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Autore: lovingbooks    19/06/2015    2 recensioni
[Modern!AU Highschool setting | Jarida | Già conclusa]
A Merida non è mai importato nulla di quello che gli altri pensavano di lei, fino a quando Jack Frost, uno tra i ragazzi più popolari della sua scuola, non le dice che tutti la considerano la DUFF (Designated Ugly Fat Friend) di Rapunzel, la sua migliore amica e una tra le ragazze più popolari della scuola. Cosa può succedere quando la persona che odi di più al mondo, è l’unica che può aiutarti?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jack Frost, Merida
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 9. Luogo di ritrovi, piccole alleanze e imbarazzanti fraintendimenti
 
Mi svegliai a mezzogiorno, circa, a causa delle urla che provenivano dal primo piano. Volevo tornare a dormire, perché dovevo recuperare ancora alcune ore preziose di sonno, purtroppo, però, gli amici-vicini-parenti erano arrivati ed io dovevo almeno farmi vedere. Mi alzai, di malavoglia, dal letto, vestendomi con dei jeans e una maglietta attillata e scesi. Il rumore si faceva sempre più forte, man mano che mi avvicinavo verso il giardino. Casa mia sembrava essere diventata il luogo della festa più attesa dell’anno. Conoscevo tutti e li salutavo gentilmente, evitando che mi fermassero per parlare della scuola, del ragazzo o di altro. Sapevo dove avrei trovato i miei genitori: mia madre seduta su una sedia al tavolino, mio padre al barbecue e i miei fratelli dispersi per la casa.
Purtroppo, non andò così: il barbecue era spento, mia madre era in piedi e rideva, insieme a delle sue amiche, mentre mio padre urlava qualcosa ai miei fratelli, che stavano giocando a pallone…con Jack.
Mi immobilizzai e pensai che sarei potuta tornare indietro, che ero ancora in tempo per riaddormentarmi. Ma poi, qualcuno mi chiamò: Jane, un’amica di mia madre. Così fui costretta ad andare da loro, che continuavano a ridere e a lanciare occhiate a quella “partita” improvvisata che Jack e i miei fratelli stavano giocando.
 
“Merida, cara, non pensavo che il tuo ragazzo fosse così gentile!” commentò, una volta che le fui vicino.
 
Trattenni a stento una risata, perché io e Jack non potevamo essere definiti amici, figuriamoci fidanzati.
 
“Merida, figlia mia, io credevo che il tuo ragazzo fosse il ragazzo che ieri ti era venuto a prendere!” commentò poi mia madre, lasciando le altre stupite.
 
“Fai il doppio gioco?” domandò una.
 
“Lo hai mollato ed è in cerca di perdono?” chiese l’altra.
 
Io non potei far altro che scoppiare a ridere di gusto. Quando ebbi smesso, mi ritrovai di fronte le facce confuse di mia madre e delle sue amiche. Allora, per pietà, decisi di dare loro una spiegazione.
 
“In realtà il ragazzo che è venuto ieri non è proprio il mio ragazzo. Mentre Jack è una specie di amico” dissi, aggiungendo mentalmente: e non so per quale assurda ragione sia venuto così presto.
 
Finalmente, mi lasciarono andare, iniziando a parlare d’altro. Erano quel tipo di madre ultratrentenni che spettegolava di tutto e di tutti. Non volevo diventare come loro, mai.
Mi allontanai e rimasi in piedi intenta a fissare i miei fratellini. Loro non avevano mai giocato con qualcuno al di fuori della famiglia, erano sempre stati solo loro tre. Certe volte, nemmeno io ero ammessa ai loro giochi. E, invece, arriva Jack, un perfetto estraneo, e loro prendono una palla, se la passano e diventano amici, divertendosi, anche!
Ammetto che una fitta di gelosia mi aveva stretto lo stomaco, insomma, lo avevano fatto diventare loro amico come se niente fosse. Una parte di me, però, si sentiva felice: iniziavano ad avere nuovi amici.
Mi buttai, senza nemmeno sapere come, nel loro gioco, e iniziai a calciare la palla verso la porta improvvisata. Eravamo diventati quattro contro una e andava bene così. Iniziai a correre per fare goal, ma Jack mi aveva rubato la palla e l’aveva passata ad Harris e così dovetti tornare indietro e cercare di riprenderla.
La partita si concluse dopo due goal da parte loro, tre da parte mia, grazie all’aggiunta di alcuni amici di mio padre che si erano schierati dalla mia parte per pietà. Ero senza fiato, così mi sedetti sul prato e iniziai a prendere dei lunghi respiri. Subito sentì qualcuno accanto a me e, non appena mi girai, mi trovai di fronte il sorriso amichevole di Jack. Ovviamente, nonostante la partita, ero ancora arrabbiata con lui per non avermi detto di Elsa, ma decisi che era un argomento da toccare dopo. Così, ricambiai il sorriso, con un’alzata di spalle.
 
“Esattamente, Frost, perché sei venuto così presto?” gli chiesi, una volta che ebbi ripreso fiato.
 
“Pensavo che di pomeriggio fosse troppo tardi. E poi sono arrivato a mezzogiorno, chi si aspettava che tu dormissi ancora!” rise lui.
 
“Hai ragione, colpa mia” mi arresi io, alzando le mani al cielo e lasciandomi sfuggire una risata.
 
“Allora, cosa mi racconti, Rossa? Non ci sentiamo da un po’” chiese lui.
 
Non ci sentiamo da un po’ per colpa tua, pensai.
 
“Niente di che. Ieri ho avuto un appuntamento” risposi alla fine, iniziando a giocare con i fili d’erba.
 
“Uh, e con chi?” disse, voltandosi nella mia direzione.
 
Inizialmente, non volli rispondere: non ne trovavo il motivo. Insomma, lui non mi aveva detto che si era fidanzato, perché io dovevo raccontargli nei particolari la mia vita amorosa? Ma poi una parte di me, che probabilmente credeva ancora in una possibile amicizia tra di noi, mi spinse a dirglielo.
 
“Hiccup” mi voltai nella sua direzione.
 
La sua mascella si contrasse appena in un segno di rabbia, che però svanì subito. Jack rimase in silenzio e allora decisi che era il mio turno di fare domande.
Non feci in tempo a dire nulla, però, perché arrivarono i miei fratelli ad annunciare che il pranzo era pronto.
Mangiammo tutti in piedi, nei piatti di plastica. Io presi tante patatine fritte e due fette di carne. Mangiai mentre venivo trascinata tra gli amici dei miei genitori, che mi riempivano di domande inutili, a cui avevo giù risposto l’ultima volta che ci eravamo visti.
Alla fine, riuscii ad arrivare a mio padre, che stava parlando amichevolmente con Jack.
Quando arrivai, mio padre mi mise una mano sulla spalla, ridendo, probabilmente, per una battuta.
 
“Merida, il tuo nuovo ragazzo mi piace tantissimo!” mi disse lui, tra le risate.
 
Questa volta, diventai rossa, sotto lo sguardo imbarazzato di Jack, che si mise le mani in tasca.
Io non dissi nulla, troppo impegnata a guardare per terra, cercando di nascondere il mio viso dietro i miei lunghi capelli. Nemmeno Jack aprì bocca, forse troppo imbarazzato o forse troppo impegnato a fissare verso terra.
Mio padre dovette capire tutto dallo strano silenzio che era calato nella nostra conversazione.
 
“Non siete fidanzati, vero?” chiese, intuendo già la risposta.
 
“No, papà” gli risposi io, mentre Jack annuiva per confermare le mie parole.
 
“Siamo solo amici, Fergus” disse Jack.
 
Esattamente, da quando aveva iniziato a chiamare mio padre Fergus?
 
“Oh…pensavo che steste insieme. Insomma, l’hai invitato qui. Non inviti mai nessuno qui, a parte Punzie” si scusò mio padre, ormai in imbarazzo.
 
Sapevo che sarebbe finita così. E lo capii quando vidi lo sguardo superiore di Jack fissarmi o quando sentii le mie guance arrossire. Allora decisi che era il caso di prendere in mano la situazione.
 
“Gli ho chiesto di venire qui perché dovevo aiutarlo con delle cose. Mi ero completamente dimenticata che ci sarebbe stata questa cosa! E poi speravo arrivasse più tardi” dissi io, cercando di motivare la presenza di Jack.
 
Non credo che fui molto convincente. Alla fine, prima che mio padre potesse dire altro, trascinai Jack in camera via, sotto gli occhi di tutti. A quante domande dovrò rispondere, pensai.
Nel momento in cui chiusi la porta dietro le mie spalle, però, non ero io quella a dover dare delle risposte.
Jack aveva il suo solito ghigno stampato in volto e la cosa mi fece arrabbiare.
 
“Rossa, se volevi stare sola con me, bastava dirlo” disse, mentre si sedeva sul mio letto, mettendosi comodo.
 
Io, d’altro canto, rimasi in piedi. Assomigliavo ad un detective che interrogava il suo sospettato. Ero tentata di prendere la luce della lampada e puntargliela in faccia. Più per il fastidio che gli avrebbe provocato, che per altro. Liquidai l’idea scuotendo la testa, quindi decisi che era arrivato il momento giusto per chiarire le cose.
 
“Frost” iniziai, di certo non con un tono amichevole.
 
Lui mi guardò con un’espressione interrogativa, che poi sparì subito. Rimase, però, in silenzio, aspettando che continuassi il mio discorso.
 
“Perché non mi hai detto che stai con Elsa? Insomma, credevo fossimo amici! Gli amici si dicono certe cose” sbottai, tutto d’un fiato.
 
Dapprima, nel suo volto si mescolarono una serie di emozioni indecifrabili. Poi vi vidi la rabbia, che fu presto sostituita da una risata genuina. La sua risata era così bella e sincera che fui tentata di unirmi a lui. Solo che dovevo rimanere immobile, per fargli capire che era una discussione seria. Dopo poco, si accorse che io non stavo ridendo e così si ricompose.
 
“Scusami” disse.
 
E, quando si rese conto che non avevo intenzione di rispondere, aggiunse: “Sì, stiamo insieme. E non te l’ho detto perché non pensavo ti importasse”.
 
Sentì un’aria fredda intorno a me, che mi colpì. Il mio corpo fu trapassato da un brivido. Diedi la colpa agli spifferi che provenivano dalla finestra e mi concentrai sulle parole di Jack. Dopotutto, aveva ragione. Eravamo davvero così amici? No. E allora perché mi ero arrabbiata così tanto? Non aveva alcun senso. Sbuffai e gli mormorai delle scuse, dandogli ragione.
 
“Comunque, sei venuto qui per un motivo, giusto?” dissi, mettendomi a sedere sul pavimento, di fronte a lui.
 
“Direi di sì, rossa” rispose, con un sorriso.
 
“Bene, hai già qualche idea?” gli domandai.
 
“Diciamo che pensavo a dei volantini. Potremmo restaurare il bar –non troppo, perché lo amo così com’è– in modo tale che sia un luogo più adatto ai giovani. Attirerebbe più clientela” rispose.
 
Io annuii, pensando che fosse un’idea geniale e, considerando il fatto che era sua, rimasi anche un po’ stupita.
 
“Io potrei occuparmi dei volantini. Ho dei programmi fantastici, sul computer” lui annuì alla mia affermazione e iniziammo a metterci all’opera.
 
Così mi sedetti sulla mia sedia, di fronte al computer, mentre Jack occupò quella di fianco alla mia. Iniziai a disegnare sul foglio del programma, mentre lui mi suggeriva la posizione di una scritta o lo slogan migliore o l’immagine più bella. Rimanemmo in quel modo per quelle che sembrarono ore. Non fu spiacevole, anzi: avere Jack di fianco mi faceva sentire a mio agio, eccetto per le volte in cui la sua spalla sfiorava la mia o quando la sua mano, per sbaglio, toccava la mia. Alle quattro del pomeriggio, avevamo preparato tre diversi tipi di volantini e decidemmo che era ora di fare merenda. Al piano di sotto tutto era tornato tranquillo: la festa, se si può chiamare così, era finita. Trovai un bigliettino, sul frigorifero, da parte dei miei genitori. Diceva:
“Io e tuo padre siamo usciti per cena, non volevamo disturbarvi.
I tuoi fratelli sono dalla zia. Torneremo tardi, non aspettarci alzata.
Ti voglio bene –Mamma.”
 
Fantastico, pensai. Avrei passato la cena da sola, non c’era cosa che desideravo di più. Lasciai perdere, buttando il bigliettino sul tavolo, e andai verso la credenza.
 
“Jack, tu cosa vuoi?” gli chiesi, mentre mi alzavo sulle punte, cercando di raggiungere il pacchetto di biscotti.
 
Perché diavolo lo mettono sempre così in alto?, pensai. Lui non rispose e fui tentata di girarmi, ma sentii un corpo dietro di me e una mano che sfiorava la mia, prendendomi i biscotti. Un rossore si fece strada verso le mie guance. Decisi di non girarmi e di non domandarmi perché fossi arrossita.
 
“Mangerò i biscotti con te” rispose lui, che nel frattempo si era allontanato.
 
Dopo aver preso un lungo respiro, quando fui certa che il rossore fosse scomparso, mi girai e andai a sedermi accanto a lui.
 
“La prossima volta, Rossa, prendi uno sgabello” rise, mettendosi in bocca un biscotto.
 
Gli tirai una leggera gomitata sul braccio, lasciandomi però sfuggire una leggera risata. Presi a mia volta un biscotto ed iniziammo a mangiare in un silenzio gradevole.
 
“Così cenerai da sola, stasera?” mi chiese lui, mentre metteva via la nostra merenda.
 
Io feci un verso d’assenso, senza essere infastidita dal fatto che avesse letto il bigliettino. In quel momento, si girò con un’espressione indecifrabile in volto.
“Vuoi venire a cena da me?” chiese, mentre si portava una mano sul collo, strofinandoselo.
 
La mia espressione doveva essere davvero molto interrogativa, perché lui si lasciò sfuggire un piccolo sorriso, per poi arrossire appena e aggiungere, in tutta fretta: “Non in quel senso! Voglio dire, ci sarà anche la mia sorellina. È per non farti cenare da sola”.
 
Curvai involontariamente le labbra all’insù, in un sorriso sincero.
 
“Va bene, ma non mi cambierò, sono troppo stanca” dissi io con tono ironico.

 
NOTA AUTRICE
Ed eccomi tornata con un altro capitolo!
L'altra volta non ho nemmeno avuto tempo per scrivere una piccola nota e ora mi concentro per farlo.
In realtà non ho proprio nulla da dire, tranne delle cose piuttosto ovvie: è iniziata l'estate, io ho già caldo e IL CALDO MI SPOSSA.
Inoltre, sperando che la mia vita sociale si risvegli un po', starò poco sul computer. O, comunque, quando ci starò sarà per serie tv, anime e film. Ovviamente continuerò a pubblicare, ci mancherebbe altro.
Perché dico questo? Non ha un senso, secondo voi? Solo io la leggo con un tono da pubblicità? Okay, torniamo seri: l'ho detto perché volevo scusarmi, se rispondo in ritardo alle recensioni. Magari non è niente, ma mi dispiace davvero un sacco: voi siete così gentili da lasciare un commento ed io non vi rispondo per mesi! Quindi scusatemi.
Detto questo, ringrazio tutti quelli che seguono la mia storia e quelli che commentano!
E poi mi dileguo che sto parlando troppo.
  
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