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Autore: Sophie_moore    25/06/2015    5 recensioni
Storia partecipante al "Fairy Tail Crack Contest" indetto da rhys89.
Vi è mai capitato di essere perfettamente coscienti di star facendo un errore, ma continuare a farlo perchè è l'unica cosa che vi rende felici?
Si era slegata i capelli, che ora lasciava lisci, perché le trecce erano troppo da brava ragazza, e aveva smesso definitivamente di andare a scuola. Tanto quelli come lei non avevano nessun futuro, se non una morte violenta in qualche posto dimenticato da Dio. Si era arresa all'evidenza: non sarebbe mai stata normale.
[...]"Siete liberi e questo ve lo invidio profondamente. Inutile dire, comunque, che Heathcliff è diventato il mio personaggio preferito del romanzo. Quando vieni te lo presto, se vuoi."
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Flare, Lucy Heartphilia
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Storia partecipante al Fairy Tail crack contest, indetto da rhys89 sul forum di EFP
 

Over and over

Scelte sbagliate


It feels like everyday stays the same
It's dragging me down and I can't pull away


Flare aveva deciso di entrare. Nonostante le avessero detto che non era il caso, aveva provato di essere abbastanza coraggiosa, lei era entrata ugualmente. La grande casa degli Heartphilia le metteva un senso d'angoscia enorme, quasi non la faceva respirare.
Si batté le mani sulle guance pallide e si sistemò la treccia in cui aveva rinchiuso i lunghi capelli rossi. Voleva che i suoi fratelli maggiori fossero fieri di lei, per cui non poteva tirarsi indietro: aveva promesso che sarebbe entrata lì dentro, in quel castello immenso, e avrebbe rubato qualcosa di prezioso. Trovava profondamente ingiusto che gli Heartphilia avessero una dimora così imponente pur essendo solo in tre, mentre lei ed i suoi fratelli dovevano condividere una casupola al limitare della città infestata da topi e ragni giganti, di cui aveva imparato a non aver più paura.
Si guardò attorno dopo aver preso un bel respiro profondo. Aveva dodici anni e doveva comportarsi bene, doveva essere grande abbastanza da aiutare il suo patrigno a provvedere alla famiglia, come facevano già i fratelli. Perciò iniziò a fare qualche passo incerto, le scarpe di tela che non facevano quasi rumore sulle piastrelle lisce del salone. La vista ormai si era abituata alla fievole luce della luna, per cui si sentì leggermente più sicura mentre si faceva ancora avanti.
Un ululato proveniente da fuori la paralizzò sul posto, facendola rabbrividire. Non sapeva ci fossero dei cani. Aveva il terrore dei cani.
Rimase immobile ancora qualche secondo, finché il suo cuore non tornò a battere alla velocità normale. Tornò a camminare, questa volta in punta di piedi: era quasi convinta che fosse stata lei a svegliare il cane, perciò doveva fare più attenzione.
Attraversò il salone, venendo inondata da un profumo fortissimo di prodotti per la pulizia della casa. Si chiese come sarebbe stato in casa sua quell'odore. Con tutta probabilità sarebbe stato sconfitto dalla puzza di marcio delle travi di legno o del bagno perennemente otturato. Scosse la testa per togliersi quell'odore dalla mente e continuò a muoversi, alla ricerca di qualcosa di interessante da rubare. C'erano diversi soprammobili di valore, ad occhio e croce, ma nessuno attirava davvero la sua attenzione, perciò continuò ad andare avanti.
Sorpassò il salone e si addentrò in una cucina che probabilmente puzzava ancora di più di prodotti igenici. Flare si tappò il naso, aprì qualche cassetto e trovò l'argenteria. Sogghignò tra se e se, soddisfatta di aver recuperato qualcosa di valore. Prese qualche forchetta, qualche coltello e qualche cucchiaio, li mise in una borsa e fece per voltarsi e tornare da dov'era venuto… ma qualcosa la attirava avanti. Sorpassò la cucina, pensando che probabilmente il suo patrigno l'avrebbe picchiata di nuovo per essersi allontanata di notte, ma lei sentiva qualcosa, una forza irresistibile che la portava a proseguire ed esplorare il resto della casa. Quante altre volte avrebbe potuto osservare una casa così immensa da dentro? Doveva approfittarne!
Arrivò ad una porta socchiusa, dalla quale filtrava una luce debole. Sbirciò all'interno, scoprendo un uomo inginocchiato a terra ed una donna terribilmente pallida sdraiata sul letto. Non ci voleva un grande intuito a capire che lei non stesse molto bene.
Passò anche quella stanza, rimanendo comunque colpita da quella scena, e percorse il lunghissimo corridoio per raggiungere un'altra porta, dalla quale fuoriusciva una luce ancora più debole della camera precedente. Spinse piano la porta ed entrò, ritrovandosi in una camera da letto di una bambina. Una classica camera rosa, con merletti e fiocchetti, tuta roba che le fece venire il voltastomaco. Si avvicinò al letto: la bambina in questione stava dormendo e probabilmente avendo un incubo. Era sudaticcia, il respiro era affannoso e si dimenava. Che aveva da aver paura quella bambina? Era ricca sfondata, aveva due genitori, stava in una casa gigantesca e aveva una camera tutta sua…
˗ Mamma… ˗ la sentì sussurrare, mentre iniziava a piangere.
Flare si avvicinò ancora, le mise una mano sulla fronte istintivamente e la bambina si svegliò di soprassalto.
˗ Chi sei? ˗ le domandò, scivolando verso un angolo del letto e rannicchiandosi.
Flare riuscì ad intuire che con molta probabilità quella bambina doveva avere circa la sua età, eppure sembrava molto più piccola. Era confusa.
˗ Perché sei qui? ˗ ci riprovò, accendendo la luce dell'abat-jour per vederla meglio.
La ragazzina si allontanò e tornò nella parte buia della stanza. ˗ Torna a dormire – le ordinò, stringendosi forte la sacca sulla spalla.
˗ Io sono Lucy, – si presentò la padroncina di casa, spalancando i grandi occhi scuri. Pareva stesse prendendo colore, Flare fece un piccolo sorriso ˗ non vuoi dirmi chi sei tu?
˗ Flare – disse solamente. Sentì dei rumori provenire dall'esterno della stanza e si spaventò ˗ Addio ˗ salutò, per poi scappare di corsa dalla stanza.
˗ Tornerai?
La voce di Lucy le rimbombò nelle orecchie per tutto il tragitto di ritorno, mentre la sacca sulla spalla tintinnava a causa dell'argenteria rubata. Sarebbe tornata? Probabilmente no. Sarebbe stato meglio di no, le era andata bene una volta, non poteva rischiare di essere scoperta.
*****

Il segno che aveva sul viso non era ancora scomparso, ma almeno si vedeva molto poco. Flare sperava che al buio non si notasse affatto, comunque. Non voleva che Lucy le facesse strane domande, probabilmente non voleva farla preoccupare inutilmente.
Si introdusse di nuovo nella casa degli Heartphilia di soppiatto. Non perse tempo a guardarsi intorno, questa volta, e filò direttamente nella camera della bambina.
Era nuovamente in preda ad un incubo: Flare sorrise debolmente, le toccò la fronte e la chiamò per nome un paio di volte, finché non riuscì a svegliarla.
˗ Sei tornata ˗ mormorò la rampolla della ricca famiglia, mettendosi seduta e passandosi le mani tra i capelli biondi ˗ Vuoi prendere qualcos'altro? ˗ domandò con un'innocenza tale che Flare si sentì uno sgorbio. Se qualche sera prima si era quasi sentita in dovere di rubare a quelli che avevano tutto, ora si sentiva terribilmente in colpa. ˗ Se ti serve qualcosa in particolare posso aiutarti io.
La rossa alzò lo sguardo e lo piantò in quello della sua interlocutrice, a metà tra il confuso e l'arrabbiato. Non sapeva bene cosa pensare: perché le proponeva di aiutarla a derubare la sua famiglia? Che fossero talmente ricchi da non curarsi di un po' di argenteria? ˗ Non mi serve nulla ˗ asserì, decisa.
Lucy sorrise ed accese l'abat-jour. Flare indietreggiò di nuovo. ˗ Meglio così, allora. Tanto papà non se ne accorgerebbe comunque, con la mamma che sta male…
˗ Sta morendo?
Un forte imbarazzo calò in quella cameretta tutta rosa e durò per qualche minuti, in cui Lucy pensava a cosa dire e Flare si malediceva per aver fatto una domanda tanto insensibile. Non era abituata a trattare con le femmine, lei aveva solo fratelli maschi.
˗ Probabilmente sì.
La risposta di Lucy la spiazzò leggermente, anche se non lo diede a vedere. Si mise ad osservare le pareti della stanza, per dissimulare quella confusione che aveva in testa, e notò un calendario con la data di quel giorno cerchiata di rosso. ˗ Perché è cerchiato oggi?
˗ Oh… ˗ la ragazzina diede un'occhiata alla sveglia, su cui lampeggiavano ormai le due di notte. ˗ Ormai era ieri. Comunque, era il mio compleanno.
˗ Hai festeggiato?
˗ E con chi? Non ho amici, e poi con la mamma in quelle condizioni non sarebbe il caso.
˗ Mi dispiace ˗ Lucy scrollò le spalle. ˗ Quanti anni hai, adesso?
˗ Undici. E tu?
˗ Dodici. Sono più grande.
La bionda ridacchiò, rannicchiandosi su se stessa. ˗ Non ho mai avuto un'amica, sai?
Flare sgranò gli occhi, sentendo un brivido gelido percorrerle l'intera lunghezza della schiena. ˗ Non siamo amiche.
˗ Peccato, ˗ disse facendo una smorfia ˗ mi sarebbe piaciuto averne una.
Flare scosse forte la testa, indurendo lo sguardo e serrando la mandibola. Aveva provato a farsi delle amicizie, ma tutti erano scappati senza darle la possibilità di spiegare. Spiegare cosa, poi, lei non l'aveva mai capito in realtà. Si erano allontanate dal momento in cui avevano messo piede nella casa, quando avevano conosciuto la sua famiglia disastrata. Un po' poteva capirle, alla fine. Lei non sarebbe mai stata sua amica se avesse potuto scegliere, quindi perché Lucy sembrava sinceramente dispiaciuta? ˗ Non vado bene. Toglitelo dalla testa.
˗ Perché dici così?
Flare si irrigidì e girò sui tacchi diretta verso la porta. ˗ Addio.
Non si girò a guardarsi indietro, perciò non riuscì a vedere un paio di lacrime che le scesero dagli occhi.

*****

Era passata una settimana, non aveva più nessun livido in volto e non aveva più fatto visite notturne a Lucy Heartphilia. Il suo patrigno si era infuriato talmente tanto che le aveva proibito qualsiasi tipo di uscita se non fosse stata accompagnata dai suoi fratelli maggiori. Senza contare quel paio di cinghiate che le incorniciavano la schiena, quasi a simboleggiare delle ali scarlatte. Si era slegata i capelli, che ora lasciava lisci, perché le trecce erano troppo da brava ragazza, e aveva smesso definitivamente di andare a scuola. Tanto quelli come lei non avevano nessun futuro, se non una morte violenta in qualche posto dimenticato da Dio. Si era arresa all'evidenza: non sarebbe mai stata normale.
Era passata davanti a quella villa un sacco di volte, in compenso. La prima volta per lasciare un biglietto sudicio e quello che era più simile ad un braccialetto fatto intrecciando dei lacci delle scarpe, quelli più puliti che aveva. La seconda volta per vedere se il biglietto ed il bracciale erano ancora appesi. La terza volta passava semplicemente di lì, sbirciò nel salone e la vide seduta sul divano a leggere. Le altre volte… beh, era solo per controllare, nulla di più.
˗ Che stai facendo? Ti muovi?
Flare si riscosse e si voltò di scatto, vedendo Obra e Kurohebi immobili a fissarla. Non poteva permettere che scoprissero che aveva un qualche legame con quella casa, per cui fece subito una smorfia schifata e li raggiunse, dondolando leggermente.
˗ Bella la vita di quegli stronzi. Hanno tutto e ancora si lamentano.
Obra annuì all'affermazione del fratello, ma Flare lasciò che un pensiero andasse a quella ragazzina sola in casa. La ricchezza non le avrebbe ricomprato una madre nuova, non avrebbe alleviato le sue sofferenze. Era… pena quella che stava provando? Sbatté forte le palpebre e serrò i pugni: doveva rimanere concentrata.
˗ Questa qui può andare.
Obra fermò i fratelli minori con una mano, esattamente di fronte ad un'entrata maestosa, un cancello verde dava accesso ad un immenso giardino dall'aspetto innaturale, mentre in lontananza si vedeva quello che agli occhi di Flare parve un castello. Forse anche più grosso della casa degli Heartphilia, cosa che la sollevò. Prese un profondo respiro. Era ancora piccola, comunque, non sapeva se fosse pronta per fare quello che le chiedevano da fare. Qualche furtarello poteva andare bene, ma una rapina a mano armata…
˗ Andiamo.
Deglutì forte e seguì suoi fratelli al di là del cancello, oltre il giardino, dentro la casa, una mano stretta sull'impugnatura di una pistola. Ancora non capiva come avessero fatto a trovare tre pistole, ma non voleva farsi troppe domande. Doveva fare quello che era giusto. Si calò la maschera sul viso e spalancò la porta del soggiorno, vedendo la famiglia seduta sul divano.

*****

Si svegliò di soprassalto, una mano sul cuore ed il volto sudato. Si guardò attorno e si spaventò ancora di più, non riconoscendo le mura della sua camera. Era in uno spazio spoglio, su un letto scomodo ed un dolore lancinante alla testa.
Non appena si calmò, seppur con una fatica immensa, tutto le tornò alla memoria come un fulmine: erano stati arrestati come dei cretini e adesso erano tutti in riformatorio. Lei nella sezione femminile, gli altri due in quella maschile.
Si passò le mani sul viso, sconvolta. Com'era stato possibile? Perché aveva accettato? Perché non aveva detto di no? Perché adesso era finita in carcere per un qualcosa che neanche voleva fare?
Silenziosamente iniziò a piangere, rannicchiandosi sul letto ed appoggiando la schiena al freddo muro alle sue spalle. Era stata una stupida, aveva seguito i suoi fratelli come se loro avessero davvero saputo cosa fare, quando probabilmente erano confusi quanto lei.
˗ Incubo?
La voce proveniva dal letto di sotto, ma decise di non rispondere.
˗ Prima o poi ti ci abitui, te lo garantisco. Non ti svegliano più e riesci a dormire.
˗ Non era un incubo.
˗ Meglio per te, allora.
Rimasero in silenzio per un po', Flare sapeva che l'altra era ancora sveglia. Non sapeva niente di lei, neanche il suo nome, la sua età, niente di rilevante, ma d'altronde, neanche lei sapeva qualcosa.
˗ Passano?
˗ Cosa?
˗ Gli incubi.
L'altra ragazza sogghignò ˗ Sì, prima o poi passano. Passa tutto.
Flare annuì, nel buio e si asciugò gli occhi. Provò a rimettersi a letto, cercando di non pensare alla giornata appena passata, al panico che le era salito quando era entrata la polizia nella villa, il colpo sparato accidentalmente che aveva sfiorato il padre di famiglia, la pistola dei poliziotti puntata contro di lei, i suoi fratelli che urlavano…
Tornò seduta. Non se ne parlava proprio di dormire.
Il mattino dopo arrivò con una lentezza immane, una cosa che non aveva mai provato neanche quando andava da Lucy. Pensò che avrebbe dovuto darsi una mossa ad imparare a dormire, altrimenti non avrebbe mai passato viva i cinque anni che doveva scontare lì dentro. Fece una tacca sul muro con l'unghia del pollice e venne via un pezzo di vernice color grigio scuro. La condanna aveva inizio.

*****

Ennesima tacchetta. Era la due-millesima. Aveva iniziato a raggrupparle con dei segni sempre più grandi per riconoscere il passare dei giorni. Era diventato un rituale importante per lei: apriva gli occhi dopo una notte senza sogni, si metteva seduta, guardava le tacche, le contava e poi ne faceva una nuova. Senza compiere quel rituale, non riusciva a passare bene la giornata. Nessuno la infastidiva, la sua compagna di cella le aveva consigliato di avere un atteggiamento duro ed insofferente, così le altre ragazze non si sarebbero avvicinate troppo. Non era stato un gran suggerimento, comunque, perché le avevano fatto passare un sacco di ingiustizie a caso, per passare il tempo. Quando poi aveva steso tre di quelle ragazze con una spranga di ferro per l'esasperazione, allora l'avevano lasciata stare.
La violenza non l'appagava in modo particolare, era solo un modo per passare il tempo. Si svegliava, faceva colazione, faceva a botte, pranzava, faceva a botte, l'ora d'aria, poi faceva ancora a botte e poi era ora di cena. Non aveva ricevuto nessun regalo di compleanno, nessuno dei suoi parenti era venuto a trovarla, e lei aveva smesso di far affidamento sulle persone.
˗ Non mi hai mai detto per cosa sei dentro.
Si voltò verso Savina. Strano che le facesse quella domanda, avevano convissuto tutto quel tempo senza sapere niente e quindi pensava sarebbe andata avanti così fino a che una delle due non se ne sarebbe andata. ˗ Neanche tu.
Savina fece un piccolo sorriso e si sedette di fianco a lei sulla panchina. L'ora d'aria era appena iniziata e quello era un giorno abbastanza tranquillo, tutto sommato. Prese un respiro: ˗Tentato omicidio.
˗ Rapina a mano armata.
˗ Quanti anni hai?
Flare rimase un attimo in silenzio, indecisa. ˗ Adesso quindici.
˗ Diciotto. E domani finisce la mia condanna.
˗ Sei contenta?
Savina scosse la testa: ˗ Sì, diciamo di sì. Mi toglierò un peso, sicuramente.
˗ Chi hai provato ad uccidere?
Flare non sapeva bene come mai avesse posto quella domanda, ma le era uscita dalle labbra prima che potesse rendersene conto e fermarla.
˗ Mio zio. Voleva far del male a mia cugina, l'ho solo difesa, ˗ scrollò le spalle ˗ ora dice che mi aspetta fuori.
˗ Sei preoccupata?
˗ Affatto. Non vedo l'ora che tutto questo finisca. Lui non può più fare del male a nessuno, comunque. ˗ le strizzò l'occhio e si alzò dalla panchina. I lunghi capelli neri le ondeggiavano seguendo il leggero venticello di quel pomeriggio caldo: socchiuse gli occhi, tanto che il nero delle sue iridi non si vedeva quasi più ˗ Sei stata una brava compagna di cella. Possiamo darci un abbraccio?
˗ Ma c'è ancora domani… ˗ Flare era restia ad abbracciare qualcuno. Non sapeva se ne fosse capace, più che altro, visto che non ricordava di averlo mai fatto; il gesto più affettuoso che aveva fatto era stato svegliare Lucy con una mano sulla fronte.
˗ Già, c'è ancora domani… ˗ Savina fece un sorriso mesto, un po' debole probabilmente, ma Flare non se ne accorse. Poi scosse piano la testa, si pettinò alla bell'e meglio i capelli, prese dei profondi respiri. ˗ Arrivederci, Flare. ˗ le porse la mano.
L'altra ragazza gliela strinse, senza farsi troppe domande. Savina era sempre stata un po' strana, non avevano mai legato davvero ma sentiva un certo legame con lei. Forse era per il discorso fatto appena conosciute, forse era perché riusciva a sopravvivere in quella galera senza essere una persona violenta o crudele, forse perché semplicemente era l'unica ragazza con cui avesse avuto a che fare che non la trattasse come un'emarginata. L'unica, al di fuori di Lucy; ˗ Arrivederci, Savina ˗ la salutò, accettando quello strano gesto così per quello che era.

*****

L'urlo di Flare riecheggiò nel corridoio, nelle celle, nelle mura, nella sua testa per ore dopo che fu lanciato. Un urlo di terrore, ricolmo di angoscia ed orrore.
La sua cella piena di sangue, Savina sdraiata in mezzo con un sorriso quasi angelico, in mano un qualcosa di minuscolo. Senza pensarci due volte, dopo il primo momento di frastornamento, Flare si lanciò all'interno della cella, le tolse di mano quell'affare insanguinato (solo dopo avrebbe scoperto che altro non era che un filtro di una sigaretta scaldato e appiattito, quello stesso passatempo che faceva da qualche giorno e di cui non aveva mai spiegato la ragione) e cercò la ferita, se avesse potuto fare qualcosa. Le mani ormai erano scivolose e l'odore pungente e ferroso era insopportabile, ma doveva fare qualcosa. Guardò subito le braccia, vergini di tagli o cicatrici. Appena le tirò su la testa, vide dove fosse il danno: il collo, lì dove stava quella grossa vena di cui non sapeva il nome, era lacerato.
˗ Savina… Savina… ehi… ˗ provò a chiamarla, ma la ragazza aveva gli occhi chiusi e quel sorriso stampato sulle labbra che non se ne voleva andare. Perché stava sorridendo? Perché non era disperata? Non faceva capire che provava dolore? Perché? Perché?
Le tolsero Savina dalle mani, la trascinarono via. Flare non sentiva nulla, non sentiva le carceriere che gridavano, non sentiva le prigioniere terrorizzate, non sentiva niente, neanche la sua voce che sicuramente stava urlando, visto che sentiva un bruciore non indifferente alla gola. Tutti i suoi che riusciva a percepire erano quelli del suo cuore impazzito, tutto il resto era avvolto in uno spesso strato di ovatta.
Non riuscì più a dormire, divorata dai sensi di colpa. Forse avrebbe potuto capire, forse avrebbe potuto salvarla.
Savina si era suicidata, dicevano. Savina era pazza. Ma Flare sapeva che Savina non era pazza, che non era colpa sua se si era suicidata, non l'aveva scelto lei. Era stato suo zio. Lui aveva ucciso Savina, lui l'aveva portata in quel posto, lui l'aveva costretta a scaldare quel filtro ogni mattina, a schiacciarlo provocandosi lievi scottature sui polpastrelli, lui l'aveva obbligata a… Flare tremò di rabbia, strinse i pugni e serrò le mascelle. Avrebbe fatto qualcosa.
Le avevano affiancato una psicologa per farle passare il trauma di aver visto la propria compagna morire in quel modo atroce. Dopo tre sedute smise di andare: picchiare le altre carcerate era molto più utile, così si sarebbe allenata per lo zio di Savina.
Avevano tutte paura di lei: “ha gli occhi da pazza”, dicevano alle sue spalle, e avevano ragione. Quando si guardava allo specchio Flare non vedeva più una ragazzina spaventata e disorientata, vedeva una donna con le pupille perennemente sgranate e le occhiaie pesanti, la testa sempre inclinata di lato ed un leggero tremolio che la percorreva. Sempre, costante, come se avesse freddo dal mattino alla sera. Ma non era freddo.
Qualche giorno dopo la morte di Savina, riuscì a procurarsi un filtrino di una sigaretta. Lo scaldò, giorno dopo giorno, lo appiattì per bene, incurante del bruciore, finché non fu tagliente come un rasoio. Era stato facile. Lo conservò sotto al cuscino, lo accarezzava ogni sera prima di andare a dormire, gli sussurrava parole dolci.
La psicologa andò anche nella sua cella per vedere se stava bene, ma il suo sguardo la terrorizzò a tal punto che non ci fece più ritorno.

*****

Quando scattò il quinto anno di detenzione, fu liberata. La Flare che era entrata, quella piccola e attanagliata da incubi, era morta per sempre insieme ad Savina.
Si fece accompagnare nella casa di suo zio, il filtrino appiattito tra le mani. Aveva trovato l'indirizzo scavando nei fascicoli della psicologa, beccandosi anche un paio di giorno di isolamento come punizione. Ma ne valeva la pena, sicuramente; quando scese dal taxi inspirò profondamente, per poi sorridere: aveva aspettato quel momento da così tanto tempo che quasi non credeva vero che fosse arrivato. Ciondolò verso la porta, dondolando da una parte all'altra, suonò. Aprì un uomo in sedia a rotelle, sulla cinquantina, capelli brizzolati ed uno sguardo truce e poco rassicurante.
˗ Savina. ˗ sussurrò solamente Flare, sorridendo nel modo più inquietante potesse, gli occhi sgranati a dare più enfasi a tutto quanto.
L'uomo impallidì, fece per richiudere la porta ma Flare fu più veloce e lo spinse di nuovo dentro ˗ È morta, sai? ˗ lo informò, sfiorando gli oggetti che aveva come soprammobili. Qualche bottiglia particolare, souvenir di qualche paese lontano. Avrebbe anche potuto prenderle, ma non aveva una borsa e nel portarle a mano avrebbe rischiato di romperle, distruggendo il loro valore. Scosse la testa, tornando a rivolgersi verso l'uomo. Non le faceva pena, solo una gran rabbia, e la cosa la divertiva tremendamente. Sogghignò: era convinta di averlo in pugno, avrebbe potuto distruggerlo. E Savina avrebbe potuto riposare in pace, sapendo che qualcuno si era preoccupato per lei.
˗ L'hai ammazzata.
˗ N-no, io ero qui, non ˗ un'occhiataccia di Flare lo fece rabbrividire e rimanere in silenzio.
˗ Diceva che l'avresti aspettata fuori. Diceva che non avresti potuto far del male, ma era spaventata. Cosa le avresti fatto?
˗ Abbiamo pagato entrambi per i nostri peccati, io non mi alzerò mai più e lei è andata in carcere.
˗ Lei è morta. Ha pagato fin troppo. Ma se non ti puoi muovere, mi sarà decisamente utile.
Flare si avvicinò all'uomo, lentamente, la testa che prima pendeva a destra e poi a sinistra, un tocco in più che le donava un aspetto terrificante. Strinse forte il filtrino affilato in una mano, lo guardò e lo studiò, come se fosse stata la prima volta. Non aveva più voglia di giocare al gatto col topo, voleva solo tornarsene a casa ed allontanarsi da lì. Avrebbe voluto ucciderlo e farla finita in fretta, ma doveva trovare un modo per farlo soffrire almeno quanto aveva sofferto Savina. Soprattutto, doveva spaventarlo talmente tanto che non avrebbe parlato con nessuno di quello che sarebbe accaduto da lì a breve. Come avrebbe potuto spaventare un uomo?
˗ Cos'hai intenzione di fare?
Flare scrollò le spalle e fece una smorfia; ˗ Non lo so, ancora. Credo che ti minaccerò… se chiamerai la polizia per denunciarmi, dirò che mi stavo solo difendendo…
˗ Nessuno ti crederà.
La ragazza sogghignò, dondolando la testa. ˗ Chi crederà mai ad una ragazza indifesa e piagnucolante? Talmente sconvolta da non riuscire a parlare per bene? Già, hai ragione… chi potrebbe mai credere a me, una ragazza tormentata, ignorando te, un porco in sedia a rotelle, ridotto così da sua nipote per lo stesso motivo?
˗ Bugiarda infame… ˗ l'uomo tremò sulla sua sedia a rotelle: Flare pensò che se fosse stato in piedi le avrebbe dato una lezione, ma per sua fortuna era costretto lì.
˗ Eccome. Ma per vendicarla sarei pronta a qualsiasi cosa.
˗ Era la tua fidanzata?
Se fosse stata ancora la vecchia Flare, avrebbe reagito infuriandosi, sbattendo i piedi, giustificandosi per qualsiasi cosa. Ma era la nuova Flare, e la nuova Flare prendeva ogni provocazione come doveva essere presa, senza accettarla. ˗ Anche se fosse stata la mia fidanzata o una perfetta sconosciuta, io sarei comunque venuta qui. ˗ gli si avvicinò ciondolando, i capelli rossi e gli occhi sgranati le davano un aspetto totalmente allucinato. ˗ Non temere, non ti voglio uccidere! O meglio, vorrei, ma non lo farò. Ti farò solo provare quello che ha provato lei.
˗ Perché mi fai questo? ˗ piagnucolò lui, terrorizzato dallo sguardo completamente fuori fase di Flare. Ha gli occhi da pazza.
˗ Perché mi va, suppongo.
La ragazza si mosse ancora in avanti, pareva che stesse per cadere da un momento all'altro a causa di quell'andatura sbilenca e pericolante. Si inginocchiò di fronte alla sedia a rotelle, tenendo le ruote ben salde tra le mani. Sentiva il filtrino tagliente che le sfregiava il palmo della mano; sentiva il bruciore della ferita che si apriva; sentiva il calore del sangue che iniziava ad uscire. Era così che si era sentita Savina, mentre si tagliava la gola? Scosse violentemente la testa. Fece cadere il filtro a terra, lo riprese tra le dita macchiate del suo sangue e tese il braccio dell'uomo. Lo percorse lungo tutta la lunghezza dal gomito fino al polso, fece qualche ghirigoro immaginario, poi, senza preavviso, conficcò la parte tagliente appena sotto il palmo della mano. E fece il percorso contrario, tornò su, mentre nella sua testa rimbombava la canzoncina che Savina canticchiava spesso prima di andare a dormire. Non sentiva le urla dell'uomo che stava torturando, se così si poteva dire. Arrivò fino a metà dell'avambraccio, che ormai era sporco e puzzava di sangue fresco. Come se avesse macellato una vacca.
Flare inclinò la testa di lato, guardò la sua opera d'arte. Un peccato che non avesse potuto ferirlo esattamente nel punto in cui si era ferita Savina, le sarebbe piaciuto vederlo mentre cercava di tamponare il sangue e la sua espressione di terrore. Ma un bel taglio verticale dove l'aveva fatto lei poteva bastare per terrorizzarlo.
Si mise in piedi, sempre dondolando un po' di qua e un po' di là, fece un sorriso sghembo che fece impazzire di paura lo zio di Savina e lo salutò con la mano, ciondolando fuori dalla stanza. Si lavò le mani nello stretto cucinino, ogni traccia di sangue colò nel tubo di scarico, e poté andarsene, soddisfatta. Avrebbe chiamato un'ambulanza, ma lei voleva che rimanesse vivo: voleva che fosse all'erta, che non dormisse più, che avesse il terrore cieco di rivedere Flare o Savina nella sua mente. Doveva essere così, per quello l'aveva lasciato in vita.
Mentre si chiudeva la porta d'ingresso alle spalle si liberò di quella risata che le ostruiva la gola. Probabilmente Lucy non sarebbe stata contenta di quella sua scelta, ma a chi importava? Era sicura che lei si fosse dimenticata delle sue visite notturne: meglio, non avrebbe dovuto rendere mai più conto a nessuno.

*****

Aveva passato circa un mese in casa per convincersi a tornare a trovarla. Si era impegnata seriamente a non passare davanti a quel cancello, ad ignorare quell'impulso viscerale di farle visita e rivederla. Chissà come stava, chissà com'era cresciuta! E sua madre? Era morta, alla fine? In riformatorio non aveva avuto nessuna notizia, perciò non aveva idea di come fosse adesso la vita di Lucy Heartphilia.
Ma dopo un mese di girovagare e trovarsi sempre puntualmente a pensare a quella ragazza bionda, aveva finalmente deciso. Le serviva quella convinzione che aveva dovuto trovare la prima volta, la prima notte… ma l'aveva trovata, alla fine.
Perciò quella sera era lì, di fronte alla casa. Riconosceva la porta a cui aveva appeso il regalo di compleanno ed istintivamente si guardò il polso. Le avevano tolto tutto, al momento dell'incarcerazione, ma appena uscita si era tolta un laccio di una scarpa e se l'era legato al polso; si era sentita subito meglio, tanto che aveva quasi pianto.
Scavalcò il cancello e si fece largo nel giardino della villa: non percepiva nessun rumore, il cane non abbaiava neanche, e la casa sembrava deserta, inabitata. Aprì la porta con i suoi attrezzi del mestiere, sgattaiolò al suo interno ed i suoi timori presero forma. Il mobilio era scomparso quasi del tutto, a terra vivevano bestie che Flare aveva sempre schifato, tra cui scarafaggi e blatte, senza contare la polvere che svolazzava libera e felice per tutta la sala da pranzo ed il soggiorno. Impossibile che la ragazza vivesse ancora in quel posto, soprattutto se la madre fosse stata ancora viva. Probabilmente si erano trasferiti. Ma dove?
Sbuffò sonoramente, passando una mano tra i capelli lisci. Comunque decise di andare avanti, percorrere quel corridoio che vedeva quasi ogni sera prima di andare a dormire e varcò la soglia della stanza da letto. Lo scenario era simile alle stanze passate. I muri erano diventati più scuri, c'era una puzza di chiuso quasi insopportabile, ma gli occhi vigili e attenti della rossa notarono qualcosa sul letto. Era l'unica cosa ordinata che c'era in quella casa, era fatto con delle lenzuola celesti molto chiare. Sul cuscino era poggiata una busta sigillata, con sopra scritto… il suo nome. Flare per un attimo non prese un colpo. Per un secondo tornò la ragazzina dodicenne, quella spaurita e confusa che si era ritrovata di fronte ad una ragazzina più piccola e sola; tornò a quelle emozioni e quelle sensazioni, quella curiosità che l'aveva spinta a fidarsi, a dirle il suo nome.
Afferrò quella busta, la ficcò malamente nella tasca della giacca ed uscì da quel posto. Le mancava l'aria. Non si sarebbe mai aspettata di reagire in quel modo, la costrinse a correre letteralmente fuori e a fermarsi solo sotto ad un lampione lontano da quella villa.
Alzò lo sguardo sulla luna. Stava lì, silenziosa, si faceva coprire di tanto in tanto dalle nuvole, piena e bianca come solo lei sapeva essere, rassicurante. Flare aveva guardato la luna una serie innumerevole di volte, in riformatorio era una delle poche cose che le davano un po' di tranquillità e pace interiore. La facevano sentire la ragazzina che era e non il mostro che era diventata.
Si sedette a terra, sul freddo ciottolato sotto al lampione giallo e strappò delicatamente l'apertura della lettera con le dita tremanti. Il cuore le galoppava nel petto come un cavallo imbizzarrito, le gambe le fremevano tanto che avrebbe rischiato di cadere se fosse rimasta in piedi. Ancora uno sguardo alla luna, la salutò e strinse le mascelle.
Il foglio ingiallito era datato poco più di un anno prima: era rimasta lì per trecentosessantacinque giorni, stentava a crederlo.


Cara Flare… aspetta, posso chiamarti cara? Non lo so, è che mi piace così tanto scrivere lettere che ho pensato di scriverne una anche a te.
Ho sentito che sei in carcere, l'ho scoperto qualche mese fa solo… pensavo di venirti a trovare, ma poi ho pensato che forse non sarebbe stato il caso, per una come me. Non so neanche il tuo cognome, sai? Perché non mi hai mai detto il tuo cognome? Ci penso spesso, e penso che probabilmente saresti dovuta venire a trovare me piuttosto che fare quella cosa, alla fine era il giorno dopo, no?
Ma comunque, perché ti sto scrivendo? La mamma è morta, poco dopo il mio compleanno (grazie per il braccialetto, a proposito!!!!!!!) e papà ha iniziato a fare cose strane… insomma, per farla breve, tra un sacco di balle ci siamo trasferiti ed io ho preso un alloggio vicino al campus. Lui mi sta aiutando davvero poco con l'affitto, infatti spero di trovare una coinquilina al più presto! Ho imparato a fare un sacco di cose da sola, tra cui lavarmi i vestiti e farmi da mangiare (non è colpa mia, non sono mai stata abituata a fare queste cose!!!). Studio giornalismo, così almeno sfogo la mia voglia di scrivere… ma va beh! Sono cose di poco conto, e poi te le dirò io stessa quando tornerai. Perché tornerai, no? Sei l'unica persona che non mi ha ancora fatto del male, vorrei cercare di approfondire questa cosa.
Spero tu legga questa lettera… è così assurdo, vero? Alla fine noi non ci conosciamo così bene, siamo fondamentalmente due estranee… ma ti ho pensata tanto, da quando non sei più venuta a trovarmi. Avevo paura di averti spaventata in qualche modo, che non ti avrei più rivista… e quindi spero davvero che tu torni in questa casa vecchia e decrepita, trovi questa lettera e venga a casa mia. Non so se tu… insomma… provi lo stesso. Ma io vorrei tanto conoscerti meglio, quindi… ti aspetto. Vieni a trovarmi, per favore.
Lucy.

P.s. ho letto Cime Tempestose di recente, e col personaggio di Heathcliff ho pensato immediatamente a te. Avete la stessa aura di indipendenza, di passione sfrenata e di pazzia, forse, e quell'essere poco più che selvaggi che mi ha sempre affascinato. Siete liberi e questo ve lo invidio profondamente. Inutile dire, comunque, che Heathcliff è diventato il mio personaggio preferito del romanzo. Quando vieni te lo presto, se vuoi.
Di nuovo, Lucy.”


Flare aveva gli occhi sgranati, le guance rosse, la testa che frullava. Voltò freneticamente il foglio e trovò l'indirizzo, con uno smile alla fine. Non ci mise troppo a scattare in piedi ed iniziare a correre quanto più veloce riuscisse, tanto che rischiò anche di inciampare nel ciottolato dell'asfalto. Quando arrivò nelle vicinanze del campus inchiodò di scatto.
Era sicura che stesse facendo la cosa giusta? Aveva qualche diritto di piombare nella casa di Lucy? Scombussolare la sua esistenza, sconvolgerla e riorganizzarla a suo piacimento? No, nessun diritto. Avrebbe voluto spiegare perché era finita nei guai, ma… come l'avrebbe presa a vederla così fuori di testa?
Ha gli occhi da pazza.
Non voleva che anche lei pensasse quella cosa, che fosse come tutti gli altri, che si terrorizzasse. Pensò che probabilmente era il caso di darle solo una piccola soddisfazione, di farle vedere che c'era e basta. Avrebbe dovuto convincersi ancora e ancora per farsi vedere… ma doveva farle avere sue notizie, per quanto piccole e strane, forse.
Strinse la lettera nella mano, poi prese un profondo respiro e si avviò lentamente verso la casa indicata dall'indirizzo. Passo dopo passo, la distanza si accorciava sempre di più, e lei iniziava a perdere quell'andatura ciondolante che aveva acquisito in riformatorio. L'influenza di Lucy le faceva bene, evidentemente…
Si avvicinò ad una casetta modesta, mattoni a vista rosso scuro, tetto spiovente, finestre grandi e spaziose. Ricontrollò l'indirizzo e si convinse di essere nel posto giusto. Con i suoi fedeli attrezzi, scassinò delicatamente la finestra che dava sul salotto ed entrò, attutendo il salto a terra con la giacca, che aveva lanciato dentro prima. La recuperò, la legò alla vita abbastanza stretta e accese la piccola torcia che teneva in tasca. C'erano due porte alla sua destra, mentre una alla sua sinistra. Logicamente pensò di andare verso destra: probabilmente la camera di Lucy era una di quelle, difficilmente le stanze da letto erano in due parti distinte della casa. Aprì piano la prima, si infilò dentro e puntò la luce alla testata del letto. Stanza sbagliata; a meno che Lucy non si fosse tinta i capelli di blu, non poteva essere lei. Uscì in fretta e furia, sentendo un miagolio sommesso appena si chiuse la porta alle spalle. Si diresse verso l'altra, praticamente sicura che fosse quella giusta.
Ed infatti era così. Il cuore le scoppiò nel petto non appena riconobbe i capelli biondi e il viso dolcemente addormentato. Lucy.
Si trattenne dallo svegliarla con la mano sulla fronte, voleva solo lasciarle un saluto. Posò la lettera sulla scrivania dall'altra parte della camera e scrisse velocemente un bigliettino approfittando delle penne sparpagliate ed un bloc notes in un angolo.
Le sorrise debolmente, strinse i pugni ed uscì dalla finestra, nella speranza che si rendesse conto molto in fretta della sua visita.

*****

Una settimana dopo, Flare aveva deciso di presentarsi all'appuntamento. Aveva passato quei sette giorni picchiando gente per strada e a convincersi di aver fatto la cosa giusta. Non si erano mai viste alla luce del sole e questo la terrorizzava in modo viscerale. Chissà perché, poi. Non aveva mai capito il motivo del suo attaccamento così morboso nei suoi confronti, iniziava a rifletterci in cella e poi si perdeva in altre cose, o le veniva un mal di testa tanto forte da farle pregare di addormentarsi in fretta.
Avrebbe dovuto impegnarsi nel non ciondolare, comunque. Si rendeva conto di essere inquietante al punto giusto con quell'andatura, e non si faceva alcuno scrupolo quando doveva darsi da fare per portare qualcosa di utilizzabile a casa. I suoi fratelli più grandi, quelli che erano riusciti a scampare al carcere innumerevoli volte, l'avevano designata nei vicoli a prendere la “roba” che poi avrebbe dovuto rivendere. Guai che anche lei toccasse quella roba per sé, le avevano quasi rotto un braccio per quanto gliel'avevano storto avendo solo il sospetto che si fosse tenuta qualcosa.
˗ Flare?
La rossa si voltò di scatto, staccandosi automaticamente dalla staccionata a cui era appoggiata. Vide Lucy sotto una luce completamente diversa. Si corresse quasi subito: la vide sotto la luce, finalmente. Non aveva mai visto il colore dei suoi occhi, e adesso riusciva a notarne quasi ogni sfumatura castana, tra il nocciola ed il cioccolato fondente, ed i capelli erano di un biondo talmente luminoso che parevano riflettere la luce del sole. Le venne in mente un campo di grano maturo.
˗ Bionda.
Lucy si avvicinò trotterellando. ˗ Bionda?
˗ Non lo sei?
La giovane Heartphilia scosse piano la testa, poi si aprì in un enorme sorriso. ˗ Sono contenta che tu sia qui; ˗ frugò per qualche secondo nella borsa, poi ne tirò fuori un libro un po' consumato dalla copertina spessa. Lo porse a Flare con un gran sorriso.
La rossa lo afferrò in silenzio ed annuì, leggendo di sfuggita il titolo “Cime Tempestose”. Se n'era ricordata, allora.
˗ Ti ho dato l'appuntamento io, quindi sarebbe stato strano.
˗ Era un modo di dire, Flare.
Il suo nome pronunciato con quel tono le fece tremare le viscere nel corpo. Si costrinse a fermare la testa, che andava un po' a destra e un po' a sinistra. ˗ Come stai?
˗ Bene, grazie! Sto studiando giornalismo! Vorrei diventare una scrittrice, ma non esiste un corso di quel genere, purtroppo, e mi arrangio con quello. Tu studi? ˗ Flare scosse la testa ˗ E come mai? Oh… ˗ fece una pausa, arrossendo violentemente. Si mise a posto una ciocca di capelli dietro l'orecchio e sorrise colpevole; ˗ scusa, non volevo essere insensibile. Ti va bene se parliamo di questo argomento? Mi pare che a te non piaccia molto parlare.
˗ Non sono loquace e non ho molto da dire.
Lucy sorrise e lo stomaco di Flare sfarfallò. Non riusciva a ricordare da quanto tempo qualcuno non le sorridesse in quel modo così dolce e affettuoso. Aveva paura di rovinarla, di farle perdere quel carattere così socievole e solare. Istintivamente si allontanò di un passo, infilandosi le mani nelle tasche degli shorts e fissandosi gli anfibi ai piedi.
˗ A me interessa sapere qualcosa di te.
˗ Chi era quell'altra in casa tua? ˗ la rossa strinse gli occhi, capendo di aver fatto una mossa falsa. Un breve sguardo alla sua accompagnatrice e la consapevolezza che lei l'aveva capito fu schiacciante.
˗ Sei gelosa?
˗ Solo curiosa.
La bionda sogghignò malignamente, poi la raggiunse e la prese sotto braccio, stringendola a sé in modo che non potesse più allontanarsi. ˗ Si chiama Levy, è la mia coinquilina. Studiamo insieme, frequenta alcuni corsi della mia università… ˗ fece una pausa carica di significato, appoggiò la testa sulla spalla di Flare e vi si strusciò ˗ non ti preoccupare, tu sei sempre speciale per me.
˗ Dici cose imbarazzanti.
˗ È divertente, non credi? ˗ ridacchiò a bassa voce; ˗ Comunque potresti venire anche tu, nella mia università. Così potremmo stare un po' più insieme, potremmo conoscerci meglio.
˗ Non è il caso.
˗ Non sai leggere?
˗ Certo che so leggere!
˗ E allora qual è il problema, non è una università vera e propria… e se vuoi un diploma posso aiutarti io, sai? Ci sono dei corsi di un anno in cui recuperi tutto quanto!
˗ Non lo farò, fine della storia. ˗ ringhiò la rossa, irrigidendosi leggermente. Studiare, lei? Fare la brava ragazza? No, non ne era portata. Non aveva memoria che si fosse mai comportata come una “brava ragazza”. Andare a scuola, studiare, magari diplomarsi ed innamorarsi di qualcuno… erano cose assurde per lei, faceva fatica anche solo a pensarle, ad immaginarsi nei panni di una donna in carriera, con un lavoro, dei figli, un marito…
˗ Mhm… va bene, non insisterò oltre. Ma potresti venire alla festa per le matricole di quest'anno, è una festa in maschera… il tema è “personaggi dei romanzi”, puoi travestirti da chi vuoi, io non ho ancora scelto, ma penso opterò per Dracula, di Bram Stocker. Beh, non proprio lui, magari il dottor Van Helsing versione donna o Mina Murray.
˗ Non credo verrò.
˗ Io ti dico comunque quand'è… tra un mese, ci si trova tutti davanti l'entrata dell'università e si va insieme nell'auditorium, sarà lì la festa, alle diciotto.
˗ Sono sicura che non verrò. ˗ rettificò, rabbrividendo. Già non aveva idea di come facesse a sopportare la presenza così genuina e salutare di Lucy, figurarsi sopportare altre centinaia di persone come lei, allegre e solari. Le veniva il volta stomaco solo a pensarci.
˗ Peccato… ma ci vedremo di nuovo, vero?
Si fermarono in mezzo alla strada pedonale, la ragazza dai capelli biondi prese Flare per le spalle e la fissò negli occhi. Per qualche oscuro motivo, Flare tremò a quel contatto e si perse nei suoi occhioni scuri. no. No, non poteva farlo, non poteva distruggerla così, non poteva continuare a vederla e trascinarla nella sua oscurità, in una disperazione profonda ed abissale. ˗ Sì ˗ rispose comunque, ignorando quella sensazione opprimente.
˗ Bene! ˗ Lucy trillò come una campanella, saltò sul posto e le stampò un bacio sulla guancia, per poi abbracciarla forte, ˗ Adesso devo andare, però! Domani pomeriggio? Sempre quest'ora?
Flare non poté far altro che annuire debolmente; l'unico pensiero sensato che le attraversava il cervello fu che lei l'aveva baciata.

*****

˗Perché stai seguendo quella ragazza?
Flare saltò sul posto sentendo improvvisamente la voce del patrigno alle sue spalle.
˗ Kurohebi dice che la segui da quando sei uscita dal riformatorio.
La ragazza lo corresse mentalmente, pensando che la seguiva da un mese dopo la sua scarcerazione, ma dirlo ad alta voce significava prendersi un ceffone come minimo, e non ne aveva proprio voglia. E non solo la seguiva, oltretutto, ci usciva insieme, si divertivano, si erano anche tenute per mano una volta. Scrollò le spalle, invece: ˗ voglio derubarla. Penso sia una ragazza ricca.
˗ Non sai chi è?
˗ No. Tu sì?
˗ Lucy Heartphilia! Suo padre possiede una fortuna immensa, perciò muoviti.
Lei grugnì in risposta ed annuì. Certo che sapeva chi fosse e la cosa la interessava assolutamente in modo nullo. Sarebbe potuta essere una regina od una sguattera, per lei Lucy era Lucy e basta, non serviva altro.
Però, ora che aveva detto a suo “padre” di volerla derubare, avrebbe dovuto fare qualcosa o l'avrebbero sicuramente presa di mira gli altri suoi fratello, e ciò non doveva succedere.
˗ La tua fidanzatina è molto ricca, lo sai?
˗ Non è la mia fidanzatina.
Kurohebi sgranò gli occhi neri ed un sorriso maligno le inarcò le labbra sottili: ˗ No? E allora cosa aspetti, un invito scritto?
˗ Perché non ti fai i cazzi tuoi? ˗ si morse la lingua: una mossa sbagliata; per quanto viscido e odioso, lui era un fratello maggiore e aveva qualsiasi diritto nei suoi confronti. Senza contare che aveva un'intelligenza sopraffina nel creare situazioni dolorose.
˗ A te piace! Che cosa divertente, ˗ ridacchiò in un modo ributtante, ˗ ma faresti meglio a togliertela dalla testa, lei non fa per te.
˗ Fottiti.
˗ Datti da fare, sorellina… o dovremmo muoverci noi.
Kurohebi uscì dalla cameretta e Flare poté finalmente rabbrividire: quel “sorellina” era stato talmente fastidioso da averla scossa. Spasmi gelidi le si insinuavano sotto la pelle e la facevano tremare. Era rabbia, ma anche paura, disprezzo, odio. Doveva fare qualcosa per salvare Lucy, perciò era il momento di agire.
Quella sera sgusciò fuori di casa, sicura di essere stata silenziosa e furtiva, e si avviò per la strada verso casa di Lucy, le mani ficcate nelle tasche dei jeans strappati. Cos'avrebbe fatto? Come si sarebbe dovuta comportare quando avrebbe visto Lucy? Avrebbe dovuto dirle tutto? O fare finta? O dirle che l'ha sempre presa in giro? Maledizione, perché non le era stata lontana fin dall'inizio?
˗ Flare, che piacere vederti.
Oh no…
Flare strabuzzò gli occhi ed un improvviso conato di vomito le strinse la gola. La testa iniziò a girare e dubitò seriamente di star vedendo quello che stava vedendo.
Nullpudding, suo fratello maggiore, stava di fronte a Lucy, mentre Kurohebi e un altro tizio che non aveva mai visto la tenevano immobilizzata per le braccia.
˗ Cosa ci fate qui? ˗ boccheggiava, l'ossigeno pareva essere evaporato tutto in un secondo ed il cuore le batteva all'impazzata.
˗ Ti avevo detto di muoverti, ricordi? ˗ Kurohebi fece un sorriso agghiacciante.
˗ L'hai detto solo questa mattina!
˗ Oh… mi sarò sbagliato, allora, ˗ un altro sorriso da far accapponare la pelle, ˗ che ne dici di giocare con noi? Tanto lo sappiamo tutti che lei non ti piace davvero.
˗ No…
˗ Volevi solo avvicinarti il più possibile per tradirla al momento giusto, no?
˗ No! ˗ le pareva di aver urlato con tutto il fiato che aveva nei polmoni, ma le uscì dalle labbra poco più di un sussurro.
˗ Non ti devi preoccupare, sorellina, siamo qui solo per aiutarti.
Flare si avvicinò a Lucy ondeggiando come suo solito, gli occhi spalancati dal terrore e dalla vergogna, provò a toccarla ma la bionda si scostò con violenza.
˗ Credevo che fossimo amiche, ˗ ringhiò, evidentemente trattenendo le lacrime, ˗ ma mi sbagliavo.
˗ No, non è così, io non volevo…
˗ Cosa non volevi, Flare?
Nullpudding inclinò la testa di lato. Era più basso di tutti loro, ma la sua aura di negatività compensava quella differenza fin troppo bene.
˗ Dovresti essere fedele a noi, ai tuoi adorabili fratellini, non ad una ricca stronza come lei.
Senza dire altro, Nullpudding la colpì con un pugno nello stomaco, che le fece cedere le ginocchia. Flare la osservava impotente: l'unica ragazza a cui si fosse mai affezionata davvero stava venendo derubata e pestata dai suoi fratelli adottivi e non era riuscita a fermarli, a proteggerla. Neanche lei.
Sei un disastro, Flare. Ti conviene lasciare perdere le persone buone, le distruggi.
˗ Prendete quello che volete ed andatevene ˗ Lucy tossì e strinse gli occhi per il dolore, ma quella frase fu detta con una carica d'odio che per un secondo rimasero tutti in silenzio.
˗ Non sei come lei, Flare, cerca di capirlo ˗ Kurohebi strinse la presa sul polso della bionda e glielo storse dietro alla schiena, facendola inginocchiare definitivamente. Tirò ancora finché non riuscì a strapparle un gemito di dolore. Sogghignò, la spinse a terra e lei sbatté il viso contro l'asfalto.
˗ Lucy…
˗ Andiamo.
Nullpudding diede l'ordine e gli altri due si allontanarono, lasciando Flare l'unica testimone di quella violenza.
˗ Mi dispiace… non volevo che succedesse questo… ˗ fece per chinarsi e darle una mano ma Lucy la schiaffeggiò.
˗ Hai fatto abbastanza, mi sembra. Vattene.
 
*****

Flare ormai era conosciuta in tutta la città come “la pazza rossa”, colei che poteva dare quello che si voleva in qualsiasi forma ed a qualsiasi prezzo. Era sempre vestita di rosso, gli occhi erano perennemente stralunati e ciondolava come se il corpo formoso non avesse un baricentro preciso.
L'esperienza con Lucy le aveva chiarito le idee sulla sua vita, tanto da aver trovato il coraggio di denunciare il suo patrigno ed i suoi fratellastri alla giustizia, assicurandosi che rimanessero in carcere a vita. Non avrebbe resistito un altro giorno in quella casa, con quelle persone che la picchiavano e le facevano il lavaggio del cervello. Avrebbe tranquillamente potuto inscenare una rapina finita male, avrebbe potuto spararsi un colpo alla gamba e uccidere tutti gli altri, i fratellastri ed il patrigno, ma voleva loro bene, nonostante tutto. Avrebbero continuato a vivere, in carcere, e non avrebbero più dovuto avere nulla a che fare con lei, era stata chiara e lapidaria con la polizia. O così o niente, nessuna alternativa diversa sarebbe stata accettata.
Lei faceva quello che doveva fare per sopravvivere, per tirare avanti. D'altronde il cambiamento era stato così veloce che per poter vivere da sola e senza sussidi non poteva avere entrate legali. Insomma, era quanto di più vicino ad un informatore potesse essere, pur continuando a vendere.
La sua tutrice provvisoria, quella che si sarebbe dovuta prendere cura di lei fino al compimento dei ventun anni, non si interessava minimamente alla vita che faceva. Probabilmente era stata buttata lì per qualche errore, cosa c'era di meglio di una ragazza spacciatrice e problematica per farla pagare ad una donna? Niente, ecco.
E senza accorgersene, era arrivata la serata della festa di cui le aveva parlato Lucy. Si era ritrovata spesso e volentieri nella zona, con buste pronte per essere consegnate a ragazzi come lei, ma non aveva mai avuto l'occasione, o il coraggio, di rivolgerle la parola. L'aveva vista vagare con il suo solito sorriso stampato in volto e sempre la ragazzina dai capelli blu attaccata al suo braccio. Era meglio così, in ogni caso. Lei non sarebbe mai potuta andare bene per Lucy Heartphilia. La pazza rossa doveva stare lontana dai ragazzi per bene dell'università, a meno che non volessero della roba. In quel caso avrebbe saputo come muoversi.
Ma allora per quale motivo si stava sistemando il cravattino attorno al collo? Perché aveva deciso di andare, ecco il motivo. Aveva deciso di travestirsi da Dracula (aveva fatto ricerche e aveva visto i film, aveva più o meno interpretato lo stile di quel vampiro) con una camicia bianca, cravattino bianco, smoking ed un cappello a cilindro grigio cenere. Afferrò una maschera nera, se la mise sugli occhi ed afferrò il bastone da passeggio, da vero gentiluomo. Aveva capito subito che quello sarebbe stato il travestimento migliore per una come lei, una che succhiava la vita delle persone attraverso la vendita illegale di droghe. Poteva dirsi una interpretazione piuttosto libera del personaggio, insomma. Sperava solo di riconoscere la ragazza in mezzo alle matricole di giornalismo.
Percorse il tragitto da casa sua all'università quasi zoppicando, con la sua andatura ciondolante, probabilmente era una manovra inconscia per cercare di farla arrivare in ritardo, ma lei si costrinse ad andare avanti. Dopotutto non era una studentessa, non serviva che fosse puntuale. Ebbene, qual era allora la maledetta motivazione che la faceva dondolare a quel modo? Chi voleva intimidire? Se stessa? I passanti? I lampioni? Non c'era nessuno da intimidire, nessuno da spaventare, nessuno a cui dovesse far tremare il sangue nelle vene. Perché?
Perché serviva a lei, le serviva per farsi coraggio, per non perdere la sua convinzione. La pazza rossa non avrebbe avuto problemi ad arrivare ad una festa non sua, a cercare una ragazza e a chiederle scusa. Avrebbe voluto non spaventarla, in ogni caso, ma aveva la sensazione che sarebbe stato inevitabile. Comunque, per prima cosa sarebbe dovuta arrivare, poi ci avrebbe pensato.
Quando si trovò di fronte all'entrata dell'auditorium prese dei profondi respiri. Era inutile essere così nervosa, aveva solo una cosa da fare: chiederle scusa. Poi avrebbe tolto il disturbo.
Aprì le porte trovandosi in un'enorme sala addobbata a festa, con palloncini, strobosfera appesa al soffitto e un palco in fondo per chi volesse esibirsi. Fece qualche passo in avanti, dondolando leggermente la testa. Si immobilizzò sul posto. Non serviva che avesse quell'atteggiamento, in quel frangente non era più la pazza rossa ma Dracula. Non voleva essere riconosciuta, avrebbe solo creato problemi.
Le persone nella sala ballavano, ridevano, scherzavano, un gruppetto stava anche litigando animatamente: di Lucy nessuna traccia. Si infiltrò sempre di più in quel mare di persone normali ed il suo ciondolare crebbe quasi in modo proporzionale, diventando praticamente violento.
Neanche fosse stata una scena di un film, Flare si voltò di scatto a causa di uno spintone, probabilmente involontario, e si imbatté in una splendida dama dell'ottocento con un principesco vestito rosa, grandi occhi scuri ed una chioma bionda e luminosa. Nessuna maschera, era lei.
˗ Lucy… ˗ mormorò, il respiro mozzato. Le sue intenzioni di far capire chi comandava a chiunque l'avesse spinta erano morte non appena si era immersa nei suoi occhi e l'aveva riconosciuta. La pazza rossa non poteva esistere di fronte a Lucy e questo la confortava sotto un certo punto di vista.
˗ Hai detto qualcosa?
Flare scosse la testa violentemente, fece un sorriso, ma non riuscì a staccarle gli occhi di dosso. Le porse la mano, invitandola tacitamente a ballare con lei. Magari così avrebbe trovato il coraggio di dirle quello che doveva.
˗ Chi sei? ˗ Lucy le prese la mano e si fece condurre docilmente in mezzo alla folla di persone.
˗ Non ti ho mai vista da queste parte, cosa studi? ˗ provò ad insistere, ma non ricevette alcuna risposta.
˗ Non studio. Mi hai invitata tu, Mina ˗ sussurrò.
La ragazza davanti a sé sbatté un paio di volte le palpebre e appena metabolizzò quella frase, sbiancò, terrorizzata ˗ Tu… ˗ cercò di staccarsi e di allontanarsi, ma inciampò nell'orlo del vestito e Flare la tenne su afferrandola al volo prima che cadesse.
˗ Voglio solo parlarti, lo prometto.
˗ Come se le tue promesse potessero valere qualcosa.
˗ Hai ragione. Voglio solo dirti una cosa, poi me ne andrò dalla tua vita.
Lucy sembrò pensarci un po', poi sbuffò, incrociò le braccia al petto e acconsentì con un cenno: ˗ Ma non qui. Seguimi.
Silenziosamente, senza occhi indiscreti addosso, sgusciarono fuori dall'auditorium e si sedettero sulla scalinata, a debita distanza l'una dall'altra. Rimasero in silenzio per un bel po', studiandosi come se dovessero attaccarsi da un momento all'altro.
˗ Cosa dovevi dirmi? Non fraintendermi, non che mi interessi, ma un dialogo non si nega a nessuno. Flare fece una piccola smorfia. Dopotutto aveva ragione a trattarla con quella freddezza. ˗ Anzi, parlo io, se non ti spiace. Mi sono sentita tradita ed umiliata, tu sapevi tutto e non hai fatto nulla, anzi, eri anche d'accordo con loro!
˗ Se fosse possibile azzerare questa vita piena di errori e ripartire da capo, io comincerei dalla notte in cui ci siamo conosciute, ˗ affermò Flare, interrompendola. Si tolse la maschera e la guardò negli occhi, stringendo i pugni sulle ginocchia, ˗ sei l'unica cosa del mio passato che non voglio cancellare. L'unica cosa che non posso considerare uno sbaglio è stata venire nella tua casa e conoscere quella bambina di nove anni.
Lucy rimase in silenzio, avvampando: ˗ Dici cose imbarazzanti.
˗ Per la prima volta è la verità. Tornerei indietro e quella sera sarei venuta da te, piuttosto che andare coi miei fratelli, io so che tu saresti stata un'ottima amica. Vorrei tornare a quella sera, stare di più, dirti di più, e forse non sarei qui, adesso, a chiederti scusa. Ma ho rovinato tutto, e non posso cambiarlo, ma ti chiedo di…
˗ Perdonarti?
˗ No, sarebbe troppo. Di capire, forse. O di accettare le mie scuse… ˗ si alzò in piedi, si asciugò la lacrima solitaria che le stava solcando il viso e si voltò verso di lei, nell'imbarazzo più totale, ˗ spero di non averti rovinato la festa, ma dovevo farlo per poter andare avanti.
Fece un piccolo inchino, poi si direzionò verso la fine delle scalinate e iniziò a scenderle, piano, col bastone da passeggio che ticchettava ad ogni passo, andando un po' di qua ed un po' di là con i fianchi prosperosi e con la testa.
˗ Flare! ˗ si girò e fece appena in tempo ad allargare le braccia che Lucy le si era lanciata addosso, abbracciandola più stretta che poteva; ˗ Non te ne andare. Non puoi pretendere che ti perdoni solo per queste belle parole, no?
˗ Mi vuoi perdonare? ˗ Flare era stranita, stralunata. Per una manciata di secondi le tornarono gli occhi da pazza, ma per una ragione molto più tenera.
˗ Beh, ci devi lavorare su. Intanto devi venire a vivere da me. Devi trovarti un lavoro. E devi promettermi che uscirai dal giro.
Flare ridacchiò, ˗ Come fai a pensare che smetterò di fare quello che faccio, biondina?
˗ Te lo chiedo io, non basta? Hai detto che vorresti tornare indietro, lo possiamo fare.
˗ Perché ti fidi di me?
˗ Per lo stesso motivo per cui sei qui.
Entrambe arrossirono, ma nessuna delle due riuscì a vedersi, ognuna appoggiata alla spalla dell'altra.
˗ Mi dispiace… mi dispiace davvero, sarò la tua ombra, ti proteggerò, nessuno ti farà mai più del male.
˗ Lo so… lo so, ti credo ˗ Lucy alzò il viso e le sorrise in quel modo così dolce che a Flare sembrò davvero di essere tornata indietro di cinque anni, a quando era entrata per la prima volta nella villa e l'aveva scoperta così.
Senza pensarci due volte le stampò un bacio sulle labbra. Era la cosa più normale del mondo, perché non avrebbe dovuto farlo? Si staccò ed arrossì violentemente, diventando dello stesso colore dei suoi capelli, legati e nascosti nel cappello a cilindro per l'occasione. ˗ Mi dispiace! Non so che mi è preso, scusami, non dovevo, mi sento così stupida e… perché stai ridendo??
˗ Perché sei divertente. E questa è la strada giusta.
Le fece l'occhiolino e la trascinò di nuovo dentro all'auditorium, stringendole forte la mano.
Flare di sicuro non sapeva che cosa fosse successo, non aveva capito niente, sapeva solo che il suo desiderio di poter tornare indietro e riparare ai propri errori era stato esaudito. Avrebbe dovuto lavorare molto per riacquistare la fiducia della sua biondina, ma era sicura che ce l'avrebbe fatta: l'avrebbe protetta, sarebbe stato il suo scudo e la sua spada. Dopotutto, sarebbe stato ciò che Dracula era per la sua Mina Murray, un amante fedele e pericoloso per chiunque si avvicinasse troppo.
 
I know what's best for me
But I want you instead
 



Sophie's space___
Ciao! *schiva pomodoro appena prima che le si spiaccichi in fronte*
Non approverete, lo so, ma è una Crack Pairing così curiosa per me! Mi sono divertita da matti a scriverla (nalu lovers, vi chiedo perd- no, non vi chiedo perdono o.o) e spero che piaccia anche a voi, open-minded peope ^^ passiamo a poche ma doverose precisazioni!
- Il titolo è preso da una canzone dei Three Days Grace, appunto “Over & Over”. Parla delle scelte sbagliate, soprattutto in amore, quando qualcuno è perfettamente consapevole di stare facendo la cosa sbagliata, di star scegliendo la persona sbagliata, ma è quello che vuole e non può fare altrimenti.
- Si parla di due dei miei romanzi classici preferiti, Cime Tempestose di Emily Brontë e Dracula di Bram Stocker. Quando nei prompt mi sono ritrovata “vampiro” il mio cuore si è infiammato, e non potevo non creare un collegamento, un po' stiracchiato, tra questi due romanzi. Abbiate pietà di me xD
- La pena inflitta a Flare è di cinque anni, ho fatto una breve ricerca e ho visto che il riformatorio è fino ai ventun'anni, e invece la pena per rapina a mano armata va dai 4 ai 10 anni di reclusione, con annessa multa da 500 a 2000 euro (ricerca fatta su internet, per cui non so se sia totalmente attendibile o meno)
- Ho la pessima abitudine di dare come nomi delle parole tradotte in altre lingue, in questo caso “Savina” significa “morte” in Kannada (mi rimetto alle info di Google Translate, non ho idea di dove si parli questa lingua o se effettivamente esista)
- In questo universo Flare è un'orfana e il padre affidatario è, ovviamente Ivan Dreyer, mentre i fratellastri sono gli altri componenti di Raven Tail.
- Lucy è buona. Per come la vedo io e per come l'ho sempre intesa, Lucy è una ragazza che è sempre stata disponibile a perdonare e a dialogare, nonostante gli svariati torti subiti, purchè la persona sia davvero pentita e contrita. Per questo motivo, la mia Lucy si comporta in questo modo, spero di non averla resa OOC xD
- Per concludere, questa storia mi è stata ispirata involontariamente da una bellissima shot scritta da TheComet13, I knew you were trouble. Se passate per le originali e siete maggiorenni (è rossa, so sorry), vi consiglio di leggerla perché per me è stata illuminante!
E detto questo... spero vi piaccia! =D
  
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