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Autore: lady dreamer    23/06/2015    2 recensioni
Prendete una giornata di sole, aggiungete un artista concettual-impegnato poco disposto a farsi intervistare - Sherlock - e un giornalista del Times - John - che deve fare un vero e proprio scoop se vuole mantenere il posto di lavoro. Aggiungete un atterraggio inaspettato all'aeroporto Charles De Gaulle di Parigi, una mostra da organizzare, un pazzo criminale sempre in agguato e mischiate energicamente con la promessa di grandi avventure. Salate con inseguimenti e battute sagaci e pepate con relazioni inaspettate. Riversate tutto su un file word e... ecco quello che ne esce fuori!
Genere: Comico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Irene Adler, Jim Moriarty, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non tutti gli uomini sono capaci di grandi cose, ma tutti sono sensibili alle grandi cose.
Alfred De Musset
 
Arte contemporanea
Capitolo V

 
 
 
Corsa in taxi verso la costruzione più eccentrica e colorata di Parigi.
Il centro Pompidou è una gabbia di ferro dove sono imprigionate le opere delle menti più rivoluzionarie e geniali del ventesimo secolo, guardate a vista da ascensori rossi scarlatti, condotti gialli per la luce, blu per l’aria e verdi per l’acqua. È un essere polimorfo e vitale a sfidarvi dall’enorme piazza in cui troneggia, stagliandosi contro l’oscurità bluastra della notte.
 
L’ingresso principale del museo è chiuso, e Lestrade fa strada verso un’entrata secondaria, di servizio, nota solo ai dipendenti e alla polizia.
 
L’entrata sembra chiusa, ma in realtà c’è una monetina da dieci centesimi a bloccare per uno spiraglio la pesante porta blindata.
 
Vi introducete nell’edificio. L’allarme non scatta.
 
Lestrade si affretta a chiamare rinforzi dalla centrale di polizia, camminando affannosamente avanti e indietro per la stanza di servizio, mentre anche Mycroft inizia a telefonare.
 
Tu non ti capaciti. Il museo contiene delle opere d’arte di valore inestimabile e questo Cavaliere Azzurro vi si è introdotto senza far scattare neanche un allarme?
 
Sconvolto e incredulo, ti volti a chiedere spiegazioni a Sherlock.
- Mi spiega come ha fatto ad entrare?
 
Lui alza appena le sopracciglia, senza smettere di guardarsi intorno guardingo.
- Non è stato così difficile. Aveva le chiavi. Non ci sono segni di effrazione.
 
Lo guardi come se detenesse tutte le certezze del mondo. - E come ha ottenuto le chiavi?
 
Ma lui si li limita ad allargare le braccia e a sorridere amaramente.
- Non lo so. Non ho la sfera di cristallo.
 
Fingi stupore, mentre i tuoi occhi celano uno sguardo derisorio. - Mi delude.
 
Sherlock sta allo scherzo, regalandoti un sorriso serio. - Non vivo per stupirla, se lo ricordi.
 
Incroci le braccia sul petto, a mo’ di sfida. - Io l’ho bene a mente, è lei che gongola quando ammetto che è stato brillante.
 
Lestrade scuote la testa, chiuso il telefono. - Perché lasciare la porta aperta?
 
Sherlock a sua volta scuote appena il capo. - Perché sapeva che sarei arrivato. Era fin troppo banale il suo messaggio. Avrei dovuto capirlo prima.
 
Ti diverti a stuzzicarlo ancora un po’. - Era troppo preso dal rifiutarmi l’intervista.
 
Ma lui non si rivela da meno. - Lei era troppo preso a godersi Parigi.
 
Lestrade inizia a spiegare quello che ha sentito dal suo capo in centrale: - Non ci sono segnalazioni di effrazioni, non è scattato l’allarme, non risulta niente di strano dalle telecamere di sorveglianza dei palazzi che si trovano sulla piazza. Vado a controllare le telecamere del circuito esterno.
 
Sherlock gli riserva un indifferente segno d’assenso. - Secondo me non ha rubato niente. - si limita placidamente ad aggiungere, come se fosse una cosa perfettamente sensata.
 
Peccato che non ci sia niente di sensato in questo. - È strano. Un ladro per definizione ruba qualcosa. E se questo qui ruba i quadri allora dovrebbe aver fatto razzie qui dentro.
 
- Dimentica la cosa fondamentale. Questa è una sfida. E in una sfida, dopo aver rivelato al tuo avversario le tue mosse non puoi attardarti a rubare quadri.
 
Non ti capaciti dell’espressione di sicura padronanza della situazione che sembra possedere Sherlock. - E allora mi spiega perché rubare la chiave, entrare nel museo e non rubare niente? Ok la sfida, ma che scopo ha?
 
Mycrof si decide finalmente ad entrare nella vostra conversazione, o più precisamente la interrompe, rivolgendosi al fratello. - Temo che voglia impressionarti, Sherlock.
 
E per la prima volta vedi un’ombra di sensata preoccupazione nei suoi occhi. - Temo che non sia solo questo. Ma ho bisogno di altri indizi. Così non posso arrivare ad altro.
 
- Fatti pure un giro per il museo, mentre mi tocca avvertire le autorità e tener buona la stampa.
 
***
 
Sherlock percorre le gallerie principali con il suo passo agile e svelto. Tu sei costretto quasi a correre per stargli dietro. - Che cosa stiamo cercando?
 
Ti indirizza uno sguardo di sfuggita, senza distogliere gli occhi dalle pareti. - Le opere di Kandinskij ovviamente. È l’unico indizio che abbiamo.
 
La struttura è grande e la galleria riservata alla mostra permanente di Arte Moderna si sviluppa su due piani, il quarto e il quinto, è evidente che non potete visionare tutti i quadri.
- Quante ce ne sono?
 
Lui sembra intercettare i tuoi pensieri. - Troppe. Abbiamo bisogno di un altro indizio. Mi dia ancora la sua agenda.
 
Gliela porgi, incuriosito da quale possa essere la sua prossima mossa. - Pensa che ci sia qualche altro riferimento nel messaggio?
 
Lui rintraccia velocemente la pagina su cui aveva scritto le sue confuse annotazioni. - Tranne se il Cavaliere Azzurro non mi sopravvaluti a tal punto da pensare che non ne abbia bisogno. E lo escludo.
 
Azzardi la prima cosa che ti viene in mente:- E se il quadro che cerchiamo è delle stesse dimensioni di quello che ha fatto lei?
 
Ma Sherlock respinge l’ipotesi con una lieve scrollata di spalle. - Lo escludo. Sarebbe troppo semplice. Cerchi comunque su internet 51, 24 x 23, 4 Kandinskij. Risulta niente?
 
Lui ti scruta come faceva il tuo arcigno professore di matematica al liceo, aspettando che tu impostassi alla lavagna lo studio di funzione. Te ne stai imbambolato a scorrere pagine e pagine su internet, senza trovare nulla di significativo, mentre Sherlock ti fissa come se fossi uno scolaretto inesperto e incompetente. Alzi gli occhi dallo schermo dopo un paio di minuti di ricerca vana.
 
- Niente di attinente, o almeno così mi sembra…
 
Negli occhi di Sherlock lampeggia l’evidenza della tua imperizia. - Dia a me.
 
Gli poni il telefono che lui agguanta quasi strappandotelo di mano. Ci armeggia per un po’, alternando sguardi di impenetrabile concentrazione a smorfie di incomprensione o di spaesamento, finché non riprende freneticamente a camminare per il corridoio.
 
- Mi segua. - la sua unica spiegazione.
 
Riprendi a camminare, ricalcando i suoi passi. - Dove?
 
Il suo timbro basso sussurra misterioso:- Al nostro prossimo indizio.
 
A onor del vero, ci mettete non meno di dieci minuti a trovare la sala giusta, ma in fine ci siete, lì, davanti ad un quadro azzurro con strani esseri volanti dipinti sopra.
Siete davanti a “Blu di Cielo” di Kandinskij.
 
Sherlock lo guarda con malcelato orgoglio, come se l’avesse dipinto lui, e non solo trovato.
 
- È lui il nostro quadro.
 
Lo studi appena, senza soffermarti sul bizzarro soggetto dipinto. Non capisci come Sherlock abbia individuato proprio questo quadro, specie partendo, verosimilmente, dalle dimensioni del suo dipinto dietro cui avevano trovato il messaggio del Cavaliere Azzurro. - Non le sembra un po’ troppo grande?
 
Sherlock ti restituisce il telefono. - Moltiplichi 51, 24 x 2.
 
Aggrotti la fronte, senza capire che senso abbiano questi conti. Visto il tuo malcelato odio per la matematica, ti affidi alla calcolatrice del cellulare, come Sherlock aveva previsto.
 
- 102, 5 più o meno.
 
Lui incalza:- E 23, 4 x 3?
 
Alzi gli occhi dallo schermo, ancora incredulo. - Una settantina, più o meno.
 
Lui ti fulmina con lo sguardo, come se avessi tralasciato proprio il particolare fondamentale. - 70, 2.
Il tuo sguardo passa dal telefono, a Sherlock senza capire. - E quindi?
 
Sherlock sospira appena. - E quindi se lei toglie 2,5 a 102, 5 ottiene 100, e se somma quei 2,5 a 70,2 ottiene 72,7 che normalmente si approssima a 73. Esattamente le misure di questo quadro.
 
Ti volti verso il quadro che lui ti indica nuovamente con un teatrale gesto della mano.
 
Hai le idee abbastanza confuse, ma dai per buona la sua deduzione folle. - Come ha fatto ad arrivarci?
 
Sherlock non perde l’occasione per mettersi in mostra senza spiegare nulla.
 
- Un cervello e una connessione internet possono fare miracoli.
 
 
Lestrade arriva trafelato nella sala.
- Tutte le registrazioni delle telecamere interne di oggi sono state sostituite con quelle di ieri. Quel figlio di…
 
Sherlock interrompe subito il verosimile turpiloquio di Lestrade.
 
- Perché non se ne sta zitto invece di sbraitare? Qui c’è gente che sta lavorando.
 
Gregory alza gli occhi al cielo, indirizzando, ne sei certo, parte delle sue maledizioni anche a Sherlock. Non lo biasimi per questo, quando vuole sa essere molto irritante.
Ti prendi la briga di spiegare a Lestrade cosa stia succedendo.
 
Lui annuisce, e accetta di starsene in silenzio ad aspettare che Sherlock smetta di giocare all’investigatore privato.
 
Sherlock si avvicina al dipinto e lo esamina con il suo solito cipiglio critico. E criptico.
- Temo proprio che… - si gira teatralmente verso di voi - qualcuno debba darmi una mano.
 
Ti avvicini prontamente ad aiutarlo. Ormai sta diventando quasi una reazione istintiva. Il che è un po’ strano. E potenzialmente pericoloso. Ma anche potenzialmente utile.
 
Tu e Greg girate il quadro e Sherlock si mette a studiarne l’intelaiatura. 
 
- Non vedo niente di strano. Il quadro è originale.
 
Lestrade vede con la coda nell’occhio un pezzo di carta caduto per terra.
- Quel bigliettino è ininfluente?
 
Ti guardi intorno per quel che puoi, continuando a sostenere in sicurezza il peso del quadro.
 
- Quale?
 
Lestrade fa un cenno col mento. - Quello che è appena caduto a terra…
 
Sherlock interviene prontamente a smorzare il tuo entusiasmo. - Ma niente è un foglietto che mi è caduto dalla tasca del cappotto.
 
Lestrade insiste. - C’è un numero…
 
Sherlock si china a riprendere il foglietto e lo rimette in tasca. - Sì, lo so che c’è un numero. È il numero del fidanzato gay di Molly.
 
Ad un cenno del giovane Holmes riappendete il quadro al suo posto.
 
Non sai se essere più deluso dal fatto che quel pezzo di carta non contenesse il prossimo indizio, o dal fatto che Sherlock abbia conservato il numero di telefono di Jim. Scuoti appena il capo per non pensarci.
 
Lestrade continua a guardare il dipinto, senza trovarci niente di strano.
 
- Che sappiamo di questo quadro?
 
Sherlock prontamente sale in cattedra, assiso sul trono della conoscenza e della cultura. Non sai se sia più affascinante o pedante. E non lo vuoi sapere.
 
- È dell’ultimo periodo di Kandinskij, è stato dipinto nell’anno dell’occupazione nazista della Francia. È del periodo biomorfo del pittore, studiava microorganismi al microscopio, era affascinato da quest’esperienza, lo chiamava lo “sguardo interiore”, gli sembrava di intravedere l’anima segreta di tutte le cose in questo modo. Poi le interpretava con gli strumenti propri della sua sensibilità e del suo estro, creando qualcosa di originale e di nuovo.
 
Smette di parlare, e continua ad osservare il quadro da tutte le angolazioni diverse.
È precipitato d’un tratto giù dalla sua cattedra di perfezione. Lo sguardo corrucciato e indagatore scandaglia ogni singola pennellata senza giungere ad una soluzione. - C’è qualcosa che non capisco…
 
- Se in questo quadro non c’è nessun riferimento… - scuote il capo - Forse ho frainteso. E lui non intendeva affatto questo quadro. Forse stiamo solo perdendo tempo… Forse…
 
Intuisci così chiaramente la confusione che sta mettendo fuori uso le rotelle dell’ingegno di Sherlock, che ti affretti a dire qualcosa per disinnescare questo deleterio processo.
- Forse è più facile di quanto sembra.
 
Sherlock si volta a guardarti come se ti vedesse per la prima volta. - Sicuramente lo è.
 
Lestrade inizia ad azzardare ipotesi. - E se fosse…
 
A te balenano in testa idee a cui non credi, ma che magari posso servire a sbloccare l’ingegno di Sherlock. - Qual è il numero dell’opera nel catalogo del museo? O sull’audioguida?
 
Lui non annuisce, non convinto.
 
- E se fosse semplicemente un quadro qui vicino?
 
Dall’inattività completa dei pochi istanti trascorsi, Sherlock passa velocemente ad una foga nervosa. Cammina sotto e sopra davanti a “Blu di cielo”.
 
- Ci sono centinaia di quadri in questo corridoio, potrebbe essere uno qualunque di questi, allora?
 
La risposta ovviamente non ce l’hai, ma azzardi un vago:- Potrebbe.
 
- Non mi sembra da lui. Dovrebbe esserci un rapporto di esclusività tra indizi e risoluzione.
 
Cerchi a tuo modo di smorzare la tensione.
- Così il giallo non sarebbe divertente da risolvere, non crede?
 
Sherlock ferma la sua inutile marcia e ti fissa, visibilmente sorpreso. - Lei mi stupisce…
 
***
 
Passate i successivi dieci minuti a girare e rivoltare tutti i quadri più vicini a “Blu di cielo” senza per altro trovarvi niente, finché Sherlock non si accorge di qualcosa che ad una prima, furiosa, occhiata gli era sfuggito. - Hanno mandato l’altro quadro vicino ad una mostra.
 
Tu e Lestrade vi voltate a guardarlo, giusto in tempo per vederlo prendere il cartoncino con l’avviso del quadro dato in mostra, girarlo e trovarvi scritto:
Bel giorno per una passeggiata, no?
 
 
Lestrade sbianca e prende furiosamente dalle mani di Sherlock il cartoncino con l’indizio, senza capacitarsi della buffa situazione in cui vi trovate. Tu ti limiti a sbuffare. Tanto lavoro per una cosa così stupida? Che razza di indizio sarebbe?
 
Poi capisci. Ed è come accendere la luce in una stanza buia. - Dov’è in mostra il quadro?
Sherlock sorride appena. - Al Museo d’Orsay. Ed è lì che andremo a cercare le nostre risposte.
 
- Sa che è chiuso a quest’ora? E poi dice “giorno”, non notte fonda…
 
Lestrade si affretta a recuperare il telefono. - Chiamo la centrale per vedere se ci sono segnalazioni dalla rive gauche… - allarmato che il Cavaliere Azzurro possa essere entrato anche lì.
 
Sherlock sembra del tutto indifferente alle preoccupazioni di Lestrade. Lo ignora bellamente e risponde a te:- Non ho detto di volerci andare adesso. E poi le devo una cena, John.
 
Rimani interdetto per un attimo, guardandolo come se non capissi il senso delle sue parole.
Poi annuisci. E vi avviate insieme verso l’uscita del museo, mentre si sentono in lontananza le sirene delle volanti della polizia chiamate da Lestrade.
 
L’aria di Parigi è fredda. Ti stringi nel giubbotto, le mani in tasca.
I palazzi si stagliano slanciati ed eleganti su un proscenio di azzurra tenebra.
Le parole di Sherlock interrompono la tua sognante contemplazione degli edifici intorno a voi. C’è qualcosa di misteriosamente mistico e profano allo stesso tempo nel modo in cui la Ville Lumiere si accende di notte.
 
- Si dovrà accontentare di un bistrò, così non la fanno entrare da Maxime…
 
Lo fissi con poca convinzione. - Cosa c’è nel mio abbigliamento che non va?
 
Sherlock ti guarda incredulo della tua obiezione.
- Vuole davvero che parli di quel maglione beige che si ostina a portare addosso?
 
Il tuo maglione beige! Cosa ha il tuo adorato maglione beige che non va?
 
Scuoti appena il capo. - Dovrei offendermi.
 
Sherlock ridacchia tra sé e sé. - Non otterrebbe le mie scuse, sarebbe inutile.
 
***
 
Riponi il menù e ringrazi il cameriere che ha appena finito di versare il vino a te e a Sherlock.
Il giovane risponde con un cenno del capo e si dilegua con l’ordinazione verso la cucina.
 
Sherlock scruta con superiorità il liquido rosso nel flute e avvicina pigramente il bicchiere al naso, per saggiarne il profumo prima che l’aroma. Tu fai meno lo schizzinoso, ne bevi un sorso e ti guardi cautamente intorno, a catturare l’aria tipica di un bistrò francese. Tavolini e sedie in ferro battuto, coperti da tovaglie rosse, abitati ormai da poche persone, e tutte abbastanza distinte, segno che Sherlock non sarebbe entrato in un locale qualsiasi.  
 
Alzi lo sguardo verso di lui.
E c’è una punta di malcelata apprensione nelle tue parole.
- Che cosa vuole questo Cavaliere Azzurro da lei?
 
Sherlock ostenta con una credibile vaghezza - Non lo so… - ma ormai sai che, per quanto verosimile, non è questo il tono che adopererebbe se non stesse nascondendo qualcosa.
 
- Non ci credo.
 
Un’alzata di spalle e un tono vagamente condiscendente sono le sue massime concessioni. - Non lo so con esattezza.
 
Non capisci perché non voglia spiegarti. - Ha detto di aver avuto una corrispondenza con lui.
 
- L’ho detto.
 
Cioè, lo capiresti se non foste voi due, se non vi foste trovati insieme quasi ininterrottamente in queste ultime ore, se non ti avesse fatto vedere i suoi quadri, se non avesse disegnato un tuo ritratto, se non avesse capito, con un solo sguardo, tutto di te. - E…?
 
- Ed è vero. Niente di importante. Ha fatto apprezzamenti su alcuni miei quadri. Io ho risposto. E ci è capitato di intavolare una corrispondenza circa argomenti squisitamente artistici per un breve lasso di tempo.
 
La fronte corrucciata, appoggi i gomiti sul tavolo, portando leggermente in avanti la sedia, per abbassare ulteriormente il tono di voce. - Non penso che lei risponda a tutte le lettere degli ammiratori.
 
Sherlock bagna appena le labbra nel vino rosso, accennando un sorriso vagamente compiaciuto.
 
- Infatti.
 
Ti sembra di estorcergli ogni parola. E ti sentiresti a disagio se non sapessi che lui non si farebbe scappare qualcosa che non vuole rivelare. - E come mai a lui ha risposto?
 
Sherlock assume il tono di chi dice la cosa più naturale del mondo, quello tra lo spocchioso e il misterioso. - Perché sapevo che fosse un criminale.
 
Tieni a freno il tono della voce, che appare comunque vagamente sdegnato. - E questo rendeva la cosa più intrigante perché?
 
Sherlock ti scruta dall’alto della sua presunta superiorità intellettuale, come se per lui e le altre menti superiori il confine tra bene e male fosse sfumato e valicabile. - Ha una grandissima conoscenza dell’arte e un’intelligenza fuori dal comune. Il fatto che fosse incidentalmente affetto da manie di grandezza e di onnipotenza, nonché da una incresciosa tendenza a delinquere non faceva che renderlo più interessante…
 
Non sai fin dove arrivi la tua indignazione e dove inizi una desolante rassegnazione. E non vuoi saperlo. - Non immaginavo che avrebbe mai potuto dire una cosa del genere. Anche il grande Sherlock Holmes subisce il fascino del cattivo…
 
- Lui capisce l’arte. E questo va oltre l’essere buono o cattivo.
 
Per una volta ti sembra che sia lui quello vagamente ottuso tra i due. - Ruba i quadri. - scandisci, come se fosse lui quello che non capisce.
 
L’artista tace. Deve aver calcato la mano apposta, perché accenna un sorriso, guardandoti e scuotendo appena la testa. Ma il suo sorriso, che per un attimo ti aveva rassicurato, si inclina subito in una costatazione amara.
 
Il suo sguardo fissa un punto indeterminato sulla parete alle tue spalle. - È che temo ci sia dell’altro…
 
Non aggiunge niente, gli occhi che vagano per una frazione di secondo per la stanza, senza fermarsi su di te. E per la seconda volta, dopo le sue rivelazioni circa il college, i suoi disegni e il cuore che urla, scorgi, tra le pieghe della sua anima, quanto possa rivelarsi fragile Sherlock Holmes.
 
La tua sarà anche una reazione istintiva e te ne pentirai, ma accarezzi appena la sua mano abbandonata sul tavolo. - Che cosa teme? - sussurri, piano.
 
Lui ti guarda negli occhi. E svincola velocemente la mano dalla tua.
 
I suoi occhi sono colmi di malinconia. Non c’è nessuna traccia di supponenza, per una volta. Solo nostalgica malinconia. Sono gli occhi di chi non vuole ricordare qualcosa che non avrebbe voluto vivere, ma di cui continua a portare le ferite, nascoste, nell’animo, dove nessuno possa vederle.
 
- Non capirebbe.
 
E ti senti uno sciocco a non poterlo aiutare. Vorresti far scomparire quella distruttiva malinconia da quegli occhi. Preferiresti essere travolto dai suoi sguardi strafottenti, dalle insinuazioni irritanti sulla tua cultura, che non vederlo così. - Potrebbe spiegarmi.
 
Sherlock è abile a rimettere insieme i cocci rotti davanti ai tuoi occhi increduli. Beve un sorso di vino. Scuote appena il capo. E sembra tornato quello di prima. - Non servirebbe, adesso.
 
Stai per obiettare qualcosa, mentre lui alza gli occhi verso di te. E torna a fissarti. - Se le chiedessi dell’Afghanistan le andrebbe di parlarmene?
 
Scacco. Accenni un sorriso amaro. - Probabilmente no.
 
Sherlock si limita a guardarti, limpidamente. - Vede. Non siamo poi così diversi…
 
***
Il tempo scorre via, placido come un gatto addormentato sui tetti della Ville Lumiere.
Avete abbandonato il ristorante da circa mezz’ora, Sherlock ha mangiato appena, tu hai divorato sia carne che dolce, e, nonostante tutte le vicissitudini assurde di questa giornata, adesso, camminando con calma verso l’albergo, ti senti se non felice, almeno un po’ più felice dell’ultima volta che sei stato felice.
 
Ormai la felicità per te era che ti pagassero un’ora su tre di straordinario, non dover più andare dalla psicologa, che Mike non pretendesse di farti uscire con tutte le donne single della redazione. Chiamavi felicità il sollievo occasionale.
 
Adesso, invece… insomma, razionalmente non ci sarebbe niente di cui essere felice. Sei in un posto in cui non puoi che sentirti uno straniero, in compagnia di un uomo che conosci appena, sulle tracce di un criminale. E rischi anche di essere licenziato.
 
Eppure… non riesci a non farti affascinare dall’aria maestosa e al contempo bohemien di Parigi, a considerare Sherlock Holmes un estraneo, a non trovare eccitante l’indagine in cui ti sei trovato coinvolto. E rischi di essere licenziato, questo sì, non riesci a vederlo diversamente.
 
Ma ti sembra un problema così lontano, mentre l’acqua della Senna brilla delle luci che incoronano i ponti che collegano la riva destra a quella sinistra del fiume. Mentre tutti i miserabili traguardi della tua vita si perdono nella nebbia di Londra. Mentre la torre Eiffel svetta a ricordarti che sei a Parigi, al centro dell’Europa e del mondo. E che tutto il resto sembra non essere importante.
 
Ti volti verso Sherlock.
Camminate fianco a fianco in silenzio da qualche minuto.
Ma non è un silenzio imbarazzato.
Lo rompi con una domanda che ti ronza in testa da un po’.
 
- Come pensa di regolarci per questa notte? Potrò occupare il divano di una delle stanze della suite oppure mi costringerà a spendere un patrimonio per affittare lo scantinato dell’albergo?
 
Sherlock accenna un sorriso. - Non c’è nessun bisogno di prendere lo scantinato…
 
Stai per ringraziare, ma lui continua la frase, in un modo in cui non ti saresti aspettato:
- Può dormire nel letto…
 
Deglutisci a vuoto. Non… non pensavi… non… eh?
 
- E… ma…?
 
Sherlock è serissimo, e sembra non capacitarsi del tuo spaesamento. - Lo lascio a lei. Io non dormo.
 
Ringrazi il cielo di essere sbiancato e non arrossito quando nella tua testa hai iniziato a farfugliare.
 
- Non posso accettare.
 
Sherlock ti guarda senza malizia. - Allora non ci dormirà nessuno.
 
Apri la bocca per ribattere, ma la richiudi senza produrre alcun suono.
E quello che seguirà, ne puoi stare certo, sarà un silenzio imbarazzato.
 
 ***
 
Holmes si siede su una delle poltrone del salotto, chiude gli occhi, respirando piano, le mani giunte sotto al mento, come gli hai visto fare ormai tante volte. Non dice niente. Tace.
 
Tu resti in piedi a fissarlo, per qualche istante ti concedi di analizzare la sua espressione serafica, il suo volto pallido e ovale. Sai perfettamente che lui sa con esattezza che lo stai guardando, ma inconsciamente il suo tacere ti autorizza a restare sulla soglia, ad aspettare un cenno, una conferma, una parola qualsiasi.
 
Ma lui resta in silenzio, arroccato nella sua posa da meditazione. Non leggi particolare stanchezza sul suo volto, ma solo necessità di silenzio e di solitudine. Puoi quasi intuire gli ingranaggi del suo cervello che si muovono con metodo ferreo, nel turbinio di pensieri che si rincorrono fino a sicuri assiomi a cui attenersi
 
Vorresti provarci, e ci provi, ma non sai dire cosa stia pensando. Immagini che c’entri il Cavaliere Azzurro, supponi che pensi al biglietto, al museo, alla polizia, a quello che diranno i giornali, a quali siano i piani di quel pazzo con cui avete iniziato questa folle partita a scacchi. Avete… Ha.
 
Ti penti del plurale. È ovvio che lui non ti consideri davvero parte attiva del piano. Del resto, le tue abilità deduttive sono quelle che sono. E in paragone alle sue, beh, potresti a buon diritto ammettere di non averne.
 
Eppure… Ti piacerebbe essere fondamentale. Fondamentale in genere, in una qualsiasi cosa, al di là di quello che sta succedendo adesso con lui. Anche se ti piacerebbe essere fondamentale anche adesso. E invece avverti forte il peso della tua anonimità, della tua inettitudine.
 
- Cosa fa, John? Non ha più sonno?
 
Rinvieni di soprassalto dalle tue considerazioni, mentre Sherlock, senza aver neanche riaperto le palpebre, riesce seraficamente a metterti in difficoltà. 
 
Deglutisci a vuoto. - Mi chiedevo se lei avesse cambiato idea.
 
Sherlock apre gli occhi e porta le mani sui braccioli della poltrona. - Gliel’avrei detto.
 
Fai per andartene. - Mi scusi se l’ho disturbata.
 
Lui liquida la questione con un cenno del capo. - Non importa... In realtà pensavo a lei.
 
Resti per un attimo impietrito. - A me?
 
Sherlock corregge subito il tiro. - Al suo articolo. Mi pare ovvio che non potrà scrivere di questa storia prima che non sia finita.
 
Sapevi che sarebbe arrivato questo dannato momento. - Dubito che al giornale accetteranno.
 
- Le è proprio fondamentale il suo lavoro?
 
Sbianchi. Che cavolo di domanda è? - Ho bisogno del mio stipendio.
 
Sherlock assume il tono di voce più naturale possibile. - Ma io potrei pagarla…
 
Resti impietrito, sorpreso, fermo sulla soglia del soggiorno, senza fare un passo. - Pagarmi?
 
- Ho bisogno di un assistente.
 
Non capisci. - Ha già Trevon.
 
Sherlock sorride amaramente. - Che non trova quattro bustine di the in meno di tre ore.
 
Tu. Assistente di Sherlock Holmes.
Non è possibile.
 
- Comunque sarebbe una cosa temporanea… come farei a vivere dopo? Non posso permettermi di perdere il posto.
 
Lui, assiso sulla sua poltrona, non si scompone affatto. - Temo che Mycroft dovrà fare una telefonata allora.
 
Ti diverte il suo interesse. - Vuole parlare con Stamford?
 
Sherlock rilancia senza remore. - Con il proprietario del Times, se serve.
 
Le tue labbra si incurvano, senza che tu voglia, in un sorriso pieno. - Sono così importante per lei?
 
Sherlock non si imbarazza, non muove le mani nervosamente, non arrossisce, non si tocca i capelli, non parla con voce alterata. Non fa tutte le cose che inizieresti presumibilmente a fare tu se lui avesse detto una cosa del genere.
 
Si limita a dire, freddo come una statua di ghiaccio: - Si metta nei miei panni, se io la lascio andare chi mi garantirebbe la segretezza assoluta che questa faccenda necessita? E perché coinvolgere qualcun altro quando lei è già a conoscenza di tutto?
 
D’un tratto il tuo atteggiamento muta completamente. Le braccia incrociate sul petto, lo sguardo contrariato. - È molto arrogante e scortese da parte sua.
 
Sherlock appoggia mollemente il gomito del braccio destro sulla poltrona e appoggia il capo sulla mano. - Voleva che le dicessi che lei è importante per me?
 
Rispondi seccamente. - A quanto pare non le importa della mia opinione.
 
Sherlock si alza senza fretta dalla poltrona, avvicinandosi di qualche passo nella tua direzione.
- Avevo dedotto che non le sarebbe dispiaciuto lavorare con me.
 
Stringi i punti. - Questo non la autorizza a decidere per me della mia vita.
 
Lui ti osserva, per un’interminabile frazione di secondo. Ne esce con un’espressione non propriamente amareggiata, ma non strafottente né arrogante. - Non volevo dare questa impressione.  
 
- L’ha data.
 
C’è un che di delusione, mista a tristezza, mista a decisione in quello che dice, e in come lo dice.
- Ormai sa come mi comporto di solito, non pensavo che l’avrebbe presa così.
 
John. Pensaci. Vuoi davvero rinunciare ad un’occasione del genere? Davvero non vuoi vivere fino in fondo questa folle avventura e vedere cosa succederà? Davvero vuoi tornare subito ai tuoi articoletti da quartultima pagina? Alla scarsa considerazione che hanno di te tutti in quella redazione? No, non vuoi.
 
Ma tenere Sherlock sulla graticola è fin troppo piacevole per non approfittarne per qualche altro secondo. - Non può comportarsi con me come fa con la signorina Hooper.
 
Sherlock non abbassa un attimo lo sguardo, ma senti che non lo fa solo per studiato contegno.
- Con Molly mi comporto molto peggio, non che lo faccia apposta.
 
Taci. Incerto su come ribattere. Così fai per voltarti ed andartene.
 
Sherlock fa ancora un passo verso di te. - In ogni caso non intendevo offenderla.
 
Ti volti. Era questo quello che volevi sentirti dire.
 
Poi ritorna alla sua canonica sicurezza. - Vuole lavorare con me? Ma devo essere sincero… sarà pericoloso.
 
Quanto sa essere teatrale? E tu non puoi essere di certo da meno.
Accenni un sorriso. - Me lo garantisce?
 
Sherlock sorride a sua volta, prima di tornarsene sulla sua poltrona. - Glielo prometto.
 
***
 
Ti metti a dormire. È strano starsene su quel materasso enorme. Per non parlare degli stucchi dorati alle pareti, del copriletto finemente ricamato, dei quadri baroccheggianti intorno a te. Non sai se riuscirai a dormire. La giornata è stata innegabilmente lunga, e strana.
 
Mai avresti immaginato che sarebbe andata così, e invece pare che continuerai a lavorare con Sherlock Holmes a questo bizzarro caso, e per molto ancora. O almeno fino a quando lui e il Cavaliere Azzurro continueranno a sfidarsi in questa folle partita a scacchi.
 
Che Sherlock nasconda qualcosa è indubbio, ci sono troppe cose che dice di non poter dire e altre che semplicemente tace. Talvolta intravedi nei suoi occhi le ombre delle cose che nasconde. E vorresti davvero capire.
 
Non sei dispiaciuto di rimanere. Nonostante il suo atteggiamento supponente e il suo caratteraccio. Forse il mistero ti intriga più di quanto non ti irriti il suo custode…
 
Ti addormenti piano, prima di potertene davvero accorgere.
Sprofondi nelle dolci sabbie soporifere di Morfeo e rannicchiato su un fianco, solo in mezzo ad un letto così grande, fai sogni che al risveglio non ti ricorderai, tanta la stanchezza accumulata.
 
Così come non ti ricorderai di quella figura slanciata e silenziosa che, attraversando appena la soglia della porta, lascia che il suo sguardo indugi sul tuo capo abbandonato sul cuscino, e si consente un sorriso preoccupato. Resta lì solo per un secondo, zitto e immobile. Muove un passo verso di te, solo uno, e poi torna indietro, lasciandoti dormire placidamente nella penombra.
 
Eppure ti sembrerà di ricordare che lui si sia seduto sul letto affianco a te, senza fare rumore, che si sia sdraiato e che sia rimasto immobile a guardarti dormire per qualche minuto prima di addormentarsi a sua volta. Ti sembrerà di ricordare di esserti voltato e di averlo sentito sonnecchiare placidamente al tuo fianco, anzi, sul tuo fianco, il capo reclinato sul tuo petto, le braccia abbandonate addosso a te. E non ti sembrerà una sensazione poi così terribile, anzi di piacevole rilassamento, quella di sentirlo respirare piano, così dolce di sonno, mentre per una volta non ti sta fulminando con lo sguardo, o inondando di rimproveri, deduzioni o entrambe le cose insieme. Ed è così stranamente…
 
Ti svegli di soprassalto. Ti guardi intorno preoccupato come se fosse appena successo un disastro irreparabile, una calamità naturale. Eppure Sherlock non c’è.
 
Tasti le coperte affianco a te, le lenzuola sono perfettamente stirate dall’altra parte del letto, il secondo cuscino è integro e intatto, nessuno ci ha dormito. Sospiri piano. Un sospiro di sollievo, da un lato. Un sospiro di nostalgia per qualcosa che non è avvenuto, dall’altro.
 
Respiri profondamente, mentre il super-io sgomita a reprimere i pensieri che hai appena fatto.
Perché non hai appena sognato che Sherlock dormisse accoccolato affianco e addosso a te. Non hai appena inconsciamente desiderato che ciò avvenisse. Non hai pensato che fosse una sensazione piacevole. Non hai mai minimamente pensato una cosa del genere.
 
Del resto ti sei svegliato di soprassalto non a caso. Perché era una cosa sbagliata anche solo da pensare. Un lapsus del tuo inconscio. E che Freud andasse al diavolo, non c’è niente di represso nei confronti di Sherlock. Non c’è e non ci sarà mai. Eppure…
 
Fino ad un attimo fa ci avresti giurato, ma adesso. Sicuramente avrai sognato anche questo…
Ma il suono bassissimo della voce di Sherlock che sussurra piano nella notte “Tu sei importante per me” l’hai impresso nella memoria, abbarbicato tra conscio e preconscio, deciso a non farsi dimenticare. Ma l’hai sognato…vero?
 
Potresti chiedere a Sherlock… Certo, e farti prendere per uno psicopatico. Ovvio. Subito. Lo farai appena lo vedi. Ti affretti ad alzarti dal letto, cercando il telefono sul comodino per guardare l’ora.
 
Otto meno un quarto. Nonostante le vicissitudini della giornata precedente, pare che un po’ di disciplina militare regga ancora. Ti affretti ad andare in bagno, preferibilmente portandoti dietro i vestiti che ti sei tolto per andare a dormire. Perché ovviamente non potevi chiedere un pigiama a Sherlock, cioè, avresti voluto quando sei andato ad importunarlo mentre rifletteva sulla poltrona, ma la conversazione aveva preso un’altra piega e domandargli un pigiama era fuori luogo. E poi va bene dormire nel suo letto, ma mettersi un suo pigiama… non esageriamo.
 
Peccato che i tuoi vestiti siano spariti dalla poltrona su cui li avevi appoggiati.
Sbianchi.
 
Esci dalla stanza urlando:- Sherlock! - senza curarti di essere in mutande. Del resto, se il genio si è divertito a farti sparire gli indumenti, non si scandalizzerà di certo a vederti comparire così in salotto. - Dove sono i miei vestiti? - incalzi.
 
Peccato che la voce che senti non sia quella di Sherlock. Ma quella titubante e imbarazzata di Trevon. - Temo che il signor Holmes non ci sia…
 
- Eh? - non sei più padrone del colore delle tue guance. - Non è come sembra.
 
Ti rendi conto che l’espressione di imbarazzato disappunto sulla faccia di Victor Trevon, per quanto fuori luogo, in realtà sia abbastanza calzante. Del resto, vedere un tipo in mutande uscire da una camera da letto a chiedere al proprietario della camera da letto dove siano i suoi vestiti è abbastanza ambigua come situazione. O quantomeno, si presta a facili interpretazioni.
 
Calchi invano la dose. - Non è affatto come sembra.
 
Trevon si morde appena le labbra per non scoppiare a ridere. - Certo…
 
Respiri profondamente. Ti penti di aver provato istintiva commiserazione per quel ragazzo e per come lo tratti l’artista fuori di testa con cui vi trovate entrambi ad avere a che fare. Ed è proprio lui che vorresti avere di fronte, per chiedergli con che cosa avesse narcotizzato i neuroni quando gli è balenata l’idea di lasciarlo senza vestiti alla mercé delle divertite obiezioni di Trevon.
 
- Ma dov’è Sherl… - ti rendi conto che chiamarlo per nome non agevolerebbe la situazione, visti i pensieri che si sta facendo Victor, e correggi subito il tiro - Il signor Holmes?
 
Lui riassume un po’ della sua solita, ingessata compostezza. - È uscito, mi ha detto di dirle di aspettarlo nella sala delle colazioni.
 
Sospiri. - Non c’era bisogno che si incomodasse ad aspettare che mi svegliassi. Poteva lasciarmi un biglietto. - maledici mentalmente Sherlock, perché l’ha messo in quella imbarazzante situazione?
 
Trevon ti guarda non senza imbarazzo. - Ho fatto quello che mi è stato detto, mi dispiace di averla disturbata.
 
Ti ricordi che il tuo problema primario in realtà era un altro. La sparizione dei tuoi indumenti. Causa di tutto il malinteso e fonte primaria delle tue angosce. - Ma i miei vestiti?
 
Trevon si sforza nuovamente di non sorridere:- Non si ricorda dove li avete lasciati?
 
Scuoti il capo davanti all’uso improprio di quel dannato plurale. Che poi ti auguri che dopo una notte come quella che Trevon sta immaginando e che lo diverte tanto, quel disgraziato di Sherlock non sparisca così, rubando i vestiti del partner, lasciandolo senza il conforto di qualche dolce tenerezza mattutina e anzi, buttandolo in pasto alle risatine dei suoi sottoposti. Scuoti il capo. Questa è un’altra cosa che non ti interessa.
 
- Ricordo esattamente dove li ho lasciati e non ci sono.
 
Trevon medita un po’, girandosi verso l’armadio guardaroba dell’ingresso. - È probabile che siano stati mandati in lavanderia dal signor Holmes.
 
Guarda con attenzione un paio di cambi d’abito puliti, mandati dalla lavanderia presumibilmente qualche ora prima. - Sono questi i suoi vestiti? - e ti porge una gruccia con un maglione familiarmente beige, un’altra con la tua camicia azzurrina, e l’ultima con i jeans blu.
 
Prendi tutto e accenni a volertene andare, preferibilmente a sotterrarti da qualche parte per la vergogna. - Grazie. Se permette, vado a vestirmi…
 
Trevon coglie la tua insofferenza. - Io nel frattempo me ne andrei. Avrei delle altre cose da fare.
 
- Come vuole.
 
Lui accenna un saluto e sparisce verso la porta d’uscita della suite.
 
 
Ricapitoliamo John, sostanzialmente, la signor Adler pensa che voi siate una coppia, senza che nessuno abbia fatto niente per incoraggiarla, Molly Hooper è stata spinta a farlo da Sherlock, e dalla tua ignobile complicità alla messa in scena. Angelo vi ha acceso una candela al tavolo del ristorante pensando che foste al primo appuntamento, e adesso la totale assenza di buonsenso di Sherlock e il suo infischiarsene delle convenzioni sociali ti ha messo nella condizione di far credere a Trevon che tu sia il suo amante. Che modo migliore per iniziare la giornata?
 
E stai volutamente evitando di considerare i sogni che stai faticosamente macinando per far subissare nel rimosso.
 
***
 
Scendi a fare colazione e trovi Sherlock Holmes in un tavolino appartato, vuoto, che smanetta con il cellulare. Hai pensato a lungo su cosa fosse opportuno dirgli, se fare riferimento al malinteso con Trevon oppure no. E hai deciso, come era prevedibile, di tacere, sperando che Victor faccia altrettanto. In realtà ti sei interrogato a lungo sul gesto di premura e di gentilezza del tuo ospite di mandare i tuoi vestiti in lavanderia, ma anche questo è un argomento che non vuoi neanche sfiorare.
 
Ti avvicini a Sherlock, prima di buttarti a capofitto su un buffet luculliano apparecchiato in modo impeccabilmente elegante.
 
Sherlock mette da parte il telefono. - Ha dormito bene?
 
Appoggi le mani sullo schienale della sedia davanti a te. - Devo ammettere di si. E lei?
 
Lui ti guarda come se stessi constatando l’ovvio, ovvero come fa la maggior parte del tempo.
 
 - Oh, non ho dormito.
 
Sbuffi, ironico. - Non ci credo.
 
- Lestrade mi ha tenuto informato sugli sviluppi al Centro Pompidou. Non è stato rubato niente. E all’Orsay ieri notte non è entrato nessuno. Ho passato in rassegna tutti i cataloghi online sui quadri presenti all’Orsay, e ho ottenuto le informazioni riservate sui condotti dell’aria, dell’acqua, delle telecamere di sorveglianza e di qualsiasi altra cosa comunichi con l’esterno. Questa volta non possiamo permetterci che il Cavaliere Azzurro arrivi prima di noi, o abbia comunque vantaggi logistici o altro.
 
Decidi cautamente di non insistere sulla notte trascorsa e sulle deduzioni sul tuo sogno o sulla reazione di Trevon che potrebbero scaturirne. - È stato molto gentile ad aspettarmi prima di andare al museo.
 
Ti indirizza uno sguardo di divertita sufficienza. - Non ha ancora aperto, ecco perché ho aspettato.
 
Sospiri, ancora una volta. Perché ti illudi che lui voglia davvero intenzionalmente essere gentile con te? - Rettifico: sarebbe stato molto gentile se non avesse tenuto a specificare l’ultima frase.
 
Di tutta risposta Sherlock si limita a fare spallucce.
 
- Ha troppa considerazione delle convenzioni sociali.
 
- Lei ne ha troppo poca.
 
Ti allontani verso il buffet. E pensi ad altro. A quello che è successo poco fa con Trevon, al malinteso che si è creato con l’assistente ufficiale di Sherlock. Tutto perché il giovane Holmes sguazza nei malintesi, è il gran ciambellano dei malintesi.
 
Afferri un piatto che riempi di cornetti e un paio di fette di torta. Hai notato già ieri sera a cena che Sherlock tende a non mangiare, e visto che adesso il tavolino davanti a lui è immacolato, né una briciola né uno sbuffo di marmellata, immagini che non abbia toccato cibo neanche stamattina. Del resto, da un tipo che sacrifica le sue ore di sonno a studiare le condutture dell’aria e dell’acqua di un museo, azione di cui per inciso non comprendi l’utilità, puoi aspettarti qualsiasi cosa.
 
Non sarai un medico, ma ti appare ovvio che non può starsene senza mangiare, e pretendere di scorrazzare per Parigi dietro ad un pazzo che nasconde messaggi dietro i quadri, né che tu possa incoraggiarlo.
 
Una cameriera si avvicina cortesemente a domandarti se gradisci qualcosa da bere, e, fiero del tuo discreto francese, le domandi del the.
 
Del resto, un po’ di buon the nero, macchiato appena di latte, è ciò che ci vuole per iniziare bene una giornata.
 
Torni a sederti portandoti dietro due piatti pieni di roba da mangiare, quello dei cornetti, e quello della colazione continentale, bacon, uova e pane tostato. Sherlock non ti risparmia un’occhiata colma di ostentata incredulità.
 
Alza un sopracciglio, ironico. - Fame?
 
Metti il piatto con i cornetti davanti a Sherlock. - Rigiro la domanda a lei. Presumo che non abbia mangiato niente.
 
Lui finge stupore, senza risparmiarti uno sguardo ironico. - La sua abilità nelle deduzioni cresce ogni momento che passa, presto sarà lei a prendere il controllo della situazione e guidarmi alla soluzione di tutti i miei problemi, non crede?
 
Sherlock Holmes non sa, perché andiamo, può essere geniale quanto gli pare, ma non può saperlo, che stai pensando a quanto la sua frase possa essere ambigua. “Prendere il controllo della situazione.” “Guidarmi”. “Tutti i miei problemi”. Deglutisci a vuoto. Devi reimparare a non trovare riferimenti a cose che non esistono in cose che non ne hanno.
 
Scuoti appena il capo, come se il gesto possa servire anche a scacciare certi pensieri dalla testa.
 
- Lei non ha mangiato, oltre a non aver dormito.
 
Sherlock sorride, senza essersi apparentemente accorto di niente. - Lei ha dormito e sta per mangiare a sufficienza per entrambi.
 
Ti stupisce la sua ostinazione. E ti rendi d’un tratto conto di condividere l'irritazione delle anziane nonne che non si capacitano dell’inappetenza dei nipoti. - Mi spiega come pensa di reggersi in piedi per tutto il giorno?
 
Sherlock non risponde, anche se capisci, dal suo sguardo e da quell’accenno di sorriso strafottente che gli colora il viso, che si sta persino divertendo, mentre tu ti preoccupi per lui.
 
La cameriera torna con un vassoio su cui è appoggiato un elegante servizio da the di porcellana.
- Il vostro the. Due tazze, come mi ha chiesto.
 
Le sorridi, ringraziandola in francese, mentre lei si allontana verso un altro tavolo.
Tu non hai potuto fare a meno di notare la genuina avvenenza della ragazza, con quelle lentiggini sul naso e sulle guance, i capelli chiari, le forme al punto giusto, in cuor tuo rassicurandoti di essere ancora sensibile al fascino femminile, ma per Sherlock l’incursione della cameriera è come se non fosse mai avvenuta. - Che the è?
 
Sorridi appena, sapendo che Sherlock non avrebbe davvero potuto starsene senza mangiare come minacciava. - Nero, earl grey.
 
Apri il coperchietto della teiera e ti assicuri che l’infusione delle foglie sia stata sufficiente. Il colore ti sembra quello giusto, quindi versi il the prima a Sherlock e poi a te.
 
Alzi gli occhi. - Zucchero?
 
Lui annuisce appena. - Due.
 
Prendi l’altro bricco di porcellana. - Latte?
 
Sherlock fa cenno di no con la mano e inizia a sorseggiare il the, standosene per una volta zitto e tranquillo. Accenni un sorriso, macchiando con un sorso di latte la tua tazza di the nero, prima di berne a tua volta.
 
- Aveva detto di non voler mangiare.
 
Ma Sherlock, anche se gli si fa una gentilezza, resta comunque Sherlock. Lui la chiamerebbe sicuramente coerenza, tu indisponenza. - Non voglio deluderla, ma il the si beve, non si mangia.
 
Fai finta di non averlo sentito e gli indichi con un cenno del capo il piatto che gli avevi messo davanti. - Prenda uno di questi dolci.
 
Sherlock guarda a te e poi al piatto con velata diffidenza.
 
- Se non altro per evitare che io diventi obeso.
 
Ma lui non coglie l’ironia dietro la tua affermazione, o meglio, se la coglie, la travalica. Prende a fissarti e ti senti radiografato dai quei suoi occhi indefinibilmente azzurri. - Non mi sembra che ne abbia possibilità nel prossimo futuro, però…
 
Appoggi la tazza di the sulla tovaglia bianca, a metà tra l’indignazione e un divertito stupore.
 
- Sta dicendo che sono grasso?
 
Gli occhi di Sherlock se la ridono, dietro la sua tazza. - Non ancora.
 
Sorridi anche tu. Senza riuscire a sentirti offeso. Del resto, non servirebbe a niente.
Inizi a mangiare bacon e uova strapazzate, infischiandotene.
 
Ogni tanto non riesci a non alzare gli occhi a indagare il comportamento di Sherlock.
Se ne sta pensoso a seguire con le dita il bordo della tazza. Senza bere né mangiare.
 
Non sai a cosa stia pensando. Ma dev’essere qualcosa di triste. Qualcosa che non ha voglia di raccontarti, altrimenti l’avrebbe già fatto, col suo modo teatrale ed enfatico di parlare.
Non dici niente, continui a mangiare e a guardarlo, mentre pensi che lui non se ne accorga.
 
Ma Sherlock riemerge presto dagli abissi di se stesso, riaffiora dalle profondità insondabili dei suoi pensieri. Si limita ad alzare gli occhi a guardarti, ma basta per farti capire che non l’hai scampata e che lui si è reso conto del tuo timido fissarlo.
 
Allunga una mano sul tavolo e per una frazione di secondo ti illudi che voglia stringere la tua. Ma si limita ad afferrare uno dei cornetti dal piatto davanti a sé, mentre scuoti impercettibilmente la testa, maledicendo i tuoi pensieri inopportuni.
 
Ne strappa un pezzo, come se non si fidasse del suo contenuto o della sua fattura.
Sorridi appena, nascondo un pizzico di amarezza in quel sorriso. - Dubito che possa esserci del veleno.
 
Sherlock ti fissa come se fossi cascato dalle nuvole e non avessi la minima cognizione di quello che stai dicendo. - Non lo può dire con certezza.
 
Non accenna a mangiare, aspettando che tu dica qualcosa.
 
Sbuffi, porti gli occhi al cielo per una frazione di secondo. Prendi dalle sue mani il pezzo di brioche che stava squadrando come se fosse una scoria nucleare di burro e pasta sfoglia. - Dia a me, correrò il rischio. - e dai un morso al cornetto.
 
Sherlock accenna un sorriso sorpreso, in cui si nasconde una punta di ironia.
- Lei sarebbe disposto a morire per me?
 
Lo dice mentre stai inghiottendo il boccone, rischiando di farti strozzare. Tossisci ripetutamente. E bevi un sorso di the. - Lei crede davvero al veleno?
 
Sherlock sorride. - Ovviamente no.
 
Tiri un sospiro di sollievo. E non perché davvero credessi che ci fosse il veleno, ma perché lui non sembra avere intenzione di continuare a farti domande insensate che mettano in imbarazzo entrambi.
 
Accenni al cornetto che Sherlock continua a fissare. - Comunque non è male.
Lui alza appena le sopracciglia, come a dissentire. Ma poi inizia a mangiare.
E tu sorridi nascondendoti dietro la tua tazza di the.
 
 
***
 
Il museo D’Orsay un tempo era una stazione del treno.
Si specchia da più di un secolo sulla Senna, senza vanità. Eppure splende di una bellezza tutta Parigina. Gli archi, le vetrate, i due orologi tondi all’apice dei due antichi ingressi, la differenza di colori tipicamente francese tra il corpo chiaro dell’edificio e il tetto, blu scuro.
 
Entrate appena aprono.
Non c’è molta gente a quest’ora. Tanto meglio, visto che dovete cercare di capire quale sia la prossima mossa del Cavaliere Azzurro, chiunque egli sia, e restringere il campo su chi possa essere, visto che ci sono buone possibilità che sia uno degli altri turisti. Anche se… vedi gente abbastanza ordinaria intorno a te, in fila per passare il controllo sicurezza, e nessuno di loro ti sembra possa avere l’aria geniale, folle e criminale che dovrebbero essere proprie del vostro avversario.
 
Sherlock attraversa a passo sicuro l’ingresso del percorso espositivo, dirigendosi verso la sala dove hanno allestito la mostra “Urbano e bucolico nel pre e post impressionismo”.
Si guarda intorno con rapide occhiate, senza soffermarsi su nessuna tela.
 
- Cosa stiamo cercando?
 
Continua la sua veloce ispezione, senza dare molta importanza alle tue parole, e senza cambiare la traiettoria del suo sguardo neanche di un millimetro. - Il quadro di ieri ovviamente.
 
Freddato dal placido riaffiorare della sua indisponenza, cominci a guardare i quadri per fatti tuoi, e tendere solo a stare nella stessa stanza in cui si mantiene lui.
 
Dopo qualche minuto, con la coda nell’occhio vedi che si è fermato come una statua di marmo davanti ad un quadro. Ma non accenna a chiamare la polizia o la sicurezza, né smanetta sul telefono alla ricerca di informazioni, non dice niente. Si limita a fissare il quadro, come imbambolato.
 
Ti avvicini. - Perché ci siamo fermati?
 
Si volta a guardarti. E c’è un vago spaesamento in quegli occhi abituati ad essere accesi da una luce brillante di intuizioni. - Il quadro è questo.
 
Non capisci. Sherlock sa sempre cosa dire, no? - E…?
 
Ma stavolta ha uno sguardo corrucciato. - Non vedo niente di strano.
 
Guardi il quadro. Non ci vedi niente di inusuale: campi coltivati e mulini a vento. - Pensa che ci sia qualcosa dietro il quadro? O dietro la targhetta con il nome?
 
Scuote appena il capo. - Lui non si ripeterebbe.
 
Tenti di obiettare una cosa qualsiasi, sperando di fargli involontariamente accendere qualche lampadina, com’è accaduto nelle ore passate. - Ma…?
 
Ma stavolta l’intuizione di Sherlock non ha bisogno di ulteriori incoraggiamenti. - Se non c’è un altro indizio, dev’essere il quadro stesso un indizio.
 
Lo guardi come se avesse parlato in Turco.
Ma conosci qualche parola in Turco.
Hai viaggiato prima di diventare un uomo frustrato che non è riuscito a sfondare.
Da ragazzo non hai mai lasciato niente di intentato. Hai partecipato a qualsiasi concorso per aspiranti scrittori, studiato per tutte le borse di studio che hai vinto.
Hai fatto i lavori più assurdi pur di viaggiare, per quel poco che hai visto del mondo.
E mai niente ti ha scoraggiato.
Niente, prima dell’esperienza in Afghanistan.
Scuoti impercettibilmente il capo.
L’Afghanistan è lontano ormai.
 
Quando torni a guardare Sherlock, lo scopri intento a fissarti. Deve aver capito. Non ti dispiace.
Ha uno sguardo interrogativo. Vagamente. È solo una tacita sfumatura nei suoi occhi. Ma tu la cogli. Lui ha capito quale sia l’indizio. E accetti la sfida. Annuisci appena.
 
- Kandinskij. “Mulini a vento”. Olanda.
 
Fissi attentamente il quadro.
Guardi la targhetta. Alzi di nuovo lo sguardo.
 
Sherlock sa che non sei un esperto di arte. E per quanto il suo ego sia in apparenza smisuratamente grande, in realtà non ti umilierebbe così, facendoti illudere di poter indovinare una cosa assurda che palesemente non potresti conoscere, non ora che ha intravisto nei tuoi occhi l’Afghanistan e quel desiderio di rivalsa che tenevi nascosto anche a te stesso.
 
Qualcuno che conosci, quindi. Di cui avete parlato, magari.
Kandinskij. “Mulini a vento.” Olanda.
 
Ti volti verso Sherlock. - Van Gogh?
 
Lui annuisce. - Van Gogh. - e condividere uno sguardo di intesa con lui è indicibilmente strano. Perché per una volta avete capito entrambi il ragionamento che sta dietro qualcosa. E sapete entrambi quanto sia grande la passione di Sherlock per Van Gogh. E che la mossa del Cavaliere Azzurro non dev’essere casuale. Ed scopri che è anche indicibilmente bello, oltre che indicibilmente strano, condividere uno sguardo di intesa con Sherlock Holmes.
 
Non hai il tempo per somatizzarlo, lo insegui fuori dalla sala, imboccando la galleria principale. Perché Sherlock non concederebbe un secondo di più a questa tua consapevolezza. E non si priverebbe di un secondo ancora in cui poter capire cosa nasconda il Cavaliere Azzurro. Ma a te va bene così.
 
Stai a fatica dietro alle sue lunghe falcate.
 
- I quadri di Van Gogh in mostra in collezione permanente sono una ventina. Alcuni sono attualmente in prestito per mostre fuori Parigi. I più famosi sono qui in una galleria sulla destra. Anche se con l’attuale nuova disposizione delle tele, potrebbero non essere tutti collocati insieme. Questo su internet non sono riuscito a trovarlo.
 
- Non si ricorda a menadito l’Orsay come l’Olangerie?
 
Speravi che la provocazione bastasse a fargli rallentare la marcia. Ma no, non è così. Continua a parlare, senza guardarti. - All’Olangerie c’è molta meno gente da scansare, ci vado più spesso.
 
Calchi la dose, ostentando un’ingenua curiosità nelle sopracciglia. - Ha paura delle persone?
 
Si volta appena, senza fermarsi. - Ho paura dei giornalisti.
 
Scacco. Ma ne sorridi. Almeno ha rallentato e ti ha guardato mentre ti parlava. In fondo non te ne importava di quello che stavi dicendo. O almeno… insomma non ti importava.
 
Fingi indignazione, mentre accenni un sorriso. - Dovrei offendermi?
 
- Non ne abbiamo il tempo.
 
Sherlock non si era fermato per te. Aveva rallentato appena, e ti aveva rivolto uno sguardo, di sfuggita, continuando a camminare per la sua strada. Ma d’un tratto si arresta. Lo sguardo imbambolato sulla tela. Come se fosse la cosa più bella del mondo. Anzi, come se non esistesse altro. Arrivi davanti al quadro qualche frazione di secondo dopo. E capisci la reazione di Sherlock.
 
Ti piombano addosso pennellate d’acqua di un blu lapislazzuli, fluida come se si stesse infrangendo sulla spiaggia davanti ai tuoi occhi. Sei abbagliato dal chiarore delle stelle, puntini di bellezza mistica e tremolante, in quel cielo immenso e profondo, e dalle luci del porto, che si riflettono su quell’acqua appena smossa da un vento che non è dipinto, ma che la tela ti soffia addosso, come un respiro.
 
Sherlock ha lo sguardo ancora fisso sul quadro, ma come se si fosse appena ridestato da un sogno ti sussurra: - “La notte stellata sul Rodano”.
 
Ti costringi a distogliere gli occhi dalla tela, per non essere imprigionato dal suo splendore. Ti sfugge un magro:- Wow.
 
Sherlock sorride senza supponenza, ti guarda quasi con dolcezza. - Van Gogh fa questo effetto.
 
Ma tu non te ne accorgi. Hai scoperto nell’angolo due figure, una coppia di innamorati forse. Li scruti domandandoti come abbiano fatto a comparire d’improvviso nella tela. Interroghi le stelle, le luci del porto, infine l’acqua, e per ultimo quel vento invisibile, eppure così concretamente presente. E capisci che è quel quadro è tutto e troppo insieme.
 
I tuoi pensieri ti sembrano profondi, ma le parole sciocche quando la bocca si decide a pronunciarle. - I colori sono così vividi. E le pennellante così intense.
 
Sherlock ha gli occhi di nuovo fissi sulla tela. E nei suoi occhi intravedi uno sprazzo del sogno di prima. - È così che vorrei vedere il cielo, quando alzo gli occhi, di notte.
 
Lo guardi. C’è una brama d’infinito in quegli occhi che non riescono a coglierlo. C’è un anelito per la bellezza e il mistero del tutto. C’è l’ansia di capire. E la necessità di trasfigurare.
 
Volgi di nuovo lo sguardo al quadro davanti a voi.
Tu cosa vedi, in fondo? Un paesaggio, un bel mare, un bel cielo, stelle, abbastanza irrealistiche. Vedi i riflessi della luce sull’acqua. E ti sembra bello. Semplicemente bello.
 
Sherlock invece intravede anche qualcos’altro. E lo invidi per questo. Perché il mistero dell’arte è per pochi adepti e non tutti possono capire davvero. E tu fai parte di quei tutti. Ti fermi a “questo mi piace”, “questo non mi piace”, lo stadio di infantile partecipazione che potrebbe avere un bambino.
E ti senti di nuovo uno sciocco al fianco di Sherlock Holmes.
 
Sherlock riemerge dagli abissi di se stesso. Ti vede assorto. Aggrotta le sopracciglia, beffardo. D’un tratto di nuovo esente da qualunque esaltazione romantica, da qualsiasi trasporto per l’arte. È di nuovo il detective che c’era indizi e nel frattempo si diverte a punzecchiarti per sondare le tue reazioni. - Noto un discreto interesse per l’arte…
 
Non hai il cuore di ritorcergli dietro i suoi silenzi e quegli sprazzi di autenticità dietro la facciata di fredda compostezza. Sarebbe vile. Non pugnali l’uomo che ti permette di intravedere un frammento della sua anima palpitante e inquieta. - Noterà che è sempre l’interesse di un profano.
 
Il suo sguardo è corrucciato. Guarda te, poi il quadro dietro di te. E scuote il capo, teatralmente.
- Noto che non vedo indizi. E non capisco.
 
Ti guardi velocemente intorno, prima di riportare il tuo sguardo su di lui. - Non la voglio offendere, ma potrebbe sbagliarsi. Magari non era qui che voleva portarci.
 
Lui si limita a fissarti con spirito di contrarietà nello sguardo, fa su e giù davanti al quadro. - Siamo esattamente dove dovremmo essere. Ma non capisco… Non capisco ancora.
 
- Forse…
 
Alza gli occhi, corrucciato e serio. - La smetta. È lei che mi distrae.
 
Si volta bruscamente verso i quadri sulla parete più vicina, li esamina, insieme ai cartellini, i chiodi sul muro, l’altezza a cui sono appesi, la presenza o la mancanza di polvere sulle cornici.
 
Tu te ne stai a quello che ormai definisci istintivamente il tuo posto, due passi dietro di lui, le mani in tasca, a dividere lo sguardo tra Sherlock, quello che sta guardando e gli altri intorno a voi.
 
Vorresti essere d’aiuto, percorri tutta la sala dedicata alle opere di Van Gogh, ma ti limiti a scuotere appena il capo e non capire. Così ne approfitti per guardare i quadri, sperando di captare quanto meno cosa affascini tanto Sherlock. Sembra così difficile stupirlo o interessarlo…
 
L’unica persona capace di fare ciò è un pazzo che si cela dietro un pseudonimo altisonante, è un esperto d’arte e si diverte a comunicare tramite enigmi a chiave artistica. Come potresti mai competere?
 
“Le docteur Paul Gachet” sorride appena, come a commiserarti per il guaio in cui ti sei messo, seguendo Sherlock. E… “L’Arlesienne” ti fissa, con il suo sguardo puntato oltre la tela, quasi a squarciarne il tessuto con le sue tacite insinuazioni. Ma no, tu non nutri alcun sentimento per Sherlock Holmes. Lo trovi intelligente, e oggettivamente devi riconoscere che abbia il suo fascino. Ma un fascino che, del resto, chiunque potrebbe riconoscere, tanto è evidente.
 
E il fatto che ti ritrovi a interrogarti sul colore dei suoi occhi non è indicativo di alcunché. Un azzurro diverso sia dallo sfondo de “Fritillaires couronne imperiale dans un vase de cuivre” che dai nastri dei capelli delle dame di “La salle de danse à Arles”. Macchiato della purezza del cielo azzurrissimo de “L’eglise d’Auvers sur Oise, vue du chevet”, sporcato dalla solitudine del ceruleo delle porte de “La chambre de Van Gogh à Arles”.
 
Lui, l’artista che non crede in Dio, che forse ha superato, ma mai dimenticato, l’isolamento della stanza di un college in cui nessuno lo capiva. Se ne sta tranquillo, o almeno finge molto bene, ad esaminare “Les roulottes, campement de bohemiens aux environs d’Arles” e poi “La guinguette à Montmartre”. Non sembra accorgersi di aver di fatto monopolizzato la tua attenzione.
 
Evidentemente deve parergli naturale avere un pubblico adorante, quando sta per sparare qualcosa di geniale. - Rassegnati, John, sei uno dei tanti - sembra dire lo sguardo di benevola indulgenza che ti riserva “L’Italienne” - sai quanti ne ha portati qui in mezzo ai quadri? - Scuoti il capo. Dica quello che vuole la donna con la gonna rossa, e se ne restasse appoggiata al suo sfondo giallo.
 
Respiri profondamente. Massaggi lentamente con la destra l’attaccatura del naso, maledicendoti e maledicendo Sherlock in silenzio. Hai davvero coscientemente pensato che i quadri volessero parlarti? Se va avanti così ci finisci tu ricoverato in quel “L’hopital Saint Paul a Saint Remy de Provence”! Non sbianchi solo perché ne hai viste di ben peggiori in Afghanistan, altrimenti la tua pelle avrebbe lo stesso colore di un candido lenzuolo.
 
E non basterebbe una vera cena da Angelo a farti riprendere.
Nessun “Le restaurant de la Sirene à Asnieres”, e anche nessun Maxime, per cui evidentemente non sei abbastanza elegante, ti basterebbe anche una bettola, ma forse il tuo inconscio vuole farti capire che non ti dispiacerebbe un appuntamento con Sherlock Holmes. Un appuntamento vero. Di quelli in cui si è realmente interessati l’uno all’altro. Quando nessuno dei due è capitato lì per caso, o resta lì per caso. Al tuo inconscio piacerebbe che Sherlock Holmes ti trovasse, se non attraente, quanto meno interessante. E che non pendesse dalle labbra invisibili di questo Cavaliere Azzurro.
 
Ma al livello conscio provi solo il fastidio di essere ignorato e la gratitudine di assistere a quello che potrebbe essere lo scoop del secolo.
 
Osservi l’ultimo quadro di Van Gogh nella sala: “La Meridienne”. I due corpi dei contadini sdraiati sotto il sole del meriggio. Il cielo azzurro come solo il cielo sopra un biondo campo di grano sa essere. E pensi inconsciamente, e del tutto involontariamente, che la sensazione di benessere che provano le due figure sdraiate all’ombra di un covone di grano, non sia poi così dissimile da quella generata dall’illusione di dormire accanto a Sherlock, questa mattina.
 
Scuoti appena il capo. Ti proponi di non pensarci. Anzi, ti vieti di farlo.  
Sherlock passa nervosamente da una tela all’altra, cercando informazioni che riesci ad immaginare lontane dal farsi trovare.
Borbotta qualcosa, con evidente nervosismo.
L’esaltazione arriverà, se arriverà, quando ci capirà qualcosa.
 
Ti avvicini a lui, dubbioso. - Quindi?
Lui ti guarda con malcelata esasperazione nello sguardo. - Quindi cosa?
 
Ti senti di insistere. - Non chiamiamo la polizia?
 
Se prima sembrava solo scocciato, adesso manifesta chiaramente anche irritazione. Ma, se hai capito qualcosa di Sherlock Holmes, non tanto nei tuoi confronti quanto verso se stesso, per non essere ancora giunto alla soluzione. - E cosa diciamo? Che non abbiamo uno straccio di indizio?
 
Strano però… - No?
 
- No. Non capisco. E mi dà maledettamente fastidio ammetterlo.
 
Continui a fissarlo con fare titubante. Una delle tue certezze era che Sherlock fosse spocchioso, ma che nascondesse un animo sensibile, tuttavia per te da subito è stato chiaro che lui avesse sempre e comunque qualcosa da dire di appropriato. O di appropriato per lui, almeno.
 
Invece no... stavolta si limita a constatare l’ovvio, cosa che solitamente tanto disprezza.
 
- Non ci sono biglietti, non ci sono scritte dietro i quadri perché se no se ne sarebbero accorti, non c’è un bel niente…
 
Allarghi le braccia. - Beh, ci sono i quadri.
 
Sherlock ti rivolge uno sguardo vagamente esasperato. - Grazie, che ci sono i quadri. È un museo.
 
Per poi guardarsi intorno come stralunato, se gli fosse venuto in mente qualcos’altro… qualcosa a cui prima non aveva ancora pensato. - I quadri… - ripete, quasi tra se e sé, gli occhi fissi progressivamente sulle diverse tele.
 
Assisti alla genesi della sua intuizione, senza capire.
E lui, del resto, così occupato nei suoi brillanti processi mentali, non si cura di spiegarti niente, almeno per il momento. Si limita a voltarsi appena verso di te, e protendere la mano vuota.
 
- Ha ancora la sua agenda?
 
Tiri la moleskine fuori dalla tasca interna del giubbotto. - Tenga. Dovrei proprio regalargliene una.
 
Non risponde, fa un rapido cenno col capo, come tacito ringraziamento. Non ti spiega cosa stia facendo, si limita a scansare i pochi turisti che sono già presenti al museo, e zampetta da una parte all’altra della stanza, mentre scribacchia sulla tua agenda qualcosa che non ti è dato sapere.
 
Non capisci cosa tu abbia mai detto di così geniale, ma una sensazione di sotteso buonumore ti pervade il petto, riscaldandoti il cuore. Gli sei stato utile, forse. Forse ha una considerazione così insignificante di te.
 
Si siede su uno dei divanetti sul fondo della stanza, lo guardi smanettare con il cellulare, scarabocchiare qualcosa sull’agenda, tirare delle barre con indignato sdegno, probabilmente per cancellare qualcosa. Tu torni a guardare i quadri, finché, diversi minuti dopo, è lui a chiedere il tuo coinvolgimento.  
 
- John.
 
Ti volti di scatto, appena senti la sua voce. È un riflesso involontario che hai sviluppato in troppo poco tempo, questo di precipitarti se è lui a chiamarti. Non ti dai tempo di pensarci.
 
- Cosa?
 
Sherlock alza gli occhi dalla pagina sporca di grafite e cancellature.
- Come se la cava con gli anagrammi?
 
Corrughi la fronte, le sopracciglia strette sugli occhi. - Anagrammi di cosa?
 
Lui ti indica le pareti intorno a voi con un cenno della mano. - Delle iniziali dei nomi dei quadri.
 
È una pista. Ma ti sembra un po’ troppo specifica. E allo stesso tempo così vaga…
- E perché non dei nomi interi?
 
Sherlock doveva aver già riflettuto su questa questione, perché la liquida con sicura nonchalance.
- Perché si renderà conto che qui ci sono una ventina di quadri, e tranne se non vuole scrivere un romanzo, non so cosa se ne dovrebbe fare di tutte quelle lettere.
 
Ti arrendi al fatto che sia lui a condurre il gioco… tecnicamente l’indagine… ma che indagine è quella che si basa su giochi di enigmistica? - Che lettere abbiamo?
 
Sherlock ti mostra il foglio impasticciato. -  E P F R C M D D e una sfilza interminabile di L. Ma se consideriamo anche la prima lettera dopo l’articolo negli altri quadri abbiamo anche N A R I D C S E M R G H.
 
Se ha chiesto il tuo aiuto non è giunto a niente, ma vuoi una conferma, se non altro per avere qualche secondo in più per pensare a qualcosa di intelligente da fare per aiutarlo. - E?
 
- Trovo solo cose senza senso. Non capisco.
 
Tiri fuori il telefono dalla tasca dei jeans, deciso a cercare un sito online che faccia anagrammi. L’ebrezza intellettuale di riuscire a capirlo senza aiuti la lasci a Sherlock.
 
Che capisce subito la situazione. - Dubito che possa servire a qualcosa. Ci ho già provato ed escono solo cose senza senso, oppure niente. Ci sono troppe consonanti. Ma se tolgo quelle dei quadri che non hanno l’articolo nel nome le cose non migliorano.
 
- Tipo? Cosa esce?
 
Si appoggia sconsolato allo schienale del divanetto. - Parole senza senso: “drang smerci” “scremi grand” e l’H è di troppo.
 
Corrughi la fronte. - Drang?
 
- Impeto in tedesco. Come il movimento pre romantico “sturm und drang” ma non capisco che senso potrebbe avere un riferimento del genere a Parigi. Ammesso che non ci sia un’associazione culturale con “drang” nel nome, ma ho cercato su internet senza risultati.
 
Ah. Certo. E chi non li conosce? Accantoni l’ipotesi… non c’entra niente. - E quello “smerci” che senso avrebbe?
 
Sherlock esibisce un sorriso nervoso, scuotendo appena il capo. - Non ne ha.
 
- E se con “drang” in realtà intendesse “drug”, droga? Vuole mandarci da qualcuno che vende droga?
 
- Non ne capisco il nesso.
 
Passi in rassegna le parole che hanno resistito alla scrematura di Sherlock. - “Scremi grand” pure non ha senso.
 
- Non esiste un “Gran Hotel Scremi” ho già controllato.
 
Ne intravedi una che ha un briciolo di senso in più… certo ci manca una vocale, però…
 
- E “grand schermi”? Magari ci vuole mandare in un cinema?
 
Sherlock alza involontariamente il tono della voce. - Non ci vuole mandare in un cinema. Altrimenti ci darebbe un indizio su quale cinema! Ha idea di quanti ce ne siano a Parigi?
 
Gli fai cenno di abbassare la voce per non dare fastidio agli altri visitatori del museo.
Lanci un’altra occhiata sulla pagina dell’agenda. - “Gridar mensh” che senso ha?
 
Sherlock ti fulmina con lo sguardo, evitando per lo meno di urlarlo ai quattro venti.
- Non deve analizzare quelli che ho trovato io. Li ho già analizzati e non hanno senso.
 
Provi per qualche istante a comporre qualche parola che possa avere anche alla lontana un vago senso compiuto, ma non riesci a produrre niente. Vedi solo un ammasso di lettere che non vogliono affatto stare insieme. O che si configurano solo nelle parole già trovate.
 
Ti rassegni ad inserire le lettere su un sito che offre un servizio di anagrammi online.
Ti propone un paio di risultati senza senso e poi… - “Drachme rings?”
 
Sherlock guarda incuriosito lo schermo del tuo telefono. - E che senso ha?
 
Sospiri. - Nessuno, ma che vuole da me? Sto cercando di fare quello che posso.
 
Sherlock appunta le due parole sul foglio insieme alle altre ipotesi. Ci riflette un attimo, una mano sulla bocca, l’altra a scarabocchiare altre combinazioni. - Però “rings” avrebbe senso, qualcosa che suona, che cosa potrebbe essere?
 
Che cosa suona? Ma tutto può suonare? Da un antifurto ad un campanello! Che razza di domanda è? Pensi alla soluzione che ti ha dato il sito degli anagrammi. - Le dracme, che risuonano nelle tasche di un greco?
 
- Un greco? C’è l’euro in Grecia adesso.
 
Adesso non ci sono le dracme, ma un tempo si! Hai davanti agli occhi la nebulosa di un’idea. La vedi esplodere all’improvviso. È così che si sente Sherlock quando spara le sue affermazioni geniali?
 
 - Non è che ci vuole mandare al Louvre? Ci sono reperti greci, no?
 
Entusiasmo il tuo, che Sherlock si premura di distruggere subito con le sue parole titubanti e il suo sguardo affatto convinto. - Ci sono, ma… non lo so…
 
Ma non ti arrendi. Posto pure che “rings” vada bene, il problema è “drachme”.
 
- Se facessimo l’anagramma di “drachme”?
 
Sherlock riprende a scarabocchiare sulla moleskine. Lo lasci fare.
Finché riemerge dai suoi pensieri. - “March”.
 
Annuisci, senza capire la luce negli occhi di Sherlock. - Ok, siamo a Marzo, ma… che senso ha? E poi non rimangono “ D” e “E” spaiate?
 
Guarda le parole cerchiate sul foglio. Non è totalmente convinto, ma capisci che si sente vicino alla soluzione. Non mugugna, non borbotta, ripete ancora una volta:- “March rings.” Marzo suona.
 
E smanetta sul telefono.
 
Ti volti a guardarti intorno alla ricerca di qualche altro spunto, quando Sherlock prende a strattonarti per il braccio, come se fossi il bambino che si distrae proprio quando la maestra sta dicendo la nozione fondamentale della lezione. - Marzo risuona!
 
- Non capisco…
 
Ti mette sotto al naso il telefono: - Guardi qua “Mars resonne de…” è una rassegna musicale al teatro Chatelet.
 
Ah. Ecco. Non capisci il senso di mettere soggetto e verbo in inglese e preposizione in francese, se questo genio del male è davvero tale, avrebbe dovuto inventarsi qualcosa di più chiaro.
 
Scuoti appena il capo, massaggiandoti l’attaccatura del naso.
Il fatto che tu non riesca a risolvere i suoi folli enigmi non vuol di certo dire che tu valga meno di lui. Fai inabissare questo moto di malinconia volgendo lo sguardo ad un entusiasta e nuovamente iperattivo Sherlock Holmes.
 
Accenni un sorriso ironico. - E lei non sapeva di questa iniziativa? Non è esperto di violino?
 
Le sopracciglia diventano archi gotici sul suo volto pallido. - Non sono un esperto, sono solo un volgare profano.
 
Non l’hai ancora sentito suonare, ma… - Se sa suonare come disegna è un maestro anche in quello.
 
Sherlock fa un gesto di diniego con la mano. - Lei mi fa troppi complimenti.
 
- No. Non le sto facendo complimenti. La sto solo descrivendo.
 
Per una frazione di secondo Sherlock ti guarda senza parlare. Non sapresti dire con esattezza, ma sembra vagamente imbarazzato. O quanto meno stupito.
 
Il contatto visivo si interrompe bruscamente. Lui si alza precipitosamente dal divanetto.
 
- È ora di andare.
 
Ti alzi a tua volta. - Dove?
 
- Stasera dobbiamo andare ad un concerto. E lei non ha niente da mettersi.
 
Ti stringi nel maglione beige. Non l’avrà vinta così facilmente…
 
 
 
Angolo autrice:
Salve! Non sono sparita! Semplicemente gli esami mi hanno trattenuta lontano dal computer… ma non così tanto da impedirmi di postare lo stesso il capitolo, anche se con qualche giorno di ritardo!
Che ne dite? Vi piacciono le ultime mosse del Cavaliere Azzurro? Avete risolto gli enigmi con Sherlock o siete rimasti stupiti insieme a John?
 
Allora, per quanto riguarda tutti i quadri nominati, si trovano tutti esattamente nei musei in cui ho detto che si trovano. Ovviamente la mostra “Urbano e bucolico nel pre e post impressionismo” me la sono inventata, non so se “Mulini a vento” di Kandinskij sia stato mai esposto all’Orsay.
 
Comunque l’altro quadro di Kandinskij, “Blu di cielo” si trova effettivamente in mostra permanente al centro Pompidou nella sezione di Arte Moderna. Eh sì, loro la intendono come Arte moderna, non Contemporanea, ho controllato, cara marig28_libra xD
 
Per il resto, ho inventato l’entrata secondaria del Centro Pompidou che conosce solo il personale e la polizia, ma perdonatemi, non sapevo come fare!
 
I quadri di Van Gogh al Museo D’Orsay ci sono tutti, controllati sul sito, i titoli sono esattamente quelli che ho scritto, non ho inventato quadri per far quadrare gli anagrammi. Ma… una piccola licenza me la sono presa, aggiungendo l’articolo a “Hopital Saint Paul a Saint Remy de Provence” .
 
Saluto e ringrazio tutti coloro che seguono la storia, l’hanno messa tra i preferiti, e soprattutto a chi mi recensisce, facendomi sapere che ne pensa!
Spero che abbiate apprezzato anche questo capitolo :)
Il prossimo ci troveremo tutti quanti a teatro a caccia del nostro Cavaliere Azzurro… pronti?
Al prossimo mese!
 
lady dreamer
  
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