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Autore: Acinorev    12/06/2015    3 recensioni
"«Smettila», le ordinò, prima di lasciarle finire la frase: c'era verità, nelle sue parole, ma una verità che non si applicava a tutti gli inglesi. Non a lui.
«La sua pelle è bianca come i palmi delle tue mani e dei tuoi piedi, Ryma: ha il colore delle mani con cui ti procuri da vivere e dei piedi con cui cammini fino al Dio che ami tanto pregare. E la tua? La tua pelle è del colore della terra che lo nutre, mentre resta qui a fingersi padrone del mondo. Dovrebbe vergognarsi anche solo di posare gli occhi su di te. Tu dovresti vergognarti di posare gli occhi su di lui»."
Temporaneamente sospesa
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Buongiorno!
Ho approfittato del poco tempo a disposizione per ricontrollare questo primo capitolo e pubblicarlo, sperando di aver fatto un lavoro almeno accettabile ahhaha
Poche precisazioni per darvi una migliore chiave di lettura:
- in Kenya la moneta ufficiale è lo scellino keniota: un euro equivale a circa 110 scellini kenioti. Lo stipendio di impiegati pubblici va dai 3500 ai 5000 scellini (35-50 euro), per tutti gli altri si parla di molto meno, mentre solo alcuni lavori vengono pagati intorno o oltre i 100 euro al mese (come dirigenti pubblici, impiegati bancari, giornalisti...). Da qui si può capire come i nostri cinque euro, per esempio, per alcuni possano rappresentare una manna dal cielo;
- oltre lo Swahili, in Kenya quasi tutti parlano fluentemente l'inglese, data la colonizzazione britannica e dato che la lingua si studia anche nelle scuole;
- avevo detto che da questo primo capitolo la storia avrebbe preso una piega diversa, nel senso che è ambientato cinque anni dopo: i protagonisti sono cresciuti e sono giovani adolescenti;
- le "dediche" in corsivo all'inizio dei capitoli sono solo mie parole per le persone a cui i personaggi sono ispirati.

Per il resto dei commenti, preferisco esprimermi alla fine del capitolo, quindi a dopo :)


 

 

Capitolo uno
Cinquecento scellini

 

(Meriti davvero il mondo)

 
Ryma cammina lungo la via principale di Nayuri e vorrebbe non sentire il caldo torrido sulla propria pelle, il sudore imperlato sulla fronte alta: non è stanca – i quattro chilometri tra il Kenyatta Centre ed il centro della città sono ormai una sciocchezza per le proprie gambe – ma è particolarmente fastidioso dover sottostare ai trentasette gradi di quel primo pomeriggio.
La strada è affollata ed il traffico è confusionario: di tanto in tanto è costretta a coprirsi il naso e la bocca con una mano, per evitare di respirare la polvere alzata dal passaggio di automezzi ed il fumo sporco proveniente da marmitte malandate.
Aggiustandosi il fazzoletto colorato avvolto sul proprio capo, sospira di sollievo nello scorgere il mercato nascosto da mura basse e popolate da pikipiki, le motociclette usate per spostarsi velocemente e a basso prezzo. Sono in molti ad affittarne una, in modo da offrire passaggi a chiunque capiti nei paraggi e guadagnare pochi soldi in più alla fine della giornata.
Anche lei si sta recando a lavoro: le ultime ordinazioni che ha ricevuto hanno disintegrato la sua umile scorta di tessuti, obbligandola ad approfittare della sua pausa pranzo per sgattaiolare in città e fare rifornimento. È ben felice di compiere uno sforzo in più, se significherà aggiungere anche solo pochi scellini al salario mensile.
«Ryma, hey!» esclama qualcuno, a pochi metri di distanza.
Ryma si ferma ad un paio di passi dall’entrata del mercato – può già sentire i profumi di legumi in vendita, di verdure e frutta - ed alza lo sguardo sul soldato semplice dalla divisa spenta e britannica. «Habari», saluta cordialmente, inclinando appena le labbra rosee in un sorriso.
«Mzuri sana», risponde Benjamin, improvvisando un saluto militare divertito.
«Come fai a stare molto bene, con questo caldo?» commenta lei, riprendendo a camminare verso la propria meta: non ha molto tempo a disposizione e quello che ha deve essere impiegato utilmente.
«È il mio giorno libero, è un motivo sufficiente», spiega Benjamin, affiancandola con le mani dietro la schiena: è alto venti centimetri più di lei, la guarda dall’alto con i suoi occhi neri e grandi, allegri.
Ryma si sofferma per un fuggevole istante sulle sue labbra sottili ed aperte in un sorriso, sul viso spigoloso da ventiduenne: «Ah, giusto: oggi è martedì», conviene. Durante il tragitto verso la città, non ha fatto caso alla diversa percentuale di popolazione bianca che brulica per le strade: i militari e le loro famiglie si riversano nella città due volte alla settimana. «Come mai sei in divisa?»
Lui si stringe nelle spalle magre. «Problemi con la lavatrice», sospira.
Ryma non commenta, si limita ad avvicinarsi al capanno che le interessa: non importa se lei – così come quasi tutte le altre locali – ha la pelle rovinata dall’acqua e dal sapone usati per lavare a mano.
«Cosa devi comprare?» le chiede Benjamin, nel suo inglese perfetto. Osserva le stoffe sgargianti appese su travi di legno o su fili di spago tesi da un estremo all’altro della struttura, ogni tanto ne sfiora qualcuna.
«Stoffa», risponde lei, trattenendo un sorriso ovvio che viene subito ricambiato.
«Intendevo quale tipo: posso aiutarti a scegliere», precisa lui, mentre il proprietario della merce tenta di vendergli qualcosa.
Ryma riflette sul colore ambrato di un tessuto in cotone, mordendosi un labbro. «Non è un compito da uomo», dice soltanto, passando oltre.
«Sai, in Inghilterra non c’è una distinzione così netta tra ciò che possono o non possono fare gli uomini e le donne», le fa presente Benjamin, di fronte a lei. «È il 2019, diamine».
Benjamin ha questo piccolo difetto, tra tutti quelli che Ryma non ha ancora avuto occasione di conoscere: sa essere inopportuno. Ed ingenuamente ignorante. Lei non gliene fa una colpa, non vede malizia o cattiveria nei suoi commenti fuori luogo: sono semplicemente dettati da una lingua lunga e spensierata, estranea alla cultura del posto.
«Non intendevo in quel senso», precisa Ryma, composta. «Intendevo che, personalmente, non mi fido del parere degli uomini nello scegliere il tessuto adatto per il vestito di una bambina. Questo non significa che tu non possa farlo».
«Ah», esclama Benjamin, con un’espressione seria ed in parte rammaricata. «Avevo capito-»
«Non fa niente», lo interrompe lei, rivolgendogli un sorriso a labbra chiuse. Ha adocchiato una stoffa di un arancione acceso, rifinito con fili dorati e bordeaux.
«Senti», la segue Benjamin, instancabile e già oltre il piccolo malinteso, «stasera esci?»
Ryma poggia una mano sulla merce prescelta, accertandosi della sua qualità. «Non esco di sera», ammette. Nayuri è una città caotica ed allegra, ma oltre le otto e trenta di sera, con il buio pesto delle notti keniote – e soprattutto durante i giorni di riposo dell’esercito britannico – non è adatta a chiunque: sicuramente non a ragazze di diciotto anni di buona reputazione e con un minimo di furbizia.
«Allora prima di stasera», propone lui, con più entusiasmo.
«Devo lavorare, Benjamin».
«Giovedì?» insiste, appoggiandosi con una spalla ad una trave in legno. «Posso accompagnarti di nuovo al mercato, così ti dimostrerò che ti sbagli a non fidarti di un parere maschile».
Ryma studia il suo sorriso impertinente e si concede brevi secondi per valutare le sue possibilità. Non è la prima volta che lei e Benjamin si incontrano, per caso o dietro precedente accordo: da quando sono inciampati l’uno nell’altro un paio di settimane fa, hanno scoperto di apprezzare il tempo trascorso insieme ed in un modo che ha stupito Ryma. Non può negare di essere curiosamente attratta dallo scapestrato soldato semplice che non si arrende se non quando la vede ridere, anche se non è sicura che sia un interesse più profondo.
«Va bene», acconsente, annuendo piano.
Benjamin si passa una mano tra i capelli corti e rossicci. «Perfetto», esclama, soddisfatto. «Stessa ora, stesso posto», promette, prima di baciarle frettolosamente una guancia e disperdersi tra la folla del mercato.
Lei sospira piano, scuotendo il capo per nascondere un lieve sorriso. Non vede l’ora di raccontarlo a Tifah.
 
Quando Ryma varca il cancello azzurro, non ha il tempo di fare un secondo passo sul suolo del Kenyatta Centre, perché viene subito accolta – sommersa – dalle bambine più piccole. Succede ogni volta che esce per alcune compere: l’entusiasmo di posare gli occhi su nuovi materiali e l’aspettativa di quello in cui le mani esperte di Ryma li trasformerà sono insostenibili.
«Calmatevi, avanti», sorride Ryma, alzando sopra la propria testa le stoffe ben piegate in una busta.
«Facci vedere!» la implora Sara, saltellando sul posto con le mani giunte al petto. Le altre la imitano, mentre le loro voci si alzano di un’ottava.
«E va bene», esclama la più grande, arresa. «Ma prima andate a lavarvi le mani: ci vediamo tra dieci minuti nella guardiola».
Le bambine esultano e si lamentano al tempo stesso, ma corrono verso il lavatoio e si accalcano attorno ai rubinetti arrugginiti.
«Usate il sapone!» precisa Ryma, prima di sorridere e camminare via.
Vivendo ancora al centro di recupero, non dispone di uno spazio privato nel quale lavorare tranquillamente: è costretta ad usufruire della piccola stanza situata accanto al cancello d’entrata, dove, di notte, un ragazzo di nome Alex resta di guardia per qualsiasi evenienza. L’unica richiesta che Ryma deve accontentare è che, alla fine della giornata, tutti i suoi attrezzi da sarta e tutto il materiale vengano messi in ordine, in modo da lasciare spazio al materasso ed al machete di Alex.
Ricomincerà a cucire nell’arco di quindici minuti, quindi ne approfitta per bere dell’acqua e per raggiungere il proprio letto: il dormitorio è immerso in un caldo soffocante e placido, il pavimento in pietra è stato spazzato da poco e ed i quattro letti a castello sono quasi in ordine. Si assicura che intorno non ci sia nessuno e recupera dal nascondiglio tra le doghe in metallo una busta di carta spiegazzata. Vi ripone i soldi avanzati al mercato e conta il totale.
Lo conta di nuovo.
Sbatte le palpebre.
Ripete l’operazione.
È tentata di contarlo ancora una volta, ma si arrende all’evidenza.
Qualcuno ha rubato parte dei suoi soldi: quattromila scellini. Il corrispondente di più di due salari mensili, sudati e pregati. Più della metà dei suoi risparmi.
Non vuole dare in escandescenze, non vuole uscire dal dormitorio e chiedere spiegazioni, urlare per pretenderne almeno una. Sa perfettamente che nessuno si farà avanti, che nessuno proverà compassione per ciò che le è stato fatto, per ciò che è stato fatto a Peter, indirettamente.
Gliel’ha promesso, insieme a Tifah e Solomon. Gli hanno promesso di aiutarlo, nonostante i suoi rifiuti ed i numerosi litigi a riguardo: da quando è risultato positivo al test dell’HIV, da quando ha iniziato a vivere nel terrore di una condanna alla quale non può sfuggire, i suoi tre amici si sono impegnati per andargli incontro economicamente. Le spese sanitarie sono troppo care per il loro stile di vita e, sebbene Peter sia stato fortunato ed il virus sia rimasto silente per ben cinque anni, tutti sanno perfettamente che prima o poi serviranno i soldi per le cure.
Ma come potranno affrontare il tutto, se quegli stessi soldi vengono rubati senza ritegno? Se ogni sforzo che Ryma compie viene vanificato in un così misero modo?
Ryma si morde il labbro inferiore, chiudendo gli occhi con forza e stringendo tra le mani la busta di carta. «Dio, aiutami», implora, facendosi il segno della croce e lasciando che una lacrima le solchi le guance accaldate.
«Ryma, muoviti, ti stiamo aspettando!» grida una delle bambine al di fuori del dormitorio, riscuotendola dai suoi pensieri cupi. Lei tira su con il naso, si asciuga il viso e ripone la busta al di sotto dei propri vestiti: non ha più fiducia, non è più disposta a separarsene, almeno fino a quando non avrà trovato un posto più sicuro in cui nasconderla. Si avvicina ad una delle finestre sporche e si specchia nel suo riflesso appena accennato: gli occhi sottili non sono molto arrossati, gli zigomi alti sono nuovamente asciutti e le labbra hanno smesso di tremare impercettibilmente.
Inspirando a fondo, esce dalla stanza e lascia che i trentasette gradi tornino a stordirla.
«Eccoti qui!» urla qualcuno all’improvviso.
Tifah le salta letteralmente addosso, aggrappandosi al suo collo e circondandole il busto con le gambe magre.
«Aspetta, mi fai male!» esclama Ryma cercando di non cadere, ma inciampando nei ciottoli ai suoi piedi. Nonostante ciò che ha appena scoperto e lo sconforto in cui si è ritrovata, non riesce a non reagire con un sorriso a tutto ciò che Tifah rappresenta e porta con sé.
«Sei sempre stata troppo delicata», la rimprovera lei, ritornando con i piedi a terra e pizzicandole un fianco: una risata a fior di labbra e la lingua incastrata tra i denti bianchi. «Vuoi che ti alleni un po’? Conosco un paio di esercizi che dovrebbero rafforzare quelle zampe di gallina che hai al posto dei muscoli».
«Hapana», risponde Ryma, superandola scuotendo la testa.
«Perché no? Ti potrebbe essere utile», insiste Tifah, camminandole accanto. Profuma di terra fresca, dove probabilmente fino ad ora ha giocato con il cane del Kenyatta Centre, un meticcio di taglia media di nome Puppy. È così bella alla luce del sole alto, con la pelle di cioccolato scuro ed il corpo tonico, scattante come la sua personalità.
«Oppure potrei usare te e risparmiarmi la fatica», propone Ryma, entrando nella guardiola, dove le bambine hanno già rovistato tra i nuovi tessuti. Se li stanno avvicinando al corpo, fingendo di provarli e progettando nuovi modelli.
«Sai che non mi piacciono le persone pigre, potrei anche decidere di non venire in tuo aiuto».
Ryma sorride senza entusiasmo: in quel momento vorrebbe con tutta se stessa l’aiuto dell’indomabile Tifah, vorrebbe avere la sua forza d’animo e saper affrontare le cose diversamente.
«Cos’hai?» le domanda l’amica, posandole una mano tra le scapole. Gli occhi curiosi e bruni non si lasciano sfuggire nulla. «Sembra che ti abbiano fatto annusare un piatto di carne per poi portartelo via», ridacchia.
Le piacerebbe sfogarsi, forse è proprio quello di cui ha bisogno, ma non vuole intaccare la spensieratezza di Tifah: il furto appena subito la farebbe infuriare e tutti, al Kenyatta Centre, conoscono le conseguenze di un piccolo tornado di cinquanta chili scatenato tra mura instabili di pietra. Perciò non dice nulla: non accenna nemmeno a Benjamin, per paura di lasciar trapelare troppo dalla sua voce.
«Questo caldo è insopportabile», sbuffa soltanto. Mente.
 
 
 
Il giovedì successivo non tarda ad arrivare, ma si fa comunque attendere: non perché Ryma sia particolarmente impaziente di rivedere Benjamin, ma semplicemente perché il fulcro dei suoi pensieri non è mai stato molto leggero o tollerabile, rendendole difficile concentrarsi su molto altro e rallentandola in diverse occupazioni.
Aspetta davanti all’entrata del mercato per circa dieci minuti, prima di scorgere la figura in borghese di un giovane Benjamin: senza la mimetica ad impacchettargli il corpo è più piacevole da guardare, quasi più umano. Indossa una camicia azzurra a maniche corte, con un leggero alone di sudore sotto le ascelle, inevitabile in giornate così afose: i jeans chiari evidenziano le gambe ben definite ed ha tagliato nuovamente i capelli.
«Buongiorno», la saluta, non appena le arriva a pochi passi di distanza. Profuma di un profumo pregiato, che non ha niente a che vedere con gli odori aspri della terra o con quelli più comuni – e a tratti sgradevoli – dei ragazzi con i quali Ryma vive.
Lei china il capo, sorridendo, e l’attimo dopo è già travolta da chiacchiere rumorose.
Riesce a comprare quattro nuovi tessuti, di minor qualità, ma scontati ad un buon prezzo: uno lo userà per confezionarsi un abito più leggero, mentre gli altri li metterà in vendita per clienti abitudinari. Ha acquistato perline e fil di ferro, ma non si è avvicinata alla biancheria, nonostante ne abbia bisogno: a prescindere dall’imbarazzo al quale la presenza di Benjamin porterebbe, Ryma non può sperperare i propri soldi, soprattutto dopo l’ultima perdita subita.
Tre quarti d’ora dopo, si ritrovano in una via al di fuori del mercato: è polverosa, sterrata, e non c’è nessuno a popolarla. Stretta pochi metri, è delimitata da staccionate di legno poco più alte di loro. È una scorciatoia per il centro, che permette di non attraversare a ritroso tutto l’affollato mercato.
«Allora? Che ti dicevo?» esordisce Benjamin, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo sul viso di Ryma. «Ho dei buoni gusti in fatto di moda, devi ammetterlo».
«Passabili», lo provoca lei, camminando lentamente: i pantaloni che indossa sono leggermente corti e stretti, mentre la maglietta è sgualcita. Per un istante si vergogna di stargli accanto.
«Passabili? Mi prendi in giro?» chiede lui, dandole una debole spallata che la fa ridere. «Per farti perdonare per questa bugia, dovrai darmi un bacio».
«Nini?» esala Ryma, fermandosi e spalancando gli occhi. «Cosa?» ripete in inglese. Non è sicura di aver capito bene.
Benjamin sorride nella sua reazione, ma non sembra si stia prendendo gioco di lei. Anzi, appare piuttosto determinato. «Vorrei baciarti, se non è un problema», ammette, senza alcuna traccia di esitazione: probabilmente è un modo di fare dei militari, probabilmente sono così insistenti e decisi anche in ogni altro momento.
«Di cosa stai parlando?» domanda Ryma, aggrottando la fronte. Non ha ben capito come si senta a riguardo: certo, non potrebbe dire di non aver mai notato un sottile interesse trapelare dagli sguardi di Benjamin, ma è diverso sbizzarrirsi con la fantasia, ridere della propria immaginazione, e trovarsi faccia a faccia con una improbabile realtà.
«Non hai mai baciato nessuno?» indaga lui, più serio.
No.
«Non è questo, è che-»
«Non ti piaccio?»
Ryma sospira in silenzio, stringendo un po’ di più la busta nella propria mano destra. Si guarda intorno, si accorge della loro solitudine.
«Un po’ devo piacerti: mi hai anche permesso di accompagnarti a comprare la stoffa. Se non è amore questo…» scherza Benjamin, forse per metterla a suo agio o forse semplicemente perché non può farne a meno.
Non gli risponde, perché è troppo occupata a cercare di comprendersi: c’è qualcosa, dentro di sé, che la invita a lasciarsi andare, appellandosi all’innocenza di un bacio curioso, ma c’è qualcos’altro – qualcosa che casualmente ha la voce di Tifah – che la disprezza anche solo per prendere in considerazione la possibilità. Baciare un soldato inglese non è mai un buon auspicio.
Benjamin fa un passo avanti, la sovrasta. «Facciamo così», mormora, osservandola con fare rassicurante: le mette le mani sui fianchi, ma senza risultare invadente. Difatti, Ryma non indietreggia, ma studia quel contatto nuovo. «Se non ti piace, mi fermo», continua lui, facendosi più vicino.
Ryma si accorge di aver annuito impercettibilmente solo quando il profumo di Benjamin si fa più forte, le entra nelle narici mentre le loro labbra si toccano. Sposta un piede come per fare un passo indietro, ma resta ferma: ha ancora gli occhi aperti, sta trattenendo il fiato. Riprende a respirare quando la bocca di Benjamin si allontana per un fuggevole istante, solo per poi tornare ad accarezzarla meno cautamente. Le sue braccia adulte, segnate dal peso di armi ed allenamenti sfiancanti, si chiudono intorno al suo corpo, stringendola a sé quasi teneramente.
Lei sospira in quell’abbraccio e schiude le labbra spontaneamente, lasciando che il bacio diventi più intenso e meno casto. Non sa come muoversi, non crede di essere in grado di assecondarlo come vorrebbe: è troppo impacciata, è troppo frastornata da qualcosa di assolutamente nuovo ed inaspettato, troppo stupita dalla volontà di non interrompere quel momento.
«Era un po’ che volevo farlo», confessa Benjamin in un sussurro, muovendo le mani sulla sua schiena magra. «Sei ancora più bella quando ti lasci andare».
Ryma ritrova in quelle parole una verità che è costretta a riconoscere: è la prima volta che si scompone, che si lascia stringere da e per qualcuno, la prima volta che non mantiene le distanze fisiche necessarie. Si scopre più semplice, più a proprio agio di quanto si aspettasse.
«Asante», gli dice sulle labbra, facendolo sorridere.
«Prego», risponde lui.
Ha le dita calde che giocano con l’orlo della sua maglietta, Ryma può sentirle sfiorare distrattamente la pelle del suo addome e della sua schiena. Si sente addirittura in dovere di frenarle, spaventata da un troppo a cui non è ancora pronta, ma la suoneria del cellulare di Benjamin li interrompe in sua vece.
Lui si lamenta, ancora sulla sua bocca, ma si arrende ai suoi doveri. Recupera il telefono senza smettere di baciarla, ma si allontana appena per rispondere in tono piuttosto infastidito: le sorride, tenendola ancora stretta a sé. Ryma lo osserva respirando velocemente, cercando di mettere ordine ai pensieri che le affollano la mente, ma non ha il tempo di riuscirci: Benjamin ha già terminato la chiamata.
«Devo andare», sbuffa lui, inumidendosi le labbra e riponendo il telefono nella tasca posteriore dei jeans.
«Ah», dice Ryma. Non vuole che se ne vada.
«Ci rivediamo, hm?» le assicura, accarezzandole una guancia con un sorriso promettente. «Ti vengo a trovare appena posso».
L’attimo dopo, le stringe la mano libera dalla busta della spesa e si volta per allontanarsi velocemente: Ryma lo osserva fino a quando non lo vede scomparire dietro l’angolo della strada, fino a quando non resta completamente sola ed è costretta ad ascoltare il battito agitato del proprio cuore.
Solo allora si accorge di qualcosa di accartocciato nella propria mano, quella che ha ancora il calore di Benjamin impressa sulla pelle. Ryma riconosce delle banconote: cinquecento scellini.
Cinquecento scellini con i quali Benjamin ha pagato quel bacio.
Cinquecento scellini che spiegano tutto ciò che Ryma evidentemente non ha capito.
Cinquecento scellini che testimoniano ciò che in realtà è successo.
Per i quali lei ha ringraziato, prima di riceverli.
Con i quali lui ha promesso di tornare.
Cinquecento scellini che la fanno sentire una prostituta, proprio come le altre.





Eccoci qui!
Capitolo narrato dal punto di vista della mite Ryma (ogni capitolo avrà una voce narrante diversa, si alterneranno i vari protagonisti): ora diciottenne, vive ancora al Kenyatta Centre, dove cerca di guadagnare qualcosa facendo la sarta. Spero che almeno una parte del suo carattere sia emersa, ovvero il suo essere pacata, composta, religiosa ed in un certo senso ingenua: ovviamente ci sarà più tempo per conoscerla, ma è già un inizio.
So che forse come primo capitolo è stato un po' "brusco", per quello che ha fatto Benjamin, ma purtroppo questa storia è fatta anche (e soprattutto) di questo: probabilmente il comportamento di Benjamin vi ha spiazzato e confuso, ma nel prossimo capitolo ci sarà un'interpretazione più completa di quello che è successo. Posso già anticiparvi che Ryma ha ragione su di lui: non è cattivo, è solo un po' stupido e conforme ad usi e costumi poco dignitosi (ricordo ciò che ho scritto nel prologo riguardo la prostituzione). Nonostante questo, non si sarebbe mai aspettata di essere pagata per un bacio (cinquecento scellini, quindi cinque euro, sono una sciocchezza per Benjamin, ma una bella quota per Ryma, che stenta a guadagnare 2000 scellini al mese).
Altra cosa un po' dura che avviene è il furto di parte dei guadagni di Ryma: una regola che io stessa ho imparato, alloggiando nel centro che qui ha un altro nome, è che niente è di nessuno, non quando altri ne hanno bisogno o semplicemente voglia. Ryma è davvero impotente riguardo questo, non potrebbe mai scoprire chi è il ladro e, se anche lo scoprisse, non otterrebbe mai indietro i suoi soldi.
Spero di esser stato abbastanza chiara, anche se comunque veranno approfondite tutte le situazioni: nel frattempo mi piacerebbe scoprire le vostre ipotesi, ricevere dei commenti riguardo gli avvenimenti di questo capitolo. Dei pareri, ecco :)

Ah, piccolo riassunto/vocabolario:
- pikipiki = moto che i locali affittano dalle concessionarie per guadagnare pochi soldi in più dando passaggi alle persone, a mo' di taxi (quando io li prendevo, il viaggio dal centro di recupero al centro della città costava un euro);
- habari = ciao, come stai?
- mzuri sana = molto bene;
- hapana = no;
- nini? = cosa?
- asante = grazie.

E niente, vi saluto e vi ringrazio per aver letto/recensito :)
Vi lascio tutti i miei contatti:
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Veronica.

 
 
  
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