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Autore: chiaretta78    10/06/2015    1 recensioni
1985, Los Angeles. Proprio mentre i Guns cercano di farsi notare dall'ambiente discografico, Duff conosce Lene, una pittrice allergica alle relazioni stabili, e subito non gli sembra vero di aver trovato una donna così bella e disponibile che non vuole altro da lui se non divertirsi e sballarsi insieme. Ma le cose cambieranno presto tra loro, complicando ad entrambi la vita notevolmente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Duff McKagan, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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16.01.87 Ciao a tutte quelle che ancora leggono questo delirio!
Scusatemi tantissimo, lo so che è passato un secolo dall'ultimo capitolo, ma è davvero un periodo assurdo!
Adesso dovrei avere un po' più di tempo libero e spero quindi di postare con una frequenza umana.
Vi lascio con un capitolo importante, intenso, in cui le cose prendono una svolta definitiva, penso non inattesa.
Se qualcuna ha tempo, lasciatemi due righe, ok?
Grazie comunque anche a tutte quelle che leggono silenziosamente =)
Buona lettura!

16 marzo '87 LA

Lene chiuse la zip della sacca che le faceva da valigia e si guardò intorno, cercando di controllare di non aver dimenticato nulla.
Ogni volta che doveva partire per qualche viaggio si ripeteva che avrebbe dovuto imparare da sua mamma e fare una bella lista per non dimenticare nulla, e ogni sacrosanta volta non lo faceva, riducendosi a partire con mille dubbi e dimenticando come minimo un paio di cose.
Quella volta non sarebbe stata via a lungo, solo qualche giorno e sinceramente non aveva molto da portarsi dietro, perciò fece un bel sospiro, prese la sacca e uscì di casa, cercando di rasserenarsi pensando che i documenti e il portafogli comunque li aveva e con quelli avrebbe risolto qualunque problema.
Il taxi davanti a casa la stava già aspettando evidentemente da un po', visto che l'autista era addirittura sceso dal veicolo e si stava godendo una bella sigaretta in pace.
Lene gli sorrise e lui spense subito la cicca per terra, prendendo la sacca della ragazza e mettendola nel portabagagli.
"Mi porta all'aeroporto, per favore?"
L'uomo le fece un cenno d'assenso.
"Certo! Salga."
Lungo la strada Lene cercò mentalmente di fare il punto della situazione.
Quella partenza era stata una decisione presa all'ultimo minuto, d'istinto, senza sentire il parere di nessuno e senza farne parola con anima viva.
Duff era in tour sull'altra costa da una decina di giorni, promuovendo l'EP che era uscito a dicembre e dopo l'ennesima telefonata dove a stento era riuscita a decifrare alcune delle parole che il ragazzo le aveva detto, aveva deciso che era il caso di raggiungerlo e cercare di capire quanto fosse brutta la situazione.
Sinceramente, ormai si aspettava il peggio.
I mesi che avevano portato all'uscita dell'Ep erano stati una discesa precipitosa verso l'abisso per loro due, nonostante l'amore che provavano l'uno per l'altro fosse ancora intenso e ben presente.
Dopo lo spavento di qualche mese prima, quando Duff era sparito per ore e ore senza che nessuno sapesse che fine aveva fatto, Lene aveva avuto la riprova che i suoi sentimenti per lui non erano cambiati, nonostante le difficoltà.
Lo amava e lo faceva con tutta se stessa, anima e corpo.
E lui l'amava altrettanto, senza riserve, senza dubbi.
Quel giorno, quand'era finalmente tornato a casa, le aveva chiesto scusa per tutto, per le nottate passate da sola mentre lui si divertiva con gli amici, per le scenate di gelosia fatte sotto gli effetti dell'alcool, per quell'ultima pesantissima crisi d'astinenza che l'aveva portato quasi ad aggredirla come un pazzo.
Le aveva promesso che ci avrebbe dato un taglio con quella roba, che sarebbe migliorato, che l'avrebbe fatto per lei, per loro...
Ma nei mesi successivi gli eccessi del ragazzo erano rimasti invariati se non addirittura peggiorati e da parecchie settimane lei e Duff non si vedevano quasi più, lui perso nella musica, nell'alcool e nella cocaina e lei sempre più stanca, ormai, di inseguirlo ogni giorno per cercare di stare con lui almeno qualche minuto.
Una parte di lei voleva ancora lottare per loro, per quell'amore che sentiva ancora dentro di sé, per quel ragazzo che sapeva essere così diverso dall'uomo che ogni tanto ritrovava svenuto nel suo letto o sul divano.
Un'altra parte, però, le ripeteva sempre più spesso che non poteva lottare da sola, che ormai Duff era precipitato in un baratro da cui non sarebbe riuscita a tirarlo fuori senza la sua collaborazione e da cui sapeva benissimo che non voleva affatto uscire. Non per il momento, per lo meno.
Il taxi si fermò all'aeroporto e Lene scese, il cuore pesante e la mente piena di pensieri.
Non aveva detto a Duff che l'avrebbe raggiunto e sperava davvero che lui sarebbe stato contento di quella sorpresa e che magari passare un po' di giorni insieme li avrebbe aiutati a tornare a quello che erano non molti mesi prima.
Entrò nell'aeroporto e si diresse al check in, la fiammella della speranza ancora accesa nel suo cuore.

Cinque ore più tardi, ormai a  New York, Lene scese dal taxi e ringraziò l'autista che la stava aiutando con la sua sacca.
Guardò l'hotel e non poté fare a meno di pensare che solo un anno prima i ragazzi mai avrebbero potuto permettersi una camera in un qualsiasi hotel, figuriamoci un quattro stelle come quello.
Entrò dentro e si avviò alla reception, attirando l'attenzione del ragazzo che vi lavorava con un colpetto di tosse.
"Mi scusi, la camera di Michael McKagan?"
Il ragazzo riconobbe immediatamente il nome e la persona a cui corrispondeva, Lene lo capì dal lieve incresparsi delle sue sopracciglia.
"Lei è...?"
"Magdalene Garcia Johnson"
Lene lo osservò mentre con sguardo attendo scorreva una lista di nomi alla ricerca del suo, fermandosi più o meno a metà.
"Benvenuta signorina Johnson. Le lascio la chiave di riserva come da indicazioni del Signor McKagan. Stanza 405, quarto piano, corridoio di destra."
Lene gli sorrise e annuì, prese in mano la chiave che l'uomo le stava porgendo e si avviò verso l'ascensore.
Il cuore le batteva incredibilmente veloce, dandole una sensazione strana.
Era agitata, lo era già prima di lasciare Los Angeles, perché non era del tutto certa di cosa avrebbe trovato davanti a sé.
Duff ultimamente era sempre più fuori e alternava momenti di frenesia totale a momenti di depressione che annegava ovviamente nell'alcool e ora che si avvicinava alla camera 405, le chiavi che le tintinnavano in mano, Lene iniziava davvero a chiedersi in quale dei due stati l'avrebbe trovato, incerta su quale fosse la sua risposta preferita.
Si fermò davanti alla porta per qualche secondo, cercando di raccogliere le forze e darsi un po' di coraggio.
Era l'uomo che amava quello che si trovava dall'altra parte della porta, non un estraneo o un pazzo! In qualunque stato l'avesse trovato, si sarebbe presa cura di lui come aveva sempre fatto e una volta sobrio, avrebbe cercato di farlo stare tale il più a lungo possibile, tutto qui.
Lene soffiò via tutta l'aria che aveva nei polmoni, cercando di rilassarsi e poi inserì la chiave nella serratura e girò, spingendo la porta piano in modo da non svegliarlo nel caso fosse a letto.
Il salottino della camera era effettivamente al buio, le tende tirate come se fosse notte, ma Duff doveva essere sveglio perché sentiva dei rumori provenire dalla  camera da letto, anche se non riusciva a capire di che genere fossero.
Quasi sicuramente o stava vomitando o peggio ancora era praticamente incosciente e delirante.
Lene posò delicatamente a terra la sacca e si avviò verso la camera da letto, sospirando all'idea del quadretto che avrebbe trovato davanti ai suoi occhi.
Come mise piede in camera, però, Lene si bloccò di colpo, come se si fosse congelata sul posto, il cuore che pompava a mille e il cervello praticamente paralizzato.
Davanti a lei due ragazze bionde, completamente nude, si davano da fare con Duff come potevano, mentre il ragazzo, passivamente disteso sul letto, borbottava frasi senza senso mescolate a gemiti di piacere.
Una delle ragazze era inginocchiata tra le sue gambe e gli stava regalando un pompino da manuale, mentre l'altra gli era seduta praticamente in faccia e si lasciava esplorare con le mani e con la bocca ovunque lui volesse, producendo dei versi degni di un film porno di bassissima qualità.
All'ennesimo grido di piacere di quest'ultima, Lene sembrò riacquistare un po' di lucidità, sebbene il dolore che sentiva al petto e allo stomaco non le permettesse quasi di respirare.
"Duff..."
La voce le uscì flebile, ma sufficientemente forte da arrivare alle orecchie di una delle ragazze, che si girò per vedere a chi appartenesse quella voce.
L'espressione sul volto della donna passò da curiosa a scocciata non appena questa si rese conto che quell'inatteso ingresso avrebbe probabilmente messo fine al loro divertimento.
Si rigirò verso il ragazzo sotto di lei e con un'impressionante apatia nella voce richiamò la sua attenzione.
"Ehi... c'è una tipa là dietro che ti cerca..."
Duff ci mise un po' a incamerare quell'informazione, la mente troppo annebbiata sia dall'alcool sia dagli ormoni in subbuglio.
Si scostò dalla ragazza, sporse leggermente la testa di lato per vedere di cosa diavolo stesse parlando e subito non riuscì nemmeno a distinguere bene chi fosse quella figura in piedi sull'uscio della camera.
Strizzò gli occhi cercando di metterla a fuoco meglio e solo dopo qualche minuto il suo cervello sembrò risvegliarsi di colpo.
"Merda, Lene!!"
Paradossalmente il fatto che Duff finalmente l'avesse riconosciuta le fece ancora più male, forse perché le fece diventare tutto terribilmente  e tristemente reale.
Non riusciva a credere che fosse arrivato così tanto in basso da farle una cosa del genere, che avesse tradito la sua fiducia, il loro amore, tutto quello che avevano creato in quei lunghi mesi insieme.
Lene scosse il capo quasi incredula e profondamente delusa, le lacrime ormai copiose sul suo volto in un pianto silenzioso che rendeva la scena ancora più triste.
"Addio."
Riuscì a dire solo quello, con un filo di voce, il diaframma completamente schiacciato dal peso di quel dolore che le stava dilaniando l'anima.
Girò sui suoi tacchi, afferrò la sacca che aveva lasciato vicino alla porta e uscì senza dire una parola, ignorando le grida disperate che provenivano dalla camera da letto e la voce di Duff che urlava il suo nome invano.
S'infilò nell'ascensore come un automa, incapace di sentire alcun suono e di vedere alcunché, come anestetizzata da quello che aveva appena visto.
Uscì dall'albergo senza nemmeno notare lo sguardo stupito del ragazzo della reception e appena mise piede fuori, salì sul primo taxi disponibile, sempre in quella specie di stato di trance.
L'autista la guardò sospettoso, temendo probabilmente che fosse drogata o in preda a qualche  allucinazione, ma Lene sembrò ridestarsi per qualche istante e gli chiese di portarla all'aeroporto.
La macchina si mise in moto e Lene tornò in quello stato catatonico che non le permetteva neanche di pensare a quello che era successo, lo sguardo fisso fuori dal finestrino e la mano stretta come una morsa intorno alla tracolla della sacca.
Si accorse ad un certo punto che la macchina si era fermata e si girò verso l'autista che la guardava con un grosso punto interrogativo dipinto sul volto.
Notò la cifra che gli doveva lampeggiare sul display e sempre senza dire una parola, gli allungò i soldi che gli doveva e poi scese dal veicolo.
La mente iniziò a schiarirsi nel momento in cui mise piede nell'aeroporto. Doveva cercare di prendere un biglietto per il primo volo utile e sperare di trovarne uno che partisse di lì a poco, onde evitare di farsi trovare da Duff nella remota possibilità che lui andasse a cercarla.
Per la prima volta da quando lo conosceva, Lene sperò con tutta se stessa che il ragazzo fosse talmente pieno di roba da non avere la forza e la capacità di mettersi in piedi e ragionare a tal punto da intuire dove lei potesse essere.
Si mise in fila per comprare un biglietto e quando l'hostess le disse che forse riusciva ancora a prendere quello che sarebbe partito in meno di un'ora, si lasciò andare a un sospiro di sollievo.
Passò il check in girandosi di tanto in tanto onde verificare che Duff non fosse arrivato, cercò la sua porta d'imbarco e solo una volta sistemata sull'aereo, seduta dal lato del finestrino, si concesse di pensare, per quanto male potesse farle.
Duff l'aveva tradita e chissà quante altre volte l'aveva fatto prima di quella sera. Si sentiva stupida, ingenua e patetica ad aver creduto di poter essere la sua ancora di salvezza, in grado di riportarlo coi piedi per terra ogni volta che si lasciava andare alla deriva, l'unica donna della sua vita.
Chissà quante risate si erano fatti tutti alle sue spalle, quante volte Slash e Izzy e gli altri gli avevano coperto le spalle, quante notti lui aveva passato con delle altre mentre lei era convinta che fosse svenuto a casa di qualche amico.
Delle lacrime di rabbia mista a dolore iniziarono a scivolarle lungo le guance.
Era stata una stupida e un'illusa a credere di essere l'unica che lui desiderasse, l'unica che avesse importanza per lui, l'unica che amava.
Chissà se le era stato mai fedele o se contrariamente a quello che le aveva fatto credere, lui non aveva mai smesso di passare da una ragazza a un'altra, da un letto a un altro, lasciandola illudere di essere speciale.
Le lacrime iniziarono a scendere copiose nel ricordare le belle parole che lui le aveva detto per vincere ogni sua resistenza, i bei momenti passati insieme, la sensazione, bellissima, di non essere più sola e di avere qualcuno su cui poter contare.
Duff aveva preso il suo cuore, l'aveva illusa di volersene prendere cura e poi l'aveva schiacciato senza pietà, facendola soffrire più di quanto Jake avesse fatto e di quanto lei stessa avesse mai pensato fosse possibile.
Lene pianse per tutto il viaggio, incapace perfino di dissimulare le sue emozioni davanti alle hostess e ai suoi vicini di viaggio.
Non le importava più di niente e di nessuno ormai, tutte le sue energie mirate soltanto a continuare a far battere il suo cuore che sembrava essere sul punto di fermarsi da un momento all'altro da quanto le faceva male.

Un vociare confuso e concitato stava animando il corridoio di quell'albergo da ormai una mezz'ora.
Steve era seduto per terra con le bacchette in mano, lo sguardo fisso davanti a sé e un sorriso annacquato dipinto sul volto, e ogni tanto le batteva per terra o l'una contro l'altra, rendendo la scena ancora più surreale.
Slash era appoggiato al muro di fronte a lui, la testa leggermente reclinata all'indietro e una bottiglia di whisky in mano che ogni tanto si portava alla bocca lentamente, lasciando che il liquido ambrato gli scendesse lentamente lungo la gola.
Axl stava dando dei forti colpi alla porta della camera di Duff, un insieme di rabbia e paura a sconvolgergli i bei lineamenti.
"Cazzo Duff, apri sta cazzo di porta!!"
Izzy diede un tiro alla sua sigaretta, nervoso. Era da mezz'oretta che cercavano di entrare in quella stanza e Duff non dava ancora segni di vita.
Il primo ad arrivare alla porta era stato Slash, mandato da Axl a vedere che diavolo stesse facendo il bassista visto che era in ritardo di venti minuti al loro appuntamento nell'atrio.
Avevano un concerto quella sera e una volta tanto che il cantante era puntuale sarebbe stato quasi ironico che a fargli far tardi fosse stato proprio uno di quelli che si incazzavano sempre da matti quando Axl non si faceva vedere o arrivava un'ora dopo del previsto.
Slash però non era proprio al massimo della forma e quando Duff non gli aveva risposto aveva fatto spallucce ed era tornato giù ad avvisare il rosso degli sviluppi della situazione.
Cosa cazzo vuol dire che non risponde?! era stata la reazione di Axl e Slash aveva fatto di nuovo spallucce e non aveva nemmeno replicato. Ehi, lui aveva fatto quello che gli avevano chiesto di fare, per quel che lo riguardava la cosa finiva lì.
A quel punto Axl in persona era salito al quarto piano insieme a Izzy e aveva provato a farsi aprire dal biondo senza risultato però.
Dopo aver dato di matto per dieci minuti buoni, Izzy l'aveva convinto che era sterile e inutile stare lì a urlare come un pazzo e tirare calci e pugni a una porta e i due erano tornati nella hall dell'albergo per parlare con il receptionist.
Il ragazzo li aveva informati che la chiave di riserva non era più lì, essendo stata data alla fidanzata del signor McKagan e che l'unica cosa che potevano fare era andare ad aprire con il passpartout delle pulizie.
Izzy a quel punto aveva chiamato Alan, con cui erano rimasti d'accordo che si sarebbero visti al club e poi tutti e quattro, cinque se si contava il ragazzo dell'hotel, erano saliti di nuovo al quarto piano e ora si trovavano lì di fronte, mentre Axl faceva l'ennesimo tentativo di farsi aprire.
"Cazzo Duff, apri sta cazzo di porta!!"
Il ragazzo dell'albergo decise allora di usare il passpartout e aprì la porta, senza entrare però. Non era sicuro di cos'avrebbe trovato là dentro e sinceramente non aveva nessuna intenzione di entrare per primo.
Axl e Izzy si lanciarono uno sguardo preoccupato. Entrambi stavano pensando la stessa cosa e l'idea di entrare e trovarlo riverso nel letto o morto sul pavimento gli diede i brividi.
Izzy fece un cenno del capo all'amico e il cantante si girò verso la porta e la spinse aprendola ancora di più e varcando la soglia della camera.
C'era un buio fitto nella stanza e un odore di chiuso terribile. Era evidente che Duff non si era alzato da letto quel giorno e se anche l'aveva fatto, non aveva avuto il pensiero di aprire le finestre e far passare un po' d'aria.
Axl si spostò verso la camera e un forte odore di vomito, alcool e sesso lo stordì immediatamente.
Ok, era altrettanto evidente che Duff si era divertito parecchio il che gli fece pensare che se proprio doveva essere morto, almeno si era goduto gli ultimi attimi della sua vita.
Immerso in quei pensieri, Axl non si accorse di essersi fermato e che Izzy lo stava superando per entrare.
Merda fu l'unica cosa che il chitarrista riuscì a dire prima di correre verso l'amico che era riverso in una pozza di vomito sul suo stesso letto, cercando di sollevarlo e metterlo supino per aiutarlo a respirare, se fosse stato ancora vivo.
Axl gli fu accanto in un secondo e lo aiutò a spostare di peso Duff, cercando di non smerdarsi con tutto quello schifo che c'era sul letto.
Fu chiaro immediatamente ad entrambi che per fortuna il loro amico era vivo, per lo meno lo era ancora e che rimetterlo in piedi per il concerto non sarebbe stato affatto facile.
"E' morto?"
La testa piena di ricci di Slash fece capolino nella stanza e Izzy lo guardò scuotendo il capo.
"No, per fortuna no. Però è conciato proprio male."
Il riccio si avvicinò al bordo del letto, Steve subito dietro di lui.
"Che diavolo sta dicendo?"
Solo allora anche Axl e Izzy si resero conto che Duff stava borbottando qualcosa ma con un tono talmente flebile da rendere quasi impossibile udirlo.
Fu Steve, da dietro a tutti, a svelare l'arcano, quello strano sorriso un po' sghembo sempre presente sul suo volto.
"Lene. Sta dicendo Lene."
Izzy e Axl si guardarono per qualche istante e fu Slash a risvegliare un po' tutti dai propri pensieri.
"Se vogliamo che sia sul palco tra due ore sarà il caso di buttarlo sotto la doccia, non credete?"
Axl e Izzy annuirono e preso di peso il ragazzo, con l'aiuto di Slash, portarono il bassista nel bagno e lo cacciarono sotto un getto di acqua gelida, facendolo gridare e annaspare come un bambino appena venuto al mondo.
Dopo un po', quando il suo cervello riuscì a rimettersi a lavorare e la sua bocca smise di imprecare contro di loro e contro la vita che era una merda, Duff li cercò con lo sguardo tutti e tre, uno sguardo disperato che nessuno di loro gli aveva mai visto.
"Lene... dov'è Lene?! L'avete vista?"
I ragazzi lo guardarono stupiti e quando Duff vide che uno alla volta scuotevano il capo in senso di diniego, appoggiò la testa alla parete della doccia, come se improvvisamente tutte le forze lo avessero abbandonato di colpo.
"L'ho persa... l'ho persa per sempre sta volta..."
E sotto lo sguardo impietrito dei suoi amici, Duff si lasciò andare ad un pianto silenzioso con la consapevolezza  di chi sa di aver commesso l'errore più grande della sua vita e la compostezza e la rassegnazione di chi sa che non c'è nulla che possa fare per rimediare a quello sbaglio.

  
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