Per ricominciare
Quanto è passato? Non ce lo ricordiamo più! :v
Ma siamo tornate per restare. Forse.
Chemical Lady &
Lechatvert
Le lacrime di Hevel
«Corella,
girati.»
Con un ampio gesto della mano, Cristiano mostrò il suo
più che degno lavoro di cucito sulla veste cardinalizia del
suo compagno, portando il filo alla bocca per spezzarlo con un morso.
Pareva così fiero del suo operato che quasi sembrava avesse
cucito il mantello dello stesso Pontefice, anziché quello di
un umile porporato.
Corella sospirò, eseguendo gli ordini.
«Sono grazioso?», ridacchiò, facendo una
piroetta su se stesso.
Si fermò a guardare Laura, china sul ricamo della mantella,
e si lasciò sfuggire un mugolio triste quando il suo sguardo
cadde sulla pancia, rotonda e tesa sotto le stoffe
dell’abito, che in un due mesi era quasi raddoppiata.
Lì dentro, stando a quello che lei aveva detto,
c’era suo figlio.
Pensava che quella preoccupazione e quel continuo senso di colpa
l’avrebbero ucciso, ma non aveva fatto i conti precisi:
infatti, quel giorno il buon Signore pareva avercela davvero a morte
con lui.
Era ora di cena quando un nitrire di cavalli li colse tutti di
sorpresa. Nessuno veniva mai all’Isola Tiberina, eccetto le
suore del convento e loro del Covo.
Cristiano fu il primo a sporsi stranito dalla finestra, prima di
lasciarsi sfuggire un sorriso così luminoso da mettere in
ombra il sole stesso. Come un folle, si precipitò verso le
scale, urlando solamente due parole che fecero comprendere agli altri
costa stesse succedendo.
«Sono tornati!»
Laura sgranò gli occhi, abbandonando in un istante il suo
lavoro per sistemarsi frettolosamente i capelli dietro le orecchie e
alzarsi in piedi.
Machiavelli chiuse con un tonfo il libro che era intanto a leggere,
facendo sobbalzare sia Ezio che Maria, entrambi assopiti sulle poltrone
accanto al caminetto dopo una missione che li aveva tenuti lontano dal
Covo per tutta la notte.
Corella non si diede alcun contegno. Raccolse la sua ampia veste tra le
mani, scoprendo caviglie e polpacci, e si fiondò verso la
porta tirandosi dietro un paio di gomitoli.
«Sono tornati!», gridò, raggiungendo
l’uscio proprio mentre questo veniva aperto.
Bengiamino fu il primo ad entrare.
Visibilmente stanco e con la faccia sporca di terra, il milanese non
arrivò a muovere un passo all’interno del Covo che
Corella gli fu letteralmente addosso, allacciandogli le braccia al
collo per stampargli un gioioso bacio sulle labbra.
«Siete tornati!», esclamò, quando
finalmente Bengiamino riuscì a levarselo di dosso.
«E siete tutti vivi!»
Cristiano non mostrò alcuna dignità. Si
lanciò su Violante e le riempì il volto di baci,
stringendola a sé come se fosse ormai una sua
proprietà personale. La ragazza non si dibatté o
altro, anzi, parve quasi felice di quell’aggressione.
Maria si alzò dalla poltrona, prendendo frate le mani il
viso di Cesco, che l’aveva raggiunta a passo svelto, per
stampargli un bel bacio in fronte.
A conti fatti, il solo che nessuno considerò fu Spallaci.
Il romano rimase nell’ingresso, mentre Chiara si stringeva a
Laura, rimanendo poi perplesso quando la fiorentina schizzò
di scatto indietro. Solo successivamente ne comprese il motivo.
Con un ghigno sul viso, fischiò.
«Laura, hai una pagnotta in forno, vedo! Chi ti ha
ingravidata?»
Nella sala calò un improvviso
silenzio.
Tutti gli occhi si mossero velocemente dal ventre di Laura al viso di
Bengiamino il quale, ben distante dalla sorella, si era messo a
discorrere con Ezio circa il viaggio di ritorno da Orvieto.
Con risoluto mutismo, il milanese mosse due passi verso Laura,
aspettando che essa facesse lo stesso. Pareva sul punto di scoppiare,
tanto si era fatto duro in viso.
«Chi è stato?», sussurrò,
piegandosi in avanti quando la ragazza si accarezzò il
grembo con le mani.
Lei tenne gli occhi bassi.
Vicino alla porta, Corella si appiattì contro il muro.
Se Bengiamino fosse venuto a conoscenza dei fatti, di lui non avrebbero
raccolto neanche le briciole.
Pregò fino all’ultimo che Laura non lo tradisse.
«Un uomo, alla taverna», rispose titubante la
ragazza. «Un viaggiatore.»
«Nessuno di rintracciabile, insomma»,
soppesò Spallaci, ironico. «Che caso
…»
Cristiano e Maria si scambiarono un lungo sguardo, mentre il Mentore
guardava male – malissimo – Alessandro.
Nessuno se ne accorse; grazie al cielo, non se ne accorse Bengiamino.
Interrompendo quell’attimo di silenzio, Violante si
aggrappò meglio al braccio di Cristiano, il quale le fece
capire con un cenno che le avrebbe spiegato tutto quanto più
tardi.
Il solo che non pareva interessato a tutta quella scena era Machiavelli
che, seppur palesemente tentato di denunciare Corella, decise di farsi
i fatti propri.
«Avremo tempo di parlare di chi ha ingravidato cosa e
quando», disse con il solito tono pacato, mentre la signora
Auditore iniziava ad apparecchiare la tavola. «Ora vediamo di
cenare tutti insieme, come non facciamo da tanto.»
Corella tirò fuori un mezzo sorriso, sfuggendo
all’abbraccio del muro per ricongiungersi con Chiara e
Bengiamino. Passò le braccia sulle spalle dei due, prendendo
a camminare verso la tavolata.
«Anche il caro Mac è nostalgico, oggi»,
commentò, trovando chissà dove la forza di
ridacchiare.
Spallaci aggrottò la fronte.
«Mac?»
«Abbiamo preso a chiamarlo così,
ultimamente.»
Cristiano schioccò la lingua.
«Ma non è vero!», protestò,
indignato.
Corella balzò in avanti, tirandogli un poco i capelli.
«Poche lagne, tu!», lo rimproverò.
«O vedrai come scappa, la tua bella!»
«Quasi non posso crederci che da oggi non sentiremo
più Cristiano piagnucolare nostalgico la notte»,
disse Ezio, sedendosi come suo solito a capotavola. Sollevò
una discreta onda di risa, mentre il biondino si vergognava
d’esser nato. «Non avete idea di che strazio.
Pareva una vedova.»
«Ogni giorno la stessa solfa», proseguì
Laura, tirando un sorriso, mentre sedeva accanto a Bengiamino senza
guardarlo. Quella disposizione dei posti era ingiusta, soprattutto
perché aveva di fronte Alessandro e non sapeva dove spostare
lo sguardo. «Le pene d’amore fan male agli altri,
non a chi le prova!»
«Sembrava di parlare con uno straniero. Gli chiedevi A e
rispondeva Violante!», calcò la mano Corella,
beccandosi un pugnetto dal diretto interessato. «Il gioco
è bello quando è breve!»
«Se non altro, ora sappiamo tutto di te»,
commentò Maria, alzando le spalle mentre guardava Violante.
«Sapevi di avere …» Si fermò
un istante a pensare, ironica. «‘Capelli morbidi e
profumati come il sottobosco d’autunno’?»
«Per non parlare di due occhi specchio della luna sulle calme
acque del Tevere!», le diede corda Corella.
«La risata!», suggerì Laura, causando
una risata generale tra i ragazzi.
Spallaci batté una mano sul tavolo.
«Questa la indovino io!», esclamò.
«Così cristallina e soave da far invidia agli
angeli?»
Dall’altro capo del tavolo, Machiavelli scosse il capo con
aria esasperata.
«Potere prendere in giro Cristiano senza parlare di
me?», domandò a quel punto Violante, portando una
mano alla fronte e allontanando il braccio di Cristiano dalle sue
spalle con una scrollata poco elegante. «Sta diventando
davvero imbarazzante.»
Tutti risero.
«Non sai cosa abbiamo dovuto sopportare, donna», le
disse pratico Corella, prendendo un sorso di vino prima di riprendere a
parlare. «Il tuo promesso è peggio di un poeta.
Sempre a parlare di te, stava.»
«Però ora davvero, passiamo oltre»,
disse Maria, sorridendo a Cesco. «Raccontateci del vostro
addestramento speciale, avanti.»
Cogliendo tutti di sorpresa, Chiara prese la parola, sporgendosi sul
tavolo per afferrare un tozzo di pane.
«Cesco ha picchiato Augusto», commentò
con una risatina.
Nella stanza calò di nuovo il silenzio.
Il romano si portò una mano al viso, rosso di vergogna,
bofonchiando minacce alla ragazzina, mentre Corella commentava con un
lungo, acutissimo fischio.
«È stato bellissimo»,
commentò Bengiamino, scuotendo piano il capo con lo sguardo
perso nel vuoto.
Cristiano si sporse in avanti per pizzicare la guancia destra di
Augusto.
«Dite davvero?», esclamò, estasiato,
mentre il romano lo scansava con una manata in faccia.
«Quanto avrei voluto essere lì!»
«Non ho fatto nulla di che», commentò
Cesco con tono basso e imbarazzato, stupendo così tutti.
«Non credo di aver mai sentito il tono della tua
voce», rispose Corella, pensieroso mentre si grattava la
guancia, per poi afferrare la brocca del vino, riempiendo il bicchiere
di Ventimiglia prima del suo. «Brindiamo alla tua opera
massima! Umiliare Spallaci è sempre cosa buona e
giusta.»
«Amen!»
Cristiano alzò a sua volta il calice, mentre anche
Bengiamino e Maria si univano al gesto.
Laura li imitò usando l’acqua, mentre Chiara
ridacchiava sotto ai baffi.
Mangiarono tutti a sazietà, senza risparmiare cibo o vino.
Quando anche l’ultima fetta di arrosto fu ingurgitata da un
affamatissimo Spallaci, erano ormai tutti troppo brilli o stanchi per
pensare di mettersi al lavoro di alcunché, sicché
di comune accordo passarono un’altra ora a parlare del
più e del meno attorno ai piatti vuoti.
«Propongo l’osteria!», esclamò
d’un tratto Corella, alzandosi in piedi per richiamare
l’attenzione di tutti. Dopo almeno sette bicchieri di vino
non era propriamente in grado di stare dritto sulle gambe, ma fece del
suo meglio. «E, prima che qualche vecchio musone si
dissoci», disse, puntando il dito tremante contro Maria e
Machiavelli. «Stasera non si accettano disdette!»
Ezio rise di cuore, così come non faceva da un paio di mesi,
alzandosi a sua volta.
«Avanti, tutti a cambiarsi. Mettete qualcosa che non attiri
l’attenzione e andiamo a farci un bel boccale!»
«Io e Violante preferiamo rimanere», disse
Cristiano, scambiando uno sguardo con la ragazza.
Fu lei, a rispondere alle lamentele generali.
«Abbiamo tanto da dirci e un matrimonio da organizzare.
Possiamo raggiungervi dopo.»
«Visto da quanto non vi vedete, Cristiano durerà
così poco che non finiremo nemmeno il primo giro di
bevute!», disse Spallaci, mettendosi il mantello.
Tra gli schiamazzi generali, la risatina scioccata di Chiara
risuonò acuta e brillante.
La ragazzina si coprì il viso con un lembo del mantello di
Bengiamino, affondando il naso arrossato nella stoffa per coprire il
sorriso.
«Andiamo, andiamo», esclamò Corella,
allacciandosi il mantello al contrario. Barcollò malamente
fino a Cesco ficcandogli una mano in faccia per tenersi in equilibrio.
«Mio buon amico, aiutami ad arrivare fino
all’osteria!»
Cesco, aprendo la bocca per controbattere, finì per
assecondarlo.
«Come hai detto di chiamarti?», gli chiese il
forlivese. Dinanzi a una mancata risposta, si voltò verso
gli altri. «Ma qualcuno lo conosce?»
Maria lo spinse per le scale, rischiando di vederlo capitolare
malamente.
«Se si deve proprio fare, che si vada veloci. Intendo
riposare le ore che mi spettano.»
Machiavelli le si affiancò, sussurrando impertinente e con
un sorriso di chi si sente simpatico: «Attenderemo che i
bambini si ubriachino per sgattaiolare via.»
Ezio ruggì una risata, infilandosi fra loro e abbracciando
le spalle di entrambi.
«Bada a ciò che dici, Niccolò! Che poi
finisce che steso sotto ad un tavolo ci finisci te!»
Si allontanarono bonariamente verso la porta, lasciando i
più giovani a finire di prepararsi per la sera.
«Li raccoglieremo tutti e tre», sospirò
Laura, alzandosi il cappuccio sulla treccia castana.
Cristiano annuì.
«È probabile», commentò,
dando una risatina.
Spallaci lo superò con un salto.
«Questa non me la voglio perdere!», rise,
allargando le braccia. «Machiavelli ubriaco stanotte,
l’apocalisse domani mattina!»
«Cercate di raggiungerci», disse Chiara, prendendo
a braccetto di un Bengiamino assai scuro in volto.
Non pareva ancora aver assimilato la gravidanza di Laura ma iniziava a
nutrire seri sospetti verso Ezio. Insomma, a detta sua aveva un certo
intuito verso quelle cose.
Spingendola verso l’uscio, Violante sorrise alla fiorentina,
confermando che avrebbe fatto il possibile.
Quando la porta di chiuse, la
bolognese sospirò, sollevata come mai prima d’ora.
«Dio, non sopportavo più quella piattola di
Chiara. Averla come compagna di dormitorio mi ha stesa, non sta zitta
nemmeno se le levi l’acqua e il cibo.»
Cristiano rise apertamente, abbracciandola da dietro e baciandola sulla
spalla coperta dalla divisa.
«Ora sei qui con me, che t’importa delle
scocciature?»
«Tu sei il re delle scocciature. Riuscivi a infastidirmi da
qua a Orvieto con le trecento lettere che mi hai inviato
…»
Cristiano ridacchiò, scuotendo piano la sua chioma bionda
che, con il passare dei mesi, si era fatta più folta.
«Non ho mai letto una sola parola di rimostranza»,
sottolineò, cingendo i fianchi della ragazza mentre con le
labbra le sfiorava il collo. Mosse una ciocca di capelli con il mento,
fermandosi a baciare il lobo dell’orecchio prima di
accarezzarle la tempia con la punta del naso. «O le serbavi
tutte per il nostro incontro, Madonna degli Antoni?»
«Mi sembrava scortese dirtelo così. Ora posso
farlo di persona.»
La giovane poggiò le mani su quelle del ragazzo, incrociate
sul suo ventre, prima di appoggiarsi con la schiena al suo petto.
Percorse con gli occhi tutta la sala, che sembrava rimasta esattamente
come la ricordava.
Parevano esser passati anni, dall’ultima volta che era stata
lì.
Prima di perdersi in convenevoli e organizzazioni, Violante decise di
porre la domanda che le aveva ballato sulla punta della lingua per ore.
Ci aveva pensato a lungo, nei due mesi che aveva trascorso a Orvieto.
«Il figlio di Laura è di Corella, vero?»
Cristiano roteò lentamente gli occhi, annuendo
distrattamente.
«Così pare», rispose.
Si sporse in avanti per schioccare un bacio sulla guancia di Violante,
dopodiché la lasciò andare, camminando spedito
verso lo scrittoio dove tenevano carta e calamai.
«Ci avresti mai creduto, che sarebbe finita
così?»
«Con Corella che ingravida qualcuno? Ammetto di
sì, ma avrei scommesso su Paola, se solo avesse fatto meno
la sostenuta.»
Il biondo fece sedere Violante sulle sue ginocchia, prima di iniziare a
parlare di fiori, chiese, del fatto che gli abiti di entrambi sarebbero
stati confezionati dai migliori sarti e che la sua famiglia avrebbe
provveduto ad ogni spesa necessaria.
Così presi dalla pianificazione, i due ragazzi non si
accorsero delle ore che passavano.
E che, a notte inoltrata, nessuno aveva ancora fatto ritorno
…
«Prima di cominciare,
vorrei mettere in chiaro le regole.»
La voce di Corella si stagliò improvvisamente sopra tutte le
altre, mentre il gruppo di ragazzi si stringeva, curioso, intorno ai
tre sfidanti.
Con risolutezza, il forlivese riempì le pinte di birra sul
tavolo, tornando al suo posto di giudice.
Laura, che gli faceva da assistente, sospirò. Non sarebbe
finita bene, non sarebbe finita bene per niente. Non c’era
una sola possibilità che quell’idea portasse ad
alcunché di buono.
Osservò Machiavelli stringere il pugno intorno al suo
boccale, mentre Corella spiegava le regole della gara.
«Al tre dovrete buttare giù ciò che
avete nel bicchiere», blaterava intanto il forlivese, ben
preso dall’odore di sfida che aleggiava nell’aria.
«Niente versamenti, niente interruzioni, vietato barare. Chi
rimane in piedi avrà gloria infinita!»
Laura passò lo sguardo su Ezio, ancor più
concentrato sulla sua pinta, e Maria, seduta tra i due uomini con
entrambe le mani sul tavolo.
Dire che quei tre avessero perso il barlume della ragione era un puro
eufemismo: persino Corella, dopo due caraffe di vino, pareva
più sano.
«Finito il primo boccale, vi verrà quindi passato
il secondo, poi il terzo e così via»,
continuò Alessandro, indicando Chiara, Bengiamino e
Spallaci, pronti a servire rispettivamente Maria, Machiavelli ed Ezio.
«Chi vomita è squalificato. Vietato ruttare a
bocca aperta e conservate le energie per bere. Non parlate fra voi,
quindi! Chi sviene paga tutta la serata a tutti.»
Niccolò sembrava deciso. Si sporse in avanti, scambiando uno
sguardo carico di risentimento verso Auditore, prima di rivolgersi a
Corella .
«Il primato da battere?»
A quelle parole, il forlivese rise.
«Quello di Cristiano. Una sera, sfidando me e Spallaci, ha
bevuto tredici pinte di fila. Io sono svenuto alla nona, Spallaci ha
vomitato alle sesta.»
«Così di fila, senza aver mangiato! Bella sfida,
davvero!», si offese Spallaci, battendo un pugno sul tavolo.
Laura scoppiò a ridere.
«Scusate, ma Cristiano ha pisciato per ore, dopo …
tornando a casa, ogni angolo è stato rivendicato come
suo!»
Machiavelli alzò gli occhi al cielo. Anche da ubriaco, non
mancava di dimostrare il suo risentimento nei confronti della
combriccola di assidui frequentatori d’osteria che Ezio aveva
messo in piedi.
«Fai ancora in tempo a ritirarti,
Niccolò», lo stuzzicò Maria, rossa in
viso a causa del bere.
Il consigliere rispose con uno sbuffo divertito, alzando le spalle come
se, per lui, quello non fosse che un giochetto per principianti.
«Inizia a contare, Corella», disse, con un mezzo
ghigno a tendergli il volto.
Adagio, Alessandro iniziò il conto alla rovescia.
«Tre.»
Con un mugolio preoccupato, Chiara si strinse al braccio di Bengiamino,
il quale fissava la scena con occhi sbarrati.
«Due.»
Spallaci spalancò la bocca e Cesco impallidì,
appoggiandosi a lui per non perdere l’equilibrio a causa del
troppo vino.
«Uno.»
Corella prese un ultimo sospiro, passandosi la mano sudata tra i
capelli scuri.
«Via!»
Laura smise di respirare e portò entrambe le mani alla bocca
mentre, alle sue spalle, i sui compagni iniziavano il tifo
più rumoroso che orecchie umane avessero mai avuto modo di
udire.
La prima a svuotare il boccale fu Maria, che si arrabbiò
moltissimo quando Chiara attese più del dovuto per
consegnarle quello dopo. Mentre la modenese svuotava un paio di
boccali, gli altri due nel mentre ne facevano uno solo, finendo sempre
insieme.
«Lorenzetti, datti una mossa a riempirlo o dormirai nelle
stalle!», ruggì Niccolò verso
Bengiamino, il quale gli passò il boccale facendolo
strisciare sul tavolo.
Dopo il sesto boccale, però, Maria fu costretta alla resa.
Si alzò barcollante, rischiando di inciampare nella panca e
riversando a terra tutto il contenuto del suo stomaco. Cesco, per
solidarietà o perché era anch’egli
troppo pieno, fece lo stesso, ma sulle scarpe di Spallaci.
«Squalificata!», urlò Corella, nel pieno
dell’idillio. «Auditore contro Machiavelli: sfida
epica!»
«Scommetto tutti i miei soldi su Auditore!»,
strillò Spallaci, mentre con un gesto del braccio passava al
Mentore l’ennesimo boccale.
Approfittando di una pausa tra i bicchieri, Lorenzetti gli
allungò il borsello.
«Almeno il doppio su Machiavelli»,
borbottò, tornando al lavoro.
I due uomini continuarono a bere fino all’undicesima pinta,
che svuotarono assieme per poi buttare malamente i bicchieri sul tavolo.
Laura strinse i pugni, in preda all’emozione. Era la sfida
più eccitante a cui avesse mai avuto modo di assistere.
Nessuna comparazione alle noiosissime gare di tiro con l’arco
che i suoi fratelli organizzavano a Milano e che richiedevano un
pomeriggio intero per nominare il vincitore!
«Lorenzetti, muoviti!»
La voce roca di Machiavelli la riportò immediatamente alla
realtà.
Senza che la ragazza potesse in alcun modo rendersene conto, il
consigliere svuotò un’altra pinta e mezzo, senza
dare segni di alcun cedimento.
Il Mentore provava a stargli dietro, certo, ma i segni della disfatta
cominciavano a manifestarsi sul suo viso, ogni sorso più
evidenti.
Ezio Auditore, Mentore dell’Ordine degli Assassini,
abbandonò definitivamente la sfida al quattordicesimo
boccale, versandone il contenuto sul pavimento prima di cadervici sopra
e di ruzzolare sul pavimento.
Dopo quindici pinte di birra, Niccolò Machiavelli aveva
ufficialmente vinto la sfida, stabilendo il nuovo primato non solo
nella compagnia ma, probabilmente, nella taverna intera.
Mentre teneva le braccia alzate come un gladiatore nell’arena
innanzi ai nemici caduti, Corella e Bengiamino si affrettarono a
sollevarlo in aria, facendogli fare tutto il giro della taverna.
Condotto così in gloria, Machiavelli scoppiò a
ridere, facendo gestacci più o meno irriverenti verso la
carcassa di Auditore che se non fosse stato per Cesco e Laura, sarebbe
rimasto abbandonato a se stesso.
Spallaci nel frattempo piangeva sui suoi soldi, ma non mancò
di recuperare il borsello del Mentore.
Dopotutto, il regolamento voleva che gli svenuti pagassero il conto.
Aiutata dal giovane Conte, Laura riuscì in qualche modo a
rimettere in piedi ciò che restava del grande Mentore,
trascinandolo di peso verso la porta mentre questi implorava una
seconda possibilità.
Lo mollò a Spallaci, tornando indietro per raccogliere anche
Maria, sdraiata a terra in un’attenta contemplazione del
soffitto.
«Andiamo», bofonchiò, una volta
raggiunta la porta.
Spallaci la guardò con un sopracciglio alzato.
«E dove?»
Laura sospirò.
«A metterli a dormire, Augusto. O domani non avremo
più un Mentore.»
E così, gli sconfitti abbandonarono nell’ombra la
gloria del loro compare vincitore, trascinati di peso verso la
solitudine del Covo.
Di come Machiavelli sarebbe tornato a casa, Laura non osava porsi
domanda. Ci avrebbero pensato gli altri, sempre che fossero riusciti a
trovare l’uscio dell’osteria senza inciampare in
altri boccali colmi di birra.