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Autore: Bellamy    21/06/2015    1 recensioni
La battaglia tra i Cullen e i Volturi termina in maniera inaspettata: i Cullen perdono, Edward e Bella si uniscono alla Guardia di Aro e Renesmee perde la memoria. I pochi mesi di vita vissuta da Nessie vengono spazzati via.
Dopo quasi un secolo, Aro invita Renesmee a Volterra.
Genere: Malinconico, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Volturi | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Breaking Dawn
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Erano le nove e cinquanta minuti del mattino e mancava veramente poco al mio appuntamento, solamente dieci minuti. Ed io non avevo la più pallida idea di dove si sarebbe svolto il mio incontro con Aro e i suoi fratelli.
Passai la maggior parte del mio tempo davanti al mostruoso armadio presente in camera dopo aver notato la presenza di un bigliettino appoggiato nel comodino che diceva:
 
“Sii presentabile, usi uno dei capi presente nel guardaroba.”
 
La mia t-shirt e i miei jeans non andavano bene? E poi, era sempre stato lì quell’avviso? Non lo notai prima.
Quando aprii l’armadio, mi aspettavo che ci fossero dentro dei vestiti da principessa medievali considerando il luogo in cui mi trovavo e invece trovai solo nero, solamente dei vestiti moderni totalmente neri.
Ed io non sapevo che vestito scegliere, mi sentivo a disagio con indosso dei completi, non riuscivo neanche ad immaginarmi indossare qualcosa all’infuori di maglietta e pantalone. Per l’infelicità di Alice e Rosalie, si arresero alla battaglia durata molti anni che vinsi, vittoriosa, io.
Alla fine pescai un vestito molto aderente con scollo a barchetta che faceva risaltare il pallore della mia pelle, il medaglione e le ciocche di capelli che lasciai libere, accarezzavano la mia figura in maniera sinuosa.
Scelsi di mettere i miei stivaletti, non degnai neanche di uno sguardo quelle scarpe con i tacchi vertiginosi, posti nella parte bassa del guardaroba…Chi pretendeva quei costumi in quella dimora? Erano così attenti a tutto, anche all’estetica? Era assurdo, ma faceva ridere e preoccupare allo stesso tempo.
Bussarono alla porta, due tocchi secchi sul legno duro e spesso.
Guardai un attimo la porta davanti a me come se fosse la prima volta che la vidi e poi corsi ad aprire con esagerata forza.
Mi ritrovai davanti una ragazzina dalla altezza più bassa della mia, potevamo essere coetanee parlando di età di apparenza. Capii era Jane la bambina davanti a me, i quadri la ritraevano molto più adulta.
Sembrava una bambola di come era vestita: simile a me ma con dei merletti bianchi sparsi un po’ ovunque, neanche lei indossava le scarpe con i tacchi.
Dietro il viso da bambola di porcellana si nascondeva una vampira da un dono spietato, il dolore più puro.
Jasper, durante uno di quei pomeriggi noiosi d’inverno, mi raccontò che lui stesso provò il dono di Jane. Con una espressione dolorante in volto, disse che era la cosa più dolorosa che qualcuno potesse mai provare.  Un viso angelico come il suo, poteva veramente provocare un dolore terribile?
Aveva i capelli biondi scintillanti corti ma raccolti lo stesso da una crocchia in testa, la pelle pallida come la luna, le labbra carnose e gli occhi enormi che presentavano delle iridi color rosso sangue. Aveva una fisionomia molto androgina, per un umano era molto facile scambiarla per un ragazzino.
La ragazzina mi squadrò dalla testa ai piedi con una espressione scettica e annoiata stampata in viso e in quel momento il mio nervosismo salì ai livelli cosmici. Istantaneamente iniziarono a prudermi le mani ma l’istinto di sopravvivenza e di conservazione mi dicevano che era meglio starmene tranquilla.
“Seguimi.” Disse, la sua voce trillava proprio come quella di una bambina piccola ma non era rovinata dall’accento italiano o di un altro paese.
Chiusi la porta dietro di me e la seguii. Aveva la camminata leggera e sinuosa come quella di Alice ma Jane emanava un’aura di superiorità e vanità tipica di quelle bambine troppo viziate.
Mi condusse in un lungo e stretto corridoio dove non mancò lo sfarzoso arredamento, poi salimmo una serie di scale a chiocciola interamente in marmo che parvero interminabili, queste ci condussero in un ascensore scavato in un grosso buco nella pietra color sabbia antica.
Le volevo chiedere dove eravamo dirette ma decisi di rimanere zitta e seguirla, non trovavo più la mia lingua e mi pareva di aver dimenticato pure come usare il mio dono. Non sapevo neanche se c’era una etichetta ben precisa da seguire con i Volturi. Se pretendevano un certo vestiario, potevano pretendere di tutto. Ricominciai a tormentare di nuovo il mio medaglione.
Si infilò dentro senza curarsi che io la seguissi o meno, premette un tasto che non indicava né i piani inferiori né quelli superiori. La guardai, stranita, chiedendole mentalmente dove diavolo stavamo andando.
Lei ricambiò il mio sguardo, fissandomi intensamente negli occhi, facendo dondolare le sue esili braccia lungo il suo altrettanto esile corpo. La sua smorfia annoiata e apatica non la lasciò per tutto il tragitto.
Durante quel lungo, eterno e imbarazzante viaggio, il mio cuore –già veloce di natura – iniziò a battere impazzito, le gambe iniziarono a tremare di nuovo. L’indecisione per il vestito, che per un breve momento aveva calmato il mio sistema nervoso, sparì lasciandomi vuota come un contenitore da riempire.
Chiusi gli occhi, facendo un respiro profondo.
Quando l’ascensore si fermò senza far nessun rumore o disturbo, ci trovammo davanti ad una specie di sala d’aspetto posizionata in mezzo ad un museo.
C’erano una serie di poltrone e divanetti di color rosso, un televisore ultra piatto in cui trasmettevano un programma in italiano, un documentario sulla storia di Volterra e della Toscana.
In un angolo era presente una gigantesca croce in legno di noce. Rabbrividii, metteva soggezione, quella croce era assolutamente fuori posto e fuori contesto. Non doveva stare lì. Perché la tenevano lì?
C’era pure una scrivania e con mio stupore trovai Alessandra dietro di essa. Quando arrivammo si alzò in segno di saluto, calando anche la testa. Vidi che le sue mani, appoggiate nella enorme scrivania di legno, stavano tremando.
In quella sala-museo padroneggiava una enorme porta alta più o meno cinque metri, decorata in maniera impeccabile, vegliata da due vampiri da gli occhi rosso acceso, grossi quanto zio Emmett.
Al nostro arrivo, i due aprirono le porte senza proferire parola, come se si aspettassero il nostro arrivo. Rimasi impietrita.
La stanza che mi trovai davanti era circolare, non eccessivamente grande, spoglia di qualunque arredamento ma non per questo ricca. In ogni singolo centimetro di muro, anche quello interamente in marmo, vi erano dei quadri, bassorilievi, scritte in latino ed affreschi.
Sopra la mia testa si trovava una altissima cupola, illuminata dal potente sole italiano, che dava un forte senso di smarrimento e faceva sentire la persona sotto di sé minuscola. Per quasi ogni metro si trovavano dei grossi vampiri a fare la guardia, e non capii il perché. I loro signori erano dei vampiri pure loro, potevano difendersi pure da soli. Capii, però, perché Volterra era il posto più protetto al mondo.
Davanti a me, sopra una scalinata in marmo, al posto di quello che probabilmente prima era un altare cristiano, si trovavano tre troni. I tre troni di legno e oro erano occupati da tre vampiri.  
Marcus, Aro e Caius.
Accanto e dietro di loro erano presenti un altro gruppo di vampiri tra cui Jane, che si mise ai piedi della piccola scalinata che portava ai troni, accanto al ragazzo dai capelli scuri e dal volto angelico che riconobbi essere suo fratello Alec. Appena Jane si avvicinò al suo fianco, Alec l’abbracciò stringendola a lui con fare molto fraterno per qualche manciata di secondi.
Oltre ad esserci presente la guardia intorno ad Aro, Marcus e Caius, c’erano pure due donne ai rispettivi lati di Caius ed Aro. Erano di una bellezza vergognosa, giovanissime –l’età massima poteva essere ventanni-, con i tratti tipici mediterranei.
Non le vidi mai rappresentate nei quadri ma ero sicura che si trattavano delle mogli di Aro e Caius.
Ebbi un moto di nausea, erano troppo belle per stare con due uomini del genere.
I dipinti e le descrizioni di Carlisle, però, non rendevano giustizia a ciò che stavano vedendo i miei occhi.
La pura bellezza e l’atteggiamento regale che caratterizzavano quei vampiri, come se fossero delle sculture del più bravo scultore greco o dei dipinti del più bravo pittore al mondo. In tutta la loro armonia e sinuosità dei loro corpi, trasmettevano forti sensazioni a chi li osservava rimanendo però immobili, nella loro immutata perfezione.
Lo scatto forte della porta che si chiuse dietro di me mi riportò con i piedi per terra. Sbattei le palpebre e continuai a guardare dritto senza focalizzare niente di preciso, non muovendomi di un passo.
Aro, dove sedeva nel trono di mezzo, fece un sorriso a trentadue denti che illuminava tutto il suo pallido volto.
Alzandosi, spalancò le sue braccia in un gesto cordiale e caloroso ed esclamò: “Renesmee Cullen! Che piacere rivederti cara mia piccola amica!”
Mi sentii scossa, presa in contropiede, confusa. Rivedermi?
In meno di un secondo me lo ritrovai davanti, il suo sorriso non aveva abbandonato quel volto felice ed estasiato. Sembrava un bambino durante il giorno di Natale, felice di aver ricevuto il regalo tanto desiderato.
Mi prese la mia mano destra e la strinse tra le sue. La sua pelle non aveva la stessa consistenza di un vampiro normale, dura e fredda. La sua pelle era traslucida e fragile, al contatto sembrava stessi toccando della filigrana, la stessa cosa per la pelle del suo viso che alla luce del sole sembrava trasparente. Era strano.  
“Sono lieto tu sia venuta qui a Volterra. Hai reso tutti noi felici della tua presenza. Spero che il viaggio sia andato bene.” La sua voce cantilenava dalla gioia.
Volevo staccare la mia mano dalle sue. Conoscevo il suo dono: poteva leggere i pensieri o l’intera vita di una persona attraverso il contatto della mano. Io non volevo, non volevo che guardasse.
Non ero sicura che la mia presenza a Volterra era accettata di buon grado comunque: Alec e Jane, i Gemelli Stregati come li chiamava Jasper, stavano zitti con uno strano ghigno su i loro volti.
Caius, il vampiro incredibilmente magro e dai lunghi capelli biondi quasi bianchi, era seduto nel trono alla destra con l’indice appoggiato alla bocca e le gambe accavallate, in ascolto. Sua moglie al suo lato, indossava una lunga tunica nera, gioielli in oro, i capelli castani raccolti in una difficile acconciatura che faceva ricadere dei boccoli nella pelle diafana del collo. Sembrava avesse appena fatto un salto temporale nella civiltà greca e ritornata subito nel giorno corrente; era molto simile alla moglie di Aro, in piedi accanto al trono di suo marito. Aveva le braccia piegate al petto, in posizione di ascolto.
Dietro di loro si trovava in piedi un vampiro di bassa statura ma con un dono molto potente, Felix.
Marcus, il vampiro dai lunghi capelli castani, era seduto di lato, aveva lo sguardo assente, gli occhi vagavano tra me, i suoi fratelli e gli altri componenti della guardia. Muoveva la mano destra appoggiata al trono leggermente, come se stesse ascoltando musica classica e volesse imitare i virtuosismi degli strumenti. Accanto a lui c’era Demetri, un altro spaventoso vampiro.
Ritrovai la mia voce ed allontanai la mia mano tra quelle di Aro e l’appoggia nel mio stomaco.
“E’ un piacere conoscervi Aro, Caius, Marcus e a tutti voi. Si, grazie, il viaggio è andato molto bene.”
Frugai tra i miei ricordi, non li vidi prima di quell’incontro, ne ero sicura. Ironicamente avevo la memoria di vampiro, ricordavo tutto. Ma Aro aveva detto che lui era felice di rivedermi. Lo avevo conosciuto prima che perdessi la memoria? Nessuno mi aveva parlato di un incontro prima di questo. Aro e i suoi fratelli sapevano che l’avevo persa?
Gli occhi di Aro si illuminarono meravigliati e guardarono in alto sopra di noi, le sue mani era legate e strette al suo petto.
“Cara mia giovane amica! La tua educazione mi ricorda quella del mio caro amico Carlisle! Quanto mi manca!”
Alzai la mano pronta ad usare il mio dono ma la ritrassi nello stesso istante in cui il mio corpo involontariamente fece alzare il mio braccio e tenderlo verso il volto di Aro.
In quel momento, due vampiri, un uomo ed una donna, si mossero velocemente accanto ad Aro, ai suoi lati. Non vidi da dove arrivarono, non c’erano prima. Era stato tutto molto veloce.
Credevo di aver già visto la perfezione nei miei quasi cento anni ma evidentemente mi sbagliai.
Ai lati di Aro si materializzarono due vampiri dalla bellezza sconvolgente, inimmaginabile.
La donna aveva lunghi capelli castano mogano che arrivavano fino alla vita, il colore faceva contrasto con il pallore della sua pelle. Due grandi occhi rosso scuro, le labbra rosse ma non c’era nessuna traccia di rossetto o altro. Il suo volto stupendo somigliava tanto a quello di Esme ma la sua bellezza superava quella di mia nonna e anche quella di Rosalie.
La coincidenza volle che indossassimo lo stesso vestito –che portava cento volto meglio di me- ma lei indossava pure le scarpe con i tacchi che io evitai come la peste, slanciandole quelle lunghe e pallide gambe di marmo.
Il volto della vampira divenne più che pallido, livido. I suoi occhi vagavano confusi da me a Aro e poi all’altro vampiro accanto. Le labbra erano schiuse, sembrava quasi una smorfia di orrore. Teneva le mani ben presse sul suo stomaco, nel suo anulare sinistro brillava un anello di diamanti.
La guardai con la coda dell’occhio, incuriosita dal suo comportamento. Cosa aveva che non andava?
Il vampiro alla mia sinistra era l’uomo più bello del mondo, forse dell’universo. Non trovavo parole adatte per descrivere la sua perfezione.
Aveva i capelli castano ramato, alcuni ciuffi gli accarezzavano la nuca e la fronte, il volto spigoloso e perfetto, una mascella importante, il collo possente. Gli occhi rossi sangue erano profondi.
Indossava dei pantaloni e delle scarpe nere ed una camicia dello stesso colore appallottolata fino agli avambracci mostrando così le braccia muscolose e toniche ma ero sicura che sarebbe stato perfetto anche se indossasse degli stracci o un sacco di iuta.
I suoi occhi, due fari rossi, erano puntati su di me e sul mio medaglione che io cercai di coprire con i miei capelli. Lo guardai negli occhi, mi incenerì, mi fulminò, fece della poltiglia il mio cervello.
Rimasi scioccata, aveva una espressione cattiva che rovinava quel bellissimo volto, come se la mia persona non era degna di presenziare in quel posto e lui mi volesse a distanza di chilometri o che fossi la persona più pericolosa del mondo.
Riposi i miei occhi su Aro che a sua volta guardava i due strani vampiri, con il benevole sorriso nel suo volto e i palmi della mano all’insù.
“Signore.” Mormorò velocemente la ragazza, la sua voce era melodiosa ma sfumata da una nota d’isteria.
“Tranquilla, Bella.” Rispose Aro accarezzando pesantemente il nome della vampira. Bella. “Renesmee non ci farà mai del male, te lo posso assicurare. E’ nostra amica.” I suoi occhi erano illuminati. “E poi Edward ci direbbe subito, leggendo la mente di Renesmee, se la nostra ospite ha pensieri che potrebbero disturbare la nostra quiete. Lo posso confermare io stesso che non corriamo nessun rischio.” Aro mi rivolse un sorriso che diceva chiaro e tondo: “Un solo pensiero o gesto e sei spacciata.”
Questo mi spiazzò. Allora il vampiro poteva leggere i pensieri delle persone. Mi faceva sentire colpevole e colta in fallo anche se non avevo fatto o pensato nulla di male, mi sentivo a disagio. Come faceva la gente a stare accanto a qualcuno che sapeva ogni singola e significante cosa che la tua mente poteva creare? Era meglio stargli lontano.
 “E’ innocua.” Disse il vampiro, Edward, a denti stretti. Perché? Cosa avevo fatto di male per causare quel comportamento? Era proprio il suo carattere in quel modo?
Edward e Bella si allontanarono a velocità di vampiro e si stanziarono dietro il trono di Aro.
Aro, invece, si chinò verso di me. “Se vuoi, puoi parlare usando il tuo dono se ti mette a disagio usare la voce.”
Guardai nervosamente Edward e Bella temendo un altro loro attacco ma, dietro il trono di Aro, sembravano essere dentro una bolla, lontani da tutti.
Si guardavano negli occhi. Lei era disperata, i suoi occhi disperati cercavano quelli di Edward, freddi, lontani e cattivi.
Erano incuranti di essere in mezzo a tanta altra gente e di dar spettacolo. Visti da lontano si poteva pensare che erano impegnati in uno scambio di battute silenzioso ma non vidi mai le loro labbra muoversi.
Appoggiai la mia mano destra nella guancia di Aro e mi sembrò di affondarla nella sabbia o qualcos’altro di polveroso. Mi chiesi se poi avrei trovato dei granellini nelle mie mani.
Chiusi i miei occhi e mi concentrai: gli mostrai come cacciavo, come mi comportavo con la mia famiglia e con gli umani in quei rari contatti con loro a scuola o in altri posti.
Soprattutto sottolineai la mia più che buona condotta che non aveva mai creato problemi né al mondo dei vampiri né a quello degli umani.
Intorno a noi tutto era silenzioso, tutti prestavano attenzione al mio scambio di informazioni con Aro senza dire nessuna parola. Non erano infastiditi come a volte capitava. Chissà se Edward stava ascoltando i miei pensieri.
Feci cadere la mia mano sul fianco. Aro rimase chino su di me, nessun sentimento però scalfì la sua faccia di polvere.
“Affascinante!” esclamò raddrizzandosi dalla posizione china.
Si rivolse ai suoi fratelli e alle mogli “Un dono così affascinante. Non è niente di che ma potrebbe servire alla nostra famiglia in tante situazioni.”
Corse velocemente nel suo trono mettendosi comodo e continuò “Ma parliamo di te Renesmee. Sono così stregato dalla razza ibrida, ammaliato che qualcuno in bilico tra umano e vampiro potesse mai esistere.”.
Aro continuò “E’ per questo che ho reclamato la tua presenza. Vorrei conoscerti, te Renesmee Cullen metà vampira e metà umana, molto meglio. Mi affascini.”
Io? Io affascinavo Aro?
Ebbi un veloce attacco di nausea che se ne andò con la stessa velocità con cui era venuto.
Era un capriccio farmi venire qui perché lo affascinavo. Potevo prenotarmi un biglietto per Washington e ritornarmene a casa se era quello il vero motivo.
Aveva seminato il terrore tra la mia famiglia aspettandoci il peggio dopo la sua chiamata solo perché era affascinato da me.
Era assurdo e mi fece diventare furiosa tanto da dover stringere i pugni e puntarmi con i piedi.
In cosa potevo risvegliare il suo interesse? Non c’era niente di interessante su di me o sul mio essere metà umano e metà vampiro. L’unica cosa che mi differenziava da un immortale era il mio apparato circolatorio, la mia tolleranza al cibo umano che poteva essere anche la mia unica fonte di sostentamento, che avevo bisogno di dormire e che la mia palle non aveva nessuna reazione al sole come i vampiri.
Tutto qui. Aro sarebbe rimasto deluso da queste rivelazioni.
Come i vampiri avevo un dono, un dono inutile in confronto ad altri doni impressionanti che possedevano tanti altri vampiri. Io potevo solo trasmettere i miei pensieri ad altre persone attraverso il tatto.
Non era niente di così potente ed eclatante. Come potevo servigli nella sua guardia?
Anzi, doveva cancellare assolutamente dalla sua testa il pensiero di avermi ai suoi servigi.
“E’… Troppo gentile.” Sussurrai, gli occhi puntati al marmo lucido sotto i miei piedi.
“Vorremo farti una serie di domande se tu acconsenti.” Parlò per la prima volta Caius dal suo trono.
Annuii.
Si ricompose e cominciò: “Stai molto in contatto con gli umani?”
“Non molto.” risposi con voce atona, meccanica.
“Hanno mai sospettato di qualcosa?”
“No.”
Al contrario dei miei familiari, ero convinta che gli umani non erano intimiditi da me ma dalla idea che si erano fatti dei Cullen come se un sesto sento li avvertisse di star lontano da loro ma non da me, avvertendo l’umanità che avevo acquisito per metà.
Non ero certa di quella teoria perché io stessa mi mantenevo alla larga dagli umani per sicurezza.
“Quanto sei forte?”
“Non sono forte quanto un vampiro, ma sono decisamente più forte di un umano. E la mia velocità, sono più veloce di un comune vampiro.”
“Hai mai praticato la tua forza su di loro?”
“Mai.”
“Su dei vampiri?”
Corrugai la fronte. “No.”
“Qualche vampiro  ha mai tentato di morderti? Qualcuno è mai stato attratto dal tuo odore?”
Quelle domande mi mandavano dei trilli di allarme di cui non trovai il senso, mi sentivo in allerta. Prima di rispondere pensavo bene alla risposta e le parole giuste con cui rispondere.
“Non è mai successo qualcosa del genere.” Risposi a denti stretti.
“Il tuo corpo contiene veleno?”
“No… Ma alcune leggende del Sud America parlano di alcuni ibridi che lo hanno.”
Carlisle fece molte ricerche su i mezzi vampiri ma non scoprimmo niente di che. In Brasile c’erano molte leggende sugli ibridi descritti come demoni malefici che portavano solo morte.  
“Quanti anni hai?”
“Settantasei anni, mi sono fermata alla età di quattro anni. La mia crescita è stata molto repentina.” Era meglio dirlo subito.
“Quali sono i tuoi bisogni umani?”
“Ho bisogno di dormire. E il mio cuore batte. Posso sopravvivere anche solo di cibo umano ma preferisco il sangue.”
“Che tipo di sangue?”
Trattenni un ghigno. Come se non lo sapessero. “Sangue animale.” Lo dissi con un tono orgoglioso e affilato “Ma a volte mi cibo pure di sangue umano, nei momenti di vero bisogno.”
Aro con un gesto della mano fragile fermò suo fratello che stava continuando con un’altra domanda: “Non ti senti obbligata da questo stile di vita che non hai scelto di tua spontanea volontà?” i suoi occhi brillarono di una luce strana.
Lo guardai negli occhi. “No.”
Lui sorrise. “Chi sono i tuoi creatori?”
Mi sentii cadere, non sentivo più le mie ginocchia. Mi mancava l’aria.
Intorno a me tutto era immobile e silenzioso. Edward e Bella erano ritornati alla posizione iniziale. Fissavano me, in attesa che rispondessi. L’espressione di lei di puro dolore mi angosciava. Quella di Edward era una lastra di ghiaccio. Rabbrividii.
Cacciai indietro le lacrime che minacciavano di straripare.
“Non li conosco.”
Lui sembrava confuso “Non li conosci?”
“No.”
Non diedi tempo ad Aro di rispondere “Ho perso la memoria. Loro, chiunque siano, non li ho mai visti.”
 
 
 
 
 
Ancora grazie ad Alice per la sua pazienza e i suoi importanti aiuti. 
  
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