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Autore: Severia85    15/06/2015    5 recensioni
"Bella esperienza vivere nel terrore, vero? In questo consiste essere uno schiavo." Regulus e Timothy (OC), da poco divenuti Mangiamorte, si trovano loro malgrado a partecipare ad una missione. Scelte diverse li porteranno a destini diversi: a chi dei due spetterà la sorte migliore?
Questa storia si è classificata terza al contest "Di 15 in 50" indetto da S.Elric
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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SCHIAVI DI UNA SCELTA
 
L’urlo straziante invade la stanza silenziosa. Tutti osserviamo il ragazzo dimenarsi in preda al dolore, mentre Lui gli inietta sotto la pelle l’essenza stessa del male.
Credo si chiami Timothy. È giovane: a scuola, era un anno indietro a me. Sarà appena uscito da Hogwarts, orgoglioso per i suoi M.A.G.O.
Ma è debole: cade a terra, tenendosi il braccio sinistro, mentre continua a gemere. Voldemort si china su di lui, con un ghigno beffardo. Gli sfiora il viso con la mano ossuta, quasi a fargli una carezza.
“I miei seguaci non piangono come donnicciole.” Gli mormora nell’orecchio. Poi, con un movimento della bacchetta, gli infligge un ulteriore dolore. Vedo i suoi muscoli contrarsi, la schiena si inarca e gli occhi si spalancano, ma per magia il suo grido è silenzioso e ancora più inquietante. Mentre se ne va, l’Oscuro gli calpesta il braccio marchiato: posso sentire lo scricchiolio delle ossa che si spezzano, unico suono nella stanza.
Non devo distogliere lo sguardo da questa scena raccapricciante, se non voglio mostrarmi debole anch’io. Bellatrix sogghigna accanto a me: se questo nuovo adepto non soddisferà le aspettative, se ne occuperà lei di persona e ne trarrà un enorme piacere.
Ricordo bene la mia cerimonia di iniziazione: mi sono inchinato ai suoi piedi, stranamente senza paura. Stavo rendendo fieri i miei genitori, stavo compiendo il mio destino. Solo quando ho fissato i suoi occhi rossi, ho provato un brivido di terrore, eppure sono rimasto in piedi, fermo nel mio proposito. L’Oscuro mi ha afferrato il polso, con una morsa d’acciaio: non avrei più potuto sottrarmi alla sua volontà. La bacchetta si è appoggiata sul mio polso bianco e una fitta di dolore si è diffusa in tutto il corpo. Era come se il fuoco mi stesse mangiando la pelle, cuocendo il mio sangue e rendendolo nero. Credo che, se venissi bruciato vivo sul rogo, come accadeva alla nostra gente nei secoli passati, non proverei lo stesso dolore. Ho stretto i denti e ho provato inutilmente a sottrarmi. Quando tutto è finito, il Marchio Nero mi guardava trionfante: si era impossessato di un’altra anima, ne aveva succhiato il sangue avidamente. Non sarei stato libero mai più.
Appena arrivai nella mia stanza, svenni.
 
****
 
Timothy è accanto me, tanto pallido che la sua pelle sembra trasparente. Ha la fronte imperlata di sudore e sta tremando impercettibilmente. Non ha mai visto uccidere nessuno, tuttavia avrebbe potuto reggere ad un omicidio, ma non alla tortura che il nostro Signore sta eseguendo con grande soddisfazione da più di mezz’ora.
La vittima è una donna, un’Auror. Non ne conosco il nome e preferisco non saperlo. È meglio veder morire uno sconosciuto, piuttosto che una persona di cui sai nome e cognome: diventa solo uno dei tanti volti che cerchi di dimenticare.
Rodolphus l’ha catturata e portata qui. Voldemort se l’è tenuta come piccolo intrattenimento in un pomeriggio noioso.
Per prima cosa, l’ha spogliata e le ha legato mani e piedi, assicurandoli a degli anelli, fissati al muro, tanto che sembra in croce. Poi, con un incantesimo, le ha procurato una decina di tagli profondi su tutto il corpo ed è rimasto a godersi lo spettacolo del sangue che colava, mentre la ragazza urlava disperata. Se avesse atteso ancora un po’, la giovane sarebbe morta dissanguata, ma il mio Signore è clemente e ha risanato le ferite. Questo, solo per dedicarsi ad un giochetto che gli provoca un piacere fisico maggiore: la tortura. Le infligge una cruciatus dietro l’altra, ma senza troppa fretta, in modo che il dolore nuovo non lenisca quello vecchio. Bellatrix smania per unirsi a lui, in questo piacevole passatempo, ma dubito che la donna reggerà ancora per molto. O almeno, lo spero per lei. E anche per Timothy che tra poco crollerà su questo pavimento freddo, soddisfacendo, forse, le voglie di Bella. Per fortuna non ha toccato cibo prima, altrimenti avrebbe già dato di stomaco.
Non posso non chiedermi chi glielo abbia fatto fare, di diventare un Mangiamorte. Non è neppure di famiglia nobile: è solo un Mezzosangue, con una madre strega e un padre babbano. Pensava di ottenere potere e ricchezza? Pensava di farsi onore?
Mentre io cerco di distrarmi con questi pensieri, Voldemort ha slegato l’Auror che è caduta a terra. Non è morta, solo svenuta. Temo che la lascerà a Greyback o a qualche altro Mangiamorte assetato di sesso facile.
Non posso farci nulla, io: sono solo un ragazzo che deve ancora dimostrare la sua totale fedeltà e guadagnarsi così la considerazione di Voldemort.
Finalmente, veniamo congedati e posso uscire a godere l’aria frizzante che non odora di sangue, sudore e paura. So bene che la sensazione di libertà che provo in questo momento è solo pura illusione, eppure cerco di trattenerne almeno un poco, assaporandola.
Timothy mi si avvicina timoroso: non sa se può fidarsi di me.
“Tu come fai?” mi domanda, abbandonando qualunque incertezza.
“A fare cosa?” gli chiedo, ben sapendo a cosa si riferisce.
“A sopportare tutto questo senza… senza…”
Non riesce a completare la frase.
“Ci farai l’abitudine.” Rispondo, mostrando una spavalderia che non mi appartiene.
“Vuoi dire che si può fare l’abitudine a tutto questo?”
È stupito, scandalizzato.
“Perché ti sei fatto marchiare, se non sopporti questo genere di cose?”
“Io non credevo che fosse così.”
Non posso fare a meno di domandarmi se questo ragazzo sia solo molto ingenuo o se sia un completo stupido.
“Non riesco più a dormire la notte: ho gli incubi.”
Continua a parlare come se potesse servire a qualcosa: non mi interessano i suoi problemi, ho già i miei e mi bastano. Comunque, non potrei fare nulla per lui: ha già firmato la sua condanna e il marchio che ha sul braccio dovrebbe servire a ricordarglielo.
“Ho paura che possa uccidere anche me,” continua. “Perché sono un debole.”
Non ne posso più, devo interrompere il suo monologo.
Bella esperienza vivere nel terrore, vero? In questo consiste essere uno schiavo.” Gli rispondo di getto, senza pensare. Lo lascio a bocca aperta, a riflettere sulle mie parole. Se le riferisse all’Oscuro a qualche altro Mangiamorte, sarebbe la mia fine, ma dubito che questo sciocco ragazzino ne abbia il fegato. Mi smaterializzo, prima che possa riprendere a parlare. Non ho bisogno di un moccioso attaccato al mantello, da proteggere. Devo pensare a me stesso, a sopravvivere, nient’altro.
 
****
 
“Mi dicono che nel villaggio di Highthill viva un certo Mat Kinds.” Dichiara Voldemort, con voce tranquilla, mentre accarezza il suo serpente. “Pare sia un ottimo guaritore, che aiuti la gente in difficoltà, anche i babbani. Un’anima un po’ troppo pura, non trovate?”
Seguono alcune risate beffarde e commenti schifati da parte dei suoi seguaci più fedeli.
Siamo tutti seduti a tavola, con i resti del pranzo ancora nei piatti. Cerco di non dare troppo nell’occhio, di non fare rumore. Timothy non c’è: mi domando dove sia. Possibile che sia scappato? Non so se è abbastanza coraggioso, comunque - se lo ha fatto - si è condannato a morte da solo e a una morte lenta e dolorosa: l’Oscuro non tollera il tradimento.
“Vorrei che qualcuno si assicurasse che questo non accada più.”
Scattano al cielo molte mani: è un compito relativamente facile che può far guadagnare onore e rispetto. Uccidere un Medimago indifeso e magari portarne il cuore al nostro Signore, però, è un compito che non mi alletta.
“Dolohov so che faresti un ottimo lavoro anche da solo, ma vorrei che ti facessi accompagnare da alcune delle nostre giovani leve: devono cominciare a dimostrare la loro lealtà e il loro valore.”
Il mio cuore si ferma a quelle parole: sono in trappola! Dopo aver visto in azione Voldemort e i suoi Mangiamorte, ero riuscito a tenermi lontano da certe incombenze, ma questa volta niente mi potrà impedire di partecipare ad una missione punitiva. Anzi, potrebbero persino chiedermi di essere l’esecutore materiale.
“Regulus.”
Mi chiama per nome, come se fossi suo figlio. Ma non mi perdonerebbe nessuno sbaglio né un tentennamento: non è un padre misericordioso.
“Sì, mio Signore.”
Dentro di me tremo, tuttavia mi mostro forte e risoluto. Sostengo il suo sguardo di ghiaccio e mi mostro convinto.
“Pensi di farcela, ragazzo?”
“Sì, mio Signore.”
Sembra che sia incapace di dire qualunque altra cosa. E in effetti è così: ho la gola chiusa e fatico a respirare.
“Bene, molto bene.”
Sembra soddisfatto: oggi forse non morirò.
“Portate con voi anche l’altro.”
Una parte di me teme per la sorte di Timothy: difficilmente reggerà a tanto; eppure sono contento che ci sia anche lui: forse, non toccherà a me la parte peggiore. Forse, se qualcosa dovesse andar male, non sarò io ad essere punito. È un pensiero maligno, tuttavia il mio spirito di sopravvivenza mi fa essere egoista.
 
****
 
Il ghigno perfido di Antonin rende il suo viso ancora più asimmetrico. Sposta continuamente i capelli neri e unti che gli ricadono sulla fronte: è agitato, impaziente di portare a termine la missione e di divertirsi un po’ sulla pelle di un povero mago ignaro. Tutt’altra agitazione anima noi giovani.
Timothy si tiene qualche passo indietro. Quando è ritornato al castello e ha saputo della missione è sbiancato. Fortunatamente per lui, non è svenuto. È corso da me in preda al panico, eppure io l’ho liquidato con poche parole.
“Abbiamo una missione: ce l’ha affidata Lui in persona. Dovresti considerarlo un onore.”
“Non credo di essere capace di uccidere.” Ha balbettato.
“Forse, non si tratterà solo di uccidere. Forse, dovremo anche torturarlo. E tu sai che certe maledizioni funzionano solo se c’è la volontà.”
“Non posso farlo!”
Gli ho afferrato il polso e gliel’ho messo di fronte alla faccia.
“Dovevi pensarci prima di fare questo.”
Ha pianto, senza nemmeno preoccuparsi di nasconderlo. Mi ha fatto pena.
“Vedila così.” Gli ho detto “Quell’uomo, quel Mat, è già condannato a morte. Se non lo farai tu, saremo io e Dolohov a mandarlo all’inferno. La tua sorte invece è ancora da decidere: puoi ottenere grazia oppure fare la stessa fine.”
Si è convinto a venire e adesso siamo qui. È notte e le strade sono deserte. Ho notato solo un ubriaco seduto ad un angolo della strada, che cantava a bassa voce con la bottiglia in mano. Spero che nessuno ci venga incontro, perché so già quale sarebbe il suo destino.
“Eccola!” esclama Antonin, raggiante.
È una villetta uguale a quelle che ci sono lungo tutta la via. Ha due piani e il tetto spiovente. Il giardino è ben curato, per quel che posso vedere. Le finestre sono tutte buie.
Sfondiamo la porta senza troppe cerimonie e siamo dentro. Si sentono dei rumori dal piano di sopra, urla e passi.
Dolohov si precipita sulle scale facendo i gradini a tre a tre. Lo seguiamo meno entusiasti, con le bacchette sfoderate.
Non ero preparato alla scena che mi si presenta: non so per quale motivo, ma ero certo che avremmo trovato il Medimago da solo. Un lavoretto rapido e pulito. Invece, dietro ad un uomo in pigiama ben piantato e con le spalle larghe che brandisce la bacchetta, vedo una donna con i capelli neri sciolti sulle spalle, inginocchiata, che stringe al petto due bambini piccoli. Uno dei due piange, con il viso nascosto sulla spalla della madre, l’altro invece mi fissa con gli occhi spalancati. È terrorizzato. Quello sguardo mi entra dentro e mi toglie il respiro.
“Andatevene da casa mia!” urla l’uomo.
“Hai fatto arrabbiare il mio Signore, curando tutti quei babbani.” Spiega Antonin, puntandogli la bacchetta in mezzo agli occhi. “Ora sarai punito!”
“Voi due,” aggiunge poi, rivolto a noi. “Occupatevi del resto della famigliola.”
La bacchetta trema nella mia mano: non sono in grado di ubbidire. Spero con tutto me stesso che la donna si smaterializzi all’istante, portandosi dietro i figli, ma evidentemente non ha con sé a bacchetta. Solo una magia involontaria di uno dei bambini potrebbe salvare sia loro che me, ma non accade nulla. I secondi stanno passando. Guardo Timothy: ha la fronte imperlata di sudore e non punta nemmeno la bacchetta.
Poco più in là, il combattimento è finito: vedo con la coda dell’occhio una bacchetta volare via e so per certo che è quella del guaritore. Sento il primo urlo lacerante. È un acuto che penetra dalle mie orecchie fino alle viscere più profonde. Un altro grido, e un altro …
La donna trascina i due bambini in una stanza e vi si chiude dentro.
Mi rendo conto di essere ancora immobile, con la bacchetta puntata verso il nulla.
“Andate ad ammazzare quei tre, altrimenti me ne occuperò io personalmente e poi farò i conti con voi.”
Capisco di non avere scampo.
“Ti prego, no. I miei figli no!” è la preghiera sussurrata - con quel poco di voce che gli è rimasta - di un padre disperato.
Prendo una decisione sul momento: ho un solo modo per esaudire quella richiesta e salvare la mia vita. Afferro Timothy per un braccio e lo trascino con me. Abbatto la porta e accendo la luce. Sono ancora tutti e tre abbracciati, come se la loro unione potesse salvarli. Uccido la donna con un unico lampo verde, preciso alla schiena. I bambini gridano, ma non sanno che sto facendo loro un favore: non li lascerò nelle luride grinfie di Dolohov. Uccido il primo bambino, quello con gli occhi pieni di paura. Cade a terra senza grazia e la paura gli resta negli occhi aperti.
“Devi uccidere l’altro, ora!” grido a Timothy.
“Non posso.” Geme.
“Lo ucciderò comunque. Almeno avrai salva la vita.” Cerco di spronarlo, di convincerlo a compiere quel crimine disumano. Lui scuote la testa.
Sento i passi di Antonin avvicinarsi e mi affretto a finire il lavoro.
“Avada Kedavra!”
Anche l’altro piccolo crolla a terra, accanto al fratello. Un grido muto gli rimane sulle labbra.
Dolohov entra e osserva la scena, poi guarda me e Timothy.
“Ben fatto, Black. Sai, per un momento ho dubitato della tua fedeltà, ma ora posso dire all’Oscuro che sei degno del Marchio che porti.”
Faccio un piccolo cenno con la testa, mentre dentro sento un dolore che non ho mai provato prima. È come se qualcosa si fosse rotto per sempre, come se mi fosse stata portata via una parte di me. Non sarò mai più lo stesso: ora lo so.
Ma a Timothy andrà peggio.
 
Ce ne andiamo, lasciando il Marchio Nero sulla casa.
 
****
 
Timothy è andato incontro al suo destino, con più dignità di quanta ne avesse dimostrata fino ad ora. Il suo corpo è stato violato, spezzato, eppure lui non sembrava essere più lì. Nagini ha divorato quanto restava di lui, con l’ingordigia tipica dei serpenti.
Tuttavia credo di essermi sbagliato: non è lui quello a cui è andata peggio. Timothy è morto, ma ha mantenuto intatta la sua anima. Non ha provato quello che provo io ora. Non ha commesso nessun crimine e adesso ha trovato quella pace che io non conoscerò mai. Mi aspetta un’altra missione domani notte: altre vite da recidere, un altro pezzo di anima a cui rinunciare.
Alla fine, Timothy è stato più forte di me, più coraggioso.
A lui è andata decisamente meglio.
 
  
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