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Autore: MadLucy    09/06/2015    4 recensioni
{Tomarry | pre-Harrymort | what if? | slash | 15 flashfic | bonding | ER | angst | dark fluff | slice of life | ho già detto angst?}
Tom nasce nel 1977, e Harry a Hogwarts ha a che fare con un ragazzo di inconfutabile talento e sinistra avvenenza. Le carte in tavola cambiano.
Nessuno dei due può vivere se l'altro muore.
Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley, Tom O. Riddle | Coppie: Harry/Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Più contesti
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TH
~You make me.



#1
L'aveva provato per la prima volta in quell'aula di Divinazione. Doveva consegnare solo un messaggio ad Angelina e Alicia, da parte di Baston, per gli orari del Quidditch.
«Ancora profezie sinistre per me, professoressa Cooman? Oggi il mio fondo del tè assomiglia tremendamente a un fulmine, non trova?»
Quella voce l'aveva trovato fin lì dov'era, nelle sue occupazioni mediocri, i suoi pensieri tiepidi. Si voltò, rispose alla chiamata, come se quelle parole fossero rivolte a lui, come se avesse udito il proprio nome. Fu qualcosa di spontaneo e coercitivo, come sempre lo è quando ci si ritrova innamorati fino al collo. 
Vide l'increspatura immobile dei capelli, una linea ondulata sulla fronte, come se li avesse messi in riga con un ferro, e quel viso smerigliato che le ombre, adagiandovisi, raffinavano, complicavano. Aveva una consistenza strana, inspiegabile, addirittura bidimensionale, nella divisa che indossava e sul banco dove poggiava mani piene di scrupolo. Sotto le unghie aveva la patina del successo, di quelli che non sbagliano, che possono permettersi di ridere in faccia alla professoressa di Divinazione. Non pareva nemmeno che respirasse. Doveva evidentemente la sua esistenza ad un meraviglioso equivoco.
Harry desiderò non aver mai interrotto. Desiderò sentire altre parole uscire da quelle labbra, avvertire di nuovo quella strana emozione dolente e piacevole, quando riconosci qualcosa ma non sai cosa, afferri qualcosa di familiare senza sapere in che fessura del tuo passato incastrarla. Balbettò il suo messaggio e filò via senza udire ancora alcuna parola, senza sapere se effettivamente ci fossero ancora profezie sinistre; l'ultima cosa che il suo sguardo annebbiato riuscì ad arraffare fu un ritaglio di stoffa, lo stemma di Serpeverde cucito sulla sua divisa.





#2
Si chiamava Tom Riddle ed era un genio, Harry non seppe poi ricordare chi di preciso glie lo avesse rivelato, forse era stata l'esalazione della sua fama che rumoreggiava nei corridoi, forse qualche dama in un ritratto che confabulava con la vicina. Dal punto di vista istituzionale, era uno studente proprio come gli altri, però non lo si vedeva mai salire o scendere le scale, infilarsi nelle calche di studenti formicolanti, involgarirsi nella plebaglia dell'anonimato nel castello. Harry si schermava con un tovagliolo, al mattino, per ispezionare il tavolo dei Serpeverde -dovrà almeno mangiare!- e, grazie alla popolarità che non lo risparmiava un secondo, trovare Tom Riddle gli richiedeva meno di un minuto. Consumava la colazione con una distratta, frugale parsimonia, con una sobrietà trasfigurata fino ad essere eterea e rendere un miracolo il fatto che le posate trovassero appiglio nelle sue mani. Più che nutrirsi, ribadiva la pacata e silenziosa asserzione della propria infinita dignità. Faceva tutto con la disillusa, condiscendente freddezza che riservava alle lezioni che non gli servivano, agli incantesimi dei libri di scuola, a quelle nozioni che aveva già superato. L'angolo appartato in cui non faceva entrare nessuno era il centro del mondo. Tutti sembravano soggiogati. Da parte sua Harry poteva solo riecheggiare nella propria mente quel timbro, come se carezzasse con il palmo un liscissimo pavimento di granito nero. Non poteva intrattenersi a lungo con lo sguardo, giusto il tempo di catturare l'istantanea del suo mento infossato nel palmo come una gemma, gli occhi che divagavano dalle impertinenze dei seccatori, la camicia che, nella tensione dell'avambraccio verso una coppa, denudava l'ossatura solida ma affusolata del polso, dalla pelle quasi invisibile e i lunghi ricami blu delle vene. Ricordi penetranti che nel prendere sonno gli facevano male, come piccole fitte allo stomaco.
Poi un giorno smise. Perchè quegli occhi, che sorvolavano la quotidianità come un'irritante farsa, avevano rotolato qua e là apatici fino a, inevitabilmente e distintamente, scivolare su Harry. E anche se lui aveva precipitosamente abbassato la testa, li aveva sentiti su di sè per uno, due, tre, quattro secondi. Sapeva che, nelle tenebre dell'iride, le pupille di Riddle si stavano dilatando.






#3
La prima volta era stata insignificante, e anche il momento che, Harry lo sapeva, avrebbe stretto a sè per scaldarsi in punto di morte. Aveva appena partecipato alla sua prima partita di Quidditch, era ebbro di gioia, non stava in piedi, i gemelli Weasley lo sorreggevano, gridavano nelle sue orecchie urrà per Harry. Era felice in modo stupido e favoloso. Tanti del Grifondoro erano venuti a battergli il cinque. E poi quell'apparizione esangue, che sembrava essersi fatta largo dal nucleo di un blocco di marmo ed essersene presa il cuore, duttile e morbido, per informarci la spiritualità regale dei suoi lineamenti.
«Non avevo mai visto un allievo del primo anno volare con tanta destrezza... Potter, dico bene?»
Il sonoro era sempre stato un aspetto della bidimensionalità di Tom Riddle, un'attraente ma statica appendice al suo aspetto, nulla di attivo, nulla che potesse interagire con lui, scendere nella dimensione reale della vita. Perchè non aveva mai sondato la remota possibilità che un giorno avrebbe potuto -o dovuto- parlarci. E adesso doveva. 
«Io, sì, Harry Potter.» Articolò le parole per bene, temendo che la lingua si fosse incollata al palato, un pezzo di burro mezzo sciolto. Se lui avesse frainteso Barry o Larry, sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di correggerlo. La vita adesso si era concentrata lì, si era appesa a quella bocca sottile, levigata, sbreccata, che non sporgeva. 
«Complimenti, Harry Potter.»
«Grazie.»
Tom Riddle se ne andò disattento, inscalfibile da quel mezzo minuto di conversazione come se non fosse nemmeno esistito, mentre Harry faticava a capire s'era ancora vivo o no. La veste nera della divisa, avviluppata alla sua figura come un'aura, gli svolazzava ai piedi con vita propria. Forse ti ha fatto i complimenti perchè è fissato con gli enfant prodige, cercò poi di spiegare Ron nell'udire l'accaduto, forse gli ricordi un po' se stesso.
Harry pensò che avrebbe dato tutto ciò che aveva per poter fare come il suo nome, incunearsi fra le sue labbra con tanta facilità, con un semplice assenso, diventare il suo sonoro, la sua appendice.






#4
Aveva dovuto aspettare un anno per la seconda volta. Era stato dopo quello stupido duello con Malfoy, presieduto da Allock e Piton, che l'aveva lasciato intontito e sfibrato. Ron era rimasto indietro per scacciare gli anelli di fumo che la sua bacchetta aveva inavvertitamente esploso. Harry camminava con passo un po' asimmetrico, quando se lo trovò davanti. Non era preparato, prima non c'era niente e poi all'improvviso tutto, definito come un affresco dal vivo, serio, certo di sè e presente, con le sopracciglia scure e sollecite sopra la scintilla scaltra dei suoi occhi. Di che colore erano, poi? Da lontano li aveva dati per neri, ma visti così sembravano più blu, o forse verde oliva...
Non aveva ancora capito se posare lo sguardo sulla sua immagine, senza svincolarlo all'ultimo per vergogna di essere beccato, senza la furtività ladruncola degli infatuati senza speranza, solo posarlo con fermezza e completa libertà -quasi licenza, legittimità- fosse un conforto sollevante o un abisso ripido.
«Sei un Rettilofono, Potter?» Tom dimostrava di non amare i convenevoli, ma non c'era tracotanza nè impazienza nella sua voce, solo un'impronta di stupore un po' impensierito.
Harry battè le ciglia, sentendosi stolido come una bambola di fronte al suo acume. «Un cosa?»
«Un mago che comprende e parla il linguaggio dei serpenti» precisò Tom, «è interessante.»
Lo buttò lì come un commento a sproposito, a parte, una riflessione fuori copione. Poi si corresse, guardò Harry e aggiunse: «In questa scuola non ne ho mai incontrato un altro,» e quella era un'ammissione di qualche tipo, l'apertura di un passaggio, l'inglobamento di un elemento estraneo, forse un virus, forse un vaccino. Harry se la sentiva dentro quest'accettazione, come una radice che scendeva per impiantarsi sempre più a fondo, per consegnarlo sempre più irrevocabilmente a Tom... A riscuoterlo fu la fiumana incessante di studenti, fra cui Grifondoro del suo anno. Individuò anche Ron. Inspirò sonoramente con le narici, nel panico.
«Ora devo scappare a Trasfigurazione, ma... potremmo-potremmo riparlarne un altro giorno, insieme, cioè, questa storia dei Rettilofagi sembra abbastanza, ehm, importante.» Non aveva idea di che parole avesse accozzato, così, sull'onda della disperazione suscitata all'idea di sprecare quel preziosissimo pretesto per apparire al suo cospetto. Inaspettatamente, Tom esplose in un sorriso leggermente beffardo ma stupendo, che lo accertò definitivamente del fatto che ormai un solo cenno di quel ragazzo poteva sprofondarlo all'inferno o elevarlo in Paradiso.
«Continui a riservarmi una sorpresa dopo l'altra, Potter» dichiarò. «Sì, è importante soprattutto in riferimento alla Casa a cui sei stato assegnato... Se vuoi saperne di più, sai dove trovarmi.»
Un ultimo sorriso, un colpo di grazia per tagliargli le gambe. Non ho alba di dove trovarti, pensò Harry, altrimenti vivrei con le ginocchia piantate di fronte a questo posto.





#5
Quando udì lo schiocco della porta dell'infermeria, non si girò nemmeno e sospirò pesantemente, ancora addentrato nel dormiveglia, supponendo che si trattasse di Madama Chips con le sue medicine asprigne e dolorose. E poi sentì:
«Come stai, Potter? Sono venuto appena ho saputo.»
Tom Riddle stava al suo capezzale, con la divisa impeccabile, i ricci belli, l'espressione padrona di sè che governava sempre il suo volto e i suoi movimenti. Rubizzo e colto alla sprovvista, Harry si scostò il lenzuolo dalla testa, si rizzò sollevando il busto, ma così per abitudine tentò di puntellarsi sulle braccia e quello con le ossa in formazione gli procurò una stilettata di sofferenza lancinante, che non riuscì a occultare.
«Oh no, ti prego, non agitarti. L'ultima cosa che voglio è posticipare la tua guarigione» obiettò Riddle, con un sorriso e uno sguardo che però non erano nè premurosi nè preoccupati.
«Non dovevi disturbarti» mugolò.
«Nessun disturbo.» Il suo sguardo si appuntò sul braccio di Harry. «Quidditch?»
«Rischi del mestiere.» Perchè diavolo aveva dato una risposta così stupida? Tom non parve farci caso, tanto che annuì assenziente.
«Ho sentito che la situazione è degenerata per colpa dell'intervento di Allock» commentò. «Quel buono a nulla. Posso dare un'occhiata, Potter?»
Sebbene sulle prime credette di avere in qualche modo frainteso la richiesta di Tom, gli allungò il braccio malandato, piuttosto stupito. Il ragazzo si avvicinò ancora e lo prese fra le mani, con estrema delicatezza. Harry poteva percepire la lieve pressione di quelle falangi portentose accendere il sangue che ronzava nella carne, raggiungere il midollo di quelle ossa scomparse, mandare al cervello impulsi frenetici e disarticolati. Tom lo palpò per qualche istante, constatando a che punto era la ricrescita, e poi sfoderò la bacchetta. Prima che Harry potesse esprimere uno qualunque dei suoi pensieri, che fosse cosa intendi fare? o tanto ormai sono praticamente guarito, tranquillo, Tom sfiorò appena l'avambraccio pronunciando versi che non ricordavano per nulla gli incantesimi che Vitious insegnava nella sua aula. Il paziente non avvertì nulla. Poi gli venne ordinato: «Prova a muoverlo.»
Harry, esitante, obbedì. E il suo braccio rispose, integro e robusto come prima. Spalancò la bocca per la meraviglia, e istintivamente sorrise a Tom pieno di gratitudine. Poi rammentò, quasi inorridendo.
«Madama Chips diceva che l'Ossofast è l'unico modo per... Ma tu... come hai...»
Tom sfoggiò la sua risata negligente. «Sarà il nostro piccolo segreto, spero.»
Harry arrossì. «Certo. Grazie mille, Riddle.»
Il narratore s'interruppe, prendendo tempo nel contemplare le espressioni sconvolte di Ron e Hermione, che stavano udendo il resoconto dei fatti.
«E allora?!» lo esortò Hermione, torturandosi una pellicina e scervellandosi nel cercare di indovinare cosa Riddle potesse aver usato per quel braccio.
«... e allora mi ha detto: puoi chiamarmi Tom» avvampò Harry.
Hermione scoppiò in un gridolino adorante. «Oh, ma è fantastico! Harry! Non potevi trovare un partito migliore! Voglio dire, è un fuoriclasse...»
«No, aspettate» intervenne Ron. Guardò prima l'uno, poi l'altra, esterrefatto. «Di cosa state parlando?! Partito?! Ma... Harry... lui è un maschio
Harry non aveva mai visto Hermione tanto fuori di sè. «Tatto pachidermico, Ronald!»






6.
Che una pozione bruciasse era prassi, ma che la superficie venisse invasa da un nugolo di bollicine gialle che si staccavano e galleggiavano per aria non tanto.
«Tom» richiamò allarmato. Gli costava doverlo scomodare per la decima volta a riparare i suoi pasticci. Di certo in futuro non avrebbe accettato a cuore così leggero di fargli ripetizioni. Tom Riddle sollevò freddamente lo sguardo dalla pagina di un libro scritto interamente in antiche rune, per poi notare la faccia congestionata e paonazza di sudore di Harry, per non parlare delle condizioni del calderone. Si alzò, lo raggiunse e, saggiando quella poltiglia simile a petrolio con un mestolo,
«È un Decotto Ignifugante?» lo apostrofò, tentando di schivare le bolle. «Avrebbe dovuto diventare rosso. A me sembra nero come il peccato. Che cosa gli hai fatto?»
«Forse ho sbagliato la quantità di qualcosa. Oppure ho girato in senso orario anzichè antiorario» congetturò Harry, dando un'occhiata alla ricetta. Tom lo ignorò.
«Ci vorrebbe la bile di Ashwinder... Se solo in questa dannata dispensa ci fosse qualcosa per fare una pozione degna di tale nome. Comunque. Potter, per favore, preparami le foglie di Aconito e le radici di Grinzafico.»
Una volta spezzettate le radici e aggiunte tre foglie, con una distanza di due minuti l'una dall'altra, Tom riprese a mescolare.
«Scommetto che nella dispensa personale di Piton ci sono tutti gli ingredienti che servono per le tue pozioni» affermò Harry, con studiata disinvoltura.
Lui s'insospettì. «Per esperienza?»
«Ci sono stato, qualche volta. In caso di assoluta necessità» ammise il più giovane. «Con il mio mantello, di notte. Posso prestartelo.»
«Non ho mai infranto nessuna regola della scuola.» Riddle sdegnò la proposta.
«Io lo faccio ogni giorno.»
«Le apparenze ingannano, Potter. Sembri un così bravo ragazzo, e invece.»
Harry lo fissò. «Significa che vale anche per te?»
La pozione aveva assunto una sfumatura corniola, ma nessuno ci badava più. Harry si accorse di averlo inavvertitamente incalzato al muro. Quando mosse la bocca per baciarlo, fu quasi l'intenzione subacquea di un delirio onirico. E fu lì che Tom riprese a valutare, che iniziò a domandarsi se davvero lo voleva, quel peso caldo sulle labbra, quanto lo avrebbe tirato a fondo. Era una mossa di scacchi potenti. Poi lo sguardo uscì da quegli occhi pesti e raggiunse Harry. Il suo respiro sottilissimo ed elastico come una ragnatela arruffata, le ciglia fitte, i capelli lunghi come una pianta ribelle, che si prendevano le sue spalle, il suo viso. Si lasciò avvolgere da quel liquido amniotico, denso, che gli entrava nelle orecchie, nei polmoni, nelle vene. Un attaccarsi in apnea, un riempire vuoti. Agire senza l'alibi di uno schema lo rallentò, ottenebrò. Harry lo fece galleggiare, lo portò in alto, all'aria aperta, molte altitudini più su di quanto non fosse abituato.
Da allora, prese gusto a baciarlo di sorpresa. Così il giorno dopo, visto che prima di sedersi a colazione ci fu un allegro bacio a stampo, tutti gli studenti di Hogwarts seppero che Tom Riddle e Harry Potter stavano insieme. Draco Malfoy fece cadere il cucchiaio nel latte e lo schizzo imbrattò la divisa di Goyle.
Quel giorno stesso, Tom cercò lo Specchio delle Brame. Quello che vide riflesso lo tranquillizzò. Sulla lastra era ancora solo, con in una mano la chiave dell'immortalità e nell'altra lo scettro per tenere al suo posto la feccia del mondo magico. Così si poteva ancora credere che niente fosse cambiato.






7.
Hermione provava del rispetto per Tom Riddle. Uno di quelli di cui si può dire che si sono fatti da soli. Partito con i libri di seconda mano, diventato la luce degli occhi di ogni insegnante. Con quella gioventù essiccata dentro, quel sangue lento e viscoso che il cervello si scolava tutto. E poi, allo stesso modo in cui passava tra gli scaffali della biblioteca e raccattava libri qua e là indisturbato, mettendoseli sotto braccio, così si era preso Harry. E si era infilato nella quotidianità di Hermione da un giorno all'altro. La sua presenza, in mezzo a loro al tavolo, era irreale, esotica e certamente spiazzante. Calava un silenzio da cui emergeva solo lo sfrigolio delle piume, intinte svogliatamente per completare un saggio di Pozioni per cui Harry aveva fatto mille storie -dài, Tom, Piton ti ama carnalmente, aspetta solo un tuo occhiolino per portarti all'altare. Potresti intercerdere per me e far sì che me lo assegni di cento righe anzichè duecento!- ma che lui si era rigorosamente rifiutato di aiutare a scrivere. Oltre all'imbarazzo di Harry, che si sentiva un po' a disagio a stare in una stessa stanza sia con i migliori amici che con il fidanzato, c'era soprattutto la diffidenza di Ron a complicare le cose.
«Quel tipo non mi convince affatto» ripeteva senza sosta. «L'incantesimo che ha tirato fuori per guarire Harry... ben venga, per carità, però... di sicuro non l'ha trovato su Fatture per fattucchiere alla moda, no?! Altrimenti, se fosse così facile, perchè Madama Chips e Silente non ci avrebbero pensato prima di lui?»
Per un attimo, Hermione sembrò non saper ribattere. Ma solo per un attimo.
«Oh, dacci un taglio, Ron! Dici così solo perchè ha voti eccellenti! Per te chiunque studi o è sfigato o è un mago oscuro in erba! Sei ridicolo.»
«Buono a sapersi!» scattò l'amico, con tono definitivo, accigliandosi ancora di più. Fatto sta che non si decise mai davvero a deporre i suoi sospetti.
Verso le sei, Tom radunò i propri libri in una borsa e lasciò quelli della biblioteca in una pila sopra il bancone di Madama Pince.
«Temo che la professoressa Sprite mi abbia pregato di dare una dimostrazione alla serra fra mezz'ora. Ci vediamo domani, Potter, verrò a cercarti dopo la terza ora» proferì, senza troppo calore. Harry annuì timidamente. Hermione raccolse fiato e coraggio.
«Tom, scusa, domani potresti farmi vedere quell'Incantesimo Fluidificante? Credo che a te venga molto meglio che a me...» Da parte sua era un'ammissione amara. Tom chinò appena il bel capo elegante.
«Servo tuo, Hermione.» Non era mai riuscita a capire se facesse dell'ironia. Intanto, il ragazzo si chinò sul fidanzato.
«Sentirò la tua mancanza» sussurrò Harry, contro la sua guancia, abbastanza piano da non farsi sentire dai due amici. Per risposta ottenne una fugace carezza tra i capelli. E allora Hermione se lo richiese, cosa amava Tom Riddle di quel maghetto con gli occhiali rotondi, il calco d'innocenza sulle guance? Non poteva capirlo.
«È così stancante dover attraversare in lungo e in largo questa scuola tante volte al giorno» brontolava Tom. «Se solo togliessero la stupida regola per cui non ci si può smaterializzare a Hogwarts...»
Hermione aggrottò le sopracciglia, basita. «Un momento. Tu sai smaterializzarti?»
Un secondo di ritardo, e poi Tom si affrettò a spalancare un sorriso scettico. «Che assurdità, sai benissimo che si impara a diciassette anni. Buonanotte, Granger, Weasley. Buonanotte, Harry Potter.»
Ron seguì la sua uscita con uno sguardo torvo. Poi rivolse un'occhiata indagatoria ai libri che aveva letto, e per sicurezza esaminò ciascuno dei titoli, evidentemente alla ricerca di Magia Oscura. Trovò solo il più antico dizionario di Aritmanzia mai esistito e un trattato di duecento pagine sull'allevamento di Thestral.
«Che dici Ron, chiamiamo gli Auror?» s'informò Hermione con un sorriso sarcastico. Ron borbottò qualcosa che suonava come prima o poi si tradirà. Tutto ciò non le impedì poi di domandare a Harry, colta da un tramestio di timore ed eccitazione insieme, «Tom non sa veramente smaterializzarsi, vero?»
In seguito, Harry cercò di cementare quelle falle. «Smettila di terrorizzare Ron ogni volta che vi incrociate. Non sei divertente.»
«No, infatti.» Il sorriso di Tom. «È lui ad essere divertente.»






8.
Harry si dimenò nel buio, aprì la bocca impastata di salive e pestò attorno a sè per inforcare gli occhiali. La sua bacchetta, ligia all'Incanto Destante che di recente le veniva applicato ogni sera prima di un allenamento cruciale, lo aveva svegliato con colpetti sulla tempia dapprima gentili, poi sempre più insistenti. Harry bisbigliò un flebilissimo lumos che fosse sufficiente a rischiarare appena la penombra tenace delle -l'orologio lo confermò- quattro e mezzo del mattino. Subito si apprestò a recuperare la divisa da Quidditch sepolta fra il materasso e la testiera del letto, ma per farlo stette ben attento a scavalcare gli arti di Tom Riddle. L'aria sapeva ancora di Natale, noci inzuppate di cioccolato, maglioni pruriginosi della signora Weasley, legna bruciata bene. Il periodo che Harry preferiva, quando la massa tornava a casa per le vacanze invernali e il dormitorio dei Grifondoro si svuotava, contando che anche Ron accettava di dormire su uno dei divani della Sala Comune, pur di lasciarli soli. Dopo essersi allacciato alla bell'e meglio gli alamari, si permise di far cadere l'occhio su Tom. Era un tipo mattiniero, si svegliava sempre all'ora che pianificava spontaneamente, sollevando le palpebre di scatto, senza sbatterle, a Harry quindi non capitava quasi mai di vederlo dormire. Non appariva inerme o esposto ai pericoli nemmeno così, pareva sempre avere il controllo, di questo parlava la sua calma, ponderata anzichè imprudente, sempre essere un passo avanti al destino e i suoi imbrogli.
Era uno schizzo a carboncino, non un dormiente vero, un'utopia di correttezza scenografica, la sua onda mora di capelli d'ebano sulla federa bianca, il busto ben modellato avvolto nelle scarlatte coperte damascate dall'ombelico in giù, le braccia piegate con ordine. Le dita lunghe a volte scostavano una ciocca, un sospiro s'irradiava nel petto come un flutto di mare nella conchiglia. Harry pensava agli antecedenti di quel riposo contenuto, possente, calibrato; antecedenti che non erano riusciti a sgualcire la sua compostezza. Pensava alle lenzuola e le tende da tutte le parti, le stille di sudore su quel corpo sereno, i muscoli contratti anche se ora rilassati. Creava ordine intorno a sè, Tom Riddle, come una legge gravitazionale irresistibile. Si prendeva spazi definiti come col compasso, toglieva quel che non serviva, scandiva il tempo per impegni, sezionava tutto con lucida freddezza, non faceva grinze da nessuna parte, un idolo di razionalità. Harry avrebbe fatto carte false pur di saper replicare quell'incantesimo che adoperava per tirare a lucido e piegare i vestiti. Ma in quel momento pensava soltanto al Quidditch, a Baston che glie le avrebbe suonate se avesse fatto tardi. Cercava la scopa, non era sotto il letto.
«Nagini! Togliti di lì!» mugugnò, tentando di non alzare troppo la voce, senza nemmeno capire, nel torpore, se stesse parlando inglese o serpentese. Ancora gli faceva impressione trovarsi davanti all'improvviso quelle pupille ottuse, orribili squarci su una torbida coscienza animale. Edvige era sempre agitata, quando il serpente era nei paraggi. Nagini non gli diede retta nemmeno un po', si stava arrampicando sul baldacchino, purchè non si mettesse a scricchiolare. Ricordò quello che gli aveva detto Tom e non le diede noie, sta facendo la muta e sai quanto è suscettibile.
A Tom fregava poco o niente del Quidditch, più niente che poco. Però la scuola intera aveva rumoreggiato quando, mentre assistiva per la prima volta ad una partita di Harry in vece di fidanzato, si era presentato, spietato ed imperturbabile, con al collo una sciarpa ricamata d'argento e verde smeraldo. Così aveva continuato a fare. Anzi, ci faceva dell'umorismo terribile su.
«Ci vediamo dopo in infermeria, Potter» era il suo buona fortuna pre-partita, con tanto di rotazione esasperata di pupille al cielo.
«Rendimelo almeno vivo, Malfoy» aveva preteso una volta.
Draco aveva sputacchiato veleno cinguettando. «Sono disposto a risparmiare solo le parti che ti interessano, Riddle.»
E, con questo commercio d'organi, la speranza di un supporto morale da parte della sua dolce metà era evaporato dalla prospettiva di Harry. Una volta pronto, imbracciò la scopa e uscì chiudendo con cautela la porta alle proprie spalle. Il suo arrivo fu celebrato, nello spogliatoio, con sguardi intrisi d'odio e facce scure. Prima che Harry potesse chiedere spiegazioni,
«Qualcuno» Baston tremava dalla testa ai piedi, «qualcuno ha rubato i nostri schemi per la partita di domani e li ha passati a Flint.»
A Tom fregava poco o niente del Quidditch, o niente e basta, figuriamoci, per lui la coppa di fine anno poteva vincerla il Leongiallo che era lo stesso. Questo voleva dire che l'aveva fatto solo per farlo arrabbiare, era un attacco personale.
«Te la farò pagare, Riddle» rimuginò fra sè, attendendo che Baston sbollisse la sua rabbia a proposito del dividere il letto con il nemico.




9.
Gentili signori Dursley,
concedetemi l'onore di presentarmi. Sono il fidanzato di vostro nipote, Harry Potter. So che siete stati voi a crescerlo, fino ad oggi, secondo la volontà dei suoi genitori. Mi è stato inoltre raccontato che Harry, in quanto minorenne, deve soggiornare presso di voi anche durante le vacanze estive. Vi ringrazio per esservi presi cura di lui tanto scrupolosamente, ma vi prego di lasciarmi il timone del suo sostentamento. D'ora in avanti non sarà più necessario per voi sganciare un penny, nè assumervi alcuna responsabilità. Anche se ufficialmente sarà ancora sotto la vostra tutela, provvederò affinchè rimanga a Hogwarts quanto desideri, sotto la mia custodia. Spero che un giorno avremo occasione di conoscerci. Tom Orvoloson Riddle
ps: Se il vostro orrendo figlio osa ancora una volta insultare il mio fidanzato, volare a trecento metri dal suolo gonfiato come una mongolfiera vi apparirà un trattamento da centro benessere rispetto a quello che gli succederà.
pps: La presente non prevede risposta, e se ci fosse non mi disturberei a leggerla.
Quella fu davvero l'unica volta in cui Tom Riddle riuscì a procurarsi l'ammirazione smodata e l'appoggio incondizionato di Ron Weasley.
Però c'era stata anche quell'altra volta, in cui Theodore Nott aveva chiamato Harry mezzosangue in corridoio. Il passo di Tom si era arrestato, si era sbilanciato sul piede con cui avrebbe dovuto avanzare, era rimasto lì un secondo, come il piatto di una bilancia prima di cedere ad un verdetto. I suoi occhi avevano sembrato assumere una vitalità diversa, più liquida. Dalla parte superiore a quella inferiore del suo volto c'era stato qualcosa, come un fremito istantaneo, impercettibile. Non aveva niente a che vedere con la rabbia.
«Ripeti un po' più forte» aveva mormorato, ancora con la sua voce suadente da Prefetto. «Non ho sentito bene.»
Nott aveva atteso svogliato che gli fossero sottratti punti, almeno finchè Tom non si era mosso verso di lui. Harry era rimasto indietro, angustiato. In corridoio s'era addensata una folla di spettatori che aspettavano, o speravano, di assistere a qualcosa di impressionante.
«Avanti, non essere timido.» Tom aveva estratto la bacchetta, la puntava alla gola della vittima. «Vediamo quanto è pulito il tuo sangue, il tuo bel sangue puro...»
La cosa che a Harry fece più male era che probabilmente il suo fidanzato aspettava da tempo un pretesto di questo tipo.
«Tom, ti prego.» Credeva che non l'avrebbe ascoltato, che avrebbe dovuto gridare ed aggrapparsi alla sua veste. Non dovette. Tom ripose la bacchetta.
«Sei fortunato Nott. Il mezzosangue adesso salva il tuo bel sangue pulito. Sei contento? Ringrazia
Mi ama, pensò Harry. Mi ama da morire. Però era lui che si sentiva morire ogni tanto.





10.
Quel giorno era felice per tutti, perchè si era messo a nevicare e Hogwarts dava sempre il suo meglio quando c'era la neve.
Come ogni mattina Harry sbirciò al tavolo dei Serpeverde, oltre la testa nivea di Malfoy e quella oblunga di Flitt, lo vide come doveva apparire agli altri, a chiunque. Tom era silenzioso, teneva lo sguardo fisso sul piatto mentre sbonconcellava una medeleine. Odiava non poter mai fare colazione con lui, così come non poter pranzare e cenare insieme. Ron e Hermione invece ne approfittavano per averlo un po' per loro, perchè erano dell'opinione che il loro migliore amico li stesse trascurando. Harry lo scrutò alla ricerca di indizi, fessure sulla maschera che gli mostrassero come stava sotto il tizio a cui piaceva torturare la gente. Quell'anno aveva i GUFO, studiava come un ossesso, si riduceva solo a pelle e sonno, occhiaie come ferite d'arma da taglio, doveva essere questo a proccuparlo, sembrava portare un lutto furibondo per ogni pagina che gli mancava di ogni libro al mondo. Voleva conoscere tutto, e tutto lo scansava, gli restava solo qualcosa. Trascorreva molte ore senza che Harry sapesse dove fosse, cosa facesse, spariva e ricompariva a piacimento, sempre più sfinito ma a regola d'arte come al solito. A volte si chiedeva se ad amarlo fosse la maschera o il tizio sotto. A volte pensava che stava andando fuori di testa anche lui insieme a Tom. All'uscita, mentre gli alunni sciamavano verso la porta, vide un Serpeverde parlare con il suo fidanzato.
«Ho promesso a Potter che saremmo andati a Hogsmeade oggi» udì Tom tagliare corto, con compassata neutralità. Harry si stupì. Era vero, glie l'aveva chiesto, ma lui aveva dato risposte evasive e poco entusiaste. Dopotutto doveva studiare, non aveva tempo per le stronzate, per le romanticherie di facciata. Di certo Tom non era il tipo che accorreva da Mielandia a dilapidare il patrimonio del portafoglio in dolci. Harry temette che si trattasse solo di una scusa per liberarsi del tipo Serpeverde. Eppure, alle tre, Tom Riddle lo aspettava ai cancelli di Hogwarts, con indosso un lanoso cappotto nero e la sua sciarpa, che lo nascondeva fino al mento. Si videro mentre Harry scendeva le scale. Si chiese per quale pazzesco colpo di fortuna fosse riuscito ad aggiudicarsi l'essere meraviglioso che espirava in soffi di condensa quella piccola attesa, che la neve imbrinava come se appartenesse all'inverno, e si chiese per quale disegno divino Tom Riddle fosse stato indotto a credere che Harry Potter la valesse.
«Non hai mai voluto venire a Hogsmeade con me» indagò, mentre il fidanzato lo prendeva sottobraccio. I loro passi smuovevano la neve primigenia dal sentiero sterrato, riportavano a galla terra e aghi di pino, il cielo pulsando nella nebbia si scollava di dosso quelle cucchiaiate sode, Harry la sentiva scaldarsi nell'orecchio, sotto il colletto, diventare piacevole.
«Siamo diretti da Mondomago» annunciò Tom, indecrittabile.
«E perchè?»
«Porto a riparare questo.» Il peso rotondo nella tasca del cappotto si rivelò essere un orologio che in teoria avrebbe dovuto riconoscere verità e menzogna in base a ciò che diceva chi lo tenesse in mano, questo era il prodigio che Sinister aveva decantato nel venderglielo, con tanto di tacche intermedie tra i due poli assoluti. Ma Harry era sempre stato dubbioso dei suoi responsi, soprattutto dopo che aveva decreto che il suo cognome era effettivamente Potter solo al sessantacinque percento di verità.
«Mi stai dicendo che il miglior studente di Hogwarts non sa ripararsi un orologio da solo?» lo canzonò. Adorava stuzzicare il suo orgoglio, era l'unico modo per farlo sembrare un po' un essere umano. Venne freddato dalla più discriminante delle occhiate alla Riddle.
«Non è un orologio qualsiasi, Potter. È un oggetto incantato» gli rammentò pazientemente. «Gli oggetti incantati sono sempre difficili da gestire... Contengono una certa quantità di magia che è impossibile da manipolare per ogni mago, persino per il creatore dell'oggetto stesso.»
Fatto sta che erano andati da Mondomago. Il commesso era un vecchio dall'aria tediata che quando entrarono li guardò come se fossero Avvincini particolarmente brutti. Poco ci mancò che strappasse di mano quell'affare a Tom, per poi rigirarlo fra le dita tozze. Individuò immediatamente delle scheggiature su un lato.
«Che gli è successo?» sbraitò.
Tom esitò prima di parlare, ma non ci fu traccia di timidezza nel confessare l'accaduto. «Ho tentato... di aprirlo.»
«Aprirlo» ripetè il vecchio mago, in tono così pregno di disgusto e disprezzo che Harry non capì come Tom riuscisse a mantenere sempre quell'espressione altera ed impunita.
«Già. Bizzarra presa d'iniziativa, lo ammetto.»
Il commesso sbuffò esasperato. «Cosa diavolo pensavi di trovarci dentro, ragazzo, una Cioccorana?!»
Harry dovette trattenere un ghigno. Tom inarcò un sopracciglio.
«Può ripararlo?»
«Certo che posso.»
«Era tutto quello che mi interessava sapere.» Poi girò i tacchi e uscirono dal negozio, con l'impegno di passare a ritirarlo il sabato successivo.
Quello strano episodio ne riportò alla mente di Harry un altro. Lui aveva studiato i Mollicci pochi giorni prima. Aveva poi sentito dire che la fu lezione sui Mollicci di Tom Riddle, terzo anno, era spaventosamente famosa. Con un secondo d'anticipo, Tom aveva capito cosa avrebbe visto in quel mostro informe ed era impallidito come un lenzuolo. Non aveva pensato proprio nulla di ridicolo. Aveva mosso la bacchetta e gridato formule straniere, dimenticate da qualsiasi libro dato ancora alle stampe in Inghilterra. Fiamme nere erano eruttate dal pavimento, avvincendo il Molliccio e polverizzandolo, per poi dileguarsi altrettanto rapidamente. Era così che Tom Riddle aveva affrontato la paura della morte, tentando di ucciderla. Harry pensò di chiedergli di quella volta, di costringerlo a raccontare, di prenderlo per le spalle e permettergli tutta l'onestà che rifiutava al mondo.
«E adesso andiamo a berci una Burrobirra» concludeva Tom, stringendolo a sè. I suoi lineamenti si erano rilasciati dall'abituale tensione, come se finalmente si concedesse una sosta da un viaggio pieno di fatica.
Sarebbe stato così stupido rovinare un bel pomeriggio insieme per un motivo così futile.
Harry approfittò di questa inconsueta positività, gli mise un braccio attorno alla vita, lo portò a bere, fece il fidanzato. Scelse di ignorare ancora.





11.
Lo aveva trovato in mezzo alla solita calca di Serpeverde speranzosa di un suo cenno affabile, mentre lui continuava irremovibile a leggere. Harry si fece largo a suon di gomitate intercostali. Quando uscì da quel pandemonio gli era rimasto in bocca solo il fiato per dire: «Vuoi venire al ballo con me?»
Tom Riddle aveva soppesato le sue emozioni con quelle pupille da rettile, quel viso bello e senza romanticismo, quelle labbra rigide come la rilegatura di un libro poco sfogliato.
«Certamente, Harry Potter.» Era compiaciuto. «In realtà, mi sentivo già un po' autoinvitato, ma così va molto meglio.»
Harry sorrise. Stavano insieme da due anni. Avevano trascorso l'estate a Hogwarts -era incredibile quanta influenza potesse avere Tom su qualunque regola vigente, lui era un'eccezione da ogni punto di vista per tutti. E così andava molto meglio. Credo che sia un po' contro la tradizione del Ballo del Ceppo, aveva opposto debolmente Seamus Finnigan. La tradizione si adeguerà, aveva risposto Harry.
E quindi la sera di Natale si era ritrovato con mezzo litro di punch nello stomaco, un papillon fastidioso al collo e una specie di Fred Astaire fra le braccia.
«Non sapevo che fossi così bravo a ballare» ringhiò, all'idea di come dovevano apparire da fuori, l'uno che sembrava uscito dall'Opèra national de Paris e l'altro che ondeggiava legnoso in un paio di scarpe di vernice.
Tom gli fece fare una giravolta sotto il proprio braccio, con una smorfia gongolante. «Non dimenticare che io sono nato imparato.»
«Ah, adesso si spiegano tante cose» brontolò Harry. Si permise di rivolgere un'occhiata ampia e circolare alla sala. Hermione ridacchiava per qualcosa che Viktor Krum, campione di Durmstrang, le aveva detto. Ron sbuffava in faccia a Padma Patil, rifiutandosi categoricamente di ballare, e quando notò lo sguardo di Harry sollevò entrambi i pollici tirando un sorriso malcerto. Un gruppo di ragazze di Serpeverde lo fissava come se avesse reso orfane tutte quante, sospirando con desiderio in direzione di Tom. Malfoy malignava in compagnia di Pansy Parkinson, e Ginny e Neville avevano un'aria decisamente imbarazzata. Fleur Delacour si era accaparrata il capitano della squadra di Quidditch di Corvonero, e la sproporzione nella grazia dei loro movimenti era più o meno la stessa che c'era fra Harry e Tom.
«Se avessi messo il tuo nome nel calice e fosse uscito, avresti vinto di sicuro» riflettè Harry, tornando a concentrarsi sul suo partner di ballo, che cominciava ad annoiarsi.
«È solo un gioco» ribadì Tom. «I giochi non mi interessano. Non sarà per il Torneo Tremaghi che verrò ricordato, posso assicurartelo.»
Il fidanzato non stentava a crederci. «Guarda che non c'è niente di male ad ammettere che avevi fifa» lo canzonò.
«Io sono nato imparato e sprezzante del pericolo, Potter.»
Tom lo baciò, mentre il brulichio della sala risucchiava il suono della musica e nella sua testa rimaneva solo l'ovatta di quell'inverno bucolico, sul suo palato c'era lo stesso sapore del ghiaccio sulle pareti lì intorno. I baci di Tom non erano mai bagnati, la sua saliva era un filo di sabbia. Quando si scostò, Harry vide Cedric Diggory avvicinarsi e lo salutò con un cenno, ricambiato.
«Ciao, Diggory» salutò Tom, mellifluo. «Volevo complimentarmi per la tua performance l'altro giorno, a Trasfigurazione.»
«... grazie» ribattè lui, impallidendo nel sentirlo proferirgli parola, manifestamente inquieto. Poi tirò dritto in gran fretta, accampando una scusa vacillante.
«Avresti potuto strappargli la vittoria dalle mani in quattro e quattr'otto» obiettò Harry, del tutto certo che il suo fidanzato valesse il quadruplo di Diggory in qualunque materia, Trasfigurazione compresa. Tom era divertito.
«E avrei fatto male. La gloria del ruolo di Campione di Hogwarts gli dona così tanto. Perchè rovinargli il diletto?»
Anche Harry rise. Cedric non gli stava affatto simpatico. Cercò di ricordare chi fosse la sua accompagnatrice al ballo, ma si trattava di una ragazza cinese di cui non conosceva il nome.




12.
Poi a Harry venne in mente che forse Cedric, essendo un Prefetto, ce l'avesse con loro per la storia del bagno. Il bagno dei Prefetti, cioè. Che adesso era diventato il bagno di Riddle e Potter. Poichè, oltre al periodo invernale, pasquale ed estivo delle vacanze, era l'unico territorio neutrale dove azzardare a toccarsi senza scatenare scompiglio e attacchi di voyeurismo selvaggio, se ne erano appropriati. Tom aveva affatturato il gargoyle affinchè non aprisse a nessuno mentre loro erano all'interno, cosa poco legale, ma nulla che Tom Riddle non potesse permettersi, e meglio non lamentarsene con i professori, a meno che tu non volessi essere messo nella condizione di raccogliere i tuoi arti disseminati nel fondale del Lago Nero con la mascella. Harry gli aveva chiesto come faceva la magia ad obbedirgli in quel modo, e Tom gli aveva risposto con gli occhi che brillavano, è il midollo delle mie ossa, Potter, è stata la magia la causa della mia nascita, è un po' come se fosse stata mia madre stessa. Beh, meglio avere come madre la magia che una maga disgraziata, povera in canna, brutta come un avvoltoio che muore tre ore dopo la tua nascita.
Era stato nel bagno dei Prefetti la prima volta, come tante altre dopo quella. Harry sapeva benissimo di essere un po' giovane, non glie n'era fregato niente, voleva dimostrargli qualcosa e allo stesso tempo aggiudicarsi una prospettiva di lui che nessuno conosceva. Voleva strappargli pezzi, staccare con le unghie quell'intelligenza che si portava anche nel cuore, rubare ciò che Tom non era disposto a offrirgli. Le mezze misure erano per gli altri. Se Harry non si fosse murato vivo dentro di lui, non sarebbe mai riuscito a entrarci.
Era stato carne che slargava carne, muscolo che slabbrava leziosaggini, un'algia materialistica e sintomatica dell'ideale realista di Tom. Ma in verità era stato semplicemente afferrare l'orlo di marmo della vasca finchè le nocche non assumevano lo stesso albore, respirare nell'acqua ed inasprirsi le narici, il palato, tumefarsi di esultanza e posare il peso delle tempie sul petto bagnato di Tom, con tutte quelle piccole gocce, che saliva e scendeva cambiando ossigeno, e rendersi conto pian piano che quella dolenza cinica l'aveva fatto felice. Ogni articolazione del corpo protestava, le braccia allungate troppo a lungo, le gambe che non le sentiva e forse era meglio così, il collo storto, e Harry era stato piccolo e devoto mentre Tom lo massaggiava con perizia, lo ricopriva di sapone, lo leccava dappertutto.
Perchè affaticarsi a indagare altro, quando ciò che gli stava ad un palmo dal naso era così esauriente? Il suo fidanzato era il mago più capace del suo tempo. Aveva una carriera fulgida bell'e pronta. Facevano sesso regolarmente. Si amavano per un attaccamento più che per un affetto, un sentimento che non era quello delle fiabe, ma che li teneva ancora insieme insieme dopo due anni, poi tre. Poteva bastare. Avrebbe potuto non esserci altro. Non sembrava nemmeno che ci fosse lo spazio, per altro.





13.
Harry si scostò, imbarazzato, per permettere a Sirius di squadrare l'avvenente ragazzo che lo superava di tutta la testa.
«Lui è Tom. Il mio... beh, lo sai.»
Lui presentò la versione più recente ed efficace dei suoi migliori sorrisi-convincenti-per-adulti-deficienti. «È un piacere conoscerla, signor Black. Harry mi ha parlato molto di lei.»
Per esempio, del fatto che per anni era stato creduto un Mago Oscuro e non aveva potuto mettere piede in Inghilterra. Ma Sirius -forse perchè era stato creduto un Mago Oscuro?- non era un deficiente. Sapeva riconoscere l'ambizione quando la vedeva, e avrebbe dovuto mancargli parecchie diottrie per non riconoscerla in Tom Riddle. Sentiva la puzza di magia nera da metri di distanza. Non era l'unica occasione in cui fu messo a disagio. Titubò di fronte a quel ragazzo che sapeva individuare le posate giuste per mangiare il pesce, che pronunciava le parole come se recitasse atti di farse già trascorse, che con uno sguardo riusciva a zittire tutti i quadri dei suoi antenati a Grimmauld Place.
«Harry merita di essere felice» disse Sirius.
«Conveniamo entrambi su questo.»
«Lo sarà?»
«Me lo auguro.»
«Non fare scherzi, Riddle.»
Quel lungo sorriso. «Io non scherzo mai.»
O cerchi la verità, o la verità ti viene a cercare. E l'indirizzo a cui andò a bussare fu Dormitorio di Serpeverde, Hogwarts, Inghilterra, con data 1995.






14.
A Harry veniva da vomitare. Tom non lo sentì nemmeno entrare, tanto era calato nell'avida lettura di un tomo di impressionanti dimensioni. Il Grifondoro gli marciò contro e strappò il libro dalle sue mani, sbattendolo per chiuderlo e leggere il titolo. Si levò un alito di polvere verdastra. Segreti dell'Arte più Oscura. Montò la rabbia.
«Sei stato tu.»
Tom comprese l'accusa al volo.
«Ieri sera io ero nel bagno dei Prefetti, e tu lo sai meglio di chiunque altro, dico bene?» Ma non cercava di giustificarsi, era stato colto con le mani nel sacco, lo stava solo punzecchiando, sdrammatizzava.
L'esclamazione di Harry che seguì, infatti, non fu nemmeno più un'accusa, non serviva più a niente accusarlo. Era più una realizzazione, uno sbigottimento.
«Hai maledetto Malfoy affinchè lo facesse al posto tuo!» Quasi sperava che un'altra sensata eventualità cadesse dal soffitto.
«Non essere sciocco, Harry Potter. Malfoy l'ha sottratto illegalmente dalla biblioteca e poi me l'ha prestato.»
«Almeno non ridere, idiota!» Era stata Hermione a raccontargli di come, nascosta dietro uno scaffale, aveva visto Malfoy entrare nella sezione proibita della biblioteca e uscirne con il libro. Peccato che con le sue non eccelse capacità non sarebbe mai stato capace di eludere la sorveglianza, senza un burattinaio, e che la refurtiva fosse poi misteriosamente scomparsa dalle mani del ladro. «Avrebbero potuto beccarlo, avrebbero potuto espellerlo!»
Tom smise di ridere. Un'ombra di stizza gli scurì gli occhi, creò un triangolo tra bocca e zigomi. «E chi se ne importa.»
«Io me ne importo» sbottò Harry. Malfoy non gli era mai stato nemmeno lontanamente simpatico, ma ciò non toglieva che aveva subito un'ingiustizia. Da parte del suo fidanzato.
«Allora vattene da Malfoy, se sei così in pena per lui.» La voce di Tom si era affossata in un cratere. Gli sottrasse il volume a sua volta, riaprendolo alla pagina di prima. Lo poggiò sul tavolo e si girò a leggere. La maschera si stava riempendo di crepe, Harry quasi quasi voleva dire sorridi per me, Tom, recita quelle fandonie per me, erano così belle che forse era di quelle che mi sono innamorato.
«Tom» biascicò invece «Guardami.»
Tom non lo guardò. «Dici di amarmi, ma non approvi nemmeno una delle cose che faccio.»
Harry tacque. Le punizioni nei corridoi, il raggiro dei professori per poi aizzarli contro gli studenti che denunciavano i suoi eccessi, le scope maledette per far vincere al Grifondoro le partite di Quidditch. Grandi cose, piccole cose. Cose.
«Ti amo da impazzire, ma non sono ancora così pazzo da approvare le cose che fai.» Non c'era scampo dalla propria opinione. Tom emise un verso denigratorio.
«Una dicotomia di sentimenti caritevolmente patetica da parte tua.»
Harry sentì i polmoni come spugne gravide di pus di Bubotubero.
«Non capisci che è proprio questo... amarti e non potermi fidare di te...» La verità lo scisse, un'algia materialistica, di quelle che piacevano a lui, «che è per questo che soffro, Tom?»
Tom non si voltò. Sapeva già cosa avrebbe visto. Quei capelli più corti, che facevano la fronte più ampia, quel corpo allungato, quel volto di nuova durezza. Quell'Harry più adulto, meno devoto. Che voleva infilarlo in un reticolato di regole, parametri, preconcetti, la sua morale, la morale di Silente. La morale dei deboli.
Quell'Harry che soffriva ma non cedeva, non lo supplicava, non chiedeva scusa, non dimenticava, non si tappava gli occhi. Quell'Harry che aveva paura di guardare, ma guardava lo stesso.
Il ragazzo in cui aveva avuto la leggerezza di depositare qualche grammo d'anima era diventato un nemico, ma era troppo tardi per sventrarlo e riprendersela.
«Cosa devi farci con quella merda, Tom?»
In quel momento, era Tom che avrebbe voluto tapparsi le orecchie.





15.
Tom Riddle ci aveva provato per l'ultima volta nella Stanza delle Necessità. Sul tavolo, troneggiante come i trofei che anni prima strappava dalle tasche di bambini che se l'erano fatta sotto dalla paura, c'era l'anello di Orvoloson Gaunt. Di fianco, Segreti dell'Arte più oscura era spalancato come una ferita infetta.
«Guarda» sibilò. «Guarda, Harry Potter.»
Ma Harry non guardò le intenzioni di Tom, guardò lui. Il suo viso aveva qualcosa, una specie di esaltazione feroce, che mal si addiceva ai tratti lievi ed algidi della sua maschera, a quelle espressioni di cortese altezzosità.
«Io posso acquisire un potere che nemmeno immagini...» Sembrava che tirasse sassi in un fiume nella speranza di vederlo sanguinare. «Posso diventare qualcuno che il mondo dei maghi non ha mai visto prima d'ora.»
«Come Salazar Serpeverde?» L'anello dei Gaunt assomigliava a una bruciatura di sigaretta su una tovaglia, un buco nero e irregolare, sgraziato, che non aveva modo di motivare la propria brutta esistenza.
«Meglio ancora.»
Tom rise. Harry pensò che non l'aveva mai visto ridere in quel modo, che non aveva mai visto nessuno farlo. Si chiese cosa avesse sbagliato.
«E io che ruolo gioco nei tuoi piani di grandezza?» Aveva smesso da un pezzo di avere paura per sè, ma la paura per Tom Riddle era un cancro affamato, consumava materia grigia, beveva sangue. Le notti le piovevano via le lacrime, lo stillicidio del silenzio che non poteva parlare, l'illusione che non poteva tornare.
Tom trovò la domanda futile, gli toccò una guancia. «Tu... starai con me, ovviamente. Non c'è posto in cui tu debba stare che non sia il mio fianco» ribadì. «L'hai dimenticato?»
La vasca calda del bagno dei Prefetti, la schiuma calda, la neve calda di Hosmeade che entra sotto i vestiti e la si ritrova quando ci si spoglia. Hai dimenticato? Bastardo.
«E tu invece, cos'hai dimenticato?» Perchè non urlava? Perchè non gli tirava un pugno? Riusciva solo a fissarlo con quegli occhi soli.
«Tu non capisci appieno, Harry. Possiamo essere io e te. Io e te, in questo, insieme.» Tom sorrideva, perchè sul serio supponeva che lui fosse un po' lento. Gli prese le mani, le mise nelle proprie, quella comunione di ieri a cui si appellava oggi. La voce era quella della maschera, del Prefetto, dell'incantatore di serpenti. «Per sempre. Nessuno ci fermerà.»
Con Tom Riddle o eri dentro o eri fuori -piuttosto facile da capire, persino per un lento come lui- e Harry due anni prima aveva deciso di murarcisi vivo. Come poteva crederlo, Tom Riddle?
«Magari qualcuno avesse il potere di fermarti. Io evidentemente non ce l'ho.»
Il suo fidanzato incupì di nuovo. La volubilità rendeva la gioia meno autentica e la malinconia una tosse cronica. La maschera sfarfallava come una lampadina malandata.
«Non ti fidi?»
Come poteva credere che Harry potesse dimenticare? Arrivò la rabbia che Harry attendeva, con le mani abbandonate in quelle del ragazzo che gli aveva tolto la verginità, e di cui non si fidava più.
«Tu saresti disposto a toccarmi con mani sporche del sangue della gente che hai ucciso?»
L'ira riportò l'esaltazione, il tizio a cui piaceva la tortura, quello che avrebbe aperto Theodore Nott in due in quel corridoio due anni prima, per scoprire quanto era pulito il suo sangue.
«L'ho già fatto, Harry Potter. Li ho ammazzati tutti. Questa notte.» Harry non reagì. «Quel dannato babbano che ha sposato mia madre -una strega che discendeva da Serpeverde- e poi l'ha abbandonata incinta su una strada. E i due babbani che dovrei definire miei nonni. Così l'hanno smessa di sguazzare nella loro putrida e inutile agiatezza, in cui si beavano mentre io marcivo in orfanotrofio.» Iniziarono le risate. «Dovevi sentirlo, quel vecchio obeso nella sua vestaglia ricamata d'oro. Posso darti dei soldi, fare di te un uomo ricco. Un uomo ricco!» Risate.
Harry abbassò la testa. La rialzò. Disse: «Non è questa la persona di cui voglio fidarmi. Con cui voglio condividere il mio futuro.»
Le risate di Tom la tirarono per le lunghe. Singhiozzarono nel petto sotto la divisa impeccabile, come scintille di braci che becchettano gradatamente la cenere. Finirono dopo due minuti buoni.
Sotto la cenere, un risucchio roco della gola. «Perchè odi così tanto la parte di me di cui vado più fiero?»
Come poteva credere che Harry potesse ignorare? Quanto bene, quanto male gli aveva fatto. Quanto di lui c'era stato nella vita di Harry. Quell'eccedenza che ora lo schiacciava, lo comprimeva, lo defraudava dei suoi giorni. Non c'era più niente di cui andare fiero lì, solo un tizio che amava torturare e che andava amato ancora una volta.
«Se pensi che quella sia la parte migliore di te,» disse Harry, «non ti conosci affatto come ti conosco io, Tom.»
Riddle tacque. Il suo copione scadeva, il cerone colava, e Riddle si ritrovò con gli stessi occhi soli del suo fidanzato.
«Ti amo, Harry, e tu lo sai. Non puoi dubitare di questo» proferì con gravità. Nemmeno lui stesso poteva dubitare. Aveva guardato nello Specchio delle Brame. Harry l'aveva salutato e aveva sorriso dalla lastra in cui, fino a poco prima, Tom Riddle stesso era solo e aveva tanto spazio per la dominazione del mondo magico. Così era stato predetto. Non poteva dubitare di averlo per sè.
Harry avrebbe anche potuto crederci, ma ormai vedeva i cadaveri, i Babbani morti.
«Se fosse così, non avresti bisogno di mandare in pezzi la tua anima e rinchiuderla in un anello.»
Pausa.
«Intendi dirlo a qualcuno?»
«Intendo fare tutto quello che è in mio potere per salvarti. E se questo implica dirlo a qualcuno, se questo implica perdere il tuo affetto, lo farò lo stesso. Nel momento in cui mi impedisci di pensare a noi, io penso solo a te.»
Pausa.
«Sarebbe un grave tradimento.»
Chi poteva tradire ha già tradito, amore mio, pensò Harry, ci hai traditi e rovinati.
«E tu un domani mi ringrazierai. Lasciati aiutare, Tom. Silente può farlo. Io voglio farlo. Aiutati, Tom... aiutami.» L'ultima supplica dell'Harry di ieri, quello piccolo e devoto. L'ultima utopia dell'Harry di oggi.
Il sasso cadde nel fiume, e non uscì nemmeno una goccia di sangue. Tom Riddle lo fissò come se non avesse parlato. Harry fece cadere le braccia suoi fianchi, esausto.
«Avanti, alza quella bacchetta e togli l'ostacolo dal tuo cammino. Non intendo renderti le cose facili. Per andare avanti in questa missione suicida dovrai farmi fuori come hai fatto con tuo padre.» Voleva raschiarlo, fargli male, tagliare corde che non si decidevano a smuoversi. «Se passi questo limite, non si potrà tornare indietro. Non è quello che vuoi, forse?»
Tom Riddle, lo studente perfetto, estrasse dal mantello una bacchetta, tasso, tredici pollici e mezzo, piuma di fenice. L'aveva reso felice. Erano gli occhi della maschera ad essere smaltati di lacrime?
«Harry. Non costringermi...» Non Harry Potter, nè Potter, solo Harry.
Tom Riddle aveva guardato in quello specchio, da cui Harry gli aveva sorriso, ammiccato, rivelandogli di essere la cosa che lui più desiderava al mondo.
Era stato tentato di romperlo, fracassare quel responso.
«Ti amo troppo per permetterti di sbagliare» disse Harry, «perciò fai in fretta, o non ti libererai di me per tutta la vita.»
«Harry...»
«Vado a chiamare Silente.»
«Stupeficium -Aresto momentum!»
Tom Riddle fece adagiare Harry sul tavolo con estrema delicatezza. La mano gli tremeva un po'. Gli scostò qualche ciuffo di capelli corvini e sudati, puntò la bacchetta alla sua tempia.
«Oblivion» bisbigliò. «Tu non ricordi di avermi minacciato di consegnarmi a Silente. Non ricordi di avermi disprezzato, nè il motivo. Non ti ho mai confessato di essere un assassino, nè di voler creare degli Horcrux e di voler diventare insieme a te il dominatore del mondo dei maghi. Non ti ho mai chiamato in questa stanza. Non hai mai avuto dubbi sulla mia condotta. Non mi hai mai sorpreso a praticare Maledizioni senza perdono contro gli studenti. Tu mi ami, Harry Potter. Questo non lo dimenticare.»
Quando la luce verde acido si spense, Tom gli diede un bacio su quella fronte riassestata. Lo prese in braccio e lo portò al suo dormitorio; ormai la Signora Grassa non esitava a sgarrare per lui. Alle facce confuse dei compagni, il ragazzo spiegò che Harry si era addormentato in biblioteca, tutti sorrisero con aria comprensiva. Lo portò sul suo letto.
«Reinnerva» fiatò pianissimo. Le palpebre del suo fidanzato, dopo aver sbattuto come falene sfinite, si ritrassero per denudare le iridi arrossate.
«Buongiorno» sbadigliò, quando mise a fuoco il viso di Tom.
«Buonasera, vorrai dire» lo blandì lui con indulgenza. «Sono le nove. Hai fame?»
Harry cercò di sollevarsi dal cuscino, ma poi non gli parve più una buona idea.
«No... Solo un mal di testa da morire. Che mi è successo?»
Tom accompagnò la menzogna con una carezza. «I compiti di Astronomia dovevano essere particolarmente noiosi. Madama Pince era furibonda. Ti ho lasciato i libri sulla sedia.»
«Grazie» farfugliò Harry. Nel vederlo alzarsi, però, «dammi un bacio» aggiunse.
Lo fece. Glie ne diede uno lungo sulla bocca e un altro sulla fronte. «Ti amo.»
«Anch'io.»
«Scendo a procurarti almeno un succo di zucca.»
«Benone.»
Tom si fermò per un istante alla soglia. Un piccolo specchio era appeso alla parete. Benchè non fosse farcito nemmeno di un briciolo di magia, in quel momento rifletteva il profilo coricato di Harry e lui stesso. A sovrapporsi ai suoi furono gli occhi di Merope Gaunt, due solchi d'inedia, la disperazione codarda e inevitabile dei deboli, ma non si fermò abbastanza a lungo per notarlo. Dopotutto la profezia l'aveva detto. Nessuno dei due può vivere se l'altro muore. E Tom Riddle aveva intenzione di andarsene in giro ancora per un bel po'.






























Note dell'Autrice: Un fandom in cui mi hanno riportata i film di Italia 1 e in cui non tornavo da quando scrivevo senza maiuscole. Ci tenevo a portare un weirdo ship. Un sito in cui non posto da sei mesi. Ho detto tutto.
Grazie per avere letto, chiunque volesse recensire :-*
Lucy
  
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