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Autore: Mordreed    05/06/2015    6 recensioni
COLIN O'DONOGHE- JENNIFER MORRISON
Due perfetti sconosciuti che si incontrano per caso, anni prima che il destino li unisse in una nuova esperienza lavorativa. Un incontro dimenticato, un nuovo inizio. Una storia d'amore tormentata, intesa e proibita che sconvolgerà la vita di entrambi. La passione incontrollabile e sventurata, di due amanti clandestini e maledetti.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: colin o'donoghue, Jennifer Morrison, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NDA

Nuovo capitolo. 
Vi ringrazio come sempre per la super pazienza e per le recensioni ;)
Ecco la canzone da ascoltare durante la lettura di questo capitolo: https://youtu.be/9EHAo6rEuas



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Ancora a letto, Colin fissava il soffitto grigio della sua camera d’albergo illuminato dai primi raggi dell’alba che penetravano dall’enorme finestra laterale.
Aveva dimenticato di chiudere le tende la sera precedente, o forse le aveva volutamente lasciate aperte per osservare le luci di Los Angeles e sentirsi in qualche modo… vivo.
Ne aveva bisogno, specie dopo la lunga litigata al telefono con sua moglie.
E a questo si aggiungevano le parole della bionda del giorno prima.
Sua moglie l’aveva screditato, l’aveva fatto sentire una nullità.
La bionda invece, l’aveva fatto sentire stupido e inadeguato.
Tra le due era la seconda ad averlo ferito di più, motivo per cui decise di affibbiarle, almeno nella sua mente, il soprannome di ‘bionda stronza’.
Restò immobile, arreso, come un peso morto a osservare quel cupo grigiore come se in qualche modo potesse fondersi con quel colore che per lui rappresentava il nulla.
Né bianco, né nero.
Una via di mezzo inutile, inesistente.
L’iPhone continuava a vibrare infuriato sul comodino, un rumore assordante e ripetitivo, la sveglia che chissà per quale motivo non si muoveva a spegnere.
Forse perché quel rumore, unito a quello del traffico in lontananza e dei clienti dell’albergo che piano piano si svegliavano, lo facevano sentire meno solo.
Dopo un considerevole lasso di tempo, allungò un braccio, afferrò il telefono e spense l’allarme.
Si alzò come un automa, i pantaloni del pigiama stropicciati, la t-shirt che andava assolutamente cambiata.
Entrambe finirono sul pavimento del bagno, mentre la doccia scorreva a vuoto in sottofondo.
Quando l’acqua fu sufficientemente bollente entrò, scomparendo in una nuvola di vapore soffocante.
Lasciò che l’acqua lo colpisse con violenza, risvegliandolo, mentre chiazze rosse comparivano sulla sua pelle pallida.
Quel calore bruciante era la prima cosa che sentiva dopo ore di totale assenza.
A 30 isolati più a sud, anche la bionda stronza era in doccia, non da sola.. ma questo lui, non poteva saperlo.
 
Andò a lavoro guidando distrattamente la moto tra l’onnipresente traffico mattutino.
L’odore di muffin, croissant e apple pie sulla 35esima strada, risvegliarono in lui una fame che non sapeva di avere.
Solo allora si ricordò che non toccava cibo da quasi 12 ore.
Ad attenderlo trovò Josh, un sorriso scoglionato, l’aria intontita mentre lo salutava cercando di simulare un’allegria che non possedeva.
Colin lo conosceva abbastanza da saperlo: quella notte lui e Ginny avevano fatto sesso.
Josh aveva sempre l’aria stralunata dopo una notte di sesso.
Su di lui il sesso faceva quell’effetto.
Lo rendeva un drogato.
Colin sorrise di quel pensiero mentre accettava il caffè che il collega gli porgeva.
“Brutta notte?”
Scherzò Colin.
“Solo mal di testa”
Rispose Josh con un sorriso.
Entrambi sorseggiarono silenziosamente il loro caffè.
Per fortuna J era di poche parole quella mattina.
Una compagnia perfetta per il suo umore del giorno.
 
Anche Jen era sul set.
Da lontano non poté fare a meno di notare Colin e Josh seduti sui gradini della roulotte del primo, con gli occhiali da sole scuri e l’aria distratta, mentre bevevano caffè come se fossero in post sbornia.
Ma l’irlandese quel giorno era solo… scollegato.
Assente.
Fu quello il termine che le venne in mente, osservandolo nel corso della giornata.
Anche quel giorno i due girarono separatamente, salvo poi ritrovarsi per una scena con Ginny, Sara e Jaime.
Come sempre sul lavoro lui fu impeccabile, ma a telecamere spente, tornò a perdere tutta la verve che caratterizzava il suo personaggio.
Jen cominciò a chiedersi che cosa non andava in lui e pensò che forse era il caso di andare a parlargli.
Ma Colin non era solo, di amici se ne era fatti sul set e in così poco tempo.
Dunque poteva fare a meno di lei e contare sugli altri.
E inoltre Jen non sapeva che per lei altri guai erano in agguato.
Molte ore prima, quella stessa mattina, qualcuno suonò al campanello della sua casa.
Lei uscì di fretta dalla doccia tra le proteste di un Sebastian frustato e arrapato e andò ad aprire in accappatoio.
Ma ad attenderla non trovò nessuno.
Abbassò d’istinto lo sguardo sullo zerbino e lì trovò uno splendido mazzo di rose rosse avvolto in uno splendido raso rosso.
Lo raccolse curiosa e stranita e lo portò dentro.
Sebastian commentò il tutto divertito con un:
“uhm… hai un ammiratore segreto?”
Ma Jen non seppe perché quel mazzo di rose la turbava così tanto.
Quell’inquietudine se la portò dietro tutto il giorno e decise che una volta arrivata a casa, avrebbe buttato nell’immondizia quei fiori che Sebastian aveva sistemato in  un vaso di vetro sull’isola della cucina.
Raccolse la sua borsa dal tavolo del suo camerino e l’aprì in cerca del telefono.
Fu allora che avvenne la sconcertante scoperta.
Più piena e pesante del previsto, la borsa svuotata da tutti i suoi effetti personali, conteneva decine di teste di Barbie con gli occhi bucati resi ancor più sinistri da quei sorrisi smaglianti.
Jen lasciò cadere la borsa, impaurita e disgustata.
Si sentì strana, come se il suo corpo fosse in preda a sintomi di influenza intestinale.
Restò a fissare la borsa riversa per terra, con tutte quelle teste orrende che le ricordavano.. le rose di quella mattina.. e dunque..
Il telefono squillò facendola rinsavire.
Rabbrividì e corse a raccoglierlo e senza nemmeno osservare il nome sullo schermo, rispose.
“Pronto”
Dall’altro lato il silenzio.
“P-pronto?”
Ripeté incerta mentre l’inquietudine montava dentro di lei.
Le mani le tremarono mentre la persona dall’altro lato della linea cominciò ad ansimare.
Respiri che le arrivarono dritti dentro e che la scossero dandole dei capogiri.
“Chi sei?”
Urlò sentendo gli occhi bruciare.
Respiri.
Nessuna risposta.
Ancora respiri.
Poi la linea cadde.
Jen osservò l’ultima chiamata ricevuta.
Numero sconosciuto.
Circondata da quelle teste, dal crepuscolo ormai calato, si sentì all’improvviso sola e.. vulnerabile.
Attraversò di corsa lo spiazzale delle roulotte diretta al parcheggio dove Sebastian l’attendeva.
Ma fu Colin che incontrò solitario, lungo la via.
Quasi gli finì addosso.
Lui arretrò per evitare l’impatto.
Lei lo fissò sconvolta e allora ebbe un’intuizione improvvisa.
“Sei stato tu”
Sussurrò sconcertata.
Per tutta risposta lui la fissò confuso.
“Tu.. tu.... cristo santo, ma che mente malata hai?”
“Di cosa stai parlando?”
“Non fare finta di niente.. i fiori, le bambole.. la chiamata di poco fa.. è tutto opera tua!”
Lo accusò.
Era ormai fuori di sé, tremava dalla rabbia che ora rimpiazzava la paura.
Colin le afferrò il polso.
“Ma che cazzo stai dicendo?”
Lei si liberò dalla sua presa ferrea, come una vipera che passa all’attacco di fronte a una minaccia.
“Non mi toccare”
La sua voce rimbombò nello spiazzale ormai vuoto e avvolto nel buio.
Lui fece un passo indietro come se si fosse appena scottato.
“Stai alla larga da me o ti denuncio”
Sibilò, scandendo con gelida rabbia ogni parola.
Da lontano Sebastian stava imboccando il viale con la macchina.
Suonò per richiamare l’attenzione.
Con un’ultima occhiata carica d’odio, mollò l’irlandese e raggiunse la macchina di Seb.
Entrò.
Sebastian notò subito che qualcosa non andava.
“E’ successo qualcosa?”
Lei tirò un lungo respiro, cercò di rilassare i muscoli e la tensione accumulata e finse un sorriso.
“Nulla, sono solo.. stanca”
 
Fu una notte difficile e una mattina difficile.
Il solo pensiero di dover andare sul set e vederlo, di stare faccia a faccia, fianco a fianco, di lavorarci persino, la turbava e infastidiva come mai prima d’ora.
Non le era mai capitato una cosa simile nei suoi anni di carriera.
Sebastian notò il suo nervosismo e cercò di calmarla con del caffè.
Jen ne aveva un gran bisogno.
Ma nemmeno quello riuscì a tranquillizzarla.
Il viaggio in macchina aumentò il suo malessere.
 
Non aveva chiuso occhio quella notte.
La tv era rimasta accesa, il volume basso per non disturbare, immagini confuse e sfuocate man mano che la bottiglia di Jack Daniel’s si svuotava.
Alla fine era crollato, più per l’urbiachezza che per stanchezza.
Si era ritrovato ancora vestito sulla moquette ai piedi del letto.
Motivo per cui quella mattina aveva un gran bisogno di caffè.
Ne aveva già bevuti 7 lungo la strada, ora era rinchiuso nel suo camerino, quattro caffè sul tavolo in attesa di essere bevuti.
Dalla finestra spiò la macchina di Seb che imboccò il viale dell’ampio parcheggio.
Fu come se una mano invisibile gli strinse le viscere, quando lei scese dall’auto ed entrò velocemente negli studi.
Colin sapeva di non potersi nascondersi a lungo.
Uscì e si ritrovò ad entrare nell’atrio, nello stesso momento di Sebastian.
Lo fissò interrogativo, come se si aspettasse di essere colpito da un momento all’altro.
Invece Seb lo salutò amichevolmente come sempre.
Il che voleva solo dire una cosa: lei non gli aveva detto della loro litigata della sera prima.
C decise di cogliere l’opportunità al volo.
“Si grazie, tutto bene.. tu?”
“Non c’è male amico”
Replicò Seb cordiale.
Colin partì all’attacco.
“E Jen? Tutto bene? L’ho vista un po’ scossa ieri..”
Seb si avvicinò con aria confidenziale, si guardò attorno e poi sussurrò:
“Ieri ha ricevuto un’enorme mazzo di rose senza mittente e questo l’ha scossa parecchio. Non so perché… le ho detto che è opera di un ammiratore segreto.. insomma, queste cose succedono spesso nel nostro campo”
“Già.. “
Disse l’irlandese pensieroso facendo due più due.
Sebastian non sapeva delle bambole, della chiamata.
Colin capì e fu scosso dallo stesso timore di lei.
 
Per tutto il giorno cercò di tenerla d’occhio senza farsi vedere.
Lei gli aveva praticamente dichiarato guerra, minacciandolo persino di chiamare la polizia.
Ovviamente Jen collegava quei gesti da psicopatico a lui.
Questo pensiero lo ferì come non mai.
Quale considerazione aveva la ragazza di lui?
Ma non ci pensò, continuò a osservarla da lontano perché aveva un brutto presentimento.
Toccò a loro due girare.
Si ritrovarono al centro dell’attenzione, mentre tutti attorno si davano da fare, pronti a girare.
Colin si sentì in imbarazzo, la sua vicinanza dopo quanto era accaduto era la cosa più strana e sbagliata del mondo.
Lei fingeva di leggere il copione ma ticchettava nervosa il piede contro il palco.
Lui decise di fare un tentativo.
Si avvicinò dicendole:
“Senti.. so che pensi che è tutta opera mia, ma non è così”
Lei si allontanò schifata.
Sgranò gli occhi e tornò a incendiarlo con lo stesso sguardo carico d’odio della sera prima.
“Allontanati subito da me”
Il ragazzo ci rinunciò.
 
Girare la scena non fu affatto facile.
Ma entrambi furono professionali come sempre.
Nessuno in quello studio captò segni di disagio tra i due.
Nessuno sembrava al corrente della loro disastrosa situazione.
Appena terminate le riprese, Josh corse da lui per invitarlo a bere qualcosa da Jo.
Fu in quel momento che lui la perse di vista.
Mentre il collega ancora gli parlava, l’irlandese prese a guardarsi intorno allarmato, cercando quell’inconfondibile chioma bionda.
Nel caos di tecnici, macchinisti e direttori, fu un’impresa ardua.
Alla fine dovette semplicemente ammettere di averla persa.
Josh era nel pieno di un discorso quando Colin, che non aveva seguito una sola parola, lo interruppe dicendo:
“Scusa amico, devo controllare una cosa.. torno subito”
Mollò il collega che annuì confuso mentre lui usciva di corsa dagli studi e raggiungeva l’atrio.
In tutto il tragitto, non ci furono segni di lei.
Uscì fuori nel parcheggio buio, la macchina di Sebastian era ancora lì.
Ma di loro nessuna traccia.
Non gli rimaneva altro che controllare il suo camerino.
Una volta arrivato, notò che la luce all’interno era accesa.
Dunque lei era dentro.
Stava per voltarsi indietro, tranquillizzato da quella calda luce dorata, segno della sua presenza.
Ma c’era qualcosa che non andava.
Era una sensazione, un presentimento.
Una vibrazione negativa che stonava con l’ambiente.
E poi.. perché la porta principale era socchiusa?
Non era da lei..
Si avvicinò di soppiatto, nascondendosi tra le ombra della sera.
Si posizionò sotto la finestra aperta e fu allora che sentì le voci.
“Finalmente… non hai idea di quanto ho aspettato questo momento”
Una voce maschile, che non conosceva.
“Per favore.. ti ho già detto che stai confondendo la realtà con la finzione…”
Lei stava… piangendo?
La rabbia montò dentro di lui, pronto e deciso a irrompere nella roulotte e uccidere quel bastardo.
Chiunque fosse.
“Non mentirmi”
Urlò il ragazzo infuriato.
Colin si azzardò ad alzare la testa oltre il bordo della finestra e a spiare all’interno.
Era un ragazzo, sulla ventina, occhiali da sole, un cappello e una maglia da baseball, una pistola puntata contro una Jen terrorizzata.
Colin strinse i pugni.
Mai avrebbe immaginato una situazione simile.
Non poteva fare nulla di azzardato, o la situazione poteva precipitare da un momento all’altro.
“Per favore.. per favore..”
Lei stava piangendo.
Implorando.
“.. non sono una dottoressa.. non posso aiutare tua madre. Sono solo un’attrice, quella era solo una serie tv.. non sono una dottoressa..”
“Ti ho detto di non mentirmi cazzo”
Evidentemente lui si era avvicinato ancor di più perché lei arretrò rischiando di inciampare lungo il pavimento irregolare.
Colin notò la porta sul retro, proprio alle spalle di quel bastardo.
Era la sua unica possibilità.
“Ora verrai con me, andremo da mia madre, mi dirai cosa c’è che non va.. la curerai, la salverai…”
Parlava come se stesse recitando una vecchia cantilena e Colin poté immaginare la sua espressione folle.
‘Resisti’
Pensò l’irlandese raggiungendo l’entrata posteriore.
Il telefono di Jen squillò.
“Non rispondere”
Ordinò l’aggressore.
Ci fu un attimo di silenzio, indecisione, poi un trambusto improvviso.
Partì un colpo.
Jen urlò.
A quel punto non poté più aspettare.
Colin si fiondò all’interno della roulotte.
La prima cosa che notò fu Jen sana e salva, il colpo sparato a vuoto aveva colpito la gamba del divano.
Lo psicopatico sembrò stupito e interdetto da quell’entrata improvvisa.
Era come confuso.
Poi puntò la pistola verso di lui ma Colin fu più veloce.
Si lanciò letteralmente sul ragazzo e lo atterrò, trattenendo il braccio del giovane che impugnava la pistola, lontano dai loro corpi.
Colin colpì la faccia del giovane con un pugno, il naso grondò sangue.
La mano del ragazzo si arrese e lasciò andare la pistola e allora l’irlandese si lasciò andare.
Lo colpì sul viso ripetutamente, tra le urla di Jen.
Allarmati da tutto quel baccano, sulla scena arrivarono anche Josh, Lana e Sebastian.
Terrorizzati osservarono la scena: Jen in lacrime, Colin sul ragazzo a terra, la faccia sporca di sangue, le nocche violacee dell’irlandese.
“Che succede qui?”
Sebastian fu il primo a parlare.
Colin si calmò.
Si alzò respirando lentamente, lo sguardo animato di uno che ha appena fatto a botte.
“Chiama la polizia”
Fu tutto ciò che disse.
 
Al commissariato fu un casino.
Era come essere su una giostra che andava a 100 all’ora.
Jen era sotto shock, almeno era quello che tutti le ripetevano.
Ma riuscì comunque a rispondere alle domande dell’agente.
Spiegò com’era andata, l’assistente prese appunti e lei fissò la lampada nell’ufficio buio come rapita.
Durò un’eternità.
Ma alla fine furono liberi, fuori nel parcheggio illuminato dalla luna ormai alta.
Josh, Ginny, Lana e Adam li salutarono, lei e Seb si ritrovarono d’improvviso soli.
“Stai bene?”
Sebastian continuava a chiederglielo.
Lei annuì stordita.
Non era più riuscita a piangere da quando il ragazzo l’aveva sorpresa nella sua roulotte ore prima.
Ma lei non era sotto shock come tutti credevano.
Era lucida, come dopo aver bevuto litri di caffè.
Sapeva cosa fare.
 
Senza rendersene conto erano arrivati a casa.
Sebastian continuava ad osservarla come se da un momento all’altro dovesse urlare o rompere qualcosa.
Questo la infastidì e le fece davvero venir voglia di urlare.
Si lavò a lungo, da sola, con quel pensiero che le martellava la testa.
Sebastian era a letto, l’aspettò sveglio.
Lei non ne poteva più.
“Vado giù a farmi una tisana”
Tutto pur di sfuggire al suo sguardo preoccupato.
“Ok”
Replicò lui cauto.
Jen scese.
Accese la luce e restò in piedi, contro il marmo del lavandino a fissare il salotto buio adiacente.
Passarono secondi, minuti, ore.
Erano le 3 del mattino.
Jen salì in camera da letto, sicura di trovare Sebastian addormentato.
In silenziò afferrò un paio di jeans e una felpa col cappuccio.
Scarpe ginniche.
Uscì di casa di soppiatto, percorse qualche metro e poi si fermò a chiamare un taxi.
Sapeva dove lui alloggiava, tante sere prima avevano accompagnato una Sara ubriaca nella stessa strada.
Pagò il taxi, il viaggio durò un quarto d’ora.
Entrò nella reception.
Si recò alla hall e parlò con il portiere.
“Il signor O’Donoghue mi sta aspettando.. può dirmi la camera?”
L’uomo la guardò di soppiatto, come studiandola.
Jen si tolse il cappuccio.
In piena notte, vestita casual, con quegli occhi rossi, le occhiaie violacee.
Doveva sembrare una tossica.
Tirò fuori il portafogli e la carta d’identità.
“Ecco qui, sono Jennifer Morrison, può anche cercarmi su internet se vuole”
Il portiere si riscosse, come colto da un’improvvisa illuminazione.
“Oh.. ma certo”
Batté qualche tasto al computer.
“Decimo piano, stanza 307”
“Grazie”
Chiamò uno degli ascensori.
In un attimo fu dentro, diretta al decimo piano.
Si guardò allo specchio.
Si, aveva decisamente l’aspetto di una tossica.
Cercò di lisciarsi i capelli arruffati dal cappuccio.
Con un leggero suono di cortesia, l’ascensore si aprì.
Era arrivata al piano.
Jen cercò la sua camera.
307.
Attese un attimo raccogliendo il coraggio.
Bussò lentamente.
Quindici secondi dopo, la maniglia scattò.
Lui era lì, a piedi nudi, pantaloni blu del pigiama, una t shirt bianca.
Sembrava sorpreso ma Jen capì di non averlo svegliato.
Osservare il suo viso, i suoi occhi azzurri profondi e sinceri…. era ciò di cui aveva bisogno.
“Mi dispiace.. mi dispiace..”
Cominciò a dirgli senza rendersi conto di stare piangendo.. finalmente.
Continuò a ripeterlo ancora qualche volta, scossa, distrutta, tremante.
Poi lui fece un passo avanti e la tirò a sé.
La strinse in un abbraccio e contro il suo petto caldo, Jen si lasciò andare a un pianto liberatorio.
Era al sicuro adesso. 
 
   
 
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