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Autore: Gaia Bessie    17/06/2015    3 recensioni
Sono passate quasi tre settimane da quando Hermione gli ha insegnato cosa è una chiesa e chi è Dio, e Fred ha percorso quella navata diciotto volte per diciotto giorni, alla ricerca delle sue risposte, ma senza trovarle.
Per diciotto volte si è seduto dietro la schiena della signora, sempre vestita di viola, senza concentrarsi su quei capelli spettinati dal vento, sbiancati dall’età, senza sapere bene cosa chiedere al Signore Onnipotente, e finendo sempre per non chiedere nulla o quasi.
(...) Ma Dio, ha sussurrato Hermione a Fred insegnandogli il Padre Nostro, non fa sconti per nessuno: che muoiano, dunque, i suoi migliori amici, lasciandola sola per sempre.
Sia fatta la Sua volontà, ha recitato Hermione, prima di scoppiare a piangere. La sua volontà muta, senza senso, che si contrappone a questo scempio che abbiamo vissuto, a queste empietà che si sono consumate dietro la polvere, al nostro dolore. Così sia, cantilena Hermione ed è il canto dei sopravvissuti, ma che Dio non si aspetti riconoscenza da parte mia: come potrei essergli riconoscente? Se davvero mi avesse amata come sua figlia, allora mi avrebbe evitato tutto questo.
Sia quel che sia, ma io non perdono, né dimentico.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Daphne Greengrass, Fred Weasley, George Weasley, Hermione Granger | Coppie: Astoria/Fred
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Da Epilogo alternativo, Contesto generale/vago
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Attenzione: questa storia parla di Dio e di religione in termini che potrebbero turbare o dare fastidio al lettore. Lettore avvisato, mezzo salvato.
 
Detto questo, mi scuso per essere sparita, ma sono di maturità, e si vede dal delirio che è successo in questa storia, che vive sulle linee del “Sermone del fuoco” di Eliot e sull’aforisma 125 della “Gaia Scienza” di Nietzsche. Probabile OOC, molto ermetica, molto folle, prima Fred/Asteria dopo secoli...
Spero vi piaccia e buona fortuna a tutti i maturandi.
 
 


 
Il sermone del fuoco
 
 
«Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa?»
– F. Nietzsche, La Gaia Scienza, Aforisma 125
 
 
Io Tiresia, vecchio con le mammelle raggrínzite,
Osservai la scena, e ne predissi il resto
(…)
E io Tiresia ho presofferto tutto
Ciò che si compie su questo stesso divano o questo letto;
lo che sedei presso Tebe sotto le mura
E camminai fra i morti che più stanno in basso
– T. Eliot, La Terra Desolata, Il Sermone del Fuoco
 
 
La chiesa suona di preghiere: c’è una vecchia signora, tutta vestita di viola scurissimo, ma non nero perché il nero è un lutto comune. Dietro di lei, un giovanotto dai capelli rossi che tiene la testa fra le mani, le nocche sbiancate dietro la pelle pallida, come se volesse incidersi le dita nel cranio.
Fred Weasley non ha parlato, quel giorno, o pregato. Sono passate quasi tre settimane da quando Hermione gli ha insegnato cosa è una chiesa e chi è Dio, e Fred ha percorso quella navata diciotto volte per diciotto giorni, alla ricerca delle sue risposte, ma senza trovarle.
Per diciotto volte si è seduto dietro la schiena della signora, sempre vestita di viola, senza concentrarsi su quei capelli spettinati dal vento, sbiancati dall’età, senza sapere bene cosa chiedere al Signore Onnipotente, e finendo sempre per non chiedere nulla o quasi.
Le vetrate riscaldate di sole o bagnate di pioggia, un riflesso tagliente sul viso, sui capelli: Fred non saprebbe spiegare perché i Babbani sentono l’esigenza di pregare, se forse lo fanno e basta o magari ci credono davvero, ma riesce perfettamente a comprendere perché lo trovino confortante. Perché rassicurante è l’aria calda, appestata di incenso, che si respira, e rassicuranti quei mormorii silenziosi che si sentono fra le panche, come un eco disperato, l’eco dei naufraghi.
Fred non riesce a capire perché si ostini a pregare, ma quando guarda fuori, e il sorriso del cielo è il sorriso di Asteria, e l’aria che scampanella negli acchiappasogni è la sua risata, allora tutto diventa perfino dolorosamente chiaro: il motivo è lei. Così china la testa e torna a pregare, in silenzio, per il suo novello Dio dei diciotto giorni, una divinità dalla volontà muta, dai desideri insondabili.
Qualche volta, perfino Hermione esce dal suo bozzolo di tranquillità artefatta, per recitare preghiere che quasi non ricorda più, la spalla vicino a quella di Fred, gli occhi socchiusi. Non parlano mai.
È fatta di polvere, Hermione Granger, polvere e cenere impastate con lacrime e sangue: una bambolina monca con la testa ridotta in cenere granulosa, senza mani, senza cuore. È crollata sul campo di battaglia, l’amica di Potter, e ne è uscita cambiata.
Le hanno insegnato, i Mangiamorte, che ci sono torture che prescindono la Magia: Bellatrix e il suo coltello, Mezzosangue inciso sul braccio, le mani tagliate affinché non possa fare più incantesimi. Mezza morta, Hermione, sul campo di battaglia a soffocare gemiti di dolore, a pregare Dio che Harry e Ron non la trovassero in quello stato. La trovarono, ovviamente, sporca di terra e con le mani ridotte a una massa grumosa di carne e sangue, divorate dalle infezioni, gli occhi come sabbia vetrificata nelle orbite vuote, trasparenti. Nel delirio della febbre, nel dolore alle braccia, Hermione si perse la fine della Guerra e, a dire il vero, rischiò quasi di non vederla: meglio così, dunque, piuttosto che farla assistere alla caduta di Ron ed Harry, i sacrifici nobili di chi ci crede davvero, nella giustizia. Ma Dio, ha sussurrato Hermione a Fred insegnandogli il Padre Nostro, non fa sconti per nessuno: che muoiano, dunque, i suoi migliori amici, lasciandola sola per sempre.
Sia fatta la Sua volontà, ha recitato Hermione, prima di scoppiare a piangere. La sua volontà muta, senza senso, che si contrappone a questo scempio che abbiamo vissuto, a queste empietà che si sono consumate dietro la polvere, al nostro dolore. Così sia, cantilena Hermione ed è il canto dei sopravvissuti, ma che Dio non si aspetti riconoscenza da parte mia: come potrei essergli riconoscente? Se davvero mi avesse amata come sua figlia, allora mi avrebbe evitato tutto questo.
Sia quel che sia, ma io non perdono, né dimentico.
Fred recita le preghiere come una vecchia vedova senza rosario, i capelli rossi sbiaditi di luce filtrata, gli occhi persi in un punto appena oltre l’infinito. Il corpo di Hermione, un corpo di terra e polvere, al suo fianco: la mente di Hermione, invece, chissà in che lidi vaga. Continua a urlare, nella testa di Fred, come quando le hanno dovuto dire che erano morti, morti e sepolti, morti e non resuscitati. Da quel momento, Hermione non ha più pianto. Tutto quello che avrebbe potuto rattristarla, prima di allora, ha perso significato.
Ma ha insegnato a Fred a pregare, segno che, forse, lei ci crede ancora. E Fred china il capo e prega per quello scricciolo con i capelli biondo grano, sperando che, ovunque si trovi, sia qualcosa di più che un residuo impolverato di carne e sangue. Ma Asteria Greengrass sembra essere sparita per sempre, così che l’unica cosa che Fred riesce a dire o a fare è domandare a Dio perché gliel’abbia strappata dalle braccia in quel modo, una ragazzina appena quindicenne, una cosina minuscola con i capelli biondi e gli occhi verdi, la sua ragazzina che aveva ancora paura del buio.
E cosa fu quell’estate in cui scappò di casa e andò da Fred, ancora sporca della cenere del camino, nell’appartamento sopra il negozio dei Tiri Vispi Weasley. E le notti in cui non riusciva a dormire, con le dita della notte che si stringevano e si stringevano attorno alla gola, così che si nascondeva sotto le coperte del letto di Fred o lo raggiungeva sul divano.
Se ci sei, Dio, aiutami tu, pensa Fred ma non lo dice, perso nel ritmo delle preghiere. Ma Dio lo vede e non lo ascolta, lui che ha visto quelle scene e ne ha deciso il resto, che ha presofferto tutto quello scempio che si consumò su quel divano e su quel letto, disgustosamente nostalgico, il rivoletto di sangue che rimase ancorato sul collo di Fred dopo la battaglia, senza nessuna ferita.
Ma la guerra è finita e Asteria non è mai tornata e forse, si dice Fred per far penetrare il dolore nel cuore come un coltello, non tornerà mai. E per cosa prega, allora, non riesce a dirlo nemmeno lui.
La guerra è finita, si dice, alzandosi. Hermione non lo segue, persa com’è nel porre le sue rimostranze a un Dio che non l’ascolta mai. La guerra è finita. Ma, forse, in fondo, abbiamo tutti perso qualcosa, o qualcuno, in questa voragine senza inizio o fine. Guardami bene, Dio, se ci sei: cosa ti aveva fatto lei, una ragazzina di quindici anni?
Ma Dio non risponde mai.
 
*
 
Le veglie, poi, sono le peggiori: sere in cui si aspetta in chiesa fino all’ultima Messa e poi fuori fino al Vespro, senza dormire, senza mangiare. Hermione, a casa, mani bendate che la fanno gridare di un dolore fantasma, un formicolio di dita e palmi mozzati da un coltello affilato malamente.
Fred, in ginocchio fino a logorarsi i pantaloni, le mani spellate di tutte le volte in cui si è aggrappato al legno della panca o alla sua stessa pelle per non crollare in avanti, gli occhi arrossati per la mancanza di sonno: dimmi, Dio, Signore Onnipotente, Padre Nostro. Dimmi perché, ti prego, e non metterò in dubbio la Tua parola mai più. Ma, ti imploro, dimmi il motivo, perché hai dovuto portarmela via. La risposta non arriva. E, allora, è tutta una continua preghiera.
La signora vestita di viola-nero, un lutto d’altri tempi, il colore delle vedove, sorride e sembra un’altra ruga sul viso, e gli porta un panino, alle undici di sera, ogni tanto. Senza parlare.
Per quello, aspetta il ventiseiesimo giorno, un grappolo l’uva nera e del pane.
Ringrazia per il cibo, Fred, ringrazia Dio per quel cibo che sa di polvere nella sua bocca, per quell’acqua che non fa che lavare le ferite di un dolore sempre nuovo. Per cosa dovrà ringraziare, poi, non saprebbe dirlo: ma, ti prego, Dio, riportala da me, non importa che sia cieca o zoppa o vecchia di cent’anni. Cerco in lei quella scintilla, quella fiammella che ho visto due anni fa. Riportala da me, te ne prego.
La signora scuote la testa, capelli carichi di elettricità statica, borsetta che sbatte contro le cosce fasciate di calze smagliate. Sia fatta la tua volontà, Mio Signore, anche se non sei capace di misericordia. Anche se hai preso la mia vita e hai tentato di strapparla a metà, senza riuscirci.
«Mangia, ragazzo, mangia» lo apostrofa la signora, con aria corrucciata. «Sei pallido, preghi troppo. Da quanto non vedi la luce del sole?».
Fred sorride, ma senza illuminarsi, senza rispondere: da quando, sei mesi fa, ho preso e sono fuggito via, lasciando tutti indietro, pregando che non mi seguissero. Ho lasciato i miei genitori, il mio gemello, i miei fratelli a piangere le nostre perdite. Ho fatto l’eremita e il vagabondo finché non ho incontrato Hermione, in questo paesino dimenticato da Dio, forse realmente, per profughi come noi.
Lettere rimandate indietro, preghiere, silenzi. A che mi serve, il sole, se lei potrebbe essere sotto terra?
«Da quando ho cominciato a pregare, più o meno» risponde Fred, laconico. «Dio non ascolta coloro che soffrono per lui?».
La signora ride, labbra spaccate dietro il rossetto rosso ciliegia. «Dio non ascolta nessuno, caro» mormora, con dolce apprensione, miele amaro che cola nelle sue parole. «Per quel che ne sappiamo, da quasi due millenni a questa parte, Dio potrebbe essere morto».
Fred alza lo sguardo, disorientato, mentre un acino gli esplodeva fra le dita, succo fruttato a colargli sulla pelle, appiccicoso come poche altre cose. Un semino solitario sul palmo della mano, un relitto, un superstite, mutilato nella sua interezza.
«Dio è morto?» mormora lui, con aria perplessa.
«Dio è morto, e noi l’abbiamo ucciso» afferma la signora, come in trance. «Proprio lui, il più grande e il più potente che finora il mondo abbia finora posseduto, è caduto trafitto dai nostri coltelli…».
La signora scosse il capo, tornando a guardare Fred.
«Sembra essere ancora troppo presto, ragazzo, non puoi ancora capirlo» sorrise. «Ma non pregare i morti, non riceverai risposta. Prova a pregare i vivi».
 
*
 
«Perdonami, Signore, per avere dubitato di te, delle Tue parole. Perdonami, ti prego, e sarò il tuo schiavo, solamente il tuo schiavo, perdonami, perdonami…».
Hermione è lo sguardo apatico, vetroso, che rivolge al Fred piangente, la sera, inginocchiato davanti al letto, come un bambino. Se Dio rispondesse, se rispondesse, allora ci sarebbe ancora un briciolo di speranza e un motivo per continuare a pregare. Ma è una risposta che non arriva mai.
«Farò qualunque cosa tu vorrai chiedermi, Signore Onnipotente, se soltanto la riporterai da me».
I singhiozzi sono tuoni che fracassano la quiete, uno stordimento perenne che si propaga in casa di Hermione, dopo le otto di sera. Il divano-letto di Fred cigola, come per comunicargli il suo appoggio. E lei, Hermione Granger, pulsando fra la vita e la morte, è seduta sulla sponda del letto ad osservare la scena senza poter dire di non conoscerne il resto: piangerà fino ad addormentarsi, Fred, graffierà le lenzuola bianco sporco, urlerà. Hermione ha visto mille di queste scene e ha presofferto tutto lo scempio di carne e polvere che s’è consumato sul suo divano o letto, le notti in cui gli incubi hanno portato i fantasmi di una quindicenne consumata dalla battaglia.
Non funzioneranno mai, le preghiere di Fred, ed Hermione lo sa bene, perché sono il riflesso delle sue: ma gli danno qualcosa in cui sperare. Almeno finché non si renderà conto che Dio non è che una menzogna millenaria e tutte le sue convinzioni non sono che illusioni, dannate illusioni.
«Ti prego, Dio, ascoltami».
Se Fred sapesse come fare si scuoierebbe vivo in nome di una ragazzina, ormai diciassettenne, persa in giro per il mondo. Ma non lo fa. Dio gli frena la mano, e suo è l’odore dei cadaveri in putrefazione, sua è una volontà muta e senza remore, suo è il coltello che gli trafigge il cuore.
Hermione non ha mani per pregare, ma un cervello che le urla che non è il caso, e un cuore che ancora sanguina per altre morte: Harry e Ron sono saliti nell’alto dei cieli, lasciandola ad annaspare sulla terra, in solitudine.
Prega pure, Fred, ma non aspettare una risposta: i morti non parlano.
 
*
 
Il giorno in cui George torna, Fred non si alza dal letto, nemmeno per andare a pregare: chiuso a chiave, nella stanza che sembra il rifugio di un eremita, in un tempo che si è perso per strada, che è morto con quel Dio che Fred non riesce a smettere di pregare.
Se Fred avesse il coraggio di mettere la testa fuori dalla stanza, capirebbe: vedrebbe Hermione con un sorriso dolcissimo che è quel sorriso che ha smesso da due anni, da quando Ron è crollato in una pila di cadaveri dove l’ultima cosa importante era il sangue e l’ascendenza, da quando i suoi genitori sono rimasti sigillati in un incantesimo di memoria fin troppo riuscito.
E vedrebbe George, suo fratello, il suo gemello, che ondeggia in dei pantaloni troppo larghi, o forse è lui che s’è smagrito fin troppo, in un mantello troppo pesante per l’aria tiepida di settembre.
E noterebbe una figurina smilza come un fiammifero, bionda come un tramonto, nascosta in quella stoffa sottile, il visino incerto di preoccupazione, un cerchietto d’oro come una promessa fra il medio e il mignolo. Vedrebbe Asteria Greengrass, Malfoy, diciassette anni e due settimane di matrimonio, capelli scuriti dal tempo, occhi appannati dalla guerra. E allora potrebbe anche pensare che forse, alla fine, Dio, le preghiere, le esaudisce.
Ma, quando Asteria apre la porta, con l’urgenza che le fa tremare le mani, con un respiro incastrato in gola, non trova nessuno. Trova altra cenere e altra polvere impastata di sangue, grumosa di rimpianti: Fred Weasley steso sul letto, pallido di sonno, gli occhi aperti verso il soffitto.
«Chi sei tu?».
Asteria trattiene un singhiozzo, senza lacrime, nemmeno lei riesce più a piangere, da quando si è trovata fuori dalla battaglia, tirata via dai Malfoy, senza Fred a confortarla nelle notti soffocanti di buio. Quindici anni sono sempre troppo pochi per venire distrutti in questa maniera.
Fred non la riconosce. Sul comodino, c’è un foglietto piegato a metà e la bacchetta del ragazzo.
Hermione muove le labbra, quasi in silenzio: Dio, ti prego, dimmi che non l’ha fatto, non si è obliviato, dimmi che sta dormendo su questo divano o questo letto, dimmelo. Ti prego, non adesso che abbiamo ritrovato questa ragazzina dimenticata perfino da Te, non adesso che potrebbe smettere di supplicarti. Nostro Signore, ti prego, sei ci sei ancora, fai qualcosa, qualunque cosa: non meritano di soffrire così. Non dimentico e non perdono, Dio, e questo me lo devi. Ti prego.
Il grido di Asteria risuona in ogni specchio, in ogni cielo, in ogni attimo.
Il biglietto aperto, fra le sue mani: Dio è morto. E noi l’abbiamo ucciso.
«Si è obliviato».
E piange, piange come una bambina. Fred la guarda, perplesso.
Ha smesso di pregare.
 
*
 
«Mi dispiace, non sarei dovuta tornare».
Asteria piange del pianto dei bambini, diciassette anni persi nella polvere, i capelli sempre più sbiaditi nelle ore che sono passate. Un incantesimo troppo potente, Fred come un bambino, Fred che non ricorda. A George tremano le mani, Hermione prega un Dio morto o un Dio muto.
«Io lo sapevo».
Daphne Greengrass, sua sorella, appollaiata su un albero nel Malfoy Manor, l’aveva guardata negli occhi e aveva pianto mille lacrime. Daphne, che aveva camminato quanto più in basso fosse possibile, fra i cadaveri dei vincitori e dei vinti, s’era fermata per osservare Fred e Asteria e predire il resto: l’amaro pianto della sorella, la morte del ragazzo. Asteria, bimba mia, il futuro non si evita, si ritarda soltanto: puoi provare a fuggire, se ci credi davvero, ma ti prenderà comunque.
Daphne, in un angolo, aveva predetto ogni cosa: lo scempio compiuto su quel divano o quel letto, la memoria in fuga, le lacrime della sorella. Daphne aveva pregato, anche lei, un Dio in cui non poteva credere. Fuggi, bimba mia, e non tornare da lui o sarà la sua fine. Fallo per voi.
Il lampo nello sguardo di George esplode addosso alla ragazzina. Ma si è già smaterializzata.
 
*
 
Hermione prega, George prega, Asteria è fuggita ma starà pregando anche lei, pregando che il fuoco la bruci per non lasciare che una vaga sofferenza annerita nei giorni che verranno.
«Dio, ti prego, ti prego…».
Fred ride, facendoli saltare in aria.
«Non pregare. Dio è morto».
   
 
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