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Autore: SomeoneNew    19/06/2015    1 recensioni
"Paul?" Si volta sorridendo nel buio.
"Si, miss Golightly?"
"Credi che io ti appartenga?"
"Esattamente, proprio cosi." Sospiro.
"Lo so, lo credono sempre tutti, ma il guaio è che tutti si sbagliano."
Silenzio.
"Buonanotte, Rosy."
"Buonanotte, Zayn."
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4.

Masks.

Provate a leggere il capitolo con sottofondo una playlist di Einaudi.
23/05/15 (Presente)

Quand’ero in seconda liceo, Alexis, una mia compagnia di classe dai capelli ramati e lunghi fino ai fianchi e dagli occhi grandi e vispi, in un tema in classe mi descrisse come una persona equilibrata.          
“Equilibrata”, fu proprio questo l’aggettivo che utilizzò, e ricordo ancora cosa pensai appena me lo disse… è davvero così che appaio all’esterno? Rimasi sbigottita, mi sarei aspettata di tutto, introversa, ordinata, ritardataria, secchiona, bacchettona, complessata, riservata, ma non equilibrata. Forse cercava un termine più gentile per racchiudere tutti questi aggettivi, forse tentava di non ferirmi con qualcosa del genere ‘troppo chiusa, non parla mai’ come era suo solito farmi notare, eppure scelse“equilibrata”. Ricordo di essere rimasta lì ferma a fissarla per i successivi trenta secondi senza fiatare, finché non aveva intervenuto Elisa con “Già, trasmetti una sorta di tranquillità.”. Fu uno dei momenti che mi segnò di più al liceo, continuai a ripensarci e a rimuginarci sopra per giorni, settimane, mesi.

Mi chiedo se sia tranquillità ciò che trasmetto ora, se anche a te in questo preciso istante appaia come una persona equilibrata. Quanto può essere spessa la maschera dell’uomo? E quanto può essere indistruttibile tale maschera? Pirandello diceva:  “C’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E quando stai solo, resti nessuno.” Con quale numero di maschere siamo in grado di giocare e prendere in giro le persone che ci circondano? Arriverà mai un giorno in cui ci stancheremo di nasconderci dietro strati di sorrisi, lacrime, smorfie e saremo nessuno anche di fronte a qualcun altro che non sia il nostro riflesso allo specchio? Nessuno. Fa paura pensare di essere nessuno, qualcuno senza identità, senza un nome, un cognome, o dei tratti da associare a qualcun altro. Essere nessuno, essere senza regole, limiti, la parte più cruda di noi, quella che ci fa paura. Essere nessuno ci spaventa perché quando rimani in quell’angolo della camera, solo, non sei più un’identità in un gruppo, ci sei solo tu, ed è in quel momento che arriva il vero affronto con te stesso. Allora usiamo le maschere perché ce lo imponiamo, non possiamo essere nessuno davanti a qualcun altro, nemmeno davanti alla persona che amiamo. Ci imponiamo di non farlo, perché il nostro inconscio sa che se mai quella persona uscirà dalla nostra vita, noi dovremo essere capaci di gettare quella vecchia maschera per indossarne una nuova, ma se mai ci fossimo rivelati come nessuno, allora dovremmo gettare noi stessi, perché la nostra identità si sarebbe ormai fusa con quella dell’altra persona e noi non esisteremmo più. Allora si, ben vengano le maschere se ci permettono di sopravvivere, ben vengano se ci permettono di distaccarci dalla colonia, ben venga la mia maschera della persona equilibrata, della tranquillità.

E chissà quale maschera sto indossando ora, mentre osservo i bordi delle maniche della mia felpa grigia, rovinati dal sudore, mentre cerco di non farmi toccare dalle parole, che continuano ad aleggiarmi intorno come falchi, mentre cerco di far resistere la mia bolla di sicurezza, mentre cerco di distaccarmi da quella voce a pochi passi da me, dalla tua voce.

E chissà quale maschera stai indossando ora tu, mentre tenti di far combaciare le parole e di farle susseguire una dietro l’altra in modo ordinario, senza alterazioni, lasciando fuori le emozioni, come per evitare di potere distruggere l’equilibrio dell’universo, la cosiddetta entropia, la misura del grado di disordine di un sistema, eppure bastiamo noi due a pochi centimetri di distanza a creare disordine. Mi racconti della tua vita in questi otto mesi, del lavoro da meccanico, della tua vecchia moto che hai venduto, del tuo anno sabatico, della tua decisione di iniziare l’università questo settembre. Ogni emozione viene scartata, messa da parte, chiusa in qualche scatola troppo piccola e deformata, nascosta su qualche alto ripiano di qualche impolverata libreria, una di quelle librerie dal legno scuro e secco al tatto, una di quelle che profumano di vissuto e amato, di Petrichor, come te, una di quelle librerie dagli scaffali soffocati da libri ingialliti e dalle copertine dai colori ormai spenti, quei libri che contengono vecchie storie di mare, di terra, di sorrisi, lacrime, silenziosi sospiri, di noi. E dove siamo noi adesso? Intrappolati in quelle vecchie pagine ingiallite, o qui seduti su una scomoda panchina nel piccolo e vecchio parco giochi a pochi passi da casa mia? Dov’è il nostro noi? Esiste ancora? Appartiene al passato? Dove siamo? Cosa stiamo facendo? Quale maschere stiamo usando?

E vorrei chiederti il perché del tuo anno sabatico, tu che eri così orgoglioso della tua scelta, di ciò che eri riuscito a conquistare, hai deciso di premere il tasto pausa, il maledetto tasto dei ricordi. E io non ci credo che tu abbia fatto vincere la paura,la paura di rimanere fermo mentre tutto intorno a te è frenetico. E la tua vecchia moto? “E’ l’unico momento in cui è il mondo a fermarsi, ed io riesco a correre via.”, mi dicevi. E chissà quante maschere nascondevi lì sopra, o se magari, proprio lì, eri nessuno.

La sequenza di parole viene interrotta, fai un sospiro e mi chiedi della mia, di vita, in questi otto mesi. E cosa potrei dirti? Potrei raccontarti delle mie macerie quando sono arrivata qui quel cinque Settembre, che sembra così lontano e distante da questa panchina, così lontano da ciò che siamo ora, anzi, da ciò che io sono e che tu sei, perché non mi sembra giusto usare il noi, quel noi dei libri impolverati, no, non è giusto. Potrei raccontarti delle mie notti insonni durante i giorni che succedettero, delle urla soffocate nel cuscino, delle mie lunghe e solitarie passeggiate alla ceca, senza sapere dove stessi andando, cercando semplicemente un posto per me, un posto dove potere essere nessuno, dove potere togliere ogni maschera facendo crollare ogni pezzo del mio puzzle. Potrei, ma non lo faccio, perché so che indosserei una maschera troppo sottile e non posso. Così ne cerco una migliore, una maschera che mi permetta di restare nella mia bolla. E ti racconto dell’università, dei corsi, del mio lavoro al Dress & Dress, della casa, di Lora, Elisa, Harry, Louis, e continuo a guardare questi lembi rovinati delle maniche perché è l’unica cosa alla quale posso aggrapparmi per rimanere nel presente, e non venire risucchiata in un’altra dimensione, quella che un tempo era nostra. E non so perché continuo ad utilizzare questi pronomi, noi, nostro. Ci sono io, e poi ci sei tu, su questa panchina.

Quante maschere sono poggiate su questa panchina, in questo tardo pomeriggio di una primavera quasi soffocata dai colori, una primavera indecisa, ancora incastrata tra un lungo inverno paralizzante, ed un’estate troppo frenetica. Sembra quasi non riuscire a decidere se il mondo sia pronto ad affrontare la frenesia, o se sia meglio rintanarsi ancora per un po’. “L’estate, è dove l’inizio e la fine si incontrano.” credo di avere letto da qualche parte, e quando l’inizio e la fine si incontrano noi siamo lì, in mezzo a loro, davanti il nuovo, dietro il vecchio, e noi siamo la primavera, e la paura prende il sopravvento, fino a che punto si può lasciare andare? Eppure basta così poco, il tempo di un sospiro, oppure ci illudiamo che sia così facile per imporci che in realtà il problema siamo noi. Noi che creiamo legami, noi che utilizziamo maschere sempre più sottili, nonostante sappiamo quanto pericoloso possa essere. Cos’è che ci spinge ad un tale pericolo? Un bisogno carnale? O forse spirituale? L’adrenalina è un potente anestetico, ma quando  tale effetto anestetizzante passa, il dolore è così crudo e vivo da lacerare la parte più intima di noi. Possiamo indossare centomila maschere, nasconderci nella nostra bolla di sicurezza, ma sarà troppo tardi. Ed ogni pezzo del nostro puzzle crolla, come se non trovasse più una base d’appoggio, come se ci mancasse la terra sotto i piedi. Siamo fatti proprio come i puzzle, ogni pezzo è legato ad un altro, e poi ad un altro ancora, ed è così difficile farli incastrare tra di loro nel modo corretto, strano come basti poi un soffio di vento a distruggere tutto ciò che hai costruito. Per questo, quella sera quando ti chiesi spiegazioni sulle tue stupidi abitudini da festaiolo e tu mi risposi che era l’unico modo per dimenticare quanto tutto fosse incasinato attorno a te, io ti costrinsi a seguirmi di sotto a fare un puzzle, perché è ciò che siamo noi, è ciò che è la nostra vita, pezzi di puzzle che cerchiamo di far combaciare, per una volta avremmo potuto indossare la stessa maschera. Ed è forse stato quello il momento in cui ho abbassato la guardia, ho indossato una maschera troppo sottile, e tu eri lì, davanti a me, e mi guardavi stupito ma con aria di sfida, quel tratto che ti ha sempre caratterizzato.

E mi ritrovo a chiedermi quale maschera tu stia indossando adesso, adesso che sei a pochi centimetri da me e queste quattro assi di legno sono l’unica cosa che ci unisce, perché se avessi la forza di cercare una maschera abbastanza spessa allora mi girerei a guardarti, o forse… forse non basterebbe neanche questo. Ho il timore di guardarti da quando, questo pomeriggio allo stesso orario di ieri, hai suonato al mio campanello, e da nessuno qual’ero sono dovuta diventare qualcuno. E quando ho aperto la porta ti ho visto, ma non guardato, ho preso le chiavi di casa e la felpa, e sono uscita, mentre tu eri al mio fianco. Il vento iniziava a soffiare quando hai iniziato a parlare dopo qualche minuto,  ed era già tornato il freddo sulla mia pelle quando ho indossato la felpa dai lembi delle maniche rovinati, e di nuovo  non sono riuscita a distinguere l’effetto del freddo, dall’effetto che mi provoca il suono della tua voce. E quante maschere dovrò ancora indossare con te, fino al momento in cui non troverai il tuo pezzo di puzzle mancante e te ne andrai? E sai anche a me mancano dei pezzi di puzzle, ma cerco di far incastrare quelli che ho, e anche se alle volte il disegno appare distorto rispetto a come era raffigurato sulla scatole delle istruzioni, va bene comunque, e come dicesti tu, “Chi ha architettato questo rebus non l’ha mica risolto eh, quello l’ha lasciato da fare a noi.”, e allora io faccio del mio meglio.

Come sembra lontana quella notte del puzzle. E chi l’avrebbe mai immaginato? Eccoci, dopo otto mesi da sconosciuti, qui su di una panchina qualsiasi, in un piccolo insignificante parco di Brighton, a parlare delle nostre vite da sconosciuti, senza avere il coraggio di guardarci in viso, escludendo qualsiasi tipo di sentimento e di emozione, escludendo noi stessi, con la nostra pila di maschere accanto.



LOOK AT ME.
Scuuuuuuuuuuuuuuuuuuusate l'enorme ritardo, ma ho avuto una settimana abbastanza intensa.
Comunque eccoci con il nostro quarto capitolo di #Petrichor, questa volta al presente. E' un capitolo un pò particolare, perché come avrete potuto notare si tratta di un soliloquio di Rosy, non vi sono dialoghi evidenti, ma si può notare come sia presente tra i due (Rosy e Zayn) una sorta di riassuntivo racconto delle loro vite in questi otto mesi, durante i quali sono praticamente stati sconosciuti. E' un capitolo al quale tengo particolarmente perché incentrato molto sulle emozioni e su ciò che prova Rosy, e vi sono molto aspetti di me presenti in esso. 
Perciò spero di non avervi deluso, e ringrazio come sempre tutti coloro che seguono la storia :)
Se il capitolo vi è piaciuto allora sarebbe fantastico se lasciaste una mini recensione, oppure potete contattarmi su twitter (@/DaisyYrral) per qualsiasi cosa.

Buonanotte people,
Daisy.

P.S.
E se scrivessi una One-shot su Niall? Work in progress, fatemi sapere cosa ne pensate ;)





 
 
  
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