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Autore: Severia85    23/06/2015    2 recensioni
Sono trascorsi solo due giorni dalla fine e della guerra e bisogna celebrare i funerali dei caduti. Harry e i suoi amici tornano ad Hogwarts per la cerimonia.
La fic si è classificata quarta al contest "La canzone della mia vita" indetto da Freya Crescent.
La canzone prompt era "E' finita la guerra" di Biagio Antonacci. La storia non è una song-fic
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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REQUIESCANT IN PACE

La guerra era finita da due giorni, tuttavia era difficile sentirsi allegri perché erano troppi i morti da seppellire, i funerali da celebrare e le lacrime da versare per i propri caduti.
Harry era ospite a casa Weasley e, nonostante la morte di Voldemort gli avesse tolto un grosso peso dall’anima, il suo cuore era gonfio di dolore. Nemmeno il poter riabbracciare Ginny, lo aveva rincuorato, perché la giovane continuava a piangere sulla sua spalla la morte del fratello. Il ragazzo si domandava se in quella casa sarebbe mai tornata un po’ di serenità e se la signora Weasley avrebbe sorriso ancora una volta. Com’era possibile ritornare a vivere, quando tante persone erano morte? Come si poteva festeggiare la fine della guerra, quando i cadaveri erano ancora caldi? Il tempo aggiusta tutte le cose ma, Harry ne era certo, certe ferite non si rimarginano e una cicatrice a forma di saetta stava sempre sulla sua fronte a ricordarglielo.
 
Quel pomeriggio ci sarebbero stati i funerali dei caduti nella Seconda Battaglia di Hogwarts: si era deciso di officiare un’unica cerimonia nel giardino della scuola. Harry, con un lungo abito nero, uscì nel giardino della Tana insieme a Ron: il ragazzo era pallido e i suoi capelli rossi sembravano spenti. Harry provò una gran pena per lui, ma non sapeva cosa dire o cosa fare per poterlo consolare. In giardino, c’erano già tutti i Weasley: Arthur che sembrava invecchiato di dieci anni negli ultimi giorni, teneva per mano Ginny, preparandosi ad una smaterializzazione congiunta; Bill parlava sottovoce con Fleur; Percy teneva sottobraccio la madre la quale, con gli occhi gonfi, cercava di trattenere i singhiozzi; Charlie, con le mani in tasca, si guardava ostentatamente le scarpe.
“Dov’è George?” chiese Ron quando si accorse della mancanza del fratello.
“Non viene.” gli comunicò Bill.
“Perché?”
“Ha detto che non se la sente.” gli rispose Charlie, con un tono che voleva dire che non era il caso di insistere oltre.
Harry non poté fare a meno di immaginarsi George, chiuso nella sua stanza, che si rifiutava ostinatamente di dare l’ultimo saluto al gemello, di dirgli addio. Gli si contrasse lo stomaco: era tutto così ingiusto e così privo di senso.
Si smaterializzarono tutti insieme, ricomparendo a Hogsmade. Il tragitto verso Hogwarts si svolse in silenzio, sotto un cielo limpido che mal si addiceva alla situazione. Solo alcune nuvole, bianche come lenzuola, interrompevano l’azzurro. Lungo la strada, Harry vide e salutò molte persone: compagni di scuola, membri dell’Ordine della Fenice, funzionari del Ministero e anche molti sconosciuti che, appena lo avvistavano, lo additavano, si inchinavano e lo ringraziavano. Ad un tratto, una signora con lunghi capelli castano scuro gli si parò davanti, sbarrandogli la strada, si inginocchiò e, tirandolo per il lembo del vestito, cominciò a dirgli:
“Grazie Harry Potter, tu hai sconfitto il Male, tu ci hai liberato! Grazie, grazie, grazie!”
“Signora, la prego si alzi.” mormorò il ragazzo, terribilmente imbarazzato.
Ma questa continuò, rivolgendosi a coloro che passavano in quel momento:
“Inginocchiatevi anche voi e rendete grazie a colui che ci ha salvati!”
Il mago si guardò intorno con gli occhi sbarrati: forse era il caso di smaterializzarsi di nuovo per porre fine a quella scena assurda; fortunatamente, in quel momento, un uomo si avvicinò e, presa la donna sotto le ascelle, la convinse a rialzarsi. Mentre si allontanava, la donna continuava a urlare i suoi ringraziamenti ai quattro venti, con le mani rivolte verso il cielo.
“Grazie, Kinsgley. Non sapevo che cosa fare.” disse Harry, tirando un sospiro.
“Dovrai abituarti: con quello che hai fatto, la gente adesso ti venera.” rispose il Primo Ministro che, per l’occasione, indossava una lunga tunica viola con piccole stelle d’argento. Harry fece un cenno d’assenso e si rimise a camminare verso la scuola. Quando arrivò davanti ai cancelli, però, gli mancò il coraggio di entrare. Un gran dolore gli strinse il cuore e gli tolse il respiro. Poi i suoi occhi incontrarono quelli di Ginny: la ragazza lo prese per mano e, senza dire una parola, lo tirò dentro le mura del castello.
Ad attenderli all’ingresso, c’era Hermione che corse subito ad abbracciare Ron. Dopo essersi salutati, si diressero tutti insieme verso il luogo che era stato preparato per la cerimonia. La scuola era in condizioni disastrose: la Torre di Astronomia era in parte crollata, il lato nord, da cui erano entrati i Mangiamorte, era diroccato e nessuna finestra era stata risparmiata. Harry guardò quello che rimaneva della sua scuola, con un misto di orrore e malinconia: come loro, anche Hogwarts aveva combattuto, ma per l’inizio di settembre sarebbe stata ricostruita e resa di nuovo funzionante, in grado di ospitare studenti e insegnanti.
Proseguendo lungo il sentiero, si accorse che un’ala del giardino, quella che portava verso il lago nero, era completamente coperta di sedie bianche, mentre una folla silenziosa e composta cominciava a prendere posto.
Le prime file erano riservate ai famigliari delle vittime e Harry vi si avviò insieme a Ron, Hermione e al resto della famiglia Weasley.
Quando fu arrivato alla terza fila, riconobbe una donna con i capelli castano chiaro che stringeva tra le braccia un fagotto da cui spuntava una manina e un ciuffo di capelli rosa: Andromeda Tonks era venuta a piangere la morte della figlia e del genero, ma, anche in un così grande dolore, manteneva un contegno ineccepibile, ereditato sicuramente dall’antica casata dei Black. La donna fece un cenno al trio, poi tornò ad abbassare gli occhi e a cullare il nipote.
“Ciao, Harry.”
Il ragazzo si girò e gli fu ancor più difficile a quel punto trattenere le lacrime: Dennis Canon sedeva in seconda fila, accanto ad un uomo e ad una donna in lacrime.
“Ciao, Dennis.” Rispose, con voce malferma.
Che cosa si dice in questi casi? Quali sono le parole adatte?
Sentendo la voce, la donna alzò gli occhi, marroni e arrossati:
“Tu sei Harry Potter? Mio figlio ti stimava tanto, parlava sempre di te.”
A quel punto, i singhiozzi la sopraffecero e non poté continuare: nascose il viso contro il petto del marito, il quale cominciò a darle qualche leggero colpetto sulla schiena. Harry si rese conto che la signora Canon probabilmente non lo stava ascoltando, ma le parole gli uscirono di getto, senza che potesse far nulla per trattenerle:
“Signora, suo figlio era un ragazzo fantastico e un mago in gamba. Ha combattuto per la pace ed è morto da eroe. Deve esserne molto fiera.”
La voce si incrinò e le lacrime cominciarono a scendergli sulle guance, incontrollabili. Ginny lo tirò verso la prima fila.
Lo spettacolo era straziante: le bare bianche erano disposte su quattro file. Sopra ad ognuna, era stata messa una foto perché i parenti potessero riconoscere i loro cari. Ma quante erano? Troppe, decisamente troppe.
Harry, insieme ad Hermione ed ai Weasley, si infilò tra le bare guardando le foto. Dapprima vide Tonks coi capelli rosa che lo salutava felice; di fianco, c’era la foto di Remus Lupin: avevano combattuto ed erano morti per regalare a loro figlio un mondo migliore. Harry si chiese se, un giorno, Teddy sarebbe stato riconoscente per quel dono.
Riconobbe alcuni studenti, tra cui un Colin Canon raggiante nella sua uniforme con lo stemma di Grifondoro. Quando arrivarono davanti alla tomba di Fred, fu straziante vedere la signora Weasley afflosciarsi tra le braccia del marito. Harry guardò quel giovane viso che lo fissava con aria furba: insieme a George, Fred era stato un grande amico, sempre pronto ad accoglierlo ed ad aiutarlo. Harry si trovò a sorridere: Fred non avrebbe voluto vederli piangere, ma avrebbe tirato fuori qualcuna delle sue invenzioni, o avrebbe fatto una battuta, trovando il modo di farli ridere. Era quello che avevano fatto i gemelli con il loro negozio, durante la guerra: regalare alla gente qualche momento di divertimento, in un periodo buio e doloroso.
Tornarono tutti a sedersi ai loro posti in prima fila, mentre altre persone giravano tra le bare, piangendo e sussurrando preghiere. Da lontano, Harry vide la figura massiccia di Hagrid che si avvicinava, accompagnato da Madame Maxime e dal fratellastro Grop.
Quando si furono avvicinati, il mezzo gigante gli rivolse un saluto, con la mano che stringeva un grande fazzoletto stropicciato.
“Ciao, Harry come stai?”
“Ciao, Hagrid. Così. E tu?”
“È un giorno triste, molto triste. Ma dobbiamo essere contenti che la guerra non c’è più. Silente ci direbbe di pensare al domani e di essere felici.”
Al nome del vecchio Preside, il gigante abbassò lo sguardo. Intanto, Grop guardava fisso verso Hermione, con la testa leggermente inclinata di lato e qualcosa che assomigliava ad un sorriso stampato sul volto: “ ‘ao Hermi.”
“Ciao, Grop.” esclamò la ragazza, scandendo bene le due parole. L’espressione del gigante divenne, se possibile, ancora più felice e fece l’atto di allungare una delle sue enormi mani, ma Hagrid lo fermò:
“Buono, Groppino: non disturbare i nostri amici. Lo sai che non sta bene prendere la gente e sollevarla in aria.”
Madame Maxime si rivolse ad Harry: “A nome di tutti i maghi e le streghe del mio paese, ti ringrazio per aver posto fine alla guerra.”
Il ragazzo si limitò ad un cenno d’assenso con il capo, mentre Ron al suo fianco, incrociando le braccia, bofonchiava rivolto verso Hermione:
“Com’è che tutti ringraziano solo Harry? Come se noi non avessimo fatto niente!”
Hermione guardò il ragazzo di cui era innamorata con infinita dolcezza e, sorridendogli, gli appoggiò una mano sul ginocchio in segno di comprensione.
Hagrid li salutò: “Beh, ci si vede. Noi ci andiamo a sedere in fondo, se no gli altri non vedono niente.”
“D’accordo. Ciao, Hagrid.” fu la risposta dei tre.
Seguendo con lo sguardo i due giganti che si allontanavano, Harry vide, seduti qualche fila più indietro, gli insegnanti di Hogwarts: Minerva McGranitt teneva lo sguardo fisso davanti a sé con aria seria; Horace Lumacorno, invece, si guardava intorno forse, pensò Harry, alla ricerca di qualche suo studente famoso da intrattenere, finita la cerimonia; il professor Vitius quasi non si vedeva nascosto dalla prominente pancia del suo collega pozionista; la professoressa Sprite si asciugava gli occhi, ascoltando Madama Chips; c’era anche la professoressa Cooman che, con lo sguardo perso nel vuoto, sembrava presente soltanto con il corpo.
Le sedie erano state ormai occupate quasi tutte quando qualcuno si avvicinò a Harry: era Neville, seguito dalla nonna.
Il ragazzo si rivolse ai suoi amici: “Ciao, ragazzi.”
“Ciao, Neville. Tutto bene?”
“Sì, grazie. Sto bene. Non c’è stata occasione fin’ora, ma vi volevo ringraziare per quello che avete fatto.”
“Neville, siamo noi che ringraziamo te: per aver organizzato la resistenza a scuola, per aver ucciso il serpente…Per tutto.” disse Hermione, tutto d’un fiato.
Harry si alzò e strinse la mano al ragazzo, sotto lo sguardo compiaciuto della signora Paciock. In quel momento, si sentì il rumore di una macchina fotografica: per un attimo, Harry pensò che si trattasse di Colin Canon, ma poi vide un uomo che osservava lui e Neville soddisfatto.
“È per la Gazzetta del Profeta: domani sarà in prima pagina.” esclamò l’uomo, senza nemmeno presentarsi e poi corse via.
“Non farci caso, signor Potter,” disse Augusta. “Adesso fai notizia, ma vedrai si dimenticheranno in fretta di te.”
“Noi andiamo a sederci là, sulla destra: c’è anche Luna con suo padre.” Si affrettò a dire Neville, per togliere Harry dall’impaccio di rispondere.
Harry si girò e vide Luna con il padre: mentre la prima lo salutò con la mano, l’altro girò lo sguardo. Il giovane si chiese se avesse motivo di essere arrabbiato con lui, poi pensò che ormai la guerra era finita e portare rancore non serviva a nulla. Inoltre, il signor Lovegood li aveva traditi solo nel disperato tentativo di salvare la figlia: no, decisamente Harry non era arrabbiato con lui. Forse, se ce ne fosse stato modo, glielo avrebbe fatto sapere.
“Guarda,” gli fece notare Hermione. “Sono arrivati i centauri. C’è anche Fiorenzo!”
Al limitare della Foresta Proibita, erano comparsi i centauri: alcuni si tenevano nell’ombra, nascosti dal fogliame; altri invece erano usciti alla luce del sole. Tra questi c’era anche Fiorenzo, il centauro che aveva insegnato Divinazione: una vistosa fasciatura gli avvolgeva il corpo cavallino e il volto pallido lasciava intendere che ancora non si fosse ripreso del tutto. Harry, che non aveva più avuto notizie di lui, fu comunque felice di vederlo di nuovo in piedi, o, per meglio dire, sulle quattro zampe.
Un uomo di bassa statura, con i capelli a ciuffo e vestito con una lunga tunica nera salì su una piattaforma rialzata che si trovava davanti alle file delle bare. Harry lo riconobbe: era lo stesso che aveva officiato il funerale di Silente. Piano, piano si fece silenzio e le persone presenti rivolsero la loro attenzione al mago. L’uomo si puntò la bacchetta alla gola per amplificare la propria voce: “Buongiorno a tutti. Siamo qui in questo triste giorno per celebrare i funerali di queste persone che sono morte, combattendo in nome della pace e della giustizia.”
 
Il discorso del mago che officiava la cerimonia funebre continuava, ma ad Harry quelle parole parevano piatte e vuote, così com’era stato al funerale di Silente: in certi momenti, qualunque discorso non è in grado di descrivere le emozioni e le parole vengono meno ai fatti. Quell’uomo non conosceva neppure le persone di cui stava parlando: non avrebbe potuto dire, ad esempio, che Remus Lupin, nonostante fosse un lupo mannaro, era un grand’uomo e aveva combattuto al fianco dell’Ordine; non sapeva che Tonks si era gettata nella battaglia pur avendo a casa un figlio piccolo; non avrebbe detto che Colin era rimasto a scuola sebbene fosse ancora minorenne; che Fred aveva ancora tanti progetti da realizzare, insieme al fratello. Definirli tutti eroi era giusto, ma non era sufficiente: non leniva il dolore per la perdita, non riparava l’ingiustizia subita, non ricomponeva i cuori spezzati, non restituiva la vita ai caduti.
“Combattere per i propri ideali, dare la vita per ciò in cui si crede è un modo meraviglioso per spendere la propria vita, per quanto possa essere doloroso per le persone che restano. Benedetto il coraggio di chi ha dato la vita.”
Harry si accorse che Ginny accanto a lui piangeva: la circondò con un braccio e l’attirò a sé, mentre l’officiante continuava con il suo discorso.
“Le persone che oggi ricordiamo ci hanno liberato da un male molto peggiore della morte. Il sacrificio di questi uomini non deve essere dimenticato: dobbiamo ricordaci del loro coraggio, del loro senso di giustizia e prenderli ad esempio. Un mostro stava per governare il mondo: è stato respinto, ma non bisogna cantare vittoria troppo presto. Dobbiamo stare tutti all’erta, perché il Male può ritornare sotto qualunque forma e noi che siamo rimasti ci dobbiamo assumere l’impegno di combattere, per preservare questo mondo di pace che i nostri eroi ci hanno regalato.”
Harry appoggiò la fronte sui capelli di Ginny e chiuse gli occhi: non voleva più ascoltare. Ogni parola era una fitta dolorosa al cuore: morte, guerra, sacrificio, pace, giustizia, eroi… ogni frase frustava il suo animo, provocando ondate di sofferenza.
L’officiante concluse il suo discorso e aggiunse: “Ora lascio la parola a voi: chiunque voglia dire qualche cosa in memoria dei caduti o porgere l’estremo saluto ad un proprio caro, può avvicinarsi.”
A quelle parole Harry rialzò la testa: forse, avrebbe dovuto ringraziare pubblicamente tutti coloro che si erano sacrificati per lui. Mentre pensava a che cosa avrebbe potuto dire, Kinsgley Shacklebolt si alzò, dirigendosi verso la piattaforma.
“In qualità di Primo Ministro mi sento in dovere di dire qualche parola in questa triste occasione. Oggi siamo qui per ricordare e porgere l’estremo saluto a molte persone che hanno sacrificato la loro vita in nome di un ideale. Sono davvero troppe le bare che vedo e molte ne mancano: tanti hanno perso la vita durante questa guerra e meritano di essere ricordate. Il mio pensiero corre subito ad un mago eccezionale: Alastor Moody, grande Auror e grande amico, che ha messo al servizio dell’Ordine la sua esperienza, le sue capacità e la sua vita.” Kinsgley Shacklebolt tacque e chinò il capo per alcuni brevi istanti, poi riprese: “Ma Alastor è solo uno dei tanti. Molte vite sono state violate, e non solo di maghi: famiglie intere di babbani sono state uccise senza motivo e con efferata crudeltà. Ed è anche a questi uomini innocenti che va oggi il mio pensiero. Ma questi giorni di lutto devono anche essere i giorni della gioia, perché il sacrificio non è stato vano. La guerra è finita e le tenebre sono state spazzate via da tutto il mondo magico. Oggi, possiamo camminare per strada a testa alta, godendoci il sole senza più avere paura di essere rapiti, torturati o uccisi. Il passato non va dimenticato, ma su queste rovine dobbiamo costruire il nuovo giorno fatto di pace, di giustizia e di uguaglianza. Ed è proprio questo che ha intenzione di fare il Ministero: costruire un domani migliore per tutti i maghi e le streghe!” A queste parole qualcuno cominciò a battere le mani e ben presto l’applauso si diffuse. Harry non si unì all’applauso: non era ancora pronto a guardare avanti, a lasciarsi alle spalle il passato e a costruire “il nuovo giorno”. Aveva l’impressione che le parole di Kinsgley, commosse mentre ricordavano Malocchio Moody, si fossero trasformate poi in una sorta di discorso propagandistico, per riabilitare agli occhi del mondo magico il Ministero e il suo operato. Accanto a lui, Ron, Hermione e Ginny applaudivano debolmente e senza troppa convinzione. “Kinsgley sta cercando di ridare fiducia alla gente, ma forse questo non era il momento adatto.” Commentò Hermione, scuotendo la testa.
Mentre il Primo Ministro ritornava ad occupare la propria sedia, un ragazzo dai capelli rossi prese il suo posto sulla piattaforma rialzata: nel vedere George, tutta la famiglia Weasley sussultò.
Il ragazzo teneva lo sguardo puntato sui suoi piedi e, quando iniziò a parlare, il suo tono era talmente basso che le parole potevano essere comprese solo da coloro che occupavano le prime file:
“Io voglio parlarvi di Fred, Fred Weasley, mio fratello gemello. Lui era come me, identico. Però lui di orecchie ne aveva ancora due.” A quelle parole, George aveva alzato lo sguardo, con una smorfia sul volto contratto che voleva essere un sorriso. Alzò la voce e continuò: “Fred amava ridere e fare scherzi e inventare cose strane. E quando c’era da infrangere le regole noi eravamo i primi. Mi ricordo quando facemmo comparire una palude nel corridoio della scuola e poi facemmo esplodere i fuochi d’artificio solo per creare problemi alla Umbridge.”  Mentre parlava, il corpo di George era scosso sia dai singhiozzi, sia da risate soffocate e l’espressione del suo volto era quello di un pazzo.
“Io ho tanti fratelli, avevo cinque fratelli e una sorella, adesso ho quattro fratelli e una sorella.” Il dolore aveva preso il sopravvento e gli trasfigurava il viso; anche il suo discorso stava perdendo senso. George fece una pausa perché i singhiozzi si erano fatti troppo violenti. Bill gli si avvicinò e, messogli un braccio attorno alle spalle, cercò di portarlo a sedere vicino alla sua famiglia. Ma George restò fermo e alzò di nuovo lo sguardo. Prese coraggio e con le labbra bagnate di lacrime aggiunse, in tono piatto e rassegnato: “Ma Fred era senza dubbio il migliore. Io non sono capace di dirgli addio. Fatelo voi per me.” Tacque allora e si lasciò condurre docilmente da Bill verso la prima fila di sedie, dove fu accolto dalle braccia di sua madre. La scena era stata straziante: le viscere di Harry erano contratte e il suo unico desiderio sarebbe stato quello di fuggire. Ginny nascose il viso tra le mani e scoppiò in singhiozzi. Harry si dette da fare ad accarezzarle la schiena e i capelli, ma ogni gesto sembrava inutile. Ron si alzò di colpo e si allontanò in direzione del lago, accompagnato immediatamente da Hermione. Harry li seguì con lo sguardo, ma decise che era meglio di lasciarli soli: la ragazza avrebbe sicuramente saputo trovare le parole più adatte per consolare l’amico ed alleviare almeno un po’ il suo dolore.
Intanto, si alzò Minerva McGranitt e si diresse a passo deciso verso la piattaforma rialzata; quando l’ebbe raggiunta, per un momento indugiò con lo sguardo verso le bare alla sua sinistra, poi si girò verso i presenti e, puntandosi la bacchetta sulla gola per amplificare la voce, iniziò a dire:
“Sono qui ora per ricordare e rendere omaggio ad una persona che ci ha lasciato la notte scorsa e con cui ho avuto l’onore di lavorare per molti anni: sto parlando di Severus Piton. Molti di voi lo conoscevano come un professore severo, sarcastico e perfino crudele, a volte. Il suo passato è stato macchiato da gravi colpe e, per lungo tempo, lo abbiamo ritenuto responsabile dell’omicidio di Albus Silente. Oggi, io sono qui, alla luce di nuove scoperte, per riabilitarne la memoria. Posso affermare con sicurezza e senza timore di essere smentita che Severus Piton è stato un eroe e come tale dev’essere onorato. Perché un eroe? Perché gli eroi sono persone che fanno ciò che è necessario, affrontandone le conseguenze: e questo è ciò che ha fatto Severus Piton. Per tutto il tempo di questa guerra, è stato fedele a Silente e ai suoi principi, lavorando come spia e correndo grandi rischi personali. E soltanto per un ordine diretto dello stesso Preside, il professor Piton ha alzato la bacchetta su di lui, uccidendolo. Silente era malato, in fin di vita: per salvare l’anima di uno studente incaricato da Lord Voldemort di ucciderlo, ha ordinato a Piton il proprio assassinio. E io posso solo immaginare con quale dolore Severus abbia eseguito questo ordine. Il mio collega ha fatto tutto ciò, attirandosi l’odio e il disprezzo di molte persone che gli erano vicine. Ma lo ha fatto in nome della Causa, per conseguire il bene comune. E, una volta divenuto Preside di Hogwarts, ha continuato ad eseguire tutti gli ordini di Silente, aiutando segretamente Harry Potter e proteggendo la scuola e i suoi studenti dai fratelli Carrow. Alla fine, è andato incontro al sacrificio estremo, ma, anche negli ultimi istanti della sua vita, ha voluto aiutare Potter, rivelandogli informazioni indispensabili.
Per un anno intero, io stessa l’ho odiato e disprezzato: ogni volta che me lo ritrovavo davanti avrei avuto voglia di sputargli in faccia o di cruciarlo, senza mai rendermi conto della grandezza dell’uomo che avevo di fronte. Di ciò sono pentita e vorrei davvero potergli parlare ora, per fargli le mie scuse e chiedergli perdono.
Ora guardo la sua bara: mi sembra troppo bianca per un uomo come lui che ha sempre vestito di nero. Il nero del dolore, del lutto che gli stringeva il cuore a causa di colpe passate. Io oggi spero che Severus Piton abbia trovato finalmente la pace che merita.
È stato un uomo coraggioso e leale che ha sempre celato, dietro una maschera di freddo distacco, il proprio buon cuore. Ed è proprio così che vi chiedo di ricordarlo e di onorarlo.”
Minerva McGranitt tacque e abbassò lo sguardo. Seguirono alcuni istanti di silenzio poi la professoressa si incamminò per ritornare al suo posto.
 
Harry rimase spiazzato dalle parole della Professoressa: non aveva avuto ancora il tempo, né forse la voglia, di soffermarsi a pensare a Severus Piton. Aveva passato sette anni ad odiarlo ed a pensare di essere odiato a sua volta, mentre ora molti pezzi del puzzle avevano trovato la loro collocazione e il disegno si era fatto più chiaro. Harry non avrebbe mai potuto immaginare che Piton fosse innamorato di sua madre: sapeva che erano stati a scuola insieme, ma mai avrebbe pensato che i due si frequentassero e fossero addirittura amici d’infanzia. Nemmeno avrebbe potuto considerare l’idea che Silente avesse ordinato il proprio assassinio. Solo ora si rendeva conto che il suo insegnate era una persona completamente diversa da quella che aveva sempre conosciuto. Era un uomo che aveva commesso degli errori, tuttavia ne aveva affrontato le conseguenze, senza mai tirarsi indietro. Naturalmente, restava ancora responsabile della morte dei suoi genitori: una colpa alla quale aveva cercato di porre rimedio con tutto il resto della sua vita, accettando di proteggerlo. I sentimenti di Harry erano contrastanti: da un lato cominciava a vedere quell’uomo sotto una luce diversa e iniziava a provare qualcosa simile all’ammirazione; dall’altra, sette anni di umiliazioni e rimproveri non potevano essere dimenticati in una notte o due. Si chiese quante cose non aveva mai capito di lui: probabilmente perché si era fermato, come tutti, alle apparenze, giudicando e condannando senza conoscere i fatti e le circostanze. Certo che Piton ce l’aveva messa tutta per farsi odiare: sarcastico fino alla crudeltà, maestro nel deridere uno studente, imbattibile nel celare le sue vere emozioni. Ciò nonostante era anche, forse, l’uomo più coraggioso che avesse mai conosciuto. Quanto coraggio occorre per uccidere un amico, anche se sai che è la cosa giusta da fare? Quanto coraggio era stato necessario per guardare negli occhi Voldemort in tutti quegli anni e mentirgli? Quanto coraggio serve per amare un’ unica donna per tutta la vita? Quanto coraggio per affrontare le proprie colpe e redimersi? Harry una volta gli aveva dato del vigliacco…
“Non chiamarmi vigliacco!” Aveva ululato Piton, con il volto trasfigurato dalla rabbia. Aveva ragione: si poteva dire qualunque cosa di Piton, ma non che fosse un vigliacco. Come avrebbe potuto capirlo allora? E che cosa gli avrebbe detto ora, se avesse potuto vederlo e parlargli? Non lo sapeva. Probabilmente, non avrebbe detto nulla e si sarebbe limitato a stringergli la mano in segno di rispetto. E magari, negli occhi freddi e neri del professore avrebbe letto lo stesso sentimento.
 
Erano trascorsi alcuni minuti e nessuno sembrava intenzionato ad aggiungere altro. Intanto Ron ed Hermione erano tornati ad occupare i loro posti, entrambi con gli occhi gonfi e arrossati.
Harry, titubante, cercò lo sguardo dell’amica: “Credete che dovrei andare a dire due parole anch’io?” Sperava ardentemente che i due lo assolvessero da questo impegno, tuttavia Hermione gli rispose: “Credo che tutti qui se lo aspettino.”
Harry istintivamente strinse i pugni.
“Ma fallo solo se te la senti.” aggiunse immediatamente la ragazza.
Ron si limitò ad un cenno d’assenso con la testa.
“Credo che dovresti dire qualcosa anche tu,” intervenne Ginny, emersa finalmente dai suoi singhiozzi. “Questa gente vuole vederti e credo che si meriti un ringraziamento.”
Si alzò allora e, con passo malfermo, si avvicinò alla piattaforma. Non aveva ancora pensato a che cosa dire: se gli erano sembrate inutili le parole del mago che aveva officiato la cerimonia che cosa avrebbe potuto dire lui per non sembrare banale o retorico? Come avrebbe potuto esprimere a parole tutto quello che gli si agitava dentro, nel profondo dell’anima? Intanto, avvertiva crescere un mormorio tra la folla e, quando fu salito sulla piattaforma e ebbe rivolto il suo sguardo sui presenti, scoppiò spontaneo un applauso. La gente urlava il suo nome, scandendolo quasi come fossero ad una finale di Quidditch. 
Harry era sempre più a disagio: avrebbe voluto che la gente smettesse di urlare, che lo lasciassero parlare. Non era affatto facile starsene lì in piedi davanti a tutti, acclamato come un eroe mentre lui sentiva tanto dolore dentro di sé. Ma la gente non lo capiva, non si rendeva conto del suo stato d’animo. Forse, pensavano che un eroe non potesse soffrire: quanto si sbagliavano.
Finalmente, il tumulto cessò e la platea ridivenne silenziosa, con le orecchie tese.
Harry si schiarì la gola: “Grazie a tutti per la vostra accoglienza.”
Un nuovo applauso scoppiò spontaneo.
“Per favore, non applaudite: questo è un giorno triste, un giorno di lutto. Oggi, ricordiamo tutti coloro che hanno perso la vita in questa guerra. E io sono qui solo per dire grazie. Grazie in primo luogo alle persone che mi hanno accompagnato nella mia missione, durante tutto questo anno.” Ed si girò a guardare Ron ed Hermione.
“Grazie a coloro che hanno resistito e hanno combattuto perché la pace potesse trionfare; a coloro che mi hanno sostenuto, appoggiato e difeso; a quelli che sono morti, sacrificando le loro vite in nome della giustizia. Se ho avuto successo, se ho potuto sconfiggere una volta per tutte Voldemort è stato solo grazie all’aiuto di tutte queste persone.”
Nonostante la richiesta, la platea si rimise ad applaudire di nuovo.
Harry alzò la voce: “Non avrei mai voluto che tanti perdessero la vita: avrei voluto poter sconfiggere Voldemort molto prima e con meno sacrifici. Non mi è stato possibile. Spero soltanto che adesso potremo vivere finalmente in pace, anche se io non dimenticherò mai ciò che è successo e coloro che mi hanno aiutato. Grazie a tutti.”
C’erano molte altre cose che avrebbe voluto dire: avrebbe voluto ricordare ciascuno dei caduti, parlare alle loro famiglie, ma si sentiva troppo imbarazzato per starsene ancora lì davanti a tutta quella gente che applaudiva continuamente. Lasciò allora la piattaforma e tornò a sedersi al suo posto. Aveva creduto che parlare gli avrebbe tolto un peso dall’anima, invece adesso si sentiva ancora più confuso di quanto non fosse stato prima.
Ci furono altre persone che fecero il loro discorso dalla piattaforma, però la mente di Harry era ormai lontana. Il resto della cerimonia divenne un ricordo sfuocato in cui suoni, voci e colori si confondevano e si sovrapponevano.
 
Fu la voce di Hermione a riscuoterlo, quando la cerimonia finì: “Harry, tutto bene? Forse dovremmo aspettare che un po’ di gente se ne sia andata, prima di tornare ad Hogsmade.”
Gli altri acconsentirono e così Harry guardò il parco di Hogwarts svuotarsi pian piano. Quando furono rimaste solo poche persone che ancora si attardavano tra le bare, Harry, Ron, Hermione e tutta la famiglia Weasley si incamminarono verso l’uscita. Il sole si stava abbassando sull’orizzonte e Harry si accorse di avere freddo. Strinse forte la mano di Ginny, la quale ricambiò la stretta, senza però guardarlo negli occhi.
Il ritorno alla Tana fu un sollievo: ritrovò finalmente un po’ di tranquillità e di calore.
C’erano molte cose che voleva fare adesso che la guerra era finita, ma ci sarebbe stato tempo più avanti. Ora voleva solo godersi l’estate, un po’ di riposo e l’atmosfera famigliare di casa Weasley. Chissà, forse avrebbe trovato anche un po’ di tempo per andare a trovare suo cugino e i suoi zii, i quali dovevano ormai essere ritornati nella loro casa. Anche per quello c’era tempo. Già, un sacco di tempo: perché la guerra era finita e Harry non era morto. Sì, aveva decisamente molto tempo davanti a sé e poteva finalmente decidere che cosa fare della sua vita, senza intrusioni da parte di nessuno.
  
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