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Autore: Erin_Prince    30/06/2015    4 recensioni
Johanna Mason appoggia la rivolta, ma quando ha deciso di essere una ribelle?
Piccola storia su uno dei miei personaggi preferiti.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Johanna Mason
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO PRIMO E ULTIMO.


Il sole inizia a sorgere sopra il distretto 7, mi sveglio appena un suo raggio mi sfiora gli occhi.

Il leggero russare vicino a me mi ricorda che ho dormito da Xavier, incapace di tornare a casa, in quella grande ed enorme casa vuota e buia.

Mi volto verso di lui, dorme un sonno senza sogni, ne sono certa, e un po' lo invidio, a me fanno compagnia solo gli incubi.

Le lenzuola di cotone grezzo scivolano dalle mie spalle appena mi metto a sedere, voglio andare via, tra poco ci sarà l'annuncio dell'edizione della memoria.

E' il quarto anno che sono uscita dall'arena, ma vedere l'annuncio è una cosa che mi è rimasta dentro, non posso farne a meno, e sono certa che anche gli altri vincitori, anzi, gli altri sopravvissuti, fanno lo stesso.

Cerco di svignarmela senza farmi sentire, ma Xavier ha il sonno leggero e si sveglia.

-Dove vai?-.

-A casa, sai che devo andare.- gli dico.

-Rimani ancora un po', Johanna.-.

Faccio cenno di no.

-Devi andare al lavoro.- rispondo, e mi alzo, sento i suoi occhi su di me, sul corpo che spesso Capitol City ha cercato di mettere in vendita, ma che io non ho mai svenduto a nessuno, fuorchè a lui.

No, non Xavier che adesso mi fissa dal suo letto con espressione assonnata, ma Brian, colui che mi è stato strappato via.

-Ci vediamo.- dico a Xavier mentre esco.

La leggera nebbia mattutina si sta diradando, sento i fischi dei falegnami e dei boscaioli che si dirigono al lavoro nella foresta, una canzone che mio padre mi cantava da piccola.

Mi stringo nella maglia che indosso, ripenso a Xavier.

Io e lui non siamo una coppia, siamo solo due persone sole, due persone che lottano ogni giorno contro le proprie cicatrici, contro gli incubi e i ricordi, le perdite, i vuoti incolmabili, il dolore che non passa e che niente e nessuno potrà mai guarire.

La causa di tutto questo è Capitol City, nessun altro.

Lui aveva una famiglia, una bambina stupenda, una moglie che lo amava e che amava. Durante una mietitura Ronda, la figlia, fu estratta a soli tredici anni di età. Morì nell'arena quasi subito, nemmeno il tempo di sperare, e la moglie si è suicidata un anno dopo, incapace di sopportare la perdita.

Io sono il contrario di lui, ciò che di più lui odia, sono l'incarnazione di quello che ha ucciso la figlia: spettacolo, soldi, potere, gioielli, vanità, fama, una casa da sogno. Ma anch'io ho perso tutto: padre, madre, sorelle, trascinati via dai Pacificatori perché non ero in grado di vendermi, non ero in grado di corrompermi. Ho provato, ho tentato di passare le mie notti con uomini che pagavano oro a manate per la mia compagnia e i miei favori, ma non ce l'ho fatta, sebbene in gioco ci fosse la vita delle persone che amavo.

E poi, una notte, mi hanno portato via lui, Brian.

Mentre svolto l'angolo che porta al villaggio dei vincitori, mi esplode nel cervello il suo viso: i suoi occhi buoni e azzurri come il mare, i suoi capelli rossi e ricci, la sua barba rada e fastidiosa, il suo sorriso rilassato sebbene lavorasse dodici ore al giorno tutti i giorni in una foresta a tagliare legna.

Vorrei stringermi tutta, in modo da non cadere in pezzi ogni volta che la memoria mi gioca brutti scherzi, ogni volta che mi fa ricordare.

Come si chiama la parte del cervello che conserva la memoria? Certi giorni vorrei toglierla, eliminarla, ma poi penso che i ricordi sono l'unica cosa che mi rimane.

A casa, appena apro la porta, trovo Brenda, una delle mie domestiche.

Ho tanti di quei soldi che potrei pagare mille domestiche, ho deciso di pagarne sette, una per ogni giorno della settimana, così che loro lavorino solo quattro giorni al mese, guadagnino uno sproposito e possano stare a casa con i loro figli mentre i mariti sono a spaccare legna.

Ho assunto anche due sarte, due giardinieri, due cuoche, un numero indefinito di aggiustatutto, vorrei poter pagare tutti gli abitanti del distretto 7, e lo farei anche così, per beneficenza, ma noi del distretto 7 siamo orgogliosi, testardi e caparbi, non chiediamo pietà, vogliamo guadagnarci la compassione.

-C'è la colazione in cucina, miss, vado a rifare la stanza di sopra e ho visto che c'è il bagno da pulire.-.

-Grazie Brenda.- le dico, mentre vado in cucina e annuso il buon profumo di pancetta e di pane che ha cucinato per me.

Un altro ricordo, Brian al forno, il nostro primo incontro, il suo sorriso e la sua ironia.

Mi appoggio ad una sedia, certi giorni il dolore è troppo forte persino per me, che mi sono costruita intorno centinaia di muri dopo che lui è morto, ripetendomi che ero forte, ero invincibile.

Ma Brian era buono e gentile, mi faceva ridere quando tutto intorno a me andava in pezzi, era riuscito ad scalfire la corazza che mi ero costruita per difendermi dal mondo, dal dolore di essere rimasta orfana e sola in una grande casa dopo la cattura della mia famiglia, ed è impossibile convincersi di essere forti quando si era trovato l'amore, quando ci si credeva davvero, quando avrei voluto passare la vita con lui. Avrei potuto convincermi se fossi stata in grado di superarla, ma non c'era spazio per quello, c'era spazio solo per la rabbia. L'unica consolazione era sapere che era morto, che non l'avevano potuto torturare, che se n'era andato in fretta.

Guardo fuori dalla finestra, ricordo che la neve aveva coperto la terra quando sono venuti a prenderlo.

Era notte, dormivamo abbracciati, tra le sue braccia leggermente muscolose mi sentivo protetta e al sicuro, avevo anche smesso di fare incubi. I Pacificatori sono entrati, ci hanno puntato i fucili contro, l'hanno preso, l'hanno trascinato via, giù per le scale, io imploravo, gridavo aiuto, ma sapevo che nessuno poteva qualcosa contro di loro e sapevo che nessuno avrebbe aiutato una stronza che aveva vinto gli Hunger Games, una vittima del sistema, ma pur sempre un'assassina che aveva ammazzato, seppur indirettamente, tutti gli altri.

Brian mi aveva urlato che mi amava, che dovevo appoggiare quella rivolta che da tempo ormai serpeggiava tra i distretti, di cui si accennava a bassa voce dietro i negozi, ma che io non ero mai stata in grado di assecondare.

Mi aveva guardata con i suoi occhi azzurri come il cielo, aveva abbassato la bocca sulla spalla sinistra della maglietta che volevo portasse anche mentre dormiva, aveva strappato una mini tasca, aveva ingoiato il Morso della Notte che gli avevo procurato per una situazione come quella, preferivo vederlo morto piuttosto che in mano ai Pacificatori.

Se n'era andato nel giro di due minuti, i militari sconvolti, incapaci di darsi una spiegazione, io a pezzi, ma con un sorriso di pietra mi ero rivolta a loro e avevo richiesto il corpo, perché i morti non possono parlare o impazzire sotto le torture.

Ero arrabbiata da un anno, infuriata contro il sistema, certi giorni andavo nel bosco a tagliare alberi con i taglialegna.

Sospiro, guardo con quanta cura Brenda mi ha preparato la colazione, decido di portarla in salotto sul divano, tra poco inizia l'annuncio del Presidente.

Accendo la tv, il volto di Snow appare sullo schermo, sono schifata da quell'uomo.

E l'annuncio che fa, quello di un'Edizione della Memoria con i partecipanti estratti dai vincitori mi schifa ancora di più.

Non ho più niente da perdere, però, non mi infurio, non tiro qualcosa contro lo schermo, rimango calma, lo sguardo davanti a me. Tutti quelli che amavo sono morti, ho solo più la mia vita fatta di ferite e baratri.

Prendo l'aggeggio che Finnick Odair ha regalato a Brian l'ultima volta che l'aveva visto, un aggeggio che mette in contatto i ribelli, quelli che non ne possono più.

-Johanna?-.

-Si, sono io.- rispondo -Sono dentro, voglio appoggiare la rivolta. Sono con voi, a qualunque costo.-.

Haymitch Abernathy sorride dall'altro capo dell'apparecchio -Sono lieto di sentirlo, dolcezza.-.

  
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