Capitolo 19
RIA
Riaprii gli occhi. Mi
guardai intorno.
Ero nella mia stanza dell’Istituto. Ricordavo cos’era successo. Eravamo
arrivati nel locale di D’Amico e i suoi scagnozzi avevano liberato dei demoni.
Poi ero stata affiancata da uno di quei mostri e poi era stato come
disconnettersi dal proprio corpo. Ero sempre io, ma non controllavo più le mie
azioni. Decideva tutto lui, quell’essere immondo. Quando avevo visto Teri ed
ero stata obbligata a combatterla avrei preferito morire. Poi ero svenuta. E
ora mi ero risvegliata lì e avevo controllo del mio corpo. Tirai un sospiro di
sollievo.
La porta si aprì e Hen vi entrò.
«Oh!» esclamò. «Sei sveglia».
«Ne sembri un po’ troppo sorpreso» mormorai.
Hen sorrise appena.
«Sono sorpreso dalla tua forza, bimba»
Ricambiai il sorriso. Decisi che era ora di alzarsi.
«Aspetta...Ti aiuto» Il Nephilim si affrettò a sistemare il cuscino in modo che
potessi appoggiarmi contro la testiera del letto. Non lo bloccai come avrei
fatto normalmente perché ne avevo bisogno.
«Grazie. Non hai applicato nessun iratze?»
«Solo per l’ammaccatura sulla tempia. Ma essere connessa ad un demone ti ha
spossata e l’unica cosa che guarisce è il più assoluto riposo per almeno tre
giorni».
«Tre giorni?! Scordatelo!»
«Okay, siccome oggi è il tuo compleanno, posso concederti due giorni»
«Uno»
«Uno e mezzo»
«Mezza giornata»
«Non è così che si contratta!» ribatté, pizzicandomi la guancia.
«Okay, vada per uno e mezzo». Mi arresi e sorrisi.
«Oh, a proposito. Auguri» Hen si chinò per darmi un bacio sulla guancia, poi
fece finta di tirar fuori qualcosa dai miei capelli. Mi porse una scatolina
rossa.
La presi e l’aprii. Al suo interno c’era il coltello di Ethan lucidato e
ripulito dal sangue incrostato di mostri e demoni.
Corrugai la fronte, poi vidi che all’interno della scatola vi era inciso il
simbolo dell’omega in oro.
«Hen, chi ti ha dato questa scatola?»
Lo Shadowhunter si strinse nelle spalle.
«Una donna riccia su una motocicletta.»
Lo sapevo. Stavo per richiudere la scatoletta e gettarla via, quando Hen
aggiunse:
«Sai, Ria, credevo somigliassi molto a tuo padre, invece hai lo stesso sguardo
e la stessa sicurezza di tua madre». Sorrisi e pensai a che strana famiglia
saremmo potuti essere. Uno Shadowhunter, una dea, e una figlia metà e metà che
vanno allo zoo o all’acquapark e si lamentano delle ore di coda e del caldo.
Sarebbe sembrato piuttosto singolare.
«Dove sono mio padre e mio fratello?».
«Onny dorme nella stanza accanto. Non gli hanno fatto niente, è solo un po’
scosso. Hanno conservato l’umanità almeno nei confronti dei bambini»
«Bene» tirai un sospiro di sollievo. «Vado a trovarlo tra un po’. E mio padre?»
«Ria, riposati»
«Dov’è?» insistetti.
«Ria, devi riposarti altrimenti non ti riprenderai mai...». Stava ripetendo il
mio nome con un tono strano un po’ troppe volte.
«NO!». Scostai le lenzuola da un lato e mi alzai in piedi. Avvertii un cerchio
stringermi la testa, ma lo ignorai. Spalancai la porta. Hen mi seguì per il
corridoio. Solo in quel momento mi accorsi di indossare ancora la divisa da
Cacciatrice.
«Ria, devi stare a riposo...»
«Non me ne frega niente. Dov’è?»
Aprii una porta, ma quella stanza era vuota.
«Ria, ascoltami. Rischi di svenire da un momento all’altro, puoi...»
Ne calciai un’altra.
Neanche in quella stanza c’era mio padre.
«Hen, vuoi che ti dia un pugno per farti stare zitto o mi vuoi dare una mano?»
borbottai, mentre spalancavo un’altra porta.
Il ragazzo sospirò.
«Ria, ti prego. Non rendermi le cose più difficili»
«Sei tu che stai mettendo in difficoltà me.»
Aprii l’ultima porta in fondo al corridoio e dovetti aggrapparmi la maniglia.
Quel piccolo percorso che avevo fatto mi era costato una fatica insolita e la
visione davanti a me non mi aiutò a sentirmi meglio.
Mio padre, pallido come il lenzuolo su cui era adagiato, circondato dai
Fratelli Silenti. Li avevo incontrati la prima volta qualche giorno prima,
quando avevo preso i miei primi Marchi.
«Papà?»
Uno degli uomini si voltò verso di me. La prima volta che avevo visto i
Fratelli Silenti avevo pensato fossero completamente privi di espressione.
Invece quello che mi stava guardando sembrava colto alla sprovvista.
Signorina...
Sentii la sua voce nella mia testa.
«Fratello Zaccaria, cos’ha?» La mia voce uscì molto più roca di quello che
pensassi. Sentivo il cuore in gola.
Mi dispiace.
Fu come se mi avessero estratto i polmoni. Mio padre indossava una camicia
bianca e sul collo gli avevano tracciato il Marchio del lutto.
La stanza si mise a girare vorticosamente, ma mi obbligai ad avvicinarmi al
letto.
Sembrava stesse dormendo. Gli avevano pulito il viso, gli avevano pettinato i
capelli brizzolati.
Gli presi una mano fredda.
«Ti renderò fiero, papà» mormorai. «Mi prenderò cura di Onny. Tanto sarai
sempre con noi, vero?»
Sì che lo sarà. Ora devi andare, Ria.
Sentii le ginocchia cedere. Il mio cervello riusciva a formulare solo una
domanda: Perché proprio lui?
Hen mi prese in braccio e mi tirò fuori dalla stanza. Aveva le sopracciglia
aggrottate. Mi aspettavo un rimprovero, ma poco dopo la sua espressione si
addolcì e mi strinse forte a sé.
Scoppiai a piangere contro il suo petto.
Probabilmente mi addormentai perché mi sembrò di avere la testa sottacqua
quando Hen mi porse un fazzoletto, dopo quelli che forse furono minuti e
minuti.
«C’è qualcuno che vuole parlarti» annunciò.
Arika mi corse incontro e mi abbracciò.
«Hai salvato tu Onny, vero?»
La ragazza annuì.
«Resterete qui all’Istituto?» chiese Arika.
«Non per ora. Voglio che mio fratello si separi da questa vita, almeno per un
po’. Lo farò tornare appena compirà nove anni per fargli iniziare
l’addestramento»
«E dove andrai?»
«Al Campo»
Arika mi guardò a lungo.
«L’appartamento in cui vivevo negli anni Venti è stato venduto tante volte, ma
ora è vuoto. Sono venuta qui per chiederti se...ecco, voleste venire a vivere
da me. Non sarò di certo come i vostri genitori, ma...»
«Oh per Raziel, Arika!» esclamai e l’abbracciai. Arika restò interdetta, ma
dopo pochi istanti ricambiò l’abbraccio.
«Grazie» mormorai.
«Potete trasferirvi da domani stesso. Ho anche un ambiente enorme per
allenarsi. Sono certa che tu e Onny vi divertirete, e magari potremmo anche-»
«Arika, non so come ringraziarti. Sei l’unico punto fermo che mi è rimasto in
questo casino»
Il sorriso della ragazza fu così sincero che le illuminò ancora di più gli
occhi blu elettrico.
Si abbassò appena verso di me.
«Chi è quel ragazzo che stavi abbracciando poco fa?» sussurrò al mio orecchio.
«Hey, Blackfox. Aspetta!» esclamai. Hen era quasi arrivato alla fine del
corridoio. Mi lanciò un’occhiata stupida e mi raggiunse.
«Che è successo?»
«Niente, volevo solo presentarti la mia migliore amica al Campo, Arika. Arika,
lui è Hen»
Arika allungò una mano senza esitare e sorrise, sicura di sé. Lo Shadowhunter
arrossì quando strinse la mano della ragazza e il rossore era ancora più
evidente su quella carnagione così chiara.
«Lieta di conoscerti»
«Oh, ehm, ciao. Pi-piacere tutto m-mio»
Arika cominciò a fargli delle domande come aveva fatto con me quando ci eravamo
conosciute.
Mentre chiacchieravano ne approfittai per sgattaiolare via e andare nella
stanza di Onny. Spinsi la porta delicatamente e mi infilai nella stanza. A
differenza della mia stanza all’Istituto, quella di Onny era più colorata e più
luminosa. Accanto al letto c’era un comodino con una lampada azzurra, e a
destra del comodino c’era un cesto di vimini pieno di peluche.
Le tende erano gialle e davano alla luce della stanza una sfumatura ancora più
calda. Onny era seduto sul letto disfatto e giocava con due aeroplani, fingendo
di farli scontrare e imitando le onomatopeiche con la bocca.
«Hey, pilota!»
Il bambino sollevò la testa e vidi il suo sguardo illuminarsi.
«Riri!»
Scese giù dal letto con un salto. Mi accovacciai per arrivare alla sua altezza
e lasciai che mi abbracciasse. Gli accarezzai i capelli biondi che ormai gli
arrivavano alle spalle.
«Dov’eri?» mi chiese, guardandomi con i suoi occhioni azzurri. Gli pizzicai il
nasino.
«Ero al Campo, Onny. Tu dov’eri?»
«Dal signore delle parolacce» rispose. Certo, intendeva Chris che aveva scelto
un soprannome da criminale piuttosto volgare.
«Ti ha fatto male?». Onny scosse la testa.
«Mi ha regalato questi» rispose, sollevando gli aeroplanini. «Vedi!»
«Ma che belli!» esclamai, prendendone uno. Avvertii come un costante pulsare
sotto le dita.
Corrugai la fronte.
«Onny, quando te li ha dati?» chiesi.
«Prima che arrivasse Reca». Intendeva Arika.
Cercai di vedere meglio all’interno del giocattolo. C’erano dei numeri che
scorrevano veloci.
Trenta secondi. Tolsi di mano l’altro aeroplanino da Onny che protestò.
«Mio!» ribadì.
«Sono cattivi» risposi. Onny mi prese per una gamba, e per evitare di pestargli
i piedi, inciampai.
Per avere meno la metà dei miei anni sapeva mettermi i bastoni tra le ruote.
L’altro aeroplano cadde, rompendosi. Onny prese a urlare.
«L’hai rotto!» gridò, facendosi venire gli occhi lucidi.
«No, Onny, meglio così!» Afferrai i resti del giocattolo e vidi un bigliettino
all’interno.
“Non avete scampo, pivelli. La vostra
morte è pronta per essere diseppellita – C.D.”
Mi ero quasi dimenticata dell’altro giocattolo. Mi
rialzai e vidi che Onny lo aveva quasi raggiunto.
«NO!» urlai e glielo tolsi da sotto il naso poco
prima che ci mettesse le manine sopra. Vidi il numero rosso continuare a
scendere. Quattro.
Onny mi pestò i piedi e tempestò di pugni le mie gambe.
«Onny, basta! Ti prego!»
«No, mio, mio, mio!»
Due.
Scostai le tende. La finestra era più pesante di quello che immaginassi. Uno.
Riuscii finalmente a spalancarla. Zero. Il giocattolo lasciò le mie dita
nell’istante esatto in cui esplose nell’aria. Chiusi la finestra per evitare
che la polvere finisse nella stanza. Gli aveva dato i giocattoli poco prima che
arrivasse Arika, quindi meno di qualche ora prima. Sapeva che qualcuno
l’avrebbe salvato e portato all’Istituto e aveva mantenuto la promessa della
sua registrazione: Oppure, se non vorrai seguirmi con il tuo esercito...bè, il tuo bambino salterà in aria. BOOM!
Mi voltai verso Onny. Mio
fratello tremava, sotto le coperte. Si era nascosto in fretta.
«Onny...» mormorai, sedendomi sul letto.
Una testa bionda fece capolino da sotto le lenzuola. «Finito?»
Annuii. «Finito.»
«Cattivi aeroplani» dichiarò, scostando le coperte e sedendosi accanto a me.
«Però gli altri giocattoli non erano cattivi».
«Gli altri giocattoli sono con te?»
Onny scosse la testa. «Sono rimasti a casa sua»
Tirai un sospiro di sollievo.
«Che giocattoli erano?» domandai.
«Pennarelli e matite» rispose. «Ho ancora i disegni, aspetta»
Dei pezzi di carta non potevano essere esplosivi, mi dissi. Onny prese dal
cassetto del comodino dei fogli piegati in quattro e me li porse.
«Che bello questo!» esclamai, aprendo il primo. Aveva disegnato alcuni
grattacieli che probabilmente vedeva dalla finestra della sua camera.
«Grazie». Sembrava davvero orgoglioso di sé. Gli scompigliai i capelli e presi
un altro foglio. Lo aprii ed ebbi un tuffo al cuore. Onny aveva disegnato un
bambino biondo, che non poteva essere altri che lui, che teneva la mano a
Chris. Dall’altro lato c’era una ragazza la cui pelle era colorata con un
marroncino chiaro.
«Chi sono questi?»
«Io, Lele, Chris» disse, indicando con un dito paffuto le figure disegnate.
«Com’era Lele?»
«Brava. Disegnavamo insieme».
Eles, certo. Probabilmente Chris non aveva torturato nessuno. Alla fine era un
ragazzo anche lui.
«E poi questo» disse Onny, porgendomi il terzo foglio.
«Vediamo un po’...». Lo aprii. Aveva disegnato una famiglia. C’era lui, al
centro, vestito di nero e con i Marchi. Accanto c’ero io, con la maglietta
arancione del Campo, anch’io avevo i Marchi. Poi c’era mio padre che mi teneva
per mano, vestito di nero e si intravedevano delle linee nere sul collo. E
infine una donna riccia, anche lei vestita di nero e viola scuro, ma non
c’erano Rune sulla sua pelle. Onny aveva disegnato anche una specie di
bicicletta accanto alla donna.
«Chi è?» chiesi, indicandola. A prima vista mi era sembrata Teri, ma non poteva
essere. Onny non la conosceva nemmeno.
«Mamma. L’ho sognata. È venuta anche oggi»
Nemesi. Anche lui l’aveva incontrata e credeva fosse sua madre. Un giorno gli
avrei spiegato tutto. Ma perché Nemesi non voleva farsi vedere proprio da me?
Che le avevo fatto?
«Oggi? A far che?»
«Ha lasciato un pacco a Hen, poi ha detto di salutare papà. A proposito,
dov’è?»
Non aveva nemmeno potuto salutarlo. Non lo vedeva da una settimana e non si
erano neanche potuti abbracciare.
«Onny, papà è andato via» mormorai, cercando di trattenere le lacrime.
«Via? Dove?»
«In cielo»
«Da Raziel?». Il labbro inferiore di Onny tremava.
Annuii. «Sì, da Raziel».
«È contento ora?»
«Tanto. Ma era contento anche qui»
Onny appoggiò la testa sul mio petto, cercando di nascondere i lacrimoni che
gli bagnavano le guance.
«Però mi mancherà».
«Anche a me».