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Autore: Bellamy    07/06/2015    1 recensioni
La battaglia tra i Cullen e i Volturi termina in maniera inaspettata: i Cullen perdono, Edward e Bella si uniscono alla Guardia di Aro e Renesmee perde la memoria. I pochi mesi di vita vissuta da Nessie vengono spazzati via.
Dopo quasi un secolo, Aro invita Renesmee a Volterra.
Genere: Malinconico, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Volturi | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Breaking Dawn
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Scritto in collaborazione con Alice, grazie : )
 
 
 
Guardavo fisso davanti a me il pallino rosso che indicava l’aereo e il suo tragitto nello schermo sopra la mia testa. Avevamo superato l’Oceano Atlantico e ora stavamo sorvolando le Alpi. Mancava solo un’ora all’atterraggio ed io volevo solamente buttarmi dall’aereo in alta quota e sparire in mezzo la roccia e la neve delle montagne.
Stavo per varcare la soglia della tana del lupo, mi stavo buttando in una piscina piena di squali, saltare un cerchio di fuoco strettissimo, andare in pasto ai leoni, tutto questo contemporaneamente.
Volevo fare marcia indietro, minacciare il pilota di cambiare la rotta e ritornare in America.
Maledii me stessa di non essermi imposta a non andare, mi maledii di essere salita in quel jet, mi odiai quando accettai senza esitazioni la richiesta di quei vampiri.
Non dormii, non riuscii più a dormire. Dormii poco e male, avevo sognato qualcosa ma non mi ricordavo che cosa, non ne diedi molta importanza. In quel momento, il mio corpo era costituito principalmente da ansia e nervosismo, mi sentivo lo stomaco attorcigliato e il cuore in gola.
I miei occhi frenetici inseguivano quel pallino rosso che velocemente si avvicinava a destinazione che diventava sempre più vicina.
Le Hostess, sempre silenziose, notarono il mio cambiamento di umore improvviso ma non dissero nulla, forse lo scambiarono solamente come paura dell’altezza. Si limitarono solamente ad offrirmi cibo che io prontamente non accettai. Mi trovavo in un profondo stato confusionale e nervoso.
Che cosa volevano da me? Perché me?
 
Dieci ore dopo, strinsi forte le mani nel sedile di pelle marrone scuro. Eravamo arrivati, eravamo arrivati all’aeroporto di Firenze.
Era notte, la pista di atterraggio e di decollo vuota tranne per me, le Hostess, i due piloti e i pochi impiegati dell’aeroporto. Respirai a pieni polmoni e mi stupii quando notai che l’aria che stavo respirando era diversa da quella che respiravo normalmente a casa: era più calda e umida rispetto a quella di Forks, ma allo stesso tempo fredda per via della notte. Non c’era nessuna nuvola, si vedevano le stelle scintillanti nel cielo scuro.
Quando scesi gli scalini del jet, ai piedi di essi mi aspettava una donna  molto alta interamente vestita di nero con cappello e guanti pure neri, si poteva confondere con l’oscurità della notte. L’espressione seria in volto.
“Benvenuta in Italia, signorina Cullen. Sono Alessandra, mi è stato affidato l’incarico di accompagnarla a Volterra. Mi segua per favore.” Aveva uno strano accento francese e nel suo volto non c’era nessuna espressione cordiale che traspariva invece la sua voce.
Dopo la presentazione, si voltò di scatto e iniziò a camminare a passo accelerato, il picchiettio costante dei suoi tacchi era l’unico suono che si poteva udire.
In pochi minuti uscimmo dal semivuoto aeroporto della città di Firenze. All’uscita, appena pochi metri di distanza dalle porte di entrata, si trovava un’auto scura di grossa cilindrata.
La donna mi aprì la portiera come se fosse la mia autista personale e vi salii nell’abitacolo enorme della macchina, eravamo solo noi due. Notai con divertimento che i finestrini erano oscurati.
Salì subito dopo la donna e premette con forza l’acceleratore, il tachimetro segnava i centoquaranta.
Aveva fretta di arrivare a destinazione, io volevo solamente che andasse piano. Io non avevo tutta quella premura. Assolutamente no. Ebbi di nuovo l’ansia da pallino rosso.
Questo mi fece venir voglia di ridere, tutto era assurdo. Stavo arrivando all’isteria.
Avvertii un leggero imbarazzo. Chi era quella ragazza? Faceva parte del Clan dei Volturi? Sapeva chi realmente loro fossero? Lavorava per loro?
Mi presi la libertà di guardarla, lei non sembrò accorgersi: teneva gli occhi fissi davanti all’autostrada solamente illuminata dai fari dell’auto e le sue mani stringevano forte il manubrio.
Era umana, il viso pallido, capelli biondi e occhi azzurri, il volto spigoloso, le labbra in tensione premute tra loro. Mi chiesi perché i Volturi oltre a cibarsi  di umani se li tenevano pure. Era crudele. Tenni a freno la mia lingua dal chiederle come aveva fatto a conoscere i Volturi. Non sembrava propensa a parlare, e nemmeno io d'altronde.
Se conosceva il segreto dei Volturi, a cosa aspirava? Lei era umana, poteva solamente aspirare a diventare immortale.
Mi stranii, c’era davvero gente che smaniava di diventare un vampiro? Per quale motivo?
Man mano che i chilometri diminuivano verso Volterra, io divenni fredda dall’ansia e dallo spavento.
Non volevo farlo ma sapevo che ogni parola o gesto che poteva essere contro i nostri Signori mi si poteva ritorcere contro con tranquillità rimettendoci la pelle io e la mia famiglia, ed io non volevo mettere a rischio l’esistenza dei miei nonni e dei miei zii.
Esme e Carlisle avevano detto qualche giorno, ma sapevo che per un vampiro il tempo era relativo, specie per dei vampiri come i Volturi che non si muovevano mai dal loro palazzo a Volterra.
Neanche il meraviglioso paesaggio della Toscana con le sue colline verdi oscurate dalla notte e le luci delle tante case all’orizzonte riuscirono a calmarmi.
Mi tremavano le mani e il cuore batteva più forte del normale. La mia testa fu invasa da paranoie che facevano girare la mia testa, avevo voglia di urlare per scacciarle via.
Facendomi piccola piccola, sprofondando nel sedile di pelle nera e liscia, cercai nel mio piccolo zaino – l’unica cosa che portai con me - il mio telefono. Non lo uscii neanche con la paura che Alessandra potesse notarlo.
Lo accesi: lo schermo non diede nessuna notifica di chiamata persa.
Strinsi i denti, triste. Volevo sentirli, mi mancavano. Mi aspettavo una chiamata, massimo un messaggio. Non ricevetti nulla. Forse ancora pensavano fossi in aereo. Mi diedi questa giustificazione che non alleviò per niente il mio stato umorale ma non lo peggiorò. Riposai il telefono nello zaino e guardai fisso davanti a me. Mancava veramente poco, strinsi il mio medaglione.
 
Riaprii gli occhi, mi addormentai ma non ricordavo quando. Mi guardai attorno, disorientata. Ero ancora in macchina, tutto era buio tranne per la luce dei fari e del cruscotto.
“Siamo arrivate a destinazione.” Annunciò Alessandra con voce atona.
L’auto si fermò in mezzo ad una piazza circolare che capii fosse quella principale di Volterra. Al centro spiccava una grande fontana di marmo dove zampillava l’acqua splendente sotto la luce della luna.
Sopra la mia testa si stagliava l’alta e centenaria torre campanaria con l’enorme orologio incastonato del palazzo dei Priori. Era qui che risedevano i Volturi. Uguale a come l’avevano descritto Carlisle e i dipinti.
Feci un respiro profondo continuando a stringere forte il mio medaglione d’oro.
Tutto intorno a me gridava storia ma anche scappa fin che puoi. L’antico palazzo incuteva paura, sembrava un gigante pronto a divorarmi.
Come facevano i Volturi a passare inosservati? I cittadini di Volterra non avevano mai notato nulla? Alessandra poteva essere quel piccolo gruppo di umani un po’ troppo curiosi che sapevano o sospettavano del loro piccolo segreto se esisteva?
Erano domande che mi sarei sempre posta.
“Mi segua.” Disse Alessandra facendo strada camminando non verso la porta principale del palazzo, ma andando nella parte posteriore, verso destra.
Facemmo quasi tutto il giro e ci trovammo davanti ad una enorme porta di legno antica abbellita da dettagliati e gentili ornamenti intagliati nel legno che un occhio umano non lo avrebbe mai notato, neanche di giorno.
La donna diede un colpo debole al portone che si aprì subito e il cigolio prodotto mi fece venire la pelle d’oca. Entrò. Io non ci riuscii. Guardai Alessandra, quando capì che non ero dietro di lei si voltò per controllare cosa stesse succedendo.
“C’è qualcosa che non va, signorina?”
La guardai, mordendomi il labbro inferiore. Avevo la gola secca, sentivo freddo, le gambe mi tremavano e mi sentivo leggera. In quel momento Alessandra mi sembrava lontanissima ed io ero troppo debole per raggiungerla.
Scossi la testa, avevo dimenticato come si parlava usando la voce.
Costrinsi le mie gambe a fare un passo avanti e mi ritrovai dentro il palazzo, il portone dietro di me si chiuse con un tonfo secco che echeggiò per un paio di secondi.
Ed io mi sentii ufficialmente spacciata.
Davanti me si trovava un lungo, lunghissimo corridoio, le mattonelle del pavimento erano di marmo bianche e nere, alternate. Il muro sinistro era arredato con enormi dipinti di grandissimo valore e di mobili antichissimi senza nessuna imperfezione intaccata dal tempo.
Alla destra il muro era alternato da una serie di finestre altissime e strette in stile gotico che ricordavano quelle delle suggestive cattedrali europee, la luce della luna che filtrava dalle finestre rendeva luminoso tutto il corridoio.
Il soffitto era altissimo decorato con affreschi perfetti dove pendevano degli enormi lampadari di cristallo e oro.
Era una gioia per gli occhi.
Rimasi per un attimo meravigliata e a bocca aperta da tutta quella sfarzosità e bellezza.
“Mi segua per favore, la condurrò nella sua camera.” Fece la ragazza umana prendendo per un vicoletto alla destra, salimmo delle scale molto strette e quasi claustrofobiche dove in mezzo alle mura di pietra antica c’erano scritte delle frasi in latino che facevano rabbrividire, arrivammo in un altro corridoio uguale e meraviglioso a quello precedente.
Camminammo lungo la stanza dove alla fine vi si trovarono tre porte ognuna per le due pareti, Alessandra si diresse per la seconda alla destra.
Si fermò di fronte alla porta di legno rustico e si girò verso di me, la mani strette tra di loro.
“Questa è la vostra stanza. Vi avviso che i nostri signori la vogliono ricevere alle ore dieci di questo stesso giorno. Le consiglio di riposare e, soprattutto, di essere puntuali all’appuntamento.”
Mi lasciò da sola in maniera brusca, iniziò a camminare velocemente, quasi a correre, come se volesse scappare da quel posto. Lei viveva lì o i Volturi le permettevano di andare a casa?
Aprii la porta e mi ritrovai senza parole.
Era una stanza lunga e rettangolare: alla sinistra si trovava un enorme letto con la tastiera di legno e le coperte color dell’oro, accanto c’erano dei comodini ed un armadio –contenente dei vestiti femminili- di legno pregiato.
Nella parte sud si trovavano una serie di poltrone dall’aria molto antica con un tavolino al centro che sorreggeva delle tazze di the e una teiera, avanti si trova una tavola sempre in legno levigato e delle sedie che sembrava più troni che sedie da tavolo. C’era pure un camino acceso che emanava calore per tutta la stanza.
La parete di pietra color sabbia destra era occupata da due grande finestra lunghe e strette a dalle loro pesanti tende color rosso. La vista dava alla piazza addormentata di Volterra e alla sua fontana.
Alla sinistra si trovavano delle librerie contenenti dei libri antichissimi scritti in tutte le lingue, tra cui l’arabo, il greco e il latino, ed una scrivania di legno occupata da una pila di fogli bianchi e da penne stilografiche.
 Chiusi la porta dietro di me e appoggiai il mio zaino nel letto che risultò morbidissimo.
Vi frugai immediatamente dentro in cerca del cellulare e lo accesi, nessuna notifica, neanche da parte di Nina.
Composi il numero di Carlisle e aspettai, contando i secondi. Non mi rispose nessuno.
Feci un lamento stridulo che feci morire subito in gola e riposi il cellulare di nuovo nello zaino. Con me avevo il cellulare, la musica, il portatile, dei libri e alcune sacche di sangue.
Li mise dentro Carlisle, ma non seppi come interpretare il gesto.
Non potevo portarmi sempre con me lo zaino, dovevo nasconderlo da qualche parte, non volevo lasciarlo incustodito mentre ero impegnata a non sapevo cosa con i miei signori.
Mi guardai intorno valutando il posto migliore dove nasconderlo ed optai per il dietro del camino.
Una vocina dietro di me mi diceva che con dei vampiri era inutile nascondere qualcosa, non quando esisteva un vampiro che grazie al solo tocco della mano poteva leggere tutta la tua vita ma decisi di nasconderlo lo stesso. 
C’era silenzio nel palazzo e in tutta Volterra, dove erano tutti gli altri? Mi sentivo dentro una casa infestata da fantasmi.
Sentivo che non ero sola. Era inquietante e spaventoso, metteva i brividi.
Guardai l’orologio: erano quasi le cinque del mattino, fra altre cinque ore dovevo presenziare all’appuntamento con Aro e i suoi fratelli.
Sciolsi i miei capelli dalla treccia e li lascia liberi, sentii tutto il peso dei miei capelli cadere nelle mie spalle.
Mi avvicinai ad una delle finestre e guardai fuori il cielo blu scuro e le tante stelle.
L’ansia e la paura se n’erano andate lasciando posto al vuoto più totale.
Ormai l’avevo fatto, ero a Volterra, alla mercé dei nostri signori. Ero andata volontariamente in pasto ai leoni, non c’era niente di cui preoccuparsi.
Ero stanca ma non volevo dormire. Non volevo fare nulla.
Continuai a guardare il cielo, poi il sole sorgere aspettando che arrivasse l’ora dell’appuntamento. 
  
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