompagnava in cucina – Si chiamava Basma, aveva sedici anni e due occhi dello stesso colore della fuliggine in fondo alla fornace spenta. Aveva un aspetto modesto, non alzava mai lo sguardo senza arrossire come una bambina, ed era tanto, tanto gentile. Ogni sera, prima che i bambini fossero portati dalle badanti nelle camere, lei mi sorrideva e mi faceva segno di seguirla in cucina. Allora, si strofinava le mani, storceva il naso con nervosismo e infilava la chiave trafugata nella serratura. Poco dopo, eravamo lungo le cinta di mura a mangiare dei datteri freschi e a guardare come due cani randagi la luna. Ah, quante volte è stata ripresa dalle superiori, minacciavano di riferire tutto al Gran Maestro! Ma lei era così… calma. Non lasciava mai trasparire alcuna emozione. E sorrideva così poco. E parlava quasi affatto. Ma, ogni volta che mi vedeva dalla finestra, sotto cui mi allenavo ogni pomeriggio perché sapevo fosse il suo turno di gettare la fuliggine, ebbene, iniziava a cantare. Ed io credevo che cantasse per me.
Rauf sospirò, calando in un lontano silenzio. – Beh, il resto lo sai.
Allungai la mano per dargli una carezza sulla spalla, lui accettò di buon grado il mio segno di pace, dopo di che tornò a guardare avanti proprio a pochi passi dalla cucina.
Lui mi fece passare per primo ed io entrai un po’ circospetta, analizzando attentamente le persone nell’area.
La cuoca era assieme ad altre due donne, anche loro panciute e baffute, e stava dividendo con loro due chiacchiere tra una faccenda e l’altra, mentre una ragazzina mangiava tra di loro un piatto a me sconosciuto e le osservava con spiccata curiosità.
Poco più in là, tre uomini stavano confabulando in disparte e al tempo stesso consumando una modesta colazione; uno di loro, in particolare, mi colpì per l’aspetto nerboruto e l’impressionante cicatrice lungo la testa rasa, che arrivava fino all’orecchio sinistro.
Al tavolo centrale, c’era Altaïr.
Stava consultando un piccolo rotolo di pergamena e la lettura doveva esser interessante, perché non aveva toccato cibo, ma la sua porzione di focaccia era rimasta intatta.
Un nodo allo stomaco m’impedì di procedere oltre e, anzi, indietreggiai di tre passi prima di incappare nella mano di Rauf, che spinse sulla mia schiena e mi fece avanzare di altri sei.
La mia presenza venne fiutata dai presenti all’istante, infatti, il trio di Assassini interruppe subito il loro simposio e le donne il loro gossip mattutino,  fingendo di affaccendarsi nel riordinare le rustiche stoviglie lungo un ripiano per farle asciugare.
L’Aquila fu l’ultimo ad avvertire la mia presenza, eppure, non appena le sue irridi chiare mi catturarono, subito balzò in piedi e rimase sull’attenti finché, guardatosi intorno, non si rese conto di esser stato impulsivo.
Si riaccomodò piano, tenendo lo sguardo di trasversale per nasconderlo sotto il cappuccio, ma era evidente che la sua lingua lo stesse maledicendo.
– L’Assassino più orgoglioso dell’Ordine che si alza di fronte a una donna? – Rauf non riuscì a tenersi quella considerazione appena bisbigliata al mio orecchio.
Ignorai la frecciatina con una scrollata di spalle e, a testa alta e petto in fuori, mi diressi verso di lui, sapendo fin troppo bene che la nostra discussione sarebbe stata al centro dell’attenzione di tutti i presenti.
Mi sedetti di fronte ad Altaïr, lui alzò poco la testa ed io mi allungai un po’ sul tavolo affinché sentisse solo lui. – Mi stai forse pedinando, per caso? – iniziai scontrosa.
Lui sorrise ilare – Cosa ti fa credere di essere al centro dei miei pensieri, Novizia? – poi, la sua bocca tornò severa – Laura, cosa è successo alla tua faccia?
Mi sfiorai istintivamente la guancia illividita – Mi sono fatta male allenandomi con un manichino. Ho sbattuto contro il braccio di legno. Sto bene.
– Ah. – si tirò indietro, incrociando le braccia. – Beh, sta più attenta, la prossima volta. Laura, ascolta, Al Mualim è stanco di aspettare. Desidera che tu prenda velocemente una decisione.
– E la prenderò, Altaïr. Solo, dammi altro tempo…
– Non c’è tempo.
– Devo prima concludere una questione. – ribattei – Poi, ti assicuro che partiremo…
– Al Mualim non può esser serio. – una voce irruppe prepotentemente nella conversazione.
Il bestione del trio più in là probabilmente non aveva sentito nulla con quelle sue orecchie appuntite, eppure ciò non gli aveva impedito di intervenire con quel suo pensiero schietto e cinico che spirò come un toro dalle narici scure.
– Muffed, fatti gli affari tuoi. – Rauf, che nel frattempo si era avvicinato a noi e si era seduto al tavolo, ignorando l’occhiata torva di Altaïr, riprese l’uomo-toro con diffidenza.
– Hai qualche problema? – ribattei invece io, voltandomi a gambe divaricate e con aria meno cordiale di Rauf.
Uno del trio, quello più mingherlino e dall’aspetto di un ladro professionista, mise le mani in avanti– Oh, oh, calma! – esclamò ridendo – Qua nessuno vuole attaccare con una rissa, d’accordo? Muffed era solo sorpreso che un Novizio fosse già stato messo a capo di una missione, nulla più.
Una risata cavernosa sfuggì dalla gola dell’altro – Direi, più che altro, che sono curioso. Curioso di sapere a chi devi averla data per evitare il taglio della gola. Cos’è, sei la puttana del Gran Maestro, per caso? E per questo che sei ancora viva?
Istintivamente balzai in piedi e afferrai l’elsa del pugnale al fianco con sguardo fiammeggiante, portando l’Assassino a far altrettanto con la sua spada, ma subito Altaïr si alzò in piedi e spinse via il confratello prima che fosse troppo vicino.
I presenti si freddarono all’istante mentre vedevano sotto i loro occhi Muffed indietreggiare e Altaïr piantare i piedi come uno scudo umano, pronto a rompergli il grugno se si fosse avvicinato di nuovo.
– Fatti gli affari tuoi, Altaïr. – spirò il toro.
– Se fai un altro passo, Muffed, vedrai le tue budella rilucere sul pavimento. – lo ammonì l’Aquila e riconfermò la sua promessa facendo scattare il meccanismo della lama al polso.
A quel punto, la cuoca intervenne per sbollentare gli animi e, intromettendosi tra di loro, spinse le braccia verso i loro petti fino a farli indietreggiare, riuscendo così a infilarsi tra di loro.
– Oh, qua nessuno sbudella nessuno, chiaro? Se dovete fronteggiarvi, fatelo fuori dalla mia cucina, che ho appena finito di lavare a terra!
Muffed diede le sue mastodontiche spalle con un grugnito frustrato, dirigendosi verso i suoi compagni che, nel frattempo, si erano alzati, pronti a intervenire per sedare la rissa, e Altaïr li osservò uscire dalla stanza con il corpo rigido.
Quando i tre furono andati via, finalmente, rilassò le spalle con uno sbuffo.
Ma si rilassò per poco. – Che ti è saltato in mente? – ruggì, voltandosi con furia tale da farmi indietreggiare.
– Chi ti ha detto di intervenire!
– Dovevo forse farti illividire anche l’altra guancia?  Dannazione a te! Agisci d’impulso affidandoti al caso quando, in verità, sai perfettamente che finirai per esser massacrata, perché non sei ancora capace di combattere decentemente!
– Me la sarei cavata, invece! – strepitai come una mocciosa e, in preda alla collera, uscii dalla stanza senza neanche prestare ascolto a ciò che stava dicendo Rauf per calmarci.
Mi allontanai di pochi metri dalla cucina e venni subito bloccata per il braccio da Altaïr, che mi aveva seguito in corridoio.
– Laura. Calmati, per favore.
Mi liberai tenendo lo sguardo basso – Non voglio parlare.
Feci altri due passi, quando la sua voce mi tirò di nuovo per i capelli.
– È tutto qui, il tuo coraggio? Dare le spalle e scappare? Che delusione, ed io che mi preoccupavo di non esser all’altezza per affrontarti.
La frustrazione nella sua voce fu più dura da digerire di quanto mi fossi aspettata, come se fossi io ad avergli fatto un torto, e il fastidio fu tale che decisi di tornare a fronteggiare di petto.
– Ma che diavolo vuoi da me, Assassino?
– Voglio…– indugiò – voglio capirti, donna! Voglio capire cosa ci vuole perché tu mi dia un’altra possibilità!
– Non strillarmi in testa, ad esempio!
Respirò profondamente. – Va bene. – mormorò, leggermente più calmo – Va bene, non urlo. Hai ragione, non serve. Anzi, non ne ho il diritto. So che non potrò mai rimediare al mio errore, e non chiedo il perdono, ma spero ancora che tu possa concedermi un’altra possibilità.   
La sua espressione. I suoi pugni sciolti. La voce stranamente calma.
Com’erano stonati per il suo personaggio.
Comunque, non lo aggredii. Non lo feci perché ci trovai del vero nella sua voce.
Ed ero così stanca. La testa mi faceva ancora male. Non mi andava di discutere.
– Va bene. Partiremo tra un’ora. Tocca a te provvedere ai cavalli e ai rifornimenti. Io vedrò per le armi.
Altaïr rimase in silenzio, non era soddisfatto.
– D’accordo, Laura.– sospirò – Se è questo ciò che vuoi, lo farò.







Angolo autrice:

Salve a tutti, miei piccoli lettori/recensori! Dunque, dunque, direi che Malik sta diventando un bel cubo di rubik per la nostra Laura. Proprio quando credi di aver completato una faccia… ti ritrovi con altre le altre cinque tutte sconquassate. In fondo, è risaputo che il nostro Assassino dagli occhi di metallo e l’animo di corvo è il più eclettico della situazione, a dispetto di Altaïr, che sembra proprio perdere qualsiasi forma di rispetto per il suo orgoglio quando si tratta di Laura. In ogni caso, non sarà facile intraprendere la strada per il perdono; il nostro trio sarà costretto a percorrere il medesimo sentiero e non mancheranno colpi bassi e sgambetti, durante il tragitto…
Ma ora basta con le ciarle, piuttosto voglio ringraziarvi tutti quanto per aver dato ossigeno a questa storia che, altrimenti, sarebbe rimasto solo un corpo senza scintilla!
Baci, Lusivia.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Assassin's Creed / Vai alla pagina dell'autore: Lusivia