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Autore: serClizia    22/06/2015    3 recensioni
UARK, University of Arkansas, detta più comunemente l'Arca.
Clarke sta studiando per diventare medico, è parte importante della confraternita delle Theta Beta nonché figlia dell'illustrissima ex-alunna Abby Griffin, ora chirurga di fama nazionale. Alla UARK ci sono feste, matricole da controllare, etichette da rispettare. Quest'anno, però, la Prima Festa Primaverile non va come dovrebbe andare, e Clarke avrà bisogno di tutto l'aiuto possibile. Anche di quello di un irritante e altezzoso sconosciuto di nome Bellamy.
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Octavia Blake, Raven Reyes
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Clarke
 
 
Raven irrompe nella mia camera facendomi sobbalzare, si siede sul letto con uno slancio.
Poso la matita sui libri che stavo studiando e appoggio il mento sullo schienale della sedia. Quando Raven richiede una pausa dallo studio, non c’è modo di dissuaderla. Meglio abbandonare la lotta fin dal principio – sì, anche con gli esami a pochi giorni di distanza.
Inarca un sopracciglio verso lo stereo, le note della Dave Matthews Band che si propagano nella stanza.
“Cosa?”, chiedo. Lo sa che in Modalità Studio mi piace mettere la musica.
Alza le spalle. “Niente. È solo che la fase di depressione di solito la riservi al giorno prima dell’esame, prima ci devi appestare tutti con i Queen.”
“È perché mi danno la carica.”
“Lo so. Come mai sei già nella fase DMB? È successo qualcosa?”
Sospiro. È bello aver fatto pace con Raven – dopo la disastrosa telefonata con la mamma, siamo riuscite a chiarirci con un caffè al bar vicino alla mensa – che mi conosce così bene da sapere le mie fasi musicali.
E che se non sapessi che adora i Queen quanto me, non l’avrebbe passata liscia per aver detto ‘appestare tutti con i Queen.’
“A dire il vero nulla,” rispondo. “Il bonfire è passato senza tragedie, le ronde hanno fatto il loro lavoro e niente di sospetto ne è venuto fuori.”
“Bene, no?”
“Certo. Abbiamo anche iniziato l’autodifesa con le ragazze. Bellamy e i suoi ci stanno aiutando molto.”
Raven mi fissa. “Quindi?”
“Quindi niente.”
“Perché sei depressa allora?”
“Non sono depressa!”
Punta l’indice verso le casse. “Sul serio? Perché ripieghi su di loro solo quando sei triste.”
Mi allungo sulla sedia per spegnere lo stereo. “Non sono triste. Sono preoccupata, sì. Per le ragazze, per l’esame, per…”
Il cellulare vibra sulla scrivania, due vibrazioni corte di fila vuol dire messaggio. Lo prendo in mano.
“Chi è?”
“Bellamy.”
Raven inarca di nuovo il sopracciglio. “Ah, sì?”
“Sì. Mi ha avvisato che sono arrivati i sottobicchieri.”
Finalmente. Anche se sarei più contenta se Maya mi avesse dato il permesso di usarli.
“Mhmh. Lo stesso Bellamy che ti aiuta a fare le ronde, addestrare le tue ragazze, recapitarti i tuoi preziosi sottobicchieri e che, oops, hai inavvertitamente invitato alla cena con tua madre?”
Ugh, la cena. Non voglio nemmeno pensarci. Faccio una smorfia, mentre gli rispondo di passare a portarmeli quando vuole. Tanto ormai sto a casa a studiare tutto il giorno, tutti i giorni.
“È stato un incidente. E cosa vorresti dire, lo fa per sua sorella.”
Raven si stende per metà sul letto, tenendo il busto sollevato su un gomito. “Non stavo parlando di lui.”
Rimetto il cellulare sulla scrivania. “Cioè?”
“Voglio dire che forse stai andando avanti?”
Batto le ciglia più volte, confusa. “Andando avanti dove?”
Alza gli occhi al cielo. “Finn, Clarke. Sto parlando di Finn.”
Ora mi ha completamente persa. “Quando abbiamo cominciato a parlare di Finn?”
“Gesù, sei peggio di un ripasso sugli integrali. Non è che magari la DMB è segno che sei turbata per qualcosa, che so, tipo lasciare definitivamente indietro Finn e trovare un nuovo tizio che, oltre ad essere parecchio figo, ti aiuta nelle tue assurde crociate, con bonus di essere un cavaliere dalla scintillante armatura verso sua sorella? Voglio dire, chi è che non ha un debole per chi si prende cura della sua famiglia…”
Prende un libro da terra e comincia a sfogliarlo svogliatamente. Fa una smorfia ai miei tomi di Medicina Generale e lo richiude.
Mi guarda. La guardo. “Non ti seguo, Raven,” alzo una mano prima che possa interrompermi. “Non sto dicendo che non sia… attraente, in qualche modo. E certo, il suo prendersi cura di sua sorella è molto… mmmh, toccante.” Raven piega la bocca di lato in un sorriso affettuoso. Non avendo una vera e propria famiglia, dev’essere stranamente rassicurante per lei un comportamento del genere.
“L’ho visto l’altra sera al bonfire,” continuo. “Non le ha staccato gli occhi di dosso tutta la sera, cercando di non farsi notare tra la folla.”
“Che cosa carina.”
“E sto cercando di cambiare attitudine nei suoi confronti, per questo. Cercare di cogliere il fatto che sotto sotto ci tenga ai suoi colleghi e alle ragazze del campus, ma… è irritante, testardo, strafottente, cocciuto, insomma, è un idiota. Non lo sopporto. Mi sto sforzando di apprezzare queste sue qualità solo per riuscire a collaborarci in modo civile. Nient’altro. E sarà pure figo, come dici tu, ma se uno è bello e poi il suo carattere è pessimo, non mi interessa.”
Raven ascolta il mio sfogo con interesse. Sorride di nuovo, anche se senza aprire la bocca a mostrare i denti. Sembra quasi che si stia divertendo alle mie spalle per qualcosa. Si gratta il naso, prima di prendere coraggio e dirmi cosa pensa.
“Lo sai, vero, che ogni relazione nel corso della storia è iniziata con queste premesse?”
“Perché stiamo parlando di relazioni, adesso? Non voglio una relazione con Bellamy!”
“Sarà.”
“È così. Non lo reggo, e la cosa è assolutamente reciproca, credimi.”
“Mh-mh.”
“Per non parlare del fatto che non ogni relazione è iniziata così. Tutte quelle che ho avuto io sono iniziate tra due persone normali che si piacciono, fine.”
Raven scoppia a ridere. “Scusami, ho sbagliato a formulare la frase. Ogni relazione che valesse la pena essere vissuta è iniziata con queste premesse.”
“Ma per piacere,” sbotto. “Stai parlando di finzione, di libri, la realtà non è affatto così.”
Scrolla le spalle. “Solo perché finora sei uscita solo con ricchi figli di papà. Era ovvio che ti annoiassi a morte. E poi sì, c’è stato Finn… e abbiamo visto com’è andata.”
Mi lancia uno sguardo cauto, sperando di non essere andata troppo oltre.
“Finn è… Finn è stato un errore. Non c’è altro da aggiungere. Per quanto riguarda gli altri, non erano i soldi che avevano a renderli noiosi o meno.”
“Wells non lo trovi noioso, per qualunque motivo al mondo tu ci riesca, eppure non ti piace.”
Sospiro profondamente. “Stiamo girando a vuoto, qui. Mi vuoi dire qual è il tuo punto?”
Raven apre la mano e fa un gesto verso la mia stanza, le mie pareti, i miei disegni. “Guardati intorno, Clarke. Non sei una figlia di papà qualunque, altrimenti col cavolo che ero tua amica.”
Ridiamo.
“E quindi?”
“E quindi il bad boy con un cuore d’oro è normale che ti piaccia, è un classico.”
Mi esce un gemito di frustrazione mentre mi abbandono di nuovo contro la sedia. “Sto cercando di dirti che non mi piace.”
“Va bene, va bene. È un peccato però. Voglio dire…”
“E con Wick è così che è cominciata, per te?”, la interrompo.
Wick è il soprannome del ragazzo con cui l’ho trovata sul tavolo da laboratorio. A quanto mi dice, sono scopamici, anche se lo sguardo che aveva mentre me lo diceva non me la raccontava giusta.
“Con Wick è solo sesso,” dice, raddrizzandosi appena.
“Sarà,” ribatto, e concludo la conversazione, facendole capire che sono disposta a parlare di Bellamy quanto lei è disposta a parlare di Wick.






                                                                                         **
 
 
Un’ape mi ronza intorno e la scaccio con un gesto veloce mente mi ripeto nella testa i nomi delle ossa della mano. Sono un casino.
“Sai… il punto di prendersi una pausa è appunto quello di fare una pausa.”
Raven mi guarda, le sopracciglia alzate, il suo solito sorriso divertito. Mi ha beccata. Solo che non è stata una mia scelta quella di prendermi una pausa. Mi ha trascinata fuori dalla mia stanza per fare un pic-nic nel giardino delle Theta Beta, per farmi prendere un po’ d’aria. Dice. Secondo me è solo stanca di starsene chiusa nel suo laboratorio. Ma come posso dirle di no. E come posso smettere di ripassare?
“Non ho libri davanti alla faccia, sono in pausa. O almeno, la mia versione di una pausa. Prendere o lasciare.”
Raven sbuffa e si sdraia completamente sul plaid a quadri rossi e arancioni che abbiamo steso sul prato.
“Guastafeste.”
“Pigrona.”
Ridacchiamo, sono degli epiteti che ci lanciamo di tanto in tanto. In effetti, non si sta male. Non fa troppo caldo per starsene sdraiate così al sole. Chiudo gli occhi e lascio che i raggi mi scaldino la pelle, così bianco latte che tanto non si abbronzerà mai. È un contatto piacevole, il calore quasi mi culla verso il sonno.
“Ci hai più ripensato?”, Raven mi riporta al presente.
“Mh? A cosa?”
“A quella sera.”
“Quale?”
“La tua sera. Quando sei finita all’ospedale.”
“Oh.”
So cosa mi sta chiedendo Raven. Se ho più pensato al collegamento tra quello che è successo a me e quello che sta succedendo adesso alle ragazze. Se anche io stavo così male per colpa di qualche droga e non era solo alcol come avevo – come avevamo tutti pensato.
“Sì, certo che sì. Sarebbe difficile non farlo. Ma non credo sia la stessa cosa, non più.”
“Perché no?”
“Ero ricoverata in ospedale. Si sarebbero accorti se avessi ingerito delle droghe, dalle analisi, no?”
Raven mi guarda un po’ in silenzio. “A meno che non sia qualcosa che non risulti dalle analisi di base.”
A questo non avevo pensato. Aggrotto la fronte. “Dici che è possibile una cosa del genere?”
Si stringe nelle spalle. “È un campus di ricerca universitario. Ci sono laboratori ovunque. E a quanto pare, persone talmente stronze da somministrare droghe a delle poverette indifese. Tra l’altro…”
Si ferma, mordicchiandosi il labbro.
“Cosa?”, la incito.
“Avranno fatto l’autopsia a Charlotte, no? A quanto si dice in giro, è stata vista in stato semi-cosciente prima che… sì, insomma. Anche lei era stata drogata, Clarke. Ma ne hai sentito parlare da qualcuno?”
Ci rifletto un po’ su. Ho sentito le sorelle addolorate, altri studenti che parlavano della tragedia, di come fosse ‘ingiusto che una ragazza così giovane’ eccetera. Nessuno ha accennato niente al riguardo.
“No. In effetti, no.”
“Appunto. Ho paura che, a meno che non si facciano delle ricerche mirate, sia qualcosa che non risulta alle prime analisi.”
“Gesù.”
Il sole sparisce all’improvviso. Qualcuno ci si è parato davanti, sbatto le palpebre per cercare di aggiustare gli occhi al cambio repentino di luce.
“Sto interrompendo qualcosa?”
La voce di Bellamy è inconfondibile. Trasuda sarcasmo. Mi sta per caso giudicando perché non sono dentro a studiare? Lui? Prima che possa ribattere mi rendo conto che ha qualcosa in mano, uno scatolone.
Devono essere i sottobicchieri. Mi impongo di calmarmi e lasciar correre.
“No,” Raven salta su e fa un po’ di spazio tra me e lei. “Prego, siediti pure.”
La fulmino con lo sguardo, lei mi ignora completamente, troppo impegnata a indicare il posto vuoto con le mani, invitandolo. Bellamy tentenna. Per un attimo mi sembra che il suo sguardo scivoli sulle mie gambe lasciate nude dagli shorts, ma dev’essere sicuramente un’impressione. Forse ho ancora gli occhi in assestamento, dopo tutto. Appoggia lo scatolone ai suoi piedi e rimane lì accovacciato.
“Penso siano tutti.”
È la prima volta che lo vedo senza bomber. Mi prendo un secondo per invidiare la pelle olivastra delle braccia che spuntano dalle maniche della maglietta nera, sono sicura che non si scotterà mai con una gradazione così. “Grazie,” mi sforzo di rispondere.
Per un po’ il cinguettio degli uccellini sugli alberi è l’unico suono che ci fa compagnia.
“Allora…”, comincia Raven. “Che fai oggi di bello?”
Bellamy sposta lo sguardo su di lei, confuso. “Come?”
“Sei sordo? Ho detto, ‘cosa fai oggi’.”
“Ehm… niente, credo?”
“Ottimo! Nemmeno noi.”
“Veramente dovrei studia-“
“Silenzio, Clarke. È quasi ora di cena.”
“Veramente sono le tre-“
“Oh, Dio. Va bene. Bellamy, cosa fai a cena?”
“Cosa?!”, la fisso, dev’essere impazzita.
“Lascia rispondere il ragazzo, Clarke. Ti ha portato tutto questo ben di Dio, è sicuramente una scatola pesante. In più, aiuta te e le tue consorelle con quei corsi di addestramento. Dimmi, non è forse buona educazione invitarlo a cena?”
La odio. La odio tantissimo. Mi volto verso Bellamy, mostrando il mio sorriso Theta Beta migliore. Deglutisco. “Sì, uhm, ci… ci piacerebbe invitarti a cena con noi. Andiamo al Grounder, appena fuori dal campus…”
“Lo conosco,” Bellamy annuisce. Si alza in piedi, sembra irrequieto, continua a cercare qualcosa da fare con le mani. “Ma ho… sì. Ho da fare. Piani. Coi ragazzi. Grazie lo stesso.”
“Aw,” Raven fa il labbrino. “È un peccato. Magari la prossima volta?”
“Sì,” Bellamy si schiarisce la voce. “Certo. Assolutamente. Ora devo andare.”
Quella cosa che una volta era Raven, la mia migliore amica, e che ora non so più chi sia, gli fa un sorriso radioso, sventolando la mano. “Ciao, ciao.”
“Ehm, sì, ciao. Clarke,” si congeda.
Scuoto leggermente la testa per smettere di fissare male la mia amica posseduta dagli alieni e lo guardo. “Sì, ciao. E grazie, davvero,” indico lo scatolone con un cenno del capo.
Annuisce, sempre più irrequieto. La scena è talmente tanto assurda che, mentre lo guardiamo andare via, ho quasi il timore che sbagli strada e sia costretto a tornare indietro. Per fortuna, va dritto da dov’era venuto. Il suo kart è sul ciglio della strada, salta su e sparisce in un secondo.
Raven mi guarda divertita, aspettando una mia reazione.
“Tu sei fuori di testa,” le dico.
“E tu sei completamente cieca,” risponde. Ci sdraiamo di nuovo in silenzio sotto il sole.
Per quanto ci provi, non riesco più a ritrovare la pace di prima.





                                                                                            **
 
 
Il Grounder è uno dei locali più frequentati del campus.
È molto rustico, col bancone interamente in legno scuro lucido, i poster alle pareti dei Razorbacks e qualcuno dei gloriosi Stati Uniti d’America – tra cui uno della statua del Presidente Lincoln sul suo trono di Washington. Cosa abbia a che fare con l’Arkansas, è un mistero che non sono ancora riuscita a risolvere.
C’è una musica leggera di sottofondo, non conosco il gruppo, è un po’ malinconica ma piacevole. Qui mettono sempre su dei gruppi indie, e qualche volta c’è un concerto, per lo più di gente che fa cover.
Raven sta ascoltando Monty e Jasper blaterare qualcosa di inerente alla fisica quantistica o che so io – e stanno naturalmente litigando. Fisici e ingegneri, a quanto pare è l’ordine naturale delle cose.
“Perché non capite un cazzo!”, sta infatti dicendo Raven.
“Certo, perché i tuoi metodi da barbona invece sono meglio,” ribatte Jasper.
“Da barbona?!”
Smetto di ascoltarli, tanto litigheranno così per almeno un’altra mezzoretta.
Infilo le patatine nella mayonese e ne mangio due o tre, prima di accorgermi di aver finito la birra.
Borbotto un “Vado a prendere da bere”, ma nessuno dei tre ovviamente mi considera. Raven è attaccata al tavolino con entrambe le mani, come se si stesse trattenendo dal saltare in collo ad entrambi e divorarli. Conoscendola, non mi stupirei se succedesse.
Anya sta preparando qualcosa da bere dietro il bancone, mi sorride quando mi siedo sullo sgabello di fronte a lei. È buffo, al mio primo anno qui mi odiava con tutta sé stessa. Poi c’è stato l’incidente, l’ospedale, e lei deve aver pensato di avermi dato troppo da bere, che fosse in qualche modo colpa sua, e ha smesso di odiarmi. Da allora abbiamo cominciato a parlare. Ormai è un’amicizia fissa quasi quanto quella di Raven.
“Come va, Dottoressa?”, mi apostrofa. È il suo nomignolo preferito da affibbiarmi. Evidentemente Principessa non va a genio nemmeno a lei.
“Bene. A parte la mia prematura morte causa stress da esami, consorelle, e soprattutto l’antidiluviano conflitto tra Ingegneria e Fisica – credo – Sperimentale.”
Anya ridacchia mentre fa un cenno verso il mio tavolo. Non è il più rumoroso del locale, ma quasi.
“Raven è sul piede di guerra, eh?”
“Già. Ti chiamo se c’è bisogno di contenerla?”
Si ferma di botto, i suoi occhi asiatici duri nei miei. “Stai scherzando? Non mi ci avvicino nemmeno a quella, quando impazzisce.”
Appoggio i gomiti sul bancone e mi prendo le guance tra le mani. “Peccato. Saresti la mia unica speranza.”
È buffo che anche Anya sia intimorita da Raven. Voglio dire, è solo una campionessa regionale di Jujitsu.
Raven invece è solo… beh, Raven. La mia versione femminile, minuta e castana di Hulk.
“Forse non l’unica…”, mi sussurra Anya.
“Mh?”
Non penso si stia riferendo a Jasper e Monty, perché nessuno li prende mai in considerazione per quanto riguarda l’ambito fisico. Sono due nerd mingherlini e contrari alla violenza. Jasper ogni tanto ha l’occhio folle, ma non penso attaccherebbe mai Raven, né una ragazza. Ha troppo la sindrome del cavaliere dall’armatura scintillante.
Anya intanto mi sta facendo un cenno alle mie spalle.
Mi giro, e c’è Bellamy. Mi sta venendo incontro, risoluto. Oddio, dev’essere successo qualcosa.
Scatto giù dalla sedia, allarmata.
“Che c’è, cos’è successo?”, lo apostrofo appena mi raggiunge.
Bellamy si acciglia. “Come?”
“Una delle ragazze? Quando?”
“Ah…”, si piazza le mani sui fianchi. Si passa un dito sul naso. “No… oggi mi avevate accennato che…”
“Oh.”
È venuto qui per me. Cioè, per noi. Per me, Raven, Jasper e Monty. Okay, forse non per Jasper e Monty.
Tentenna. Forse sta pensando che non lo voglia qui. Effettivamente non ho dato dei segnali molto favorevoli, nemmeno oggi. La mia Theta Beta interiore si risveglia. Educazione, Clarke!
“Certo, hai fatto bene a venire,” sorrido. Mi viene un sorriso sincero, grazie al cielo. Un po’ teso, certo, perché tutta questa faccenda è un po’ troppo inaspettata. Ma alla fine bisogna ringraziarlo per tutto il suo lavoro, no? Si è anche rimesso il bomber dell’uniforme. “Stavo giusto prendendo delle birre. Ne vuoi una?”
Bellamy annuisce. “Ehi, Anya,” la saluta senza guardarla.
“Bene, ehm… tre birre allora,” ordino. Monty non beve birra.
“Quattro, Clarke,” Anya ha uno strano tono divertito. Bellamy ha le lentiggini. Avevo mai fatto caso a questa cosa?
“Giusto, quattro.”
Batto le palpebre e distolgo lo sguardo. Mi sfrego gli occhi coi palmi delle mani, mi sembra di aver fissato una lampadina troppo a lungo.
Anya appoggia le pinte una a una sul banco man mano che le riempie. Ne prendiamo due a testa e faccio cenno a Bellamy di seguirmi al tavolino. Facciamo zig-zag tra le persone finché non raggiungiamo il nostro.
I ragazzi stanno ancora litigando. Certo, finché non vedono spuntare Bellamy alle mie spalle.
Cade un silenzio scioccato. Jasper ha perfino la bocca spalancata. Raven, dopo un secondo di smarrimento, si rianima e sorride come una iena. Monty sgomita Jasper per fargli riprendere la mascella.
Mi siedo al mio posto, sulla panca vicino a Raven. Sono quasi incerta se fargli posto o meno, ma Bellamy si sta già sedendo vicino ai ragazzi, di fronte a me – a noi. Di fronte alla nostra panca.
Allunga una birra a Monty, subito al suo fianco, che scuote la testa e la passa a Jasper. Comincio a pregare che qualcuno inizi a parlare.
“Ehi,” inizia Raven, Dio la benedica. “Hai fatto bene a venire. Lo conosci da tanto il posto?”
Vorrei darle una botta da sotto il tavolo. Sembra che stia facendo le fusa!
Bellamy annuisce. “Da quando mi sono trasferito qui. Io e i ragazzi abbiamo subito cercato un buon bar.”
Si guarda intorno. “O un bar, almeno.”
I ragazzi ridono, la tensione si spezza un po’. Esalo un respiro che non sapevo di stare trattenendo.
È strano, è tutto troppo strano. Sorseggio la birra.
“Infatti dovrebbero raggiungerci qui tra poco, se non è un problema.”
Perché sta guardando me? Che mi importa se vengono i suoi scagnozzi?
“Certo che no,” risponde Raven.
“Ehi, se siete tutti qui, chi è di ronda?”, interviene Jasper.
“Probabilmente non vengono tutti, idiota,” lo rimbecca Monty. Si schiaffeggiano le spalle come due bambini per un paio di secondi. Bellamy li fissa, serio. Non è ancora abituato a quei due, Dio solo lo sa quanto ci è voluto a me ad abituarmi alle loro scaramucce. Finalmente, annuisce. “Sì, ci sono dei ragazzi di turno.”
Prendo un altro sorso. Mi pare che bere mi tenga la bocca occupata, e penso di continuare così.
“Pensi ci sarà presto un’altra ronda collettiva?”
“Jasper, non eravamo qui per divertirci? E non pensare agli esami?”
“Se c’è un pericolo per le ragazze voglio saperlo, voglio poter aiutare. Tu no, Monty?”
“Certo, ma non dobbiamo per forza parlarne ora, no?”
“Il cinese ha ragione,” dice Bellamy. “Sono qui proprio per staccare, visto che ci penso tutto il dannato giorno.”
Siamo in due, amico. Siamo in due. E penso anche agli esami, certo, ma direi che questa preoccupazione prende almeno il 70% delle mie giornate.
“Ma, se volete saperlo…”
“Vogliamo saperlo,” afferma Jasper.
“Sono preoccupato. Appena finiti i vostri esami, ci sarà una grande festa. Tutto il campus sarà presente. E poi inizia la Spring Break. Avremo bisogno di tutto l’aiuto possibile, visto che tanti ragazzi torneranno a casa per le vacanze.”
“Ci saremo,” rispondono i due ingegneri/cavalieri in coro.
Mi sento un po’ brilla, ed è solo la terza birra. La riappoggio sul tavolino e mi accorgo che è quasi finita.
Raven mi becca mentre osservo il bicchiere con sospetto. Dov’è andato a finire tutto il liquido che c’era dentro? Mi sgomita. “Ehi, vacci piano,” sussurra. Annuisco.
Alzo lo sguardo, Bellamy mi sta guardando. Perché mi sembra che mi stia fissando ogni volta che mi giro? Dovrebbe smetterla. Ricordati l’educazione, Clarke. Gli sorrido.
Invece di reciprocare, si acciglia. Io proprio non lo capisco.
“Comunque…”, Monty attira l’attenzione di Bellamy. “Non sono cinese, sai. È un po’ che volevo dirtelo.”
Bellamy si stringe nelle spalle.


 

                                                                                     **



 
I ragazzi di Bellamy ci raggiungono poco dopo.
Viene il mulatto della festa disastrata dai Sigma Tau, Miller, e altri due. Non mi pare di ricordare i loro nomi. Bellamy per fortuna li ripresenta, Atom e Murphy. Atom. Che nome idiota.
Ci facciamo tutti più stretti nelle panche per farli sedere. Mi trovo schiacciata tra Raven e questo Murphy, che mi guarda con un’espressione sprezzante prima di decidere di ignorarmi per il resto del tempo.
Non che mi importi.
I ragazzi cominciano ad instaurare conversazioni amichevoli, alla fine abbiamo già fatto una ronda tutti insieme. Non c'è quel bisogno di rompere il ghiaccio.
Jasper e Monty sono due delle persone più socievoli che io abbia mai conosciuto, e mandano avanti il chiacchiericcio come se fosse la cosa più naturale del mondo. Raven li ascolta, ogni tanto interviene.
Atom sembra interessarsi a lei per un attimo, ma un’occhiata omicida di Raven lo fa ritrarre come se si fosse scottato.
Io non riesco proprio a stare dietro al flusso di parole. Sento un parlare costante di sottofondo, ma non mi ci soffermo. Sarà la birra? O il pensiero, quel senso di pericolo allo stomaco per via delle ragazze?
Mi ritrovo a guardare Bellamy. Che, come sospettavo, sta guardando me.
Vorrei chiedergli perché. Perché è qui, perché mi guarda, perché non mi sorride mai, perché non sorride mai in generale, a un certo punto vorrei quasi chiedergli se ha sempre avuto le lentiggini.
Il rumore del cellulare gli fa abbassare lo sguardo. Ha ricevuto un messaggio.
La sua espressione cambia radicalmente, gli occhi spalancati. “Merda,” dice.
I suoi ragazzi si zittiscono come se avessero ricevuto un ordine. “Cosa?”, lo apostrofa Miller.
“È Kane, dobbiamo andare,” mi lancia un’occhiata di sbieco, e io so che è successo qualcosa. Stavolta davvero. Gli piazzo una mano sul braccio prima che possa alzarsi da questo cazzo di tavolino.
“Cos’è successo?”
Bellamy si guarda un po’ intorno, studia le nostre facce. I suoi lo fissano, come cani davanti ad un padrone.
Sospira. “Diciamo solo che il bonfire non è andato esattamente bene come speravamo.”
“E questo cosa vorrebbe dire?”, sbotta Murphy. Direi che è il meno addestrato di tutti.
“Che una ragazza ha appena sporto denuncia. Non l’ha voluto fare prima, era spaventata. Una sua amica l’ha convinta.”
“Dove?”, chiedo. E non voglio sapere dove ha sporto denuncia, ma dove è stata aggredita.
“Non lo so, vado a sentire. Kane si sta incontrando adesso con la polizia.”
“Merda,” borbotta Miller sotto voce.
“Già, merda,” concorda Bellamy. “Andiamo.”
Si alzano tutti in piedi contemporaneamente, i bomber che strusciano e le suole delle scarpe che stridono sul pavimento. Vorrei andare anch’io. Vorrei sapere cosa è successo, dove, chi è la ragazza. Vorrei raccogliere tutte le informazioni possibili. Ma non mi porterebbero mai con sé, e Kane mi manderebbe via nel momento stesso in cui vedrebbe spuntare un mio biondissimo capello. Colpa di mia madre, ovviamente.
Sto fissando Bellamy, sperando in qualcosa, non so neanche io cosa. In realtà penso di non aver mai distolto lo sguardo da lui. E lui nemmeno. Stringe un po’ le labbra. “Ti scrivo appena so qualcosa, ok?”
Sospiro. Va già meglio. “Sì, grazie.”
Annuisce, guarda i suoi ragazzi, sono tutti pronti. Con vari cenni di saluto, quelli di Raven particolarmente entusiasti, si dileguano.
So già che passerò la notte attaccata al cellulare.
 





Note dell’autrice:
Ordunque. Ci ho messo una vita a darvi questo capitolo. La prima parte era scritta da un pezzo, per il resto ho avuto un momento di defaillance (si scriveva così?) causato dalla mia partecipazione alla convention di Supernatural. Ergo, vi prego di scusarmi, ma ero troppo fuori di me per scrivere.
E in questo capitolo… beh, come vedete, stanno cominciando un po’ a cambiare le carte in tavola. Ovvio, noi lo sapevamo già, ma anche loro due stanno iniziando a rendersi conto dell’attrazione che provano. Bellamy da quella scossa lungo il braccio, e ora Clarke, magari un po’ spinta da Raven (Dio benedica Raven).
Comunque, nonostante io mentre scriva urli AMATEVICAZZOSUBITOADESSONOW, sto cercando di dare alla storia quel non so che di… ‘si odiano però c’è attrazione’, e sotto quell’attrazione c’è comunque una certa affinità, un rispetto reciproco. Penso che siano diversi ma anche un po’ simili, nel loro bisogno di aiutare, di farsi carico della responsabilità. Non se ne sono ancora resi conto, naturalmente, ma l’attrazione non è nata a caso, non è solo una cosa puramente fisica. Più si conoscono, più si studiano, più trovano punti in comune. Un po’ come è stato nella serie, o almeno così è parso a me.
Non ho detto quale musica stava suonando nel locale per il semplice motivo che qualunque canzone scegliessi, non c’entrava con quello che stava succedendo. Comunque, erano i Civil Wars.
Avrei tanto voluto inserire questa canzone
qui come sottofondo, ma andrebbe per una scena decisamente più lunga. Anyway, mi piace dirvi quali sono le mie ispirazioni musicali di capitolo in capitolo.
Se avete già delle teorie su chi possano essere i colpevoli del giro di droga e stupri, non esitate a farmelo sapere nei commenti.
Ah, un’ultima cosa, Anya nel locale che si chiama Grounder. See what I did there? I kill myself sometimes.
Alla prossima – spero decisamente con meno attesa.
Grazie a tutti, recensori e non, un bacio!
  
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