Premessa. Questa storia è stata scritta per il Drabble Weekend del periodo 22-24 maggio indetto dal gruppo
We are Out for Prompts
con il prompt “Johanna/figlioletto
di Annie & Finnick - "Come avete fatto tu e papà a conoscervi,
zietta?" lasciatomi da Pevensie. La storia partecipa anche alla challenge “Il banco
dei prompt” di Eireen_23 con il prompt “Memoria” e alla challenge
“Ready, set, prompt!” indetta dal gruppo Facebook The Capitol con il prompt “Un saluto per le telecamere”.
(Finnick) Sebastian Odair è il
figlio di Annie e Finnick e Johanna è la sua madrina.
Un saluto per le telecamere.
Il mare
scivolava irrequieto fino a riva, mescolandosi ai castelli di sabbia
abbandonati di fronte a loro.
Sebastian
sedeva a debita distanza dall’acqua: sapeva bene di dover scendere a
compromessi, per convincere la sua madrina ad accompagnarlo in spiaggia.
Johanna,
infatti, detestava l’acqua in ogni sua forma. Detestava avvicinarsi troppo alla
riva e non si faceva problemi a imprecare contro i ragazzini che schizzavano o
le davano una bella innaffiata mentre correvano verso i genitori, ancora
fradici di acqua di mare.
Durante i
pomeriggi trascorsi assieme alla donna, Sebastian divideva il tempo in due: la
prima parte di pomeriggio la trascorreva facendo il bagno e facendo a gara con
le onde per vedere chi correva più veloce. La seconda, preferiva invece
passarla seduto sulla spiaggia di fianco alla sua madrina. Insieme, osservavano
gli altri ragazzini che giocavano assieme ai genitori o ai fratelli, o gli
adolescenti che si sfidavano a gare di surf.
Spesso,
Sebastian azzardava domande di un certo peso, ben sapendo che Johanna gli
avrebbe risposto con nient’altro che la verità, a differenza della maggior
parte degli adulti. Il più delle volte, di fronte a quegli interrogativi, la
donna sbuffava o alzava gli occhi al cielo – o tutte e due le cose assieme – e
borbottava fra sé, lamentando il suo essere così impiccione. Tuttavia, prima o
poi, finiva sempre per rispondergli. Faceva finta di fare l’antipatica,
Johanna, ma il bambino sapeva benissimo che la madrina era contenta di averlo
intorno. Solo, non le piaceva darlo a vedere.
Quel
pomeriggio, Sebastian si era preparato una nuova domanda importante. Stava
giocando con la sabbia, filtrandola attraverso gli spiragli fra le sue dita,
quando si voltò verso la donna e inclinò il capo verso sinistra, come faceva
spesso quando era sul punto di chiedere qualcosa.
“Come avete
fatto tu e papà a conoscervi, zietta?”
Aggiunse
quello zietta ben sapendo che così
facendo, l’avrebbe irritata. E, difatti, la donna lo freddò con lo sguardo e
incominciò a borbottare, strappando un sorriso divertito al ragazzino.
“Mi chiamo
Johanna, non zietta” puntualizzò, ravvivandosi la cresta di capelli castani,
tagliati alla maschietta. “Non è una storia per bambini” aggiunse poi.
Sebastian
prese a mordicchiarsi un labbro.
“Vorrei
ascoltarla lo stesso” insistette, facendo spallucce. “Sai, la mamma dice che
sembro grande per avere sette anni.”
“Tua madre mi
griderebbe dietro di tutto se venisse a scoprire che te ne ho parlato.”
“Non credo…” rispose
Sebastian, aggrottando pensieroso la sopracciglia. “… La mamma non grida quasi
mai e poi le piace quando le persone mi raccontano di papà.”
La donna sbuffò una
seconda volta; frugò nella sabbia e recuperò un sassolino delle dimensioni di
un polpastrello di Sebastian. Se lo fece rimbalzare un paio di volte nella mano
e infine lo scagliò in direzione del madre.
“E va bene” borbottò,
sdraiandosi sui gomiti. “Sai che cosa sono gli Hunger
Games?”
Lo stava fissando
con intensità, adesso. Il bambino annuì lentamente e il suo sguardo si fece
meno vispo.
“Ce ne hanno parlato
a scuola. Mamma e papà ci hanno partecipato da ragazzini e anche tu” aggiunse,
distogliendo imbarazzato lo sguardo.
Johanna annuì.
“Beh, è per via
degli Hunger Games che conobbi tuo padre” proseguì la
donna dopo un po’. “Accadde durante il mio primo anno in quell’inferno, avevo diciassette
anni. Tuo padre qualcuno di più. Lui era già diventato Mentore, io ero una
novellina.”
“Intendi dire che
eri un tributo?” azzardò il ragazzino, fasciandosi i piedi con le mani.
La donna fece di
nuovo sì con la testa.
“Ero appena
scesa dal treno per raggiungere il palazzo di addestramento, che già mi ero
trovata circondata dai capitolini” proseguì, facendo una smorfia. “Continuavano
a starmi addosso, strillavano manco avessero appena visto qualcosa di
strabiliante, tipo un elefante che volava, e dei tizi non facevano altro che
puntarmi addosso le loro macchinette. ‘Un saluto per le telecamere!’ Mi
dicevano, quasi stessi andando a una sfilata di moda, più che al patibolo. Io,
una ragazzetta dall’aria incazzata e i vestiti che puzzavano perché si moriva
di caldo e sudavo come un ghiacciolo infilato nel forno…”
Sebastian ascoltava
attento, nonostante ogni tanto facesse fatica a seguire il discorso della
donna. Tuttavia, era proprio quello il motivo per cui gli piaceva così tanto
parlare con Johanna. Lei non si rivolgeva al ragazzino come facevano gli altri grandi; gli parlava come avrebbe
parlato a un adulto qualsiasi, del tutto dimentiche dei sette anni del bambino.
“… E
comunque, questi continuavano a chiedermi di sorridere alle telecamere, quando
tutto quello che avrei voluto fare era mostrargli il dito medio ed entrare. Non
lo feci solo perché qualcuno – non so nemmeno chi, forse Blight,
forse Keith[1]
– mi teneva per un braccio. Ma di sorridere non se ne parlava nemmeno. Mi tenni
il mio muso, fregandomene delle occhiatacce dell’accompagnatrice. Fu in quel
momento che arrivò tuo padre…”
Johanna si
interruppe e smise di fissare il mare, per rivolgersi al bambino. Sorrise,
ironia e amarezza a contendersi il suo volto.
“Anche lui e i suoi
del Quattro erano appena scesi dal treno. Solo che, al contrario mio, erano
tutti sorrisi e moine verso quei rincretiniti che ci circondavano. Ricordo di
aver guardato tuo padre dritto negli occhi nella speranza di incenerirlo con la
sola forza dello sguardo.”
Intercettò l’espressione
perplessa del bambino e, con un ghigno, gli diede una gomitata.
“Che hai da
guardarmi così? Tanto non funzionò. Lui non si lasciò turbare dalle occhiatacce
e mi venne incontro bello sorridente. E a quel punto fece una cosa che
probabilmente nessun mentore aveva mai fatto prima…”
Lasciò in sospeso la
frase, beandosi del modo in cui il figlioccio era teso con impazienza verso di
lei, in attesa di sentire il seguito.
“… Mi mise
un braccio sulle spalle come se fossimo vecchi amici e chiese ai tizi con le
telecamere di riprenderci. Incominciò a blaterare qualcosa sul quanto fosse
interessante conoscere di anno in anno gente nuova da ogni parte di Panem,
grazie agli Hunger Games. Finse di apprezzare quella
follia in cui eravamo rinchiusi, per ingraziarsi il pubblico come aveva sempre
fatto. Io lo odiai, in quel momento, Sebastian. Lo odiai, veramente tanto.”
Fissò con intensità
il bambino, che distolse lo sguardo, quasi la donna stesse parlando di lui
piuttosto che del padre.
“Ma poi
Finnick mi sussurrò qualcosa all’orecchio. Mi chiese se avessi voglia di
tornare a casa e se ci fosse una famiglia – genitori, dei fratelli – ad
aspettarmi. Mi disse che se volevo riabbracciarli, se volevo arraffarmi anche
una sola, misera possibilità di riuscire a farlo, allora dovevo sorridere a
quelle dannate telecamere. Dovevo sorridere a quegli invasati sadici dei
capitolini e pure al presidente, che probabilmente mi stava spiando bello
accoccolato come un pascià su qualche poltrona, seduto di fronte a un
televisore. Più tardi, al sicuro nella mia stanza, avrei potuto mandare a quel
paese tutti quegli idioti e perfino lui, ma in quel momento dovevo fare buon
viso a cattivo gioco. Ed io lo feci.”
Si fermò si nuovo,
abbozzando un secondo sorriso. Più nostalgico e triste, rispetto al precedente.
Eppure anche più vero, in un certo senso.
“Mi misi a
sorridere a tutti e a salutare qua e là con il braccio di tuo padre ancora
sulle mie spalle. E bada bene, Sebastian, che io già da allora me ne
infischiavo degli ordini. Tuo padre, però, aveva fatto qualcosa di rischioso
nell’avvicinarsi a una mocciosa di un altro Distretto, per questo mi sentivo in
dovere di ascoltare i suoi consigli. Capii che stava cercando di salvarmi la
vita, lui che non era nemmeno il mio mentore. E forse lo fece.”
Smise di parlare,
distogliendo lo sguardo da Sebastian. Non era più sdraiata a terra, ma si
stringeva le ginocchia al petto, gli occhi concentrati sulle onde più lontane.
“Ed eccoti
accontentato” concluse. “Adesso sai come ho conosciuto tuo padre.”
Il bambino rimase in
silenzio per qualche istante, rimuginando sul racconto della madrina.
“Sono contento…”
azzardò dopo un po’, appoggiando una mano sulla schiena della donna. “… Sono
contento che tu e papà eravate amici. Altrimenti io e la mamma non ti avremmo
mai conosciuto.”
Johanna annuì, ma
continuò a non dire nulla. Il sorriso se ne era andato, portandosi dietro il solito
piglio sarcastico. Adesso la sua espressione era ferma, indecifrabile.
“Jo…”
Sebastian si mise a gambe incrociate e le rivolse un’occhiata esitante. “… È
per via degli Hunger Games che hai paura dell’acqua?”
La donna scosse la
testa.
“No: quella è venuta
dopo.”
Il bambino tentennò
per qualche istante, prima di azzardare una nuova richiesta.
“Che cosa era
successo?”
La donna tornò a
sbuffare e si alzò da terra.
“Questa è ancor meno
una storia per mocciosi” dichiarò secca, spolverandosi le gambe sporche di
sabbia. “Te la racconterò quando saprai
quantomeno allacciarti le scarpe.”
“So già allacciarmi
le scarpe!” replicò il ragazzino, scattando in piedi a sua volta.
Johanna si strinse
nelle spalle.
“Te la racconterò quando
saprai maneggiare un’ascia in maniera decente, allora” concesse, recuperando il
solito ghigno canzonatorio.
Il bambino alzò gli
occhi al cielo.
“Ma questo è sleale!
La mamma non mi fa nemmeno toccare il tridente di papà!” si lamentò.
Il sorriso della
donna si allargò.
“Ma la mamma non verrà
mai a sapere che hai preso in mano un’ascia se tu terrai la bocca chiusa, no?”
Il bambino esitò,
imbarazzato al pensiero di ciò che gli stava suggerendo Johanna: non gli
piaceva mentire a sua madre.
Tuttavia, dopo
qualche secondo, gli scappò da sorridere.
“Sì” mormorò all’improvviso,
prendendo la mano di Johanna. “Sono proprio contento che papà di abbia ‘forse’
salvato la vita, quella volta.”
E, con sua grande
sorpresa, anche la donna ricambiò il suo sorriso.
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Questa storia fa parte della serie “Il Peter Pan
del Distretto 4”, incentrata sulla famiglia Odair.