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Autore: Cladzky    10/06/2015    1 recensioni
Un opera prima pensata come un fumetto, poi, per mancanza di voglia nel disegno, tramutata in un racconto illustrato. Ogni riferimento a qualche altra opera è puramente casuale. Forse.
La storia segue le vicende di Numero 15, clone genetico, creato per l'esplorazione spaziale. Ma la tragica fine del suo viaggio, sarà l'inizio di una grande avventura, in un mondo stranamente simile alla Terra.
Genere: Azione, Comico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per un attimo Numero 15 ebbe l'impressione che il suo corpo e tutto ciò che gli fosse attorno, si allungasse verso la vetrata della camera di pilotaggio, che lasciava vedere chiaramente un bianco puro e perfetto. Bianco all'orizzonte, senza ombre, ma senza neanche luce. Solo bianco, bianco accecante per chilometri e chilometri.
Poi, dopo attimi, parsi secoli, di puro terrore di fronte alla realtà, che si dilatava, infrangendo ogni proporzione logica, la nave, d'improvviso, come lampo in tempesta, tornò normale, insieme all'unico membro dell'equipaggio, tornando alle sue ordinarie dimensioni.
Il bianco era sparito. Davanti a lui, alla nave si era ripresentato invece l'Universo, così come lo conosciamo, buio e pieno di stelle distanti anni luce. Ma Numero 15 non era più nel quadrante Cosmico in cui poco prima di tentare il suicidio nel Buco Nero, viaggiava.
Un pianeta, vicino, come mai vedeva da circa due anni e tre mesi. Un' atmosfera quasi invisibile avvolgeva quel pianeta così simile... alla Terra. Aveva la stessa colorazione, anche se molto più verde, una morfologia simile, ma sopratutto oceani. Oceani liquidi. L'acqua era presente in quel pianeta, come pochi altri nell'intero Universo, certo, non vasti come quelli del suo pianeta d'origine, ma ugualmente ampi.
Per un attimo Numero 15, in silenzio, osservava cotale spettacolo, per poi accorgersi, al suono di un allarme di prossimità, che la Plutone era entrata già da qualche minuto nell'esosfera del corpo celeste. Come fece il buco nero, anche il pianeta cominciava ad attrarre l'astronave d'esplorazione a causa della gravitazione universale.
Spostarsi ed uscire dall'orbita era ancora possibile. Ma qualcosa tratteneva l'uomo dal riprendere i comandi e allontanarsi. Quel pianeta, così bello e lussureggiante, che probabilmente ospitava vita lo affascinava. Gli ricordava casa.
A essere sinceri non aveva esattamente un obbiettivo una volta tornato a Terra. Insomma, con ogni certezza lo avrebbero rispedito in un'altra missione interplanetaria o più probabilmente soppresso. Lui e gli altri centinaia di Numeri erano considerati al pari di cavie, lo avrebbero potuto fare benissimo.
Ma al momento non ci stava pensando. Tutto, anche essere ucciso era meglio di restare in una claustrophobica nave stellare piena di cadaveri. Spinse i motori ad una media velocità, puntando la Plutone verso la superficie del pianeta.
Dopo diversi minuti di viaggio, Numero 15, raggiunse la mesosfera. Il velivolo, dopo diversi mesi passati nello spazio, subì di nuovo la pressione dell'aria, vibrando come colpito da una turbolenza. Portando la nave in assetto parallelo al terreno, Numero 15 tirò indietro la leva d'accellerazione, e attivò, a quota 20.000 piedi gli alettoni, creando maggiore attrito con l'aria, decellerando la velocità di discesa. A 8.000 invece aprì i paracadute, facendoli fuoriscire da appositi scomparti posti nei poli delle ali.
Lo spettacolo a 2400 metri circa, era spettacolare, sopratutto per un uomo che non rivedeva la superficie di un pianeta da anni.Una foresta di conifere, con le foglie rossastre, risplendeva sotto di lui, illuminata da un sole, identico a quello della Terra, ma stranamente più luminoso, per quanto potesse ricordarsi della stella del suo sistema solare. Dove il bosco finiva, una radura d'erba, vivacemente colorata di un giallo dorato, trovava il suo inizio. 
Numero 15 controllò la quota. 6.000 piedi.
Doveva aspettare ancora un po'. Quota 5.000
Quota 4.000
Quota 3.280,84.
Tirò una levetta situata fra i comandi principali della console davanti al suo sedile. Dalla chiglia della Plutone fuoriuscirono due aste metalliche articolate, comandate elettricamente, dallo spessore non indifferente, alla cui fine erano situate delle specie di scatolette a forma di parallelepipedo. Esse erano in grado, grazie ad un sistema di magneti molto complesso, di aumentare l'attrazione della nave verso il terreno, evitando, una volta a contatto con esso, di capovolgersi all'impatto.
Altezza circa 500 metri.
450.
300.
200.
150.
100.
50.

IMPATTO.






Divifir era davanti alla grande carcassa metallica. Su una sua fiancata era pitturato a caratteri cubitali e neri una scritta a lei indecifrabile. Quella che pareva all'essere nativo una specie di ala d'acciaio, era spezzata a diversi metri di distanza dall'animale o cosa a cui apparteneva.
La sua cresta si rizzò quando tese le vibrazioni di passi. Solo gli "imperfetti" si spostavano su zampe e non sapendo a chi potessero appartenere, abbassando il capo e strizzando gli occhi della sua componente interna, scrutò attentamente verso il luogo di provenienza del suono. Dall'interno della carcassa.

Numero 15, zoppicando, si mosse verso il portellone d'uscita. Aveva tagli in tutto il corpo. La cintura di sicurezza non aveva retto, strappandosi e lasciandolo sballottare per tutta la sala comandi. Arrivato al portone blindato, afferrò saldamente la valvola e, girandola con grande sforzo, aprirla. Ovviamente avrebbe dovuto sapere che c'era la possibilità che l'atmosfera non poteva essere respirabile per lui, ma quel pianeta era così simile, se non uguale alla Terra e si fidava per certo che l'aria sarebbe stata respirabile. Aperto totalmente il portellone, Numero 15 si sporse e respirò a pieni polmoni. Non si sbagliava. L'aria era praticamente uguale a quella della Terra. Forse era giunto davvero sulla Terra.
Davanti a lui erba dorata e cielo azzurro. Strani fenomeni geologici in lontananza avevano creato sferici macigni bianchi, nel bel mezzo della pianura gialla. Poi abbassò lo sguardo. 

(Piccola nota: In questo reciproco scambio di sguardi che leggerete fra poco, per evitare confusione, I pensieri di Numero 15 sono segnalati da "#", mentre quelli del nuovo personaggio, Divifir, da "*" ).

#Una misteriosa creatura davanti a lui. Non umana. Nè animale.

*Una misteriosa creatura davanti a lui. Non Jeliana. Nè animale.

#Era alquanto bassa, circa quaranta centimetri, dalla forma a birillo e dalla colorazione azzurra.

*Era alquanto alta, circa otto Jels, con una forma identica a quella descritta da tutti i rievocatori che parlavano della razza passata.

#Non aveva braccia e gambe. La struttura corporea era simile a gelatina, come composta d'acqua all'esterno. Ma l'interno, visibile dalla trasparenza del primo strato, conteneva, sospesa dentro di esso, una massa più densa e scura, provvista di un paio di occhi vispi e dorati nella parte del corpo che presumeva fosse testa.

*Si muoveva bipede. Ai lati della parte superiore del busto, fuoriscivano due protuberanze, probabilmete arti, al cui termine, da un rigonfiamento, facevano capolino cinque artigli, ma con delle unghie per qualche motivo, non affilate. Era strano descriverlo. Aveva troppi dettagli addosso. Forse la parte che più gli incuteva timore erano gli occhi. Così espressivi, pieni di sentimenti.

Dopo questo scambio di sguardi così intensi, così curiosi e forse sbalorditi, Numero 15, avvertendo un forte bruciore nel palmo della mano sinistra. Se la portò davanti al suo sguardo. un taglio, solcato da liquido rosso scuro.
-Oh mio Dio...
Si controllò anche il resto del corpo. Era pieno di tagli e lividi. Si inginocchiò per il bruciore. Non si sentiva molto bene. Strizzò gli occhi al cielo. Crollò a terra con un gemito, rovesciandosi su quell'erba gialla, stringendosi il polpaccio pieno di ferite. Cominciava a non sentirsi più il corpo. Stava perdendo troppo sangue. Perse conoscenza.
La piccola Jeliana, intanto, indietreggiò. Non sapeva che fare. Probabilmente aveva trovato un superstite alla razza passata e anche i giovani della sua razza nativa sapevano che erano una specie malvagia, o così dicevano i dogmi divulgati da Hyd'Envil.
Ma in fondo non ne aveva la certezza e poi sembrava così innocuo e sofferente, come se stesse aspettando qualcuno pronto ad aiutarlo. Si avvicinò quindi a Numero 15.
-Speriamo non sia morto. E' così grazioso.
Improvviso, dal suo stesso corpo liquido, si alzò parte della sua massa, prendendo forma di una seconda testa, più squadrata e dallo sguardo rabbioso.
-Che diavolo fai, scema?- Sbottò la seconda testa, con una colorazione tendente al viola.
-Voglio... Voglio aiutarlo- Rispose timorosa l'altra dalle forme più morbide e rotonde.
-Certo, va ad aiutare la razza passata che poi ti ritrovi con gli assassini per casa.
-Come?
-Ma non lo vedi? Con quelle sue... Insomma, guarda la sua faccia!
La testa azzurra voltò lo sguardo verso la testa di Numero15. Effettivamente a bocca aperta, sanguinante e con un occhio aperto e l'altro no,  non era un bello spettacolo.
-Ammetto che non ha l'aspetto sveglio, ma questo non ti da ragione.
-Sappiamo tutti che la razza passata si capiva che era cattiva già dallo sguardo! E poi, guarda quei tagli. Se si ferisce così facilmente morirà anche solo a masticare.
-Come sei testarda. Proviamo a dargli fiducia, lo medichiamo, lo portiamo a casa e dopo gli chiediamo chi è e da dove viene.
-Accidenti, sei più stupida di quanto sembri. Oltre a portarlo a casa lo guarisci pure! Così quando ti strizzerà fra le dita sarà in piena forma!
-Per una volta stai zitta e fai decidere a me.
-Amica, io lo faccio da anni.
-Bene, allora vedi di continuare così per altrattanto tempo.
Detto questo, la testa viola si ritirò dentro il corpo.

 
   
 
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