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Autore: Toms98    24/06/2015    1 recensioni
Quante possibilità ci sono per la popolazione umana di salvarsi dai pericoli di questo mondo? Isis, pandemie, guerre, minacce nucleari: c'è veramente qualcuno che può salvare l'umanità da tutto questo? Forse nessun uomo può farlo, ma non c'è nessun'altro? Il colonnello McRonald è stato incaricato dal governo degli Stati Uniti di ricercare uomini con capacita al limite del normale. Ne uscirà fuori un team composto da un pugile-cavia da laboratorio russo, un'apprendista ninja, un giovane con un bordone "magico", un genio con un tumore al cervello e un assassino. Ma basteranno tutti loro, guidati dal colonnello e dalla rossa Lauren, nel loro arduo compito?
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- La domanda è un’altra, signore - disse la rossa trentenne - Accetteranno di unirsi a noi? -
- Ne sono certo. All’inizio ci odieranno, odieranno il mondo, odieranno chiunque dovranno difendere. Poi capiranno che è nel loro destino, dobbiamo solo aiutarli. -
- Signore - aggiunse infine Lauren - Forse corre troppo -
- Perché? -
- Dovremmo prima fare di modo che non odino quello che sono diventati -
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chaotic'
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CAPITOLO 6- Death Made in China
Spazio aereo internazionale
Jeshi era sonnambula. Questa era l’unica spiegazione che si era dato Alfred per risolvere il mistero delle bottiglie vuote. Lei era l’unica che beveva tè verde sull’aereo, quindi non poteva che essere lei. Ma c’era qualcosa che ancora non quadrava. Forse l’esatta disposizione delle bottiglie nel cestino, non buttate a caso, ma disposte a strati. Forse i rumori di lancio che si sentivano, ma la completa assenza di cocci o schegge nella sala principale. O forse semplicemente il fatto che Jeshi era ogni sera al suo fianco per scoprire chi facesse quel rumore. Quindi era costretto a ricominciare da capo.
Alfred vagò nuovamente per la stanza in cerca di indizi. Sembrava che ogni volta lui fosse ad un passo dallo scoprire il colpevole, il caso mutasse le dinamiche dei fatti e gli impedisse di capire chi fosse. Dopo dieci minuti passati a far nulla o poco più si diede dell’imbecille e cercò di ricordarsi di non essere un detective ma un professore. Si diresse quindi alla cucina assieme agli altri. Dopo aver esposto le sue considerazioni e scoperte, Alfred si sedette e iniziò a mangiare. << Quindi >> esordì Bonesbraeker, con il suo solito vestito a giacca sbottonato << Siamo giunti alla conclusione che non sappiamo chi sia a rompere i coglioni ogni stramaledetta notte e che tu, Prof, sei il peggior detective della storia >>
<< Fine come al solito! >> fece notare Don sorseggiando il caffè, mentre Marco e Lauren si scambiarono un’occhiata. Mentre mangiavano, il generale fu contattato sul suo telefono. Finita la telefonata si diresse verso la cabina di pilotaggio e deviò la rotta verso il nuovo obiettivo.
<< Allora, il nostro compito è semplicissimo. Dobbiamo recuperare per il governo una valigetta, andata perduta anni fa. Non sappiamo dove si trovi, ma recentemente un segnale speciale, captabile solo dai nostri recettori, ci ha portato a questo video. >> disse McRonald, premendo un tasto sul computer. Un filmato partì, mostrando un biondo, in tenuta da FBI sporca di fango, con una ferita sanguinante sulla tempia. << A tutti coloro che mi stanno ascoltando, spero di non aver sbagliato la data. Questo è un messaggio postdatato, fatto per attivarsi il 24 giugno 2015. Se la data è sbagliata, anche di solo un giorno, interrompete qui la registrazione e attendete quel giorno o incazzatevi se è già passato. >> l’uomo tossì, poi continuò << Se state ascoltando questo video nel momento giusto, io dovrei essere già morto da un bel po’, così come l’agente RedFox, e la mia copertura sarà saltata da tempo. Credo che quel pazzo sia ancora alla ricerca dell’agente BlueKoi, quindi anche per lui i giorni potrebbero essere allo scadere. La valigetta però è al sicuro, protetta e nascosta. Nel video è criptato un codice satellitare per conoscere l’esatta posizione attuale della valigetta. Fate in modo che nessuno possa arrivare prima di voi, soprattutto lui. Mandate la migliore squadra che avete. Fate presto! >>. L’esortazione conclusiva lasciò tutti stupiti. Erano dunque loro i migliori di tutti, o semplicemente i più adatti. << Domande? >> chiese pacato Don. Il primo fu Marco: << Quindi stiamo recuperando una valigetta? >>
<< Sì, Marco. Questo lo avevamo già detto. >> disse McRonald.
La seconda domanda venne da Lauren: << Quello non è il leggendario agente WhiteTiger, vero? >>. I suoi occhi mostravano vivida ammirazione per quell’uomo, e anche un po’ di attrazione. Purtroppo era morto in missione, due giorni dopo aver registrato il messaggio. Il colonnello annuì stancato dalle domande inutili. Bonesbraeker lo fissava da quando aveva interrotto la riproduzione del video. C’era qualcosa che non andava, quindi gli fece cenno mentre i ragazzi preparavano l’attrezzatura. << E il secondo pezzo? >> chiese l’uomo, aggiustandosi la cravatta nervosamente.
<< Secondo pezzo? >> rispose Donald.
<< Da quando ci è arrivato, due anni fa, tutti sapevamo della seconda parte >>
<< L’avete visto tutto. Pensavo fossimo d’accordo che dovevamo aspettare oggi >>
<< Mai spoilerato il finale di un film? E’ lo stesso principio >> fece notare Thomson alzando il sopracciglio. Don cercò di capire dove volesse arrivare, ma era in mezzo all’oscurità più totale. Maximilian dovette sussurrargli la verità all’orecchio e per poco lui non stramazzò a terra.
Foresta di pietra, Cina
<< Pronti per una nuova missione, S.O.S.? >> chiese energetico Marco, pronto a scendere di nuovo sul campo per una missione. << Non così veloce, Rambo. Tu sei ancora in convalescenza. >> fece notare Maximilian << Il tuo posto sarà preso da Lauren. Il leader temporaneo è Jeshi. Tu dovrai rimanere qui al coordinamento missione con me e Donald. >>
Marco protestò, come ovvio: non aveva voglia di stare sull’Explosion, né tanto meno con i due superiori noiosi e sempre a un passo dal baciarsi. Tralasciò l’ultimo dettaglio, poi si rassegnò ed andò ad una postazione piena di monitor e roba simile, mentre la squadra si apprestava a scendere. Il loro compito era di pattugliare la zona nell’attesa che qualcuno decrittasse il codice, ma nessuno al mondo pareva in grado di farlo. Nelle ore di attesa, Maximilian scoprì che già altri Paesi avevano ricevuto una copia del video, e che quindi migliaia di malavitosi stavano cercando di decodificare il file, ma tutti invano. Marco era rimasto dentro e si occupò quindi di dare una mano ai suoi colleghi decrittatori della CIA. << Allora! >> iniziò la videoconferenza il giovane << Sono l’agente Magic, squadra S.O.S., della ARMED. Siamo stati inviati sul luogo per recuperare la valigetta. Qualche idea su come decrittare il codice? >>
<< Credo di no. WhiteTiger ha usato una chiave di risoluzione semplice, ma non siamo ancora riusciti a trovarla. Come pensi dovremmo muoverci? >> chiese un uomo in camice bianco con degli occhiali da vista. Marco pensò un attimo, poi mise in attesa i colleghi e cominciò a lavorare nel suo stile. Prese tutte le informazioni che conosceva su WhiteTiger, su RedFox e su BlueKoi, le sommò assieme e cercò di individuare una possibile informazione comune. Niente, tranne una cosa singolare: RedFox e BlueKoi erano cugini e giapponesi, ma sembrava non fossero riconosciuti come agenti americani. Probabilmente informatori locali. Ma perché una missione in Giappone doveva finire in Cina? Marco si scervellò finché non lo capì. Fu un lampo di genio, ottenuto leggendo brevemente un resoconto del famoso agente. “Adoro il Giappone” aveva scritto. E cosa fa uno che adora il Giappone? Nasconde un importante segreto in un codice in giapponese!
<< Babelfish, rientra alla base! >> disse alla ricetrasmittente, dopo aver capito il segreto. Jeshi rientrò nel giro di dieci minuti. << Credo che sia giapponese! >> disse entusiasta Marco, mentre armeggiava con il codice.
<< Lo sai che in Giappone si usano gli ideogrammi vero? >> chiese la ragazza sarcastica.
<< Traduci in ideogrammi lettera per lettera il codice >> chiese Marco porgendole un foglio e una penna. La ragazza li prese, titubante, e iniziò a tradurre. Quando ebbe finito porse il foglio a Marco. << Cosa ci vedi? >> chiese lui.
<< Niente di particolare >> rispose lei.
<< Uniscile in sillabe! >> ordinò lui. Lei lo fece sbuffando. Odiava prendere ordini.
<< Continuo a non vedere niente >> disse lei spazientita. Marco però aveva la bocca aperta. Quello che la ragazza aveva visto erano semplici segni che per lei formavano una lettera, come per noi A o B, ma per uno che come Marco ne sapeva meno di zero quei simboli sembravano numeri contornati da buffe cornici orientalizzanti. Coordinate nascoste in un sistema in codice molto originale. << E’... >> provò a dire Jeshi, visibilmente stupita.
<< Un fanatico del Giappone! >> concluse Marco.
<< Un genio! >> precisò la ragazza.
<< Sì, ma anche un fanatico del Giappone. >> disse il ragazzo mentre andava a comunicare i suoi risultati ai “geni” del governo. La giovane uscì invece dal jet e prese la sua squadra. Avevano una coppia di coordinate, quindi ora potevano partire. << Andiamo! Dista almeno dieci chilometri da qui, quindi prima partiamo prima arriviamo! >> disse lei, incamminandosi verso le montagne. Lauren fu l’unica a non seguirla subito. La fissava con le braccia incrociate, e con uno sguardo da chi ha appena ascoltato una stupidità. << Credi veramente che ci arriveremo a piedi? >> chiese Lauren, costringendo Jeshi a fermarsi.
<< Sì?! >> rispose lei con un sottile tono ironico.
<< Forse è meglio se prendiamo un veicolo! >> fece notare lei.
<< Beh, in fondo ha ragione. >> fece notare Alferd. Lauren si girò e corse a prendere una jeep nel piccolo garage del jet. Quando tornò, caricarono tutto sul veicolo e partirono.
Explosion 711
Marco cercava costantemente informazioni sulla vera identità di BlueKoi e RedFox, ma senza risultati. Sembrava che si mascherasse con forza la loro vera identità per proteggerli da qualcosa, o meglio qualcuno. Dietro, i due militari stavano discutendo. Marco riuscì a capire che Maximilian voleva fargli vedere qualcosa, ma Donald si opponeva con forza; visto che la sua curiosità era troppa e che non aveva trovato niente, chiese se quello che volevano fargli vedere era inerente alla valigetta. << Certo, ma non posso proprio dirti assolutamente nulla di nulla, neanche se me lo chiedi con forza. >> disse Bonesbraeker, aumentando volontariamente la volontà di Marco di saperne di più.
<< Vi avverto, hackererò il computer se non mi direte subito cosa non devo o devo vedere! >> minacciò il ragazzo.
<< Sai >> disse Donald, fissando malamente il collega << Ti odio quando usi la psicologia inversa! >>. Maximilian sorrise beffardo e fece partire la seconda parte del video. << Oh... Mio... Santissimo... Dio... >> disse Marco, alla fine del filmato << Ditemi che... >>
<< E’ tutto vero. >> disse Maximilian, avvicinandosi << Devi capire che lui aveva i suoi motivi, ma la valigetta era molto più importante. Ci ha sempre insegnato così, all’addestramento >>
<< Era il vostro istruttore! Oh merda, il karma deve essersi proprio fumato una canna! >> disse Marco, con gli occhi spalancati e la mascella cadente. Stava per comunicare quello che aveva saputo a Jeshi, ma il colonello lo fermò. << Loro non devono sapere niente, soprattutto lei. Mi raccomando! >> aggiunse, prima di andarsene verso la sua postazione.
Foresta di pietra, Cina
<< Giù! >> gridò Alfred, mentre dietro di lui Jeshi si rannicchiava coperta da un barile e, più in là, Lauren si nascondeva dietro una costruzione lì nelle vicinanze assieme a Igor. L’ennesima comitiva di turisti passò, a bordo di un vecchio autobus malandato, identico ai due precedenti. << Qualcuno ha voglia di spiegarmi chi cazzo nasconde una cosa segreta in un’attrazione turistica? >> chiese Lauren, uscendo lentamente dal suo nascondiglio.
<< Il miglior nascondiglio è sotto gli occhi di tutti! >> fece notare Jeshi, mentre controllava la strada che dovevano ancora percorrere. Avevano abbandonato la jeep trenta metri prima, dopo aver rischiato di farsi scoprire da una guardia di sicurezza. Avevano quindi optato per proseguire a piedi per gli ultimi due - trecento metri, ma così facendo avevano diminuito di molto la loro velocità. Stando a quanto riferito da Marco, molte associazioni criminali di tutto il mondo avevano abbandonato le ricerche, tranne la mafia giapponese e un paio di gruppi terroristici sudamericani. E siccome le coordinate erano cifrate in giapponese, era probabile che i nipponici arrivassero da un momento all’altro. Per sicurezza, tramite i satelliti il gruppetto sul jet stava analizzando qualsiasi comunicazione tra i nipponici. << Ancora niente, ma sembra che qualcuno abbia avuto un indizio. >> disse alla ricetrasmittente il ragazzo al computer. << Che tipo di indizio? >> chiese la ragazza, proseguendo a grandi falcate verso l’ubicazione della valigetta. << Non è specificato, ma ritengo che stiano per scoprire il codice. E non è un buon segno... >> concluse la comunicazione Marco. Jeshi strinse i denti e corse ancora più velocemente, arrivando fino alla base di un “albero” di pietra. << Le coordinate segnano l’esatto centro di questa formazione. Qualcuno deve scalarla. >> disse la ragazza guardando attentamente il suo orologio modificato. << Posso farlo io! >> si offrì Lauren, estraendo dalla borsetta uno dei “trucchi” creati da Alfred. << Posso usare questo rampino per salire >> disse agitando un finto mascara. Alfred annuì, dopo di che diede delle istruzioni aggiuntive alla giovane su come utilizzarlo e la lasciò partire.
L’arpione si agganciò bene alla roccia, e dopo aver teso il filo un paio di volte Lauren partì. << Sali velocemente! >> gridò da sotto Jeshi, quando l’altra ragazza fu a metà. << Fosse facile l’avrei già fatto! >> strillò dall’alto, continuando a salire. La corda continuava a restare ben tesa, ma era sempre più difficile salire verso la cima. << Wow, qui comincia ad essere altino >> disse un po’ tremante Lauren. << Non è il momento di avere le vertigini! >> disse Donald dalla trasmittente. Quando riuscì ad arrivare a malapena sulla vetta, i nervi di tutta la squadra erano a fior di pelle.
<< Trovata! >> disse la stagista, sventolando una ventiquattrore nera. In quel momento, mentre tutti esultavano, un colpo di proiettile andò dritto verso la ragazza, ma la mancò e colpì in pieno la valigetta ammaccandola. << Mafia giapponese! >> esclamò Alfred. Igor non attese ordini e si scagliò su un manipolo di criminali appena scesi da un SUV nero. Lauren si acquattò per coprirsi ed estrasse lentamente il fucile di precisione che si era presa dietro. Jeshi estrasse una lancia componibile e si protesse per ricomporla. Alfred sfruttò la tecnologia della sua tuta, soprattutto i guanti E.M.P., per stordirne il più grande numero possibile. << Ritiratevi! Prendete la valigetta e ritiratevi, è un ordine! >> gridò alla ricetrasmittente Bonesbraeker. Coperta dalla roccia verticale, Lauren scese lentamente con la valigetta in una mano e il fucile nell’altra, poi corse a perdifiato verso la loro jeep, spalleggiata da Jeshi e protetta da Igor ed Alfred. Le due ragazze sentivano i proiettili schizzate attorno a loro e conficcarsi nelle pietre della foresta, ma continuavano a correre. Jeshi scappava preoccupata, sapendo bene cosa, o meglio chi, la stava inseguendo. Perché, benché la mafia giapponese non avesse un capoclan conosciuto, lei sapeva bene chi comandava: Sahiko Yamamoto, fratello di sua madre. Assassino di tutti coloro che la amavano e la proteggevano. Colui da cui era sempre fuggita, e continuava a farlo anche ora. Saltò al posto di guida, con a fianco Alfred, dietro Igor e Lauren, con quest’ultima che caricava il caricatore del fucile mentre sgommando scappavano.
Explosion 711
<< Al volo! >> gridò a Marco Jeshi salendo sul jet. Il ragazzo l’afferrò con facilità, quindi tornò alla sua postazione e osservò l’esterno, per vedere chi li stava inseguendo. In cabina di pilotaggio, il Generale Thomson e il Colonnello McRonald stavano facendo decollare il velivolo, mentre un gruppo di mafiosi si avvicinava armato fino ai denti di pistole e mitra. Il jet partì e volò il più in alto possibile. Marco attivò il dispositivo di invisibilità. << Scampato, per ora! >> esclamò Marco, con uno sbuffo liberatorio, mentre il resto della squadra si gettò sui sedili laterali, riposandosi.
<< Ce l’abbiamo fatta, vero? >> chiese Lauren un paio di minuti dopo. << Credo di sì >> rispose Jeshi, chiudendo leggermente gli occhi. Lo faceva per riposarsi, certo, ma chiudendo gli occhi non poteva che vedere la sua immagine. Suo zio, l’assassino, la causa della sua sofferenza. Non si era arreso per sedici anni pur di attaccare il tempio e cercare di convincerla a seguirlo. Probabilmente, se voleva la valigetta per curiosità, non li avrebbe seguiti; ma se per lui era importante, allora avrebbe raso al suolo tutta la Cina per prenderla. In quel caso, loro erano in grosso pericolo.
Erano ormai usciti dalla zona radar cinese, e stavano proseguendo verso Est, pronti a tornare alla base dopo settimane passate a bordo del jet, con solo sporadiche pause per fare rifornimento. Stavano finalmente per rimettere piede saldamente a terra.
Mentre Jeshi, e in genere tutti pensavano così, l’Explosion 711 fu attaccato. Due missili colpirono la calotta superiore, non danneggiando fortunatamente i motori. Il dispositivo di invisibilità era praticamente inutile quindi Marco lo disattivò. << Come hanno fatto a vederci! >> gridò Maximilian, uscendo di corsa dalla cabina << Non dovremmo essere schermati dai radar deboli?! >>
<< Sì, ma credo che loro abbiano dei visori termici! >> disse Marco, afferrando il suo bordone. Il generale lo fermò, quindi aprì il portellone e prese da una cassa lì affianco il bazooka. << Questo è per avermi graffiato il jet! >> disse, colpendo con un colpo preciso il primo aereo che li inseguiva. << Questo è per avermi disturbato mentre mi riposavo! >> aggiunse, colpendo il secondo. << E questo è per aver tentato di uccidermi! >> concluse, sparando un colpo al nulla.
<< Perché l’hai fatto?! >> chiese Donald, appena uscito da dove si trovava.
<< Avevo ancora delle motivazioni >> rispose chiaramente Bonesbraeker. Don sorrise piegando la testa. C’era qualcosa nella pazzia di quell’uomo che gli piaceva, ma non sapeva dire cosa. Rialzò gli occhi appena in tempo. << Giù! >> disse afferrando per la giacca il collega e gettandolo a terra, salvandolo quindi da due colpi di pistola provenienti da uno dei due scagnozzi in divisa aerea entrati furtivamente all’interno del velivolo. L’altro aveva un fucile a pompa con cui sparò un po’ di colpi di copertura, ma mentre la squadra si riparava Marco creò una barriera attorno ai due istruttori. I due continuarono comunque a sparare, mirando però al ragazzo. “Vogliono ucciderci tutti, quindi ovviamente partiranno da me, perché sono l’unico che può proteggere gli altri. Quindi se li attacco subito dovrei essere a posto!” ragionò Marco, quindi si avventò sui due senza pensarci un attimo. Jeshi e Lauren lo coprirono rispettivamente con frecce e proiettili. Mentre il ragazzo correva verso i due, un terzo entrò nel jet aggrappato al portellone e lo colpì con un calcio. Marco cadde a terra, disorientato, ma invece di ucciderlo come volevano gli altri due, il neo entrato indicò la valigetta che, nella furia, il ragazzo aveva lasciato alla postazione PC. Presa coperto dagli uomini, il loro capo gli fece cenno di smettere di sparare. << Scusate se vi disturbo, ma devo prendere solo una cosa >> disse l’uomo beffardo, togliendosi la maschera. << Tu! >> disse Jeshi uscendo dal suo nascondiglio con l’arco puntato.
<< Nipote cara! Come te la passi? >> fece l’uomo, sorridendo.
<< Sei ancora vivo, ho detto tutto >> fece lei, mirando alla testa.
<< Non mi colpirai mai! Non hai coraggio! >> la sbeffeggiò lui. Lei si morse il labbro. Vero! Lei non lo avrebbe mai colpito, ma non per codardia, ma per il semplice fatto che se anche lei lo avesse ucciso, dopo gli scagnozzi la avrebbero colpita di conseguenza e la sua vendetta sarebbe stata vana. Inoltre avrebbero comunque preso la valigetta. Quindi delle due era meglio lasciarlo andare e inseguirlo. Abbassò l’arco, fiduciosa che non l’avrebbe uccisa. Difatti l’uomo sorrise e si buttò all’indietro seguito dagli altri due. Quando se ne furono andati, la ragazza si gettò su Marco e chiese: << Stai bene? >>.
<< Cazzo, tuo zio è bravo con i calci! >>
<< Ha la valigetta! >>
<< Beh, allora prenditi la tua squadra e inseguilo! Io non credo di poter venire, ma posso sempre aiutarvi! >>. Detto ciò si alzò e si diresse verso la sua postazione. Nel frattempo, il resto della squadra si avvicinò ai due. << Tutto bene? >> chiese Alfred
<< Certo! >> rispose il ragazzo, inserendo dei codici di programmazione nel computer. Vedendo che lo scienziato era interessato, spiegò quello che faceva: << Quando sono finito a terra ho capito che avremmo perso la valigetta, così ho preso furtivamente una microspia dalla pistola e gliel’ho incastrata addosso. Ora sto tracciando la sua posizione. >>
Kiyomizudera, Kyoto
<< Sei sicura di voler partire? >> chiese Marco alla giovane. Jeshi annuì col capo chino, poi prese una arco e scese dal portellone del jet. Il ragazzo salutò tutti i suoi compagni, dopo la botta in testa i superiori avevano deciso di tenerlo lontano dalla mischia ancora un po’. Chiuse il portellone e tornò alla sua postazione, da dove controllava tutta la zona tramite dei droni con funzione di telecamera.
Jeshi era ferma. Se qualcuno avesse dovuto descrivere quello che stava facendo in quel momento, il massimo che avrebbe detto sarebbe stato “lei sta”. Sta ferma. Sta ferma lì a pensare, col capo chino. Erano passati quasi due mesi da quando se ne era andata per sempre da quel luogo, e tornarci le faceva male dentro. Il suo maestro era stato ucciso lì, ma soprattutto ora era il covo di un assassino di fama mondiale. Di un assassino che aveva ucciso i suoi genitori. Di un assassino che era implicato anche nella morte di uno dei più bravi agenti del mondo. Di un assassino che rispondeva all’identità di suo zio. Una lacrima le solcò lentamente il viso. La asciugò con rabbia, quindi incoccò l’arco e si diresse verso una cava nella roccia.
Il tempio, costruito nell’epoca dei samurai, non doveva in teoria avere un passaggio segreto di fuga, considerata disonorevole dai guerrieri feudali, ma quel luogo era una copertura per i ninja, che in quell’epoca erano molto diffusi e molto ben nascosti. Ora vi si nascondevano gli eredi delle spie giapponesi o i malavitosi. In fondo, non molto differentemente da come era stato, da come era e da come sarebbe sempre stato, nel bene o nel male. Questo era.
Jeshi avanzò all’interno del corridoio di pietra, seguita da Alfred, Lauren e Igor. Il secondo della fila attivò una torcia potentissima, mentre dietro Jeshi sentiva il rumore della pistola di Lauren che la ragazza stava caricando. Mano a mano che si avvicinava al tempio, non sentiva più niente. Perse il suono dei passi di Igor sulla roccia, perse gli sbuffi di Lauren, perse il discorso sui templi di Alfred, perse il leggero ronzio della ricetrasmittente, perse il picchiettare delle gocce di condensa del soffitto. Rimase solo lei, il suo respiro, e il battito del suo cuore. Sapeva la strada a menadito, pur avendola fatta solo una volta.
Jeshi fu ridestata dalla sua stasi psicologica solo quando Marco disse che i quattro erano arrivati. Lo sapeva già, certo, ma sentire la sua voce la tranquillizzò. Prese una scala nascosta dietro un paio di spuntoni di roccia, la appoggiò ad una parete e si issò, piolo dopo piolo. Arrivò ad un piccolo spiazzo scavato nella roccia, dove era presente incastonata nella parete una piccola porta, alta si e no un metro e larga altrettanto. La aprì lentamente, cercando di osservare l’eventuale presenza di altri esseri umani. Come pensava, nessuno aveva ancora scoperto quella porticina, nascosta dietro i sacchi finti di grano. Ne spostò un paio e entrò.
<< Siamo nel magazzino, qui non c’è nessuno >> disse Jeshi alla ricetrasmittente. << Bene, penso che Sahiko sia nella sala principale. E non abbandonerà mai la valigetta, quindi sarà anche lei nella sala principale. >>
<< Ci dirigiamo lì >> disse lei completamente apatica. Era una cosa che le avevano insegnato nel suo addestramento, virtù che aveva perso nell’ultimo periodo. Uscì lentamente dalla stanza, controllando ogni singolo angolo. << Ci sono due scagnozzi di tuo zio sul corridoio, dopo il varco. Consiglio un atterramento di Igor e Lauren >> disse Marco, mentre silenziosamente Jeshi faceva cenno ai due scelti di avanzare. Si disposero sui lati dell’apertura, Lauren sulla destra e Igor dall’altra parte. La ragazza uccise la sua guardia con un coltello nella giugulare, facendo schizzare il sangue ovunque, mentre Igor ruppe di netto l’osso del collo dell’altro uomo. Mentre i due spostavano i corpi, Jeshi controllò il corridoio con l’arco, osservando ogni singolo movimento.
Sbagliava. Lo sapeva. Il suo addestramento le aveva insegnato ad essere di più. Per questo la ARMED la aveva salvata e scelta. Perché era più di un semplice agente segreto di una qualche agenzia filo americana. Chiuse gli occhi e si concentrò.
Regolare il respiro, fatto. Rilassare i muscoli, fatto. Concentrare la mente, Fatto.
Ascoltò i rumori intorno a sé. Percepiva il respiro dei propri compagni. Riuscì a farsi un’immagine mentale della loro posizione. Poi passò oltre, ascoltò più profondamente. Sentì il rumore, sottile e leggero, della microspia drone di Marco. Poi sentì i passi felpati di un gruppo di soldati, e il cigolare lento di una telecamera di sorveglianza. “Cazzo” gridò mentalmente, aprendo gli occhi, poi scoccò una freccia dritta all’obiettivo. Poi passò a colpire il primo del gruppetto di soldati, appena sbucato fuori da un angolo col fucile già puntato.
Dopo il primo, gli altri furono più attenti ad esporsi. Lauren coprì la fuga della squadra verso un riparo. Ma Jeshi stava lì, immobile. Con l’arco puntato, pronta a colpire.
Un’arma letale pronta a scattare. Quello per cui era stata addestrata. Uccise con un dardo nell’occhio uno dei soldati, quello sfortunato che aveva fatto capolino dall’angolo per controllare la situazione. Lei rimase lì, ricaricando velocemente l’arco, nonostante Lauren la spronasse a ripararsi. Uno di quei soldati provò a fare fuoco di protezione, ma con una precisione inumana la ragazza colpì la bocca del suo fucile, facendone esplodere la canna.
Jeshi chiuse di nuovo gli occhi e si concentrò. Sembrava che ne fossero rimasti solo tre. Riaprì gli occhi, poi sfilò una granata dalla cintura di Lauren e la lanciò contro il muro. L’esplosione uccise tutti i soldati rimasti, lei lo sapeva, quindi avanzò sicura e apatica verso i tre cadaveri. Sfilò da uno di loro un coltello, quindi lo squartò e con il sangue scrisse un paio di ideogrammi, quindi proseguì come se nulla fosse successo.
<< Scusa se te lo chiedo, ma perché scrivere sul muro in questo momento critico? >> le chiese Alfred, indicando il muro. Dapprima la ragazza non rispose, poi indicò una telecamera posta a riprendere esattamente la scritta rossa sul muro. << È un avvertimento. >> disse lei.
<< E cosa significa? >> chiese sempre curioso Alfred.
<< Sei il prossimo >> disse lei, spostandosi una ciocca di capelli da davanti gli occhi privi di emozione.
Da lì la strada era nettamente più semplice. Nessun uomo armato aveva più provato a fermarli. Non per paura, ma per ordini del loro capo. Lei lo sapeva. Non le piaceva, ma purtroppo doveva continuare.
Erano arrivati finalmente davanti alla porta della sala principale. La sua vecchia sala degli allenamenti. In una situazione normale, se fosse stata una persona normale, avrebbe pianto, ma lì non era normale né la situazione né tantomeno lei. Stava per aprire la porta quando rifletté un attimo.
Sapeva benissimo che era lei. L’aveva vista nei monitor, ma dopo quei sei uomini non aveva mandato nessuno. E lui non aveva certo paura. Voleva che entrasse nella stanza, ma prima voleva metterla alla prova. Era una trappola. Voleva che lei entrasse. O meglio, voleva che tutti loro entrassero, forse per ucciderli. Ma ora non poteva più scappare. Ci era cascata, lo aveva sottovalutato, purtroppo non poteva fare altro. O forse no...
Era l’unica possibilità che aveva. Un rischio, ma doveva correrlo. L’apatia l’aveva aiutata a combattere, ma le aveva fatto dimenticare un piccolo particolare, ovvero che c’erano anche gli altri. Decisa che fosse l’unica possibilità, cominciò a dare ordini: << Ok, prima di entrare mi serve un breve controllo della sala. Marco, non possiamo usare il drone, quindi sfruttiamo Alfred. >> poi, mentre usava il suo orologio come una mappa, aggiunse << Vai al piano di sopra, segui la strada che ti sto inviando, poi osserva la stanza, dimmi tutto quello che vedi. Lauren, tu invece segui questa strada, ti porterà ad una zona da cui puoi agilmente mirare a tutti nella stanza, confido nella tua mira infallibile. Igor, tu invece devi puntare a fare da palo per l’Explosion, quindi sali al soffitto. Marco, voi... >>
<< Ci avviciniamo e atterriamo pur rimanendo invisibili >> disse lui << Ma tu? >>
<< Io entro >> disse Jeshi.
I tre si diressero ciascuno da una parte diversa. Quando nessuno poté più vederla, compreso il drone di Marco, che il ragazzo aveva richiamato, lei entrò, disattivando le comunicazioni con il resto della squadra.
<< Prendetela! >> fu la prima cosa che disse Sahiko quando riconobbe la nipote.
<< Fai pure, tanto ho vinto io >> disse lei, mentre degli scagnozzi le legavano le mani con una fune.
<< E dimmi, cosa avresti ottenuto dall’essere qui, senza i tuoi amichetti? >>
<< Che nessuno è morto! Sapevo benissimo che il tuo obiettivo era ucciderci con il cecchino al piano di sopra, visto che sapevi della nostra entrata >> disse indicando con un cenno di testa un’ombra su un soppalco dietro la sedia dove si trovava suo zio.
<< Complimenti, come sapevi che c’era un cecchino? >>
<< Me lo aspettavo! >>
<< Beh >> disse l’uomo, versandosi un bicchiere di Scotch << Io avevo previsto che avresti mandato i tuoi sul soffitto, per questo ho mandato un gruppo di uomini a ucciderli >>
<< Ma non avevi previsto che ci fosse stato anche il jet, vero? >>
<< No, ti devo fare i miei complimenti! Oramai i miei uomini saranno tutti morti e i tuoi fuggiti, ma sentirsi così traditi da te non se lo sarebbero aspettati. >> Sahiko si avvicinò alla ragazza, poi le sussurrò all’orecchio. << Non deve essere molto bello mentre qualcuno ti salva sacrificandosi, vero? >>
<< Già... >> disse lei.
Explosion 711
Marco tirò un pugno contro la parete di acciaio dell’aereo. Dietro Lauren si mordeva nervosamente le unghie rannicchiata su una sedia. Alfred era seduto ad un tavolo assieme a Donald a bere un caffè. Maximilian era appoggiato al muro con la schiena, e con lo sguardo fisso su tutti i membri della squadra. Marco sfogò la rabbia ancora un paio di volte, poi si diresse verso Igor, che osservava il paesaggio.
<< Dovunque sia, non permetterò che a Jeshi sia fatto del male >> disse Marco. “Merda, è vero che questo deficiente non ci risponderà mai” aggiunse mentalmente il ragazzo.
<< Non preoccuparti... La troveremo... >> disse calmo e tranquillo Igor, mentre il ragazzo lo guardava con gli occhi fuori dalle orbite.
<< Costi quel che costi, la troveremo! >> concluse il gigante russo.

Angolo dell'Autore
ah, quindi è ancora vivo?
Ebbene sì, sono di nuovo qui. In questi ultimi mesi sono stato ultra-impegnato e quindi ho potuto scrivere poco, ma ora con l'estate sono sicuro di riuscire a finire la storia, anche perché siamo ormai giunti al giro di boa (abbiamo superato la metà della storia) e stiamo per scoprire tutti i segreti che sono rimasti, e altri ancora in arrivo.
Ne approfitto per ringraziare Antea e Leo, che mi hanno aiutato ad uscire da un blocco dello scrittore non proprio piccolo, e ovviamente anche tutti voi che leggete, sopratutto xX_Shadow_Xx, che ormai è presenza fissa, sperando di non deludere le vostre aspettative.
E se proprio vi piace la storia, l'idea, un qualche generico personaggio o anche solo una frase e/o volete darmi una mano a migliorare, ricordiamo che non esiste ancora una tassa sulle recensioni.
Grazie mille a tutti!

 
   
 
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