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Autore: Boris96    28/06/2015    1 recensioni
tutto sembra vorticare intorno a un'idea singola, senza senso, di un insetto stecco in mezzo alla folla di pensieri
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~La verità è che sempre odiato quel tuo modo presuntuoso di guardarmi. Come se sapessi più di me, come se un qualsiasi corpuscolo del tuo sapere fosse un diamante in confronto alla mia montagna di carbone.
In verità avrei dovuto pensare che già fare questi paragoni mi poneva un problema che non avevo mai avuto.
Quando ti sei alzata dal banco ti muovevi come un manichino di legno. Le gambe pesanti, le anche come di legno nella gonna scozzese bianca e nera: non avevi nulla di attraente. Persino il tuo sguardo era buio, opaco, guardavi a terra sfuggendo gli occhi dei tuoi compagni.
In quel momento eri la ragazza che odiavo da quando avevo la tua età; terribilmente preoccupata, precisa, diligente, stupida, innocua e insipida. Ti sei avvicinata quasi implorandomi che quel supplizio finisse presto.
Quasi irretito dalla mia presa di coscienza sulla tua stupidità ti indicai l’otto sul retro del foglio, convinto che ti avrebbe soddisfatta. Inoltre accennai che non avevo nulla da ridire, avevo persino preso la briga di accorgermi dei tuoi approfondimenti.
Ammetto di averlo detto senza pietà, con la freddezza che riservavo agli individui come te. In quel momento pensavo te la meritassi tutta, la mia cattiveria.
Tu hai guardato il voto, spaesata, come se ti fossi svegliata in quel momento e non ti rendessi nemmeno conto a cosa ti servisse un otto incastrato tra i quadretti dalla mia penna rossa.
Hai annuito, contrariata, sicuramente pensando che avresti potuto fare molto meglio, povera scema, e poi sei tornata al tuo posto.
Io avevo finito il mio compito nei tuoi confronti, con le gambe accavallate e il mento in netta superiorità al corteo di asini che aspettava la consegna delle verifiche. Tu chissà a che pensavi, fissavi il verde lucido del banco chiedendoti, forse, perché non eri rimasta a casa.
Quando chiamai il prossimo da seviziare tu mi rivolsi quello sguardo: in quel momento ti sei issata come una vela su quel bacchetto di schiena che ti ritrovi e mi sono sentito sprofondare nel legno.
Non è corretto dire che mi criticavi.
Mi hai visto. Hai guardato ciò che sono realmente dietro queste farse e tuttavia non mi hai criticato.
Dopotutto cosa fa una principessa quando vede un verme se non ignorarlo e passare oltre?


Non c’è mai stato bisogno che qualcuno mi domandasse cosa potessi sopportare nella vita: la risposta è niente.
Forse anche tu eri uguale a me, solo il modo in cui il tuo corpo si leviga alle intemperie era diverso dal mio. Mentre io tendo a irrobustirmi troppo, tu ti assottigli e scopri le snodature, il ventre retratto di un levriero. Se fossi un cane, in questo mondo potrei essere solo un labrador: giocare con la carta igienica da cucciolo e perire di cisti all’età di dieci anni.
Mi chiedo da chi ho preso questa brutta abitudine di piangermi addosso. Da piccolo potevo rifiutare la cena se mia madre non mi metteva il miele nel latte prima di addormentarmi…ricordo ancora l’intensità dell’afrore sotto le coperte quando quest’ultimo veniva mescolato alla grappa, come rimedio nei casi in cui mi saliva la febbre.
Qualcosa del genere avrebbe potuto ucciderti, no? Mi immagino mentre ti liquefai in preda a un apporto calorico troppo ingente per il tuo fisico. Mia libellula stregata, sai che non sei fatta per stare a questo mondo?
Stamattina davanti allo specchio i capelli mi sembrano più ispidi, come tante frecce. Lei, la donna con cui condivido il letto, sta ancora dormendo. Dal bagno mi rendo conto che non ho scelto male: ha le linee pulite e perfette di una statua di canova e i colori nitidi e cangianti di un Manet.
E’ un ottimo pezzo del puzzle. Potrei giocarmelo con te: chi sfodereresti come tua mano vincente? Quel meraviglioso paio di stivali da amazzone potrebbe anche conferirti la prima manche.
Comunque non è giusto da parte mia. Lei è una persona, ha ottime qualità, un buon profitto e un’ottima vita sociale, il che alle persone comuni potrebbe anche bastare per vivere serenamente…tutti noi indossiamo i vestiti che ci siamo cuciti con tanto impegno nei primi vent’anni della nostra vita.
Tu invece giochi a fare la stilista; tagli e adatti calze a rete e completi funebri, payettes e brache da spiaggia mentre vai in giro nuda, brutalmente scoperta a ogni sguardo.
Comunque, per il vestito da arlecchino che mi hai stirato addosso ti ringrazio, almeno sembro meno ridicolo quando giro in bicicletta. Stamattina quando stavo per giungere a scuola ho quasi investito un cane: mi chiedo se anche questo vertesse nei tuoi piani.
Quando sono entrato in classe ho raccontato l’episodio. Ho scorto i tuoi occhi ridere. Sono d’accordo sul fatto che ho assunto un’aria troppo melodrammatica, ma mi rendo conto che ti piacerebbe vedermi ancora zoppicare tra i corridoi. Questo ci rendeva molto simili.
Raccontarti di una suocera mi pare quasi ridicolo. Stare con te non comporterebbe il pacchetto suocera: tua madre assomiglia di più a una tua confidente, quasi una tua allieva, un’accompagnatrice dagli occhi da Maddalena e le unghie da gatta. La ami molto, non è così? Ti chini su di lei come una gabbia d’ossa quando la guardo. Sai che odio le donne di una certa età e vuoi proteggerla dal mio giudizio. Piccola iena, io e te non potremo condividere alcuna carcassa.
Lei si stira e si volta dall’altra parte. Le ho appena riempito il ventre di sperma…quasi quasi sgranerebbe un rosario intero purché una sola di quelle cellule raggiungesse un ovulo attraverso il filo di rame che li separa.
Cos’è un figlio perché una donna possa desiderarlo tanto? Una meta, un’escrescenza carnosa su cui prolungare l’ambito affetto, srotolare le proprie pene d’amore come un tappeto…
A questo punto vuol dire che ormai non sono più un bersaglio così soddisfacente. Lei, mentre mi confida di volersi togliere la spirale, mi guarda come se mi amasse. Ama ciò che potrei diventare per lei, con lei, ama il pensiero di poter completare il suo ciclo di donna.
Il tuo nido d’ossa non potrebbe mai ospitare nulla, nemmeno un girino. Non piangere per questo, non te ne vergognare neppure. Nonostante sia fertile a livello organico nemmeno io sarei capace di donare nulla di me a questo mondo se non un cadavere da inserire in un’urna.
Mentre parlo ai tuoi compagni di morosi mi sembri quasi indignata. Credi che sia qualcosa che ti spetti? Non hai nemmeno scelto il sesso a cui vuoi appartenere. Quanto può vivere un corpo con una tale massa di tessuto connettivo sottocutaneo? Dieci, venti giorni? Tu sei un cervello, un groviglio di sinapsi. Le viscere dello stadio ultimo di questo mondo…
Ti osservo a volte e sei pure bella. Non bella come lei, con le spalle solide e le mani affusolate. Non sei bella perché ti vesti da bambola o perché trucchi bene la tua maschera…sei bella come l’immagine riflessa di Narciso. Non riesco nemmeno a vedere la ninfa che canta per me sotto il velo d’acqua in cui mi specchio, né l’ombra che si allunga dietro me al calar del sole.
Sei il lauro che marcisce sotto la pioggia, il cigno che galleggia capovolto sullo specchio di uno stagno.
Quando te ne vai vedo solo me stesso: quarant’anni e un completo grigio.
 Infilo una tuta sopra il completo per sembrare legittimo quando torno a casa in bicicletta. Ti vedo entrare in stazione derisa dai compagni: su te piovono risolini e occhiate meschine. Non penso proprio a difenderti, sarebbe proprio come mettersi davanti all’entrata di un teatro su cui piovono uova marce per uno spettacolo riuscito male.
Ieri notte ho sognato delle bambole che avevano i tuoi occhi. Mi trovavo nella mia stanza ed ero bambino, avevo il pigiama e i piedi scalzi. In casa c’eravamo solo io e i miei due fratelli, perciò è stato strano vedere delle bambole in casa mia.
Alla parete c’era un ritratto della mia famiglia: una foto quasi vittoriana, anacronistica come la crocchia scura di mia madre. Il suo sguardo pareva una scure che calava sul mio lettino. Mio padre era un uomo apparentemente perfetto: nei suoi ultimi anni soffrì di Alzhaimer e poi un giorno decise di morire in silenzio.
I miei fratelli nella foto sono ancora bambini: sorridono, vanno ancora alla scuola materna.
Io invece ho sei anni nel sogno, è una notte invernale prima d’un compito di matematica. I tuoi occhi incastonati in cento bambole che attorniano il mio letto mi scrutano vuoti, neri, grandi. Mi chiedo cosa mi vogliano sussurrare in questa notte. Tanti numeri come nel pi greco, infiniti, un algoritmo senza pace è la mia ninna nanna quella notte.
Quando mi sveglio mi accorgo che sono tutti i voti che ho dato in questi anni: a me stesso, alla mia famiglia, ai miei alunni e perfino a te. A cosa sono serviti, mi chiederai. Eppure quei numeri sospirati mi sembrano anche taglie che calano, peso che si riduce in una spirale che è come un buco nero: disperso nell’infinito e privo di dolore.
Per tutti gli anni che mi sono chiesto chi sono tu mi hai risposto che semplicemente sei.
I buchi neri negli occhi delle bambole me ne hanno parlato. Sono profondi, racchiusi in un corpo di ceramica.
E’ inutile che mi chieda chi sei tu, vero?

Non ti ho vista a scuola. Veramente non ti vedo da parecchi giorni, sei assente alle mie lezioni: che ti succede?
Chiedo agli altri professori se sanno qualcosa; nulla, se non qualche accenno dalla direttrice che forse sei a casa malata, febbre a quaranta.
Gennaio è sempre stato un mese terribile per me. Eppure ti vedevo leggiadra, librarti nel gelo invernale come un groenlandese a capo della sua slitta. L’inverno è fatto per te.
Credevo si trattasse dell’immobilità della natura che permea questa stagione, ma in realtà penso che tu sia come in bozzolo, un piccolo baco che ha mangiato troppo poco ma che si prepara a volare. Prega che le ali gli crescano sulla groppa all’ora prestabilita, in modo che il suo riposo sia servito a qualcosa.
Per questo temo che non ritornerai a scuola fino alle prime ore di primavera. Dovrò passare questi mesi a flagellarmi da solo.
Che cosa viaggia nelle viscere di questo mondo? Da un secolo a questa parte sembra che persino la terra abbia mangiato troppo, la superficie sembra ribollire di acne, pustole attorno a cui germogliano migliaia di parassiti.
Io e te non siamo da meno. Siamo venuti a questo mondo risucchiando l’energia delle nostre madri attraverso un cordone e tuttora depauperiamo le risorse di questa terra sventrando e deridendo la natura.
Mi chiedo se tu sia vegetariana, anche se non penso che tu lo sia. Sei crudele e silente come una pianta carnivora, che ignora la sua natura vegetale e si nutre di insetti. Oppure è solo una questione di chimica?

   
 
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