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Autore: Madama Pigna    11/06/2015    1 recensioni
Appartenente alla serie "Tre figli di Laufey(e un mucchio di guai)"
Gli abitanti di Jotunheim attribuivano al loro Principe le più diverse caratteristiche.
Per alcuni era solo un modesto compromesso tra la scaltrezza e la forza bruta; per altri eccelleva in entrambe.
Certi lo consideravano solo un ragazzo viziato e ribelle che faceva il bello e il cattivo tempo, senza alcun rispetto per virtù sociali quali l'assoluta fedeltà al proprio padre e al proprio Re.
In molti controbattevano: l'unico Laufeyson rimasto era anche l'unica speranza per risorgere dalle ceneri della Grande Guerra, che era stata presto seguita da un regno di terrore che durava da molti anni.
Cosa ne pensava Byleistr?
Non amava mettersi in mostra, pur riconoscendo che a volte era necessario, data la sua posizione.
A suo parere, bastava essere una guida accorta e avere degli uomini pronti a tutto. Erano i soldati motivati quelli che facevano la differenza, e lui, da solo, non avrebbe mai concluso alcunché. L'ammirazione che era seguita dalle sue azioni individuali era solo qualcosa in più, nulla a cui il guerriero dava realmente importanza.
Il resto veniva da sé.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Frigga, Laufey, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Mpreg, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tre figli di Laufey(e un mucchio di guai)'
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Byleistr sapeva che si trovavano nei guai.
In guai seri, purtroppo.


Nonostante i due giorni di ricerche, infatti, né lui né i suoi Jotun erano riusciti a trovare anche solo le tracce di quella donna. La mezzosangue era brava a sparire senza essere inseguita. E chissà da quanto tempo lavorava per Laufey! Lui non ne aveva mai nemmeno sentito parlare! Del resto, anche se i sanguemisto erano generalmente odiati da tutti, di solito quelli che li ammazzavano con gran gioia erano proprio gli scagnozzi di suo padre… Nonché il Re stesso, certo.

Ma forse in fondo aveva un senso, agli occhi di un mezzosangue, cercare protezione da chi aveva il potere offrendo i propri servigi. Tanto, da una parte e dall’altra rischiavano comunque la morte, almeno lì apparentemente avevano più probabilità di sopravvivenza. Apparentemente, perché Byleistr sapeva benissimo che vivere dalla parte di Laufey, se mezzosangue, assicurava sempre una morte orribile e dolorosa, possibilmente molto lenta.

Proprio per questi motivi dentro la base c’era un grande andirivieni: stavano portando via tutto il trasportabile, prima che chissà quanti soldati arrivassero per uccidere i ribelli e arrestare lui. Dovevano andarsene il prima possibile, e infatti lui stesso trasportava pesi da mettere sui carri (di cui alcuni già partiti in luoghi più sicuri) e spronava gli altri a essere più veloci. Dopo un po’, però, fermò un Gigante più anziano di lui di alcuni secoli, chiedendogli dove fossero Thìalfi e Thrim. Lui gli indicò l’albero dove fino a qualche giorno prima si tenevano le riunioni strategiche più importanti. La costruzione di legno nascosta tra i rami mastodontici c’era ancora, ma avrebbero dovuto demolire anche quella se non volevano lasciare tracce.

Il Principe si avvicinò a essa a grandi passi e poi, dal momento che la scala non c’era più (avrebbe dovuto informarsi su chi fosse stato l’incompetente che prima toglieva la scala per salire e scendere prima di  tutto il resto), con un balzo si arrampicò su una delle ramificazioni più basse e grosse, non a caso vicino al tronco. Anche se con il braccio ancora ferito, e quindi poco adatto a fare grandi sforzi, lentamente riuscì a penetrare tra i rami dell’albero senza doverlo usare troppo. In fondo non era Helblindi: guariva abbastanza velocemente ma non aveva una rigenerazione istantanea, aveva bisogno comunque di qualche giorno per le ferite di media gravità. In certi casi anche poco più di una settimana, ed erano passati poco meno di tre giorni da quando la meticcia lo aveva colpito con l’arco.

Comunque riuscì a raggiungere la costruzione e, entrando, notò i due Jotun che cercava seduti al grande tavolo rotondo, impegnati in una fitta conversazione.



Non li interruppe subito, né loro si accorsero immediatamente della sua presenza.
Non amava attirare l’attenzione, e se qualcuno non si accorgeva del suo arrivo tanto meglio, essere silenzioso poteva essere una cosa vantaggiosa in fondo. Oppure no?
Ascoltando il discorso, però (dopotutto non poteva farne a meno, era troppo vicino), aggrottò le sopracciglia. Stavano parlando proprio di lui. E di quello che era successo negli ultimi giorni.


- Non penso che Byleistr dovrebbe continuare a farlo -. A parlare era Thìalfi.
- E’ stato solo una volta. Può succedere a chiunque di perdere la calma, e ti faccio notare che lui ha un autocontrollo di gran lunga superiore a quello della maggior parte di noi -, disse Thrim. Byleistr allora fece per nascondersi. Voleva sapere che cosa stessero macchinando quei due.


- Non è solo una questione di autocontrollo, Thrim! Hai visto come ha reagito quando è tornato: a momenti prendeva a pugni qualcuno. E’ frustrato, Thrim -.
- Intendi dire sessualmente? -, chiese lui in tono malizioso. Evidentemente non prendeva la cosa troppo sul serio. Byleistr strinse le labbra, irritato da quel tipo di riferimento, ma non disse niente.

Thìalfi arrossì. – Lo sai che non intendo in quel senso! -.
- E tu sai che non devi impicciarti nei suoi affari personali né affermare se è in grado o meno di prendere decisioni lucide sul campo. I suoi sentimenti non sono di tua competenza, mi pare -, rispose pacatamente ma con decisione l’altro. Byleistr gli fu in parte grato per questo, ma il fatto che i due Jotun di cui si fidava relativamente di più stessero parlando di lui in quei termini lo metteva a disagio. Ma soprattutto lo faceva ribollire di rabbia.

Chi erano Thìalfi e Thrim per intrufolarsi nei suoi affari senza che nemmeno fosse presente?!
E soprattutto con quale maledetta presunzione Thìalfi andava dicendo che non era lucido?!

Era forse impazzito? Quel genere di pettegolezzi non aiutava per niente né il morale né la disciplina né la motivazione degli Jotun che erano con lui! E magari il nano era già andato in giro a esprimere i suoi stupidi dubbi per tutto il campo! Cosa diavolo gli era venuto in mente?

E comunque erano affari suoi se si sentiva frustrato o meno. Il nano non si doveva permettere di avere quell’atteggiamento nei suoi confronti. Punto. Che avesse ragione o meno, ammesso e non concesso che l’avesse, non aveva alcuna importanza. Si controllava perfettamente, lui.

In quanto ai giorni precedenti… erano stati uno stupido errore, punto. Non si sarebbero ripetuti. Mai più. L’aveva giurato a se stesso in precedenza e ora se lo stava imponendo di nuovo.


Fece un passo avanti, uscendo quindi dall’ombra e palesandosi agli occhi dei due Jotun.
Inizialmente non disse nulla, fissando i presenti con gli occhi rossi come rubini e altrettanto gelidi. Del resto le pietre preziose non sono mai troppo calorifere.




E Byleistr… Byleistr era prezioso, Thìalfi lo aveva pensato fin da quando lui gli aveva salvato la vita e lo pensava tuttora. Era prezioso per la base, per la strategia, per l’intera Jotunheim. Era freddo con tutti eppure non aveva mai maltrattato nessuno, né abusato della sua posizione. Era sempre disposto a dare una mano senza che gli fosse chiesto niente. Anzi: aiutava e basta, senza voler essere ringraziato.
Byleistr era prezioso per tutti, ma soprattutto era prezioso per Thìalfi. E lui non voleva che il suo Principe si facesse del male cercando di fare del bene agli altri.

Mai il giovane guerriero gli aveva parlato dei suoi demoni. Aveva sommariamente spiegato la storia di suo fratello a lui e ai suoi primi seguaci, ma non altro. Eppure il giovane dai bianchi capelli sapeva che il corvino dormiva pochissimo la notte. Sapeva che usava una polverina dello stesso colore della sua pelle per nascondere le occhiaie. Conosceva i pettegolezzi riguardo a ciò che aveva vissuto a Utgarda, e dal suo atteggiamento e da quel poco che sapeva di quel mostro di Skrymìr non stentava a credere che ci fosse una verità, dietro quelle voci nascoste.
Che il secondogenito di Laufey fosse maltrattato, del resto, non era mai stato nascosto a nessuno. Nessuno eccetto il principe Helblindi, s’intende.


Il piccolo Gigante si chiedeva come uno Jotun sano di mente potesse essere così ottuso da non vedere i fatti per così tanti anni. Se lui fosse stato il fratello di una creatura così bella come Byleistr, e se fosse stato un mago e un mutaforma, avrebbe certamente messo fine a quelle angherie, o perlomeno ci avrebbe provato! Ma purtroppo non era nessuna delle due cose.

Non aveva mai conosciuto Helblindi, seppure era stato amico di quei nani che lo avevano ospitato – oh, ma Thìalfi era sicuro che, se lo avesse mai conosciuto, lo avrebbe detestato.



Intanto Byleistr continuava a fissarli. Il silenzio che avvolse i tre durò molto a lungo.
Fu Thìalfi, alla fine, che decise di spezzarlo.

- Non dovresti fasciarti meglio il braccio o fissarlo o …? -, chiese lui, riferendosi all’arto, ma Byleistr lo interruppe a metà frase con un gesto della mano. – Non ho il braccio rotto, Thìalfi, è solo una ferita come tante altre -, rispose. Continuava a fissarlo in un modo davvero, davvero brutto.
– Devi smetterla di comportarti così nei miei confronti -.
- Ma… -.
- Niente ma. E’ un ordine. Non voglio che tu insinui debolezze inesistenti della mia persona, e se in futuro non saprai resistere all’impulso non esiterò a cacciarti da questa base. Non sono un bambino e non intendo essere trattato come tale da nessuno, tantomeno da te. Sono stato chiaro? -.
- Io volevo solo… -.
- SONO STATO CHIARO? -.
Thrim si era già mentalmente preparato a una reazione violenta del Principe. Thìalfi deglutì.
- Sì, Byleistr. Sei stato chiarissimo -.


Passarono altri pochi secondi di silenzio. Poi, più calmo ma non meno irritato, il corvino annuì.
- Bene. Comunque vi ho cercato perché voglio che partiamo subito. Entro quattro, cinque ore al massimo, e sarebbero forse comunque troppe. Abbiamo smantellato quasi tutto, faremmo meglio ad andarcene subito da qui. Ormai questo posto non è più sicuro -.













Alcune ore dopo, divisi in squadre e prendendo strade diverse, i ribelli erano in viaggio verso la loro nuova meta, conosciuta solo da uno o due individui per gruppo tra i più fidati. In tale luogo avrebbero edificato una nuova base, possibilmente più sicura e difendibile della prima, almeno se riuscivano ad arrivare tutti interi e se avessero avuto abbastanza tempo per costruirla. Byleistr non cercava lo scontro diretto con tutto l’esercito. Non poteva, e per diverse ragioni d’altronde. Prima di tutto perché i suoi uomini non erano così tanti, e c’erano appena altre quattro basi, almeno in quegli anni, dove risiedevano altri Jotun dalla sua parte. Troppe poche per prendere il potere o anche solo affrontare più scontri diretti, soprattutto considerando che solo la metà di quei Giganti di Ghiaccio erano in grado di combattere: gli altri erano per la maggior parte o troppo giovani o troppo vecchi o storpi. Tuttavia Byleistr aveva organizzato con tanta fatica quei gruppi dapprima disordinati di ribelli non per conquistare il trono con la forza ma per compensare la mancanza di aiuti da parte di chi effettivamente deteneva il potere ufficiale, quindi non era quello effettivamente il problema.



Il secondo motivo – quello politicamente parlando più importante – era il rapporto di sangue con Laufey, il suo genitore partoriente. Anche se di spirito infimo e decisamente malvagio, Laufey non poteva in alcun modo essere detronato dal figlio, questo dicevano le Antiche Leggi.
Un legame simile, infatti, su Jotunheim era considerato sacro al di là di ogni circostanza. Anche se tra padre e figlio uno dei due era uno degli Jotun più malvagi che si fossero mai visti, ciò non giustificava comunque l’omicidio da parte di uno di essi nei confronti dell’altro. Nella famiglia reale, perciò, nessun Principe sarebbe mai potuto salire al trono se responsabile della morte del padre. Almeno non se lo era considerato ufficialmente.
I meno conservatori avrebbero forse sostenuto comunque Byleistr se mai avesse ucciso Laufey, ma il corvino sapeva fin troppo bene come la propria razza fosse conservatrice riguardo ad alcuni aspetti del loro mondo: anche se fosse diventato Re, non si sarebbe mai liberato completamente del risentimento di almeno una parte della popolazione. E lui voleva un popolo unito, non diviso da un’altra eventuale guerra civile ancora più cruenta di quella attuale (perché a volte gli scontri ribelli/soldati in quegli anni erano comunque inevitabili).

Di conseguenza, lui e i suoi seguaci dovevano aspettare che la natura facesse il suo corso, o che qualcun altro a loro estraneo uccidesse Laufey facendo un favore a tutti gli Jotun. Poi Byleistr sarebbe stato libero di andare contro l’esercito del padre, se per allora avesse avuto sufficienti sostenitori, e sarebbe potuto diventare Re. Sempre se fosse vissuto abbastanza a lungo.


Il già citato Principe, intanto, ben consapevole di queste circostanze, guidava il suo gruppo – quello che percorreva il tratto di bosco più a rischio di agguati, tra l’altro – verso il loro obiettivo, una parte della Jarnvidr estremamente fitta protetta in parte dai territori di caccia degli Skepna, in parte da un corso di fiume più violento, in parte dalle ripidissime pareti rocciose delle Catene di Mimìr. Era molto concentrato: si muoveva silenziosamente tra gli alberi, attento a non produrre rumori sospetti, guardandosi intorno e aguzzando le orecchie casomai ci fossero stati aggressori in giro. Con lui stavano altri quindici Jotun, più Thìalfi. Non gli aveva ancora perdonato ciò che aveva fatto pocanzi, ma preferiva tenerlo d’occhio. Del resto inconsciamente Byleistr esigeva dalle pochissime persone a cui aveva dato un po’ di fiducia quasi quanto esigeva da se stesso, soprattutto perché bastava praticamente un niente per fargli cambiare idea in proposito, tanto chiuso e sospettoso com’era.



Thìalfi era in gamba dal punto di vista logistico e gli era fedele, sì, ma Byleistr non credeva che avesse altre particolari capacità che potessero essere utili alla loro causa. Perciò difficilmente sarebbe mai riuscito a guardarlo sotto una luce diversa. Era già abbastanza complicato considerarlo un “amico” anche senza contare giornate come quella…




Erano circa a metà strada quando il suddetto Thìalfi, una volta raccolto il suo coraggio, si decise ad avvicinarsi a lui distaccandosi leggermente dal gruppo pur di parlargli e chiarire quelle che erano le sue precedenti intenzioni. Non voleva che Byleistr rimanesse arrabbiato con lui per chissà quanto tempo! Aveva agito in quel modo pensando al suo bene dopotutto.
Così, cercando di allungare il passo (già lento rispetto agli altri Jotun, figurarsi rispetto a Byleistr che era persino più alto della media normale) e arrivando quasi a correre si mise accanto al Gigante. Che non lo degnò di uno sguardo, è doveroso aggiungere. - Byleistr… senti io… volevo dirti… -, tentò il nano, ma il Principe lo interruppe prima di lasciarlo finire.
- Non c’è assolutamente niente che devi dirmi, Thìalfi. Aggiungere altro sarebbe superfluo -, disse lui, continuando a tenere gli occhi fissi sul sentiero. Il piccolo Jotun dai capelli bianchi scosse la testa.
– Non è vero. Anzi ci sono molte cose da aggiungere visto che hai parlato solo tu -, replicò. Allora Byleistr chinò lo sguardo su di lui, con gli occhi rossi pieni d’irritazione.


- Ma davvero? A me invece sembra che tu ne abbia dette tante di cose -, disse.
- Non mi hai lasciato spiegare! Quello che ho detto lo dicevo per il tuo bene! -.
Il corvino si fermò.
All’improvviso Byleistr sentì dentro di sé una gran voglia di discutere. - Il mio bene?! Ma ti senti quando parli? Ti rendi conto almeno di quanto suona ridicolo detto da te riferito a me? -.
- Non c’è niente di male a essere preoccupati per un amico, sai? -.
- Invece sì, se danneggi la sua immagine! Non puoi metterti in mezzo tra me e le mie responsabilità -, replicò il Principe. – In ogni caso non è il momento migliore per parlarne. Non ora, e soprattutto non qui. Questo posto è troppo pericoloso -, aggiunse, guardandosi intorno e ricominciando a camminare. Aveva definitivamente perso la concentrazione purtroppo.

Aveva bisogno di un po’ di silenzio, ma evidentemente Thìalfi non era disposto a concederglielo. – Oh certo, è troppo pericoloso! -, affermò. Ora era lui quello arrabbiato. – Ma perché non la smetti di usare queste scuse per evitare certi argomenti? “E’ troppo rischioso”, “Non è importante” oppure “Non abbiamo tempo da perdere” e “Danneggerebbe la mia immagine di Principe”! Tutte scuse! Sii abbastanza onesto da ammettere di avere delle debolezze invece di farti sembrare invincibile o che ne so io! Sei freddo come il marmo e non dai un minimo di calore a nessuno! Non c’è da stupirsi evidentemente se ti da’ fastidio quando qualcuno si avvicina a te! -, disse, a voce sempre più alta soprattutto. Nel frattempo a Byleistr era sembrato di sentire qualcosa, ma con tutto il baccano che stava facendo il nano non riusciva a percepire nient’altro.

Si chinò sul nano, cercando di fargli abbassare la voce. – Thìalfi sta’ zitto, ho sentito qualcosa! -, disse, ma il nano lo ignorò.
– Allontani tutto e tutti come se avessero la peste! Sei uno schifoso stronzo, ecco cosa sei! -.
- Thìalfi dannazione fa’ silenzio per un momento! -.
- E pretendi pure di essere meglio di tuo padr… -.
- STAI ZITTO! -, urlò Byleistr, esasperato.





Fu proprio in quel momento che il Principe intravide una figura nascosta tra i cespugli, con quella che apparentemente pareva una cerbottana. D’istinto spinse Thìalfi di lato, ma non poté evitare che il piccolo dardo diretto verso il nano lo colpisse al braccio, mentre un altro, non visto, lo colpiva all’altezza del collo. I due oggetti, pregni probabilmente di un potente sonnifero, fecero presto il loro effetto: Byleistr neanche si accorse che, nonostante il caos nascente, ai suoi uomini fosse infine capitata una sorte simile. Crollò forse nel sonno più profondo della sua vita, mentre la sua caduta era attutita dalle felci e le foglie sul terreno, come il morbido materasso che non aveva mai avuto da quando suo padre Farbauti era morto. 





 
  
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