CAPITOLO PRIMO: POST-MORTEM.
La proposta di Amon Ra
non fu facile da accettare, ma tutti i presenti al concilio delle ultime
Divinità del pianeta dovettero concordare sulla veridicità delle sue parole.
Crude ma efficaci. Avevano già visto quel che Caos era in grado di fare, quel
che solo il suo ritorno aveva risvegliato. Ombre e demoni che riposavano in
tetri abissi in attesa solo della sua chiamata. In attesa del secondo avvento.
“Più il tempo passa, maggiore energia Caos e i Progenitori accumulano!
Se aspettiamo ancora, se ci nascondiamo dietro le nostre non più imprendibili
roccaforti, per leccarci le ferite e consolarci l’un l’altro rivangando i bei
tempi passati, in cui eravamo giovani e invincibili, diamo soltanto loro il
tempo e i mezzi necessari per estirpare dalla Terra la nostra civiltà e
sterminare tutti coloro che in noi ripongono fede!” –Aggiunse il Pastore
dell’Universo, spostando lo sguardo su tutti i presenti alla riunione.
I Cavalieri dello Zodiaco, Zeus, Nettuno, Atena ed Eracle, per gli
Olimpi, Ascanio e gli altri Cavalieri delle Stelle, Vidharr,
figlio di Odino, Flare di Polaris
e i tre Angeli ancora vivi. Fu proprio uno di questi, dall’impetuoso cosmo
rossastro, ad annuire, sbattendo con foga il pugno nel palmo dell’altra mano,
dichiarandosi d’accordo con il Nume del Sole d’Egitto.
“Verrò con te, Amon Ra!
Andremo in quel santuario oscuro e porteremo loro un po’ delle nostre fiamme!
Chissà che non riescano a rischiararne i tenebrosi androni, annientando quel
che silente vi giace!”
A quelle parole Febo rabbrividì, ricordando le torture subite da lui e Marins per mano di Algea. Pur
tuttavia non poteva tirarsi indietro, non voleva farlo, non adesso che aveva
l’opportunità di lottare fianco a fianco con il padre che aveva a lungo sperato
di ritrovare e con cui poco tempo, alla fin fine, aveva trascorso. Se tutto deve finire, che finisca così! Si
disse, facendosi avanti, fino a incrociare lo sguardo ammirato del genitore.
“Dicono che una stella brilli lucentissima prima di spegnersi! Se così
sarà, che spettacolo dovrà essere, padre, quando la luce del Sole d’Egitto
abbaglierà quel tenebroso deserto!”
Marins, senza neanche attendere un secondo, fu subito al suo fianco,
affiancato da Reis e Jonathan. Matthew guardò Elanor, gli occhi arrossati dalle troppe lacrime versate
nelle ultime ore, prima di stringerle forte una mano e dichiarare che anche
loro avrebbero seguito il loro destino. Per onorare Avalon
e Selene, che in loro avevano riposto fiducia. Fino alla fine.
“Non avete certo bisogno della mia risposta!” –Commentò Ascanio.
“Né della nostra!” –Intervenne allora Pegasus, voltandosi poi verso i
quattro compagni. –“Eh, amici? Non è così?!”
Per un interminabile momento nessuno rispose e gli sguardi di tutti i
presenti si appuntarono su di loro. Sapevano, Zeus, Amon
e gli Angeli, che qualunque azione avessero deciso di scatenare, non poteva
precludere il coinvolgimento di coloro che avrebbero potuto avere una
possibilità di vittoria. Coloro che avrebbero guidato la riscossa degli uomini
contro gli Dei Ancestrali. I nuovi pende sophoi. I cinque saggi della loro epoca.
Fu Sirio infine a prendere la parola, rivolgendosi direttamente agli
Angeli.
“Che cosa ci aspetta, al Santuario delle Origini? Voglio dire… quella
nube nera che ha distrutto l’Isola Sacra… era lui, non è così? Era Caos, vero?”
Andrei e Alexer si scambiarono un’occhiata veloce, prima di annuire
mestamente e spiegare cosa avevano visto davvero poche ore prima.
“Quella è la forma in cui Caos si presenta! Non che lo avessimo mai visto
prima, nessuno che è ancora vivo lo ha mai incontrato in passato! Eppure, per
quel veloce sguardo che gli ho rivolto quando sono giunto a salvarvi, ho potuto
percepire l’immensità del suo cosmo, la sua vastezza. Anzi no, è termine
sbagliato, ben più adatto sarebbe parlare di vacuità. Sì, un nulla sterminato.
Un colossale spazio vuoto ove nessuna luce può brillare sufficientemente
intensa!”
“Eppure… una volta fu vinto.” –Lo interruppe il Cavaliere della Natura.
–“Io l’ho visto! Lo so, perché ero là!” –Quindi, incurante delle espressioni
stranite e stupefatte dei compagni, Ascanio continuò, narrando quel che il
Primo Saggio gli aveva trasmesso, durante la trasmigrazione della sua anima.
–“È come avete detto voi, Principe Alexer! Caos è un’immensa nube nera, priva
di forma! Un abisso infinito che contiene l’origine della vita e la sua fine.”
“Caos è un Dio diverso da quelli che conoscete, Cavalieri dello Zodiaco
e voi Cavalieri delle Stelle.” –Riprese a parlare l’Angelo d’Aria. –“Non è un
Dio come Atena o Zeus, né come Nyx o Erebo, che, per
quanto oscuri e deformi, tendono ad avvicinarsi alle Divinità dall’aspetto
umano a voi così tanto familiari. Caos è il Deus Otiosus,
creatore degli Dei e dell’umanità, uscito dal vuoto atemporale, dall’inattività
cui fu costretto da coloro che gli si ribellarono contro, per decretare la fine
di questo tempo cosmico. Egli è il serpe oscuro che insegue il sole, il veleno
che ha fatto appassire Yggdrasill!”
“Anche Avalon ci disse qualcosa del genere…
prima di… beh, prima di morire…” –Disse Cristal,
mentre anche Andromeda al suo fianco annuiva. –“Una verità cruda ma sensata, in
fondo. Se Caos ha generato la vita, siamo tutti figli suoi, anche noi, gli
esseri umani. Anche in noi, proprio per questo, sopravvive un frammento di
oscurità, un lato oscuro, che serve per apprezzare la luce, per capirne appieno
l’importanza e bilanciare la perfezione di un mondo luminoso.”
“Yin e yang.” –Chiosò Sirio. –“Il lato in
ombra della collina e il lato soleggiato. Su quale lato siederemo noi, domani?”
“Sul lato che vincerà!” –Lo rassicurò Pegasus, battendogli una mano su
una spalla. –“Io non ho dubbi al riguardo! Non con voi, amici, al mio fianco!”
A quelle parole, Andromeda sorrise, abbracciando il compagno di tante
battaglie, prima che anche Cristal facesse lo stesso.
Persino Phoenix si avvicinò, stringendo la mano del Primo Cavaliere di Atena,
mentre prendevano la loro decisione. La decisione di andare fino in fondo alle
loro vite, dando completezza a esistenze vissute in funzione di quel momento.
Vedendoli sorridere, vedendoli rincuorarsi a vicenda, Zeus sospirò,
ripensando a quando, millenni addietro, aveva provato la stessa determinazione,
la stessa sicurezza per un futuro che i Titani avrebbero voluto portare loro
via. All’epoca aveva lottato, guidando una coalizione di fresche e giovani
Divinità alla conquista del loro posto al sole, e aveva trionfato. Sarebbe
stato in grado, adesso, di fare altrettanto?
Quella domanda risuonò nell’animo di tutti i partecipanti al concilio
ristretto, prima che Alexer riassumesse le decisioni prese, dando ordine ai
presenti di radunare tutte le truppe che fossero riusciti a mettere insieme,
coordinandosi poi per un’azione congiunta.
“Dobbiamo avvisare tutti i regni divini! Anche il più piccolo contributo
potrebbe rivelarsi fondamentale per nutrire una qualche speranza di vittoria!”
“Invierò Ermes e Euro a portare ovunque il nostro messaggio!” –Concordò
Zeus, subito imitato da Eracle.
“Nesso farà altrettanto! È il più celere tra i miei incursori!”
“Molto bene! Appuntamento nel deserto del Gobi quindi!” –Esclamò
Alexer, passando in rassegna tutti i membri di quell’assemblea che aveva appena
deciso le sorti del mondo. Gli altri Dei e Cavalieri annuirono, preparandosi a
lasciare il Salone del Fuoco, con mille pensieri in testa. –“Approfittate di
queste ore che ci rimangono per riposarvi e curare le vostre ferite, riparare
le armature e… fare i vostri saluti! Fateli adesso e tirate fuori quel che
volete davvero dire. Potreste non avere un’altra occasione!” –E, nel dir
questo, scambiò una veloce occhiata con Andrei, che sospirò, scocciato e
impacciato, prima di voltarsi verso Jonathan.
“Dobbiamo parlare!” –Gli disse.
***
“L’aria è tranquilla quest’oggi. Immobile. Stantia.” –Rifletté
Neottolemo, sollevando la Nave di Argo nel cielo sopra la fortezza di Asgard.
Per quanto danneggiata dagli attacchi dell’Armata delle Tenebre e
dall’esplosione del cosmo di Erebo, il Nocchiere di Tirinto era riuscito a
ripararla in fretta, aiutato dall’operosità di alcuni carpentieri della
cittadella, grati ad Eracle per averli soccorsi il giorno prima, ponendo fine
all’assedio.
“Non è un bene, Hero del Vascello?” –Gli domandò Atena, ritta al suo
fianco, sulla poppa della nave volante.
“No.” –Si limitò a rispondere il fedele di Eracle. –“Non lo è affatto.
È la calma prima della tempesta. Una calma innaturale, a queste latitudini.
Persino il vento ha smesso di mugghiare, persino il gelo pungente sembra
ritirarsi di fronte a questa caliginosa marea che satura l’atmosfera. Vedo
nero, Dea della Guerra! E non solo adesso, di fronte a noi, ma nel lungo
periodo!”
“Comprendo le tue ansie e le giustifico. Pur tuttavia, cos’altro
potremmo fare se non lottare per la terra che amiamo e coloro che la abitano?”
–Lo consolò Atena, sfiorandogli un braccio e sorridendo, prima di stringersi
nel mantello che Flare le aveva donato e scendere sul
ponte di comando.
Con un cenno veloce, Iro di Orione la salutò.
Dismessa la corazza danneggiata, il Primo tra gli Heroes camminava avanti e
indietro sulla coperta, tenendosi la gamba dolorante per lo scontro con
Grendel. Nonostante le cure veloci di Eir, ancora
fiacca per le ferite causatele da Erebo, non riusciva a poggiare bene il piede
a terra, reprimendo un gemito a ogni passo, ma non poteva stare a sedere, a
lasciar le ore passare, bisognoso di aria e di tenersi in allenamento costante.
Anche Chirone avrebbe voluto imitare il compagno, ma le sue condizioni
erano peggiori, così era stato forzato da Eracle a un riposo coatto
sottocoperta. Il Vindice dell’Onestà era quindi da solo, nella cabina a lui
riservata, a osservare un arazzo affisso alla parete su cui erano dipinti un
centinaio di simboli.
“I tuoi Heroes, suppongo.”
La delicata voce di Atena lo rubò ai suoi pensieri, portandolo a
volgere lo sguardo verso l’entrata della cabina, ove la donna dai capelli viola
era appena apparsa. Non ebbero bisogno di dirsi altro, che entrambi capirono.
Atena capì. Del resto, quello sguardo che il figlio di Zeus e Alcmena aveva
addosso, quel misto di consapevolezza e tristezza, le aveva infettato l’anima
per secoli, dalla prima Guerra Sacra che si era trovata a combattere e in cui
aveva dovuto mandare a morire gli uomini che in lei credevano. Gli uomini che
la amavano.
Ad Eracle era successo lo stesso. In tutte le sue vite.
“Faremo il nostro dovere!” –Esclamò il Campione di Tirinto,
avvicinandosi alla Dea. –“Siamo soldati, in fondo.”
“Sì, di fatto siamo soldati, fratello mio!” –Gli sorrise Atena,
lasciandosi abbracciare. –“E combatteremo! Anche per onorare coloro che non ci
sono più!”
“Non sei cambiata affatto!” –Disse Eracle, staccandosi da lei. –“Sì, il
corpo è diverso, più giovane rispetto alla donna dai mossi capelli castani che
mi accolse sull’Olimpo, qualche millennio fa. Ma lo spirito è sempre il solito.
Indomabile e generoso. Mai nessuna Divinità è riuscita ad amare più di te,
Atena. Non posso che essere fiero di combattere al tuo fianco!”
“Come fratelli.”
“Sì, come fratelli.” –Concordò Eracle.
La Nave di Argo scivolò nei cieli bigi d’Europa, fino a raggiungere il
Grande Tempio nel pomeriggio. O, quantomeno, quel che ne rimaneva. Fu atroce,
per Atena, osservare dall’alto la devastazione portata da Atlante, Emera e
Etere. Atroce e doloroso, al pensiero dei caduti, che ancora non aveva potuto
onorare di un degno rito di sepoltura. Ricordava bene le parole di Pegasus,
dopo che gli Dei di Luce se ne erano andati.
“Non crucciatevi, mia Dea! Ricostruiremo tutto e il prossimo Santuario
sarà magnifico! Un nuovo Santuario per un nuovo millennio in procinto di
iniziare!”
Atena gli aveva sorriso, grata ai suoi continui tentativi di sollevarle
il morale e certa che, pur di recarle piacere, Pegasus avrebbe trasportato da
solo ciascuna colonna o lastra di marmo per ricostruire il Grande Tempio.
“Non degli edifici mi preoccupo, Cavaliere. Quelli possono essere
ricostruiti. Sono le persone che non torneranno, i nostri amici. Quei cuori
spezzati che nessun artificio potrà riparare!”
Eracle comprendeva i tormenti di Atena, avendo provato la stessa
sensazione due secoli addietro, contemplando le rovine di Tirinto e del futuro
utopico che avrebbe voluto donare all’umanità. Le strinse una mano, incitandola
a farsi forza, e la osservò svanire in un lampo di luce, diretta verso quello
che restava della Collina della Divinità. Senza neanche planare, diede ordine a
Neottolemo di modificare la rotta. Verso occidente.
Verso Tirinto.
***
Le fresche acque dell’Olimpo scivolavano sul suo corpo scolpito,
pulendolo dalla stanchezza dello scontro con Erebo, scontro di cui portava
ancora i segni. Tastandosi un braccio indolenzito, Zeus sfiorò i tagli e i
lividi che ne avevano deturpato la pelle, i primi dopo un’eternità trascorsa
nel lusso e nell’ozio. Per quanto tempo non aveva più stretto la folgore
olimpica? Da quanto non provava l’ebbrezza di una battaglia contro un nemico
potente come lui, anzi superiore? Da secoli ormai, da quando la Titanomachia
era giunta a conclusione. Certo, pochi mesi addietro aveva affrontato Crono e
Tifone, ma nessuno di quei duelli era stato paragonabile alla furia scatenata
da Erebo, all’impegno richiesto al Signore del Fulmine per averne ragione.
Anzi no, si disse, emergendo dai vapori caldi della
vasca. Non è stato per vincerlo che ho
combattuto. Ma per sopravvivere! Rabbrividì, nonostante il calore delle
acque termali, scuotendosi e uscendo infine dalla piscina.
“Siete pronto, mio Signore? Vi siete ristorato a sufficienza?” –Esclamò
una giovane voce maschile, la stessa che da secoli si preoccupava di non fargli
mancare niente. Per essere un ragazzo che aveva ricevuto in dono l’immortalità
soltanto per la sua bellezza esteriore, il figlio di Troo
aveva sempre dimostrato grande riconoscenza. –“Sedete ancora, vi prego! Ho
preparato un infuso di quercia, vi sarà utile per contrastare la sudorazione!”
“Ti ringrazio, Ganimede, ma non credo di averne il tempo! E, tra poche
ore, sudare sarà l’ultimo dei miei pensieri!”
“Ne convengo, Zeu Pater!” –Annuì il giovane
dai folti ricci castani. –“Pur tuttavia… ho saputo cosa avete fatto con il broma theon! Un gesto nobile e
generoso farne dono a Toma, Nikolaos e agli altri
Dei, considerando quanto poco ne è rimasto! Lasciate che anch’io mi occupi di
voi, come voi vi siete premurato di non far mancare niente a tutti coloro che
hanno dimorato nella vostra magione!”
“Non credo di aver fatto molto, al riguardo! Ma fa’ pure, solo fai in
fretta, ti prego!” –Scosse la testa Zeus, sedendo infine su una panca di marmo
e lasciando che il coppiere degli Dei gli passasse un panno caldo sul corpo,
dal forte odore rinvigorente. –“Sai come mi chiamavano un tempo? Quando
edificavano santuari in mio nome in tutta la Grecia, e non soltanto? Zeus Erceo! Il protettore della casa! O Zeus Soter!”
“Il salvatore dell’umanità!” –Gli sorrise Ganimede. –“Un epiteto
meritato, mio Signore. È quello che siete infatti!”
“Lo credi davvero? Puoi smetterla di compiacermi, se vuoi! Ti dispenso
da ogni obbligo!”
“Certo che lo credo! Non avete forse glorificato la mia vita,
strappandomi dalle spoglie mortali e donandomi l’eterna giovinezza? E non avete
accolto presso questa magnifica magione legioni di Cavalieri Celesti e seguaci
delle Divinità a voi fedeli, condividendo assieme lo stesso pasto e dando loro
uno scopo per cui vivere e morire? Li ricordate, mio re? Ricordate i loro nomi?
Molti erano figli di Dei, altri erano grandi eroi e altri ancora gente comune,
ma tutti hanno beneficiato di poter essere al vostro servizio! Dubito vi fosse
qualcosa che Giasone, Castore o Oreste avessero desiderato di più! E neppure
io!”
Zeus assentì con il capo, ringraziando Ganimede per la premura e la
dimostrazione di affetto, invitandolo a prepararsi e a presentarsi nella Sala
del Trono entro breve.
Non erano molti i presenti a quell’ultimo concilio che il Cronide convocò. Solo cinque Divinità, di cui una neppure
appartenente ai Dodici Olimpi.
“Queste sono tutte le armi che ho potuto recuperare!” –Esclamò Efesto, gettando a terra un mucchio di lame, scudi e
placche di armature riparate alla bell’e meglio. –“Buona parte della fucina è
rimasta sepolta sotto l’Etna! Avessi della buona manodopera, magari qualche
Ciclope, potrei spostare tutti quei massi e quella lava e dare una ripulita!”
“Temo che le pulizie d’autunno debbano aspettare, figlio mio! Ma non
crucciarti, presto avremo molto tempo libero! Un’eternità, tutta per noi!”
–Commentò Zeus, poggiandogli una mano su una spalla, prima che la squillante
voce di Ermes lo distraesse.
“Efesto ha fatto comunque un ottimo lavoro,
riparando le nostre Vesti Divine! Anche la vostra, Sommo Zeus, è tornata come
nuova! E il Cibo degli Dei che ci avete offerto ci ha ridato un po’ di forze!”
“I tuoi modi garbati servono solo a nascondere la cruda verità,
Messaggero Olimpico! Il mithril è finito, e anche gli
altri materiali scarseggiano; questo senza considerare le ferite subite, la mia
schiena a pezzi…” –Ma Zeus pregò il Fabbro degli Dei di tranquillizzarsi, certo
che avesse fatto ben più di quanto possibile.
“Notizie di Demetra?” –Chiese allora Nettuno, temendo la risposta.
“Nessuna!” –Parlò infine Ermes, dopo un istante di silenzio generale.
–“Ho provato a localizzarla, ma non… la sento più!”
“Neppure i venti mi parlano!” –Intervenne allora Euro. –“Tacciono, in
attesa dello scatenarsi della bufera nera!”
“Umpf! Non dovranno attendere a lungo!”
–Grugnì Efesto, prima che Zeus riprendesse la parola.
“È viva! Percepisco la sua energia! Debole, un fioco bagliore lontano,
ma reale! È probabile che Caos se ne stia servendo per nutrirsi, prosciugandola
pian piano del suo cosmo divino!”
“Quale orrore!” –Mormorò il figlio di Eos, offrendosi volontario per
una missione di recupero. –“Assieme ad Ermes potremmo penetrare nel Primo
Santuario e liberarla…”
“Vi scoprirebbero ancor prima di varcare la soglia e fareste la sua
stessa fine! Siete Divinità, non dimenticatevi di cosa si nutre il Generatore
di Mondi!” –Chiosò Zeus, mentre i passi decisi di alcuni uomini in armatura si
avvicinavano. –“In quanto all’incursione… è un’idea che ho già considerato!”
“Siamo pronti a servirvi, Zeus Oratrios!”
–Esclamò Toma, entrando nella Sala del Trono, affiancato da Shen
Gado, Nikolaos e da
Ganimede, tutti rivestiti delle loro Armature Celesti, e inchinandosi di fronte
alle cinque Divinità. –“Icaro, l’Ippogrifo, l’Eridano e la Coppa celesti, per
servirvi!”
“I miei Cavalieri Celesti!” –Sorrise il Nume supremo, inorgoglito. –“In
questi anni, a volte mi sono chiesto se sia stato giusto o meno strapparvi alle
vostre vite e relegarvi qua, al mio servizio, perché quell’investitura, che
all’epoca poteva apparirvi gloriosa, oggi vi vincola in maniera indissolubile!
Ma, appurato il vostro valore, umano e sul campo di battaglia, non posso che
essere fiero di lottare assieme a voi in quest’ora più nera! Perciò, innalzate
i vostri cosmi, Cavalieri Celesti, e voi fate altrettanto, figli e fratelli
miei! E combattete! Combattete per coloro che non ci sono più, per i Cavalieri
vostri compagni, per i fedeli che vi hanno servito e che hanno sacrificato
tutto, affidandoci il futuro! Combattete con me! Siate il braccio che
sorreggerà la folgore divina!” –E, nel dir questo, espanse il proprio cosmo,
sollevando una mano ove vivido rilucette un fulmine di celestiale bagliore. Vi
fu una violenta esplosione e il tetto della reggia andò in frantumi,
anticipando il sorgere di una colonna di luce dentro cui gli ultimi Olimpi e i
loro servitori scomparvero.
***
Una clava cinta da una corona d’alloro, simbolo di forza e vittoria.
Questo il simbolo che Eracle aveva scelto secoli addietro e che aveva fatto
scolpire sul portone d’accesso a Tirinto, la Porta del Leone; un simbolo in
grado di riassumere la sua esistenza e guidare le legioni di Heroes. Adesso, di
tutti quei giovani giunti a Tirinto dall’intero Mediterraneo, ne erano rimasti
otto, condannati a vivere una seconda vita e a morire di nuovo in quell’ultima
disperata fatica. E quegli otto erano lì, in piedi alle sue spalle, tra le
rovine della cittadella ove avevano dimorato per un periodo troppo breve delle
loro vite.
Aveva scelto di radunarli lì, per ricordare il loro passato, i giorni
in cui avevano indossato la prima volta le Armature degli Eroi, forgiate da un
frammento della Glory divina di Eracle. Uno sguardo indietro e un passo in avanti.
Del resto, indietro non c’era niente che potesse trattenerli, non in
quell’epoca almeno, in cui vagavano come naufraghi fuori dal tempo.
Massi franati e sterpi, un fossato ricolmo di fango e resti di troppe
guerre. Questo rimaneva della fortezza di Tirinto. Eppure tra quelle rovine
pulsava ancora la vita, una fiamma alimentata dai ricordi delle imprese degli
Heroes, dagli ideali che li avevano sostenuti, dall’amicizia che li aveva
legati anche dopo la morte. E come era stata ricostruita una volta, Tirinto
poteva esserlo di nuovo. Di questo il Vindice dell’Onestà era certo, come certo
era che non l’avrebbe fatto lui.
Forse morirò, nel Gobi dove
soffiano venti mortiferi, ma la mia fede non morirà, perdurerà, nell’animo
degli uomini che hanno creduto in me!
“Figli miei!” –Esordì, voltandosi verso di loro, riuniti attorno a un
fuoco di bivacco, come amava radunarli nelle sere d’estate, nella corte sul
retro di Tirinto, a raccontarsi storie di eroi e aneddoti dei tempi antichi.
–“Qua sorgeva la grande rocca! Qua, proprio da qua, si oltrepassava la Porta
dei Leoni, rivolta, come ricorderete a oriente, nella direzione del sole
nascente! Guardate là invece! Potreste attendere per ore e tutto vedreste fuorché
i primi raggi dell’alba! No, figli miei, quest’oggi da oriente nasce un’ombra
immensa, un’ombra in grado di ricoprire la Terra tutta! Tutto quello contro cui
abbiamo combattuto è là, nel deserto del Gobi, a offrirci un’ultima occasione!
Di vittoria? Di gloria? Di morire come gli eroi che ci vantavamo di essere?
Ognuno risponda per sé, io non parlerò per voi. Vi dirò soltanto… no, non vi
dirò niente, le parole non avrebbero valore adesso! Venite qua, datemi la mano,
fatemi sentire di essere pronti a viverla intensamente!” –E, nel dir questo,
allungò un braccio avanti a sé, a pugno chiuso, osservando in volto gli Heroes
sopravvissuti della Legione dei Migliori.
Marcantonio dello Specchio e Nestore dell’Orso, come sempre ai suoi
lati, angeli guardiani che mai lo avrebbero lasciato da solo, disposti a morire
e morire ancora per lui. Alcione della Piovra e Nesso del Pesce Soldato, reduci
dalle battaglie nell’Avaiki. Tiresia dell’Altare, che
aveva aiutato i Cavalieri di Atena nel disperato tentativo di contenere
l’avanzata di Atlante. Iro di Orione e Chirone del
Centauro, che avevano trovato inaspettati nemici in grado di tener loro testa
nelle gelide lande di Asgard. E infine Neottolemo del Vascello, il più riposato
degli otto, essendo stato impegnato soltanto come nocchiero.
Eracle aveva distribuito il Cibo degli Dei, fornitogli da Zeus,
consentendo agli Heroes di recuperare le forze, ma la stanchezza era ancora
evidente nei volti di tutti loro, come pure la risolutezza a non mollare.
Uno dopo l’altro, gli Heroes appoggiarono una mano sul pugno del
Protettore degli Uomini, sorridendo e dichiarandosi pronti a seguirlo in
quell’ultima perigliosa impresa, anche con i loro corpi a pezzi.
“Un patto è un patto!” –Commentò Iro,
strusciandosi il naso divertito.
“Parli tu che sei zoppo!” –Ironizzò Nestore, dandogli una pacca sulla
schiena, accompagnata da una sonora risata.
“Se tu vai in Asia, bestione, perché noi non dovremmo venire?” –Intervenne
Chirone, prima che la voce profonda di Eracle le sovrastasse tutte.
“Un tempo avevo tre figli. Alessiare, Aniceto
e Alessiroe! Ma la guerra e la mala sorte me li hanno
portati via, o forse la mia incapacità a comportarmi da padre? Non so
rispondervi, so soltanto che il destino me ne ha dati altri, che adesso mi
stanno di fronte! Uniti dallo stesso afflato, nello stesso respiro, inspiriamo
e gridiamo a gran voce, compagni! Gridiamo per cosa stiamo combattendo!
Morte!!!”
“Morte!!!” –Urlarono gli Heroes tutti assieme. –“Morte!!!”