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Autore: Stella cadente    10/06/2015    7 recensioni
Francia, 1482:
Parigi è una città che nasconde mille segreti, mille storie, mille volti e mille intrecci.
Claudie Frollo è un giudice donna che tiene alla sua carriera più di ogni altra cosa al mondo.
Olympe de Chateaupers è una giovane ragazza da poco al servizio del giudice e, sebbene sia spavalda e forte, si sente sempre sottopressione sotto lo sguardo austero di quella donna cinica ed esigente.
Nina è una semplice ragazza di quindici anni, confinata nella cattedrale a causa di un inconfessabile segreto..
L’arrivo di Eymeric, un giovane ramingo gitano, sconvolgerà le vite di queste tre donne, in un modo diverso per ognuna.
Ma alla fine, di quali altri segreti sarà testimone Parigi?
Genere: Fantasy, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
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V.
Ossessione
 
 
Hellfire, dark fire,
Now gypsy it’s your turn,
Choose me or your pyre,
Be mine or you will burn!
 
 
Claudie
 
 

 

«Dunque, Nina» esordii, non appena la ragazza entrò nel mio studio. «Cosa ti avevo detto, oggi?» chiesi, severa.
Silenzio. La ragazzina guardava in basso.
«Se non erro, ti avevo espressamente ordinato di non uscire» continuai, seria, mentre lei, ora, mi guardava abbassando gli occhi subito dopo.
«Io...» provò a dire.
«Non ci sono giustificazioni» la interruppi. «Tu non hai la minima idea di quello che hai rischiato oggi. Sono costretta a porre delle guardie presso la cattedrale» conclusi con voce incolore. «Non ho altro modo.»
«Ma signora...» protestò lei.
«Non ho altro modo» ripetei, come per dire che per me la discussione era conclusa.
Ne avevo abbastanza di quella ragazzina spericolata.
Era in ballo la mia reputazione e la sua vita, nonché il benessere di tutta Parigi, perciò se non lo capiva con le buone glielo avrei fatto capire con le cattive.
«Sì, signora» disse Nina, docile.
«Bene. Adesso torna alle tue attività. Puoi andare» la congedai.
Quando sentii la porta chiudersi, tirai un sospiro di stanchezza e guardai verso la finestra del mio studio, pensierosa.
Chissà dove si trovava il gitano, adesso.
 
 
****
 
 
«Vostro Onore» mi chiamò Olympe, quando scesi dal seggio mentre le campane della cattedrale segnavano le sei di sera.
«Ditemi, Olympe» sospirai, stanca.
Il processo al Capitano de Germont e ai suoi soldati era stato stancante. Si erano messi a protestare come ragazzine, senza sapere che alla loro manchevolezza non c’era giustificazione.
Era stata una giornata spossante, anche perché mentre decretavo sentenze non avevo smesso nemmeno per un secondo di pensare al gitano che mi era clamorosamente sfuggito tra le mani. Non era possibile che non fossi riuscita ad acciuffarlo. Ma non era solo questo che pensavo di lui... c’era anche altro – quello che avevo sentito alla Festa – ma non riuscivo a capire cosa. E ciò mi dava ai nervi.
Avevo radunato un esercito per cercare il ragazzo, ovunque fosse, ma l’impazienza mi divorava. Attendevo e temevo al tempo stesso il momento in cui mi sarei trovata faccia a faccia con quello zingaro.
In un flash mi riapparve l’immagine di lui che ballava, con le ciocche chiare in mezzo ad un’infinità di capelli neri come l’inchiostro.
«Signora? Mi state ascoltando?» ripeté la ragazza.
«Mh?» mugolai stancamente, massaggiandomi la fronte da cui stava partendo una dolorosa emicrania. «Uhm, sì, ditemi.»
Lei sembrò spiazzata, poi disse:
«Dicevo che ho ordinato al capitano di Montespan – quello nuovo, sapete – di piazzare le sue guardie davanti alla cattedrale come avete chiesto, e mi ha comunicato che sono disponibili circa trenta uomini. Mi chiedevo semplicemente se vi andasse bene.»
«Sì» dissi distrattamente. «Sì, perfetto.»
«Davvero?» sembrò sorpresa.
Annuii.
Silenzio.
«State bene, Vostro Onore? » chiese poi Olympe.
«In nome di Dio, Olympe» risposi, seccata. «Sì, sto bene. Sono soltanto... spossata.»
«Capisco, signora» disse solo la recluta. «C’è altro?» domandò ancora.
«No, no» dissi, liquidandola con un gesto della mano.
«Ottimo, signora.»
E si congedò.
Tirai un impercettibile sospiro di sollievo. Volevo solo andare a casa a riposare, lontana da Nina, dai miei doveri e dal resto di Parigi, sperando di riuscire a non pensare allo zingaro.
Aspetta.
Certo che c’è altro.
«Olympe» la richiamai. Percepivo nella mia voce una nota risoluta: non mi sarei fermata davanti a nulla, già lo sapevo.
«Sì, signora?» rispose lei, all’istante.
«Mi ero dimenticata di una cosa di fondamentale importanza. Sapete, il mal di testa» dissi «gioca brutti scherzi alla memoria, purtroppo.»
 «Ditemi» fece la ragazza.
Mi schiarii la voce, poi dissi, con tono fermo:
«Voglio che troviate lo zingaro.»
«Ma avete già radunato delle truppe per questo.»
«Trovate lo zingaro, ho detto. Badate, lo voglio vivo.»
«Come desiderate, signora» si rassegnò lei. «Quando deve cominciare l’operazione di ricerca?» chiese poi, con tono professionale.
«Domani mattina, dall’alba al tramonto. Sarò io stessa a guidarla.»

 
 ****
 
 


Guardavo distrattamente le fiamme che volteggiavano nel camino in pesante pietra grigia, persa nei miei pensieri.
Quel giorno mi era sembrato di vedere il volto del gitano ovunque, in ogni imputato, in ogni condannato, in ogni ministro, perfino in ogni estraneo che vedevo con la coda dell’occhio lungo le strade di Parigi. C’era qualcosa di più che semplice avversione: ma cosa?
Com’era possibile che il suo pensiero non mi desse tregua in quel modo?
Ciò che sapevo con certezza era che lo trovavo indubbiamente molto attraente; con quei capelli neri, la carnagione deliziosamente scura e quegli occhi di smeraldo, era oggettivamente bellissimo, dovevo ammetterlo.
Mi persi con lo sguardo nella danza calda del fuoco: avrei voluto così tanto stringerlo forte a me, stare per ore a perdermi in quegli occhi smeraldini, baciarlo
Baciarlo?
Dio onnipotente.
Che cosa stavo pensando?
Pensieri sacrileghi, ecco cosa c’era nella mia testa. Dovevo scacciarli, dovevo eliminare per sempre quell’immagine. Quell’immagine in cui le mie labbra si muovevano in perfetta sincronia con le sue, mentre lui mi stringeva forte come a non voler farmi andare più via…
Che cosa mi stai facendo, zingaro?
Fissavo il fuoco che continuava la sua danza: tra le fiamme, la figura del gitano prese lentamente forma e mi osservò con i suoi occhi irresistibili. Fece una piroetta e poi tornò a guardarmi giocoso, facendomi un occhiolino e sorridendo malizioso, come alla Festa.
Forse è da lì che è cominciato tutto.
Sbattei gli occhi più volte, incredula. Non era possibile.
Era uno spirito tentatore, senza dubbio. Solo una creatura di quel calibro avrebbe potuto fare le sue apparizioni nel fuoco.
Ormai aveva visto in me il bersaglio perfetto; in qualche modo aveva capito che ero fragile al suo incantesimo. Voleva sviarmi, ecco cosa voleva.
Ma non ci sarebbe riuscito.
«Non mi avrai mai!» gridai, furiosa.
Gli occhi dello zingaro continuavano ad osservarmi in mezzo alle fiamme scoppiettanti, come a dire che non sarei mai riuscita a resistergli. Ardevano di furbizia, come quella notte in cui si era preso gioco di me.
Sembravano sprigionare una forza tanto potente quanto oscura, che li teneva incatenati ai miei pensieri.
Dovevo respingerlo. Dovevo ucciderlo.
«Non è colpa mia … »
Un peso di cui non conoscevo l’origine mi stava schiacciando. Intorno a me sembrava tutto indefinito, tranne quella figura che continuava a danzare e a tentarmi imperterrita con i suoi sguardi di fuoco. Era come se sentissi che quelle stesse fiamme che la formavano mi avvolgevano, bruciando di un calore che era croce e delizia al tempo stesso, una tortura di cui non potevo fare a meno.
Rimanevo lì, basita e immobile, senza essere in grado di reagire in qualche modo.
Lui intanto, da quel suo fuoco infernale, il demone dagli occhi di smeraldo, continuava a fissarmi. Vediamo cosa sai fare, sembrava dire.
«Vuoi sfidarmi, gitano?»
I suoi occhi, simili a gemme, erano sempre lì, fermi. I suoi capelli di fiamma crepitavano, invitanti.
Lo odiavo.
«E sia. Vedremo chi è più forte. Vedremo chi vincerà, quando ti troverò.»
Sarebbe stato mio; lo avrei cercato, e non mi sarei fermata fino a che non lo avessi scovato.
«Non potrai nasconderti per sempre. Prima o poi ci incontreremo di nuovo.»
Le fiamme sembrarono agitarsi, come se l’anima bollente racchiusa in esse avesse percepito la mia determinazione e tremasse nell’avvertirla così vicina.
«Io ti troverò» dissi, risoluta.
Poi uscii dalla stanza e mi ritirai al piano di sopra.
Avrei dovuto svegliarmi presto, la mattina dopo.
Avevo una missione da portare a termine.
 

 
****
 
 
Durante il tragitto verso Notre-Dame stavo praticamente dormendo nella carrozza.
Non avevo chiuso occhio tutta la notte; ero stata a rigirarmi nel letto per ore fino a che non avevo visto il cielo rischiararsi.
«Signora Frollo» mi avvisò il conducente. «Siamo quasi arrivati.»
Mi rassettai meticolosamente la toga da giudice e sistemai meglio il copricapo, sperando con tutto il cuore di non avere un aspetto trasandato. Poi mi schiarii la voce e dissi, ricomponendomi:
«Vi ringrazio, Jean Pierre.»
Poco dopo l’uomo fermò i cavalli. Attraverso uno spiraglio di finestrino lasciato dal tendaggio color porpora adocchiai Olympe, che mi aspettava affiancata dal capitano Montespan.
Mi alzai con un grugnito di stanchezza e uscii dalla carrozza, mentre sentivo una fastidiosa emicrania partire dal naso e diramarsi nella fronte e nelle tempie.
«Buongiorno signora» mi salutò Olympe, formale.
«Mhm» mugugnai io per tutta risposta.
«Non vi sentite bene?» 
«Ho avuto... » sospirai, passandomi stancamente una mano sulla fronte. L’immagine del gitano avvolto dalle fiamme mi balenò di nuovo in testa. «Ho avuto problemi con il caminetto.»
«Capisco» si limitò a dire lei, come il giorno prima. Ma aveva abbassato lo sguardo.
Ha compreso già tutto?
È così facile notare  quest’ossessione per lo zingaro?
È davvero così evidente?
Mi rivolsi alla squadra che la recluta aveva radunato, spingendo quelle domande in un angolo remoto della mia mente.
«Dividiamoci e setacciamo la città. Non dovrebbe essere lontano» dissi, senza specificare di chi stessi parlando.  Non ce n’era bisogno, alla fine.
«E anche se fosse, non potrà nascondersi in eterno. Prima o poi dovrà uscire allo scoperto.»
Mentre parlavo sentivo un sorriso di trionfo disegnarsi già sul mio volto. «E dopo lo cattureremo.»
Poi puntai un dito verso Olympe.
«Voi, venite con me.»
Lei sembrò spaesata, ma poi si avvicinò a me con il suo cavallo bianco e montò abilmente in sella.
Io salii a mia volta su César, il mio purosangue nero.
Gettai uno sguardo risoluto sui soldati e proseguii:
«Troviamoci qui al tramonto. Non voglio che nessuno si fermi anche solo per un momento, prima di allora.»
Silenzio. Gli uomini sembravano impauriti. Forse era vero quello che pensavo – e che probabilmente pensavano tutti loro: forse quel diavolo tentatore era diventato davvero la mia ossessione.
«Bene» conclusi. «Cominciamo.»
 




Eccoci! *si esalta*
Dunque, vi dico sin da subito che questo capitolo è uno dei miei preferiti, quindi ci tengo tantissimo a sapere se vi sia piaciuto o meno. Io amo, letteralmente amo il personaggio di Frollo, perciò mi è piaciuto un sacco scrivere questo capitolo e adesso non vedo l’ora di leggere i vostri commenti.
Siamo arrivati – come quando Frollo si innamora di Esmeralda nel film – ad un punto cruciale della storia: Claudie scopre di essersi infatuata di Eymeric e di conseguenza le ricerche si fanno ancora più accanite. Esattamente come la sua controparte maschile nel film, Claudie è molto innamorata, ma soprattutto ossessionata dal gitano che sembra continuare a tormentarla. Voi cosa ne pensate?
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento :)
Alla prossima,
Stella cadente
PS Sì, la frase all’inizio è tratta da Hellfire, la canzone di Frollo. Ci stava benissimo, ammettiamolo :D
PPS E' con questo capitolo che mi accingo a festeggiare la fine della scuola! Probabilmente, dal momento che con questa storia mi sono già avvantaggiata molto, adesso aggiornerò più frequentemente. Non è sicuro, ma non lo escluderei, ecco :)
  
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