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Autore: Kilian_Softballer_Ro    02/07/2015    3 recensioni
Immaginate il tipico scenario post-apocalittico. Il frutto di un esperimento ha ucciso praticamente tutta la popolazione della Terra, e soltanto un riccio è sopravvissuto.
O forse non solo....
Cercando di ignorare i ricordi del passato, Shadow si ritrova a dover combattere e indagare su cosa è accaduto e cosa sta ancora accadendo.
Storia liberamente ispirata a un libro di Stephen King e con una forte presenza di OC, miei e di altri autori.
Spero apprezziate. Buona lettura!
Genere: Drammatico, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Shadow the Hedgehog, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Fu lungo. Lungo ed estremamente lento.
La gamba di Shadow dovette finire di saldarsi, e già lì ci furono problemi. Era una frattura scomposta, e lui non aveva avuto modo di steccarla, per cui si sarebbe saldata male anche se non avesse dovuto continuamente muoversi. Quando alla fine l’osso si fu saldato e Shadow poté piano piano riprendere a camminare, zoppicava così tanto che Alice non riusciva nemmeno a prenderlo in giro.
Una volta aggiustato e più o meno rimesso in movimento l’arto, lui e Alice sarebbero anche potuti partire, ma il tempo non accennava a migliorare. Oramai nevicava quasi tutti i giorni, e le strade erano tutt’altro che praticabili.
Poi, finalmente, sembrò che le giornate di cielo sereno aumentassero. Faceva sempre più freddo, ma le nevicate erano sempre più lontane le une dalle altre. A quel punto capirono entrambi che era ora di muoversi. In mancanza di previsioni meteo, non sapevano quanto sarebbe durata quella finestra di bel tempo.
Restava però ancora da trovare un mezzo di trasporto adatto. Camminare, soprattutto ora che avevano tre gambe sane in due, sarebbe stato un metodo troppo lento e avrebbero rischiato di venire colti di sorpresa da un’altra perturbazione. D’altra parte anche guidare sarebbe stato impossibile: entrambi avevano visto gli ingorghi lungo la strada e non avevano nessuna intenzione di restare bloccati (e poi Shadow continuava a ritenere l’idea di mettere Alice al volante una prospettiva agghiacciante, ma questo era un altro discorso).
Fu poi per pura fortuna che trovarono il mezzo perfetto. Saltò fuori mentre scavavano nel garage della polizia locale, e dovettero spingerlo fuori a braccia, ma ne valeva la pena.
Era un quad attrezzato a viaggiare sulla neve, grande e in ottimo stato. Non si capiva se fosse stato modificato o no, ma dietro ospitava anche un vano portapacchi che sarebbe stato di certo utile. Shadow provò ad accenderlo e il motore diede un rombo soddisfacente, ma la spia del serbatoio segnalava la presenza di pochissima benzina. Quello,tuttavia,  non era un problema. Sapeva quale valvola del distributore avrebbe dovuto aprire perché uscisse la benzina.
Il vero problema era chi si sarebbe messo alla guida. Shadow non si sarebbe fidato delle prestazioni della propria gamba neanche in condizioni stradali migliori, ma Alice  sarebbe riuscita a governare quell’affare?
Le pose la questione la sera stessa, e lei si limitò ad alzare le spalle.
- Se non riesco a guidarlo, imparerò. A Metal City hanno imparato tutti a guidare una motocicletta perché era il mezzo più comodo, vuoi che io non riesca a gestire quel coso? – Sospirò. – E poi voglio andarmene da qui il più in fretta possibile. Non voglio restare bloccata con te troppo a lungo.
- Ah no?
- No, non ti ricordi il proverbio? Se vado in giro con te imparerò anche io a zoppicare.
Shadow alzò gli occhi al cielo, ma la decisione era presa. Dopo svariate prove di guida e qualche incidente di percorso (nulla di più pericoloso di qualche spegnimento e frenata brusca, ma sufficienti a far sì che lui potesse ridere dietro ad Alice per un pezzo), furono di comune accordo nel decidere che non avrebbero potuto aspettare di più. Impacchettarono le cose necessarie, le caricarono sul quad e partirono.
 
Quel viaggio fu senza dubbio uno dei più strani che Shadow avesse mai fatto. E questo contando anche il trasporto via carrello. Mai avrebbe pensato che il suo ritorno trionfale in città sarebbe avvenuto su un mezzo di quel genere, appollaiato dietro ad una ragazza strana e potenzialmente pericolosa come Alice Cross. Non che avesse mai pensato di ritornare vivo, in effetti.
Eppure l’atmosfera di quella traversata era così singolare che non riusciva a lamentarsi. Anche se doveva viaggiare seduto dietro ad Alice. Anche se spesso dovevano fermarsi  a spingere il mezzo per aggirare ingorghi di automobili o ostacoli simili. Anche se una sera sì e l’altra pure, sia  che si accampassero al chiuso sia all’aperto, la sua gamba iniziava a cantare l’Ave Maria per l’umidità e gli sforzi. Il silenzio completo che solo il motore del loro quad rompeva e l’aspetto quasi surreale di quei luoghi completamente deserti e ricoperti di neve gli facevano ingoiare ogni protesta.
Gli animali selvatici incrociavano la loro strada quasi tutti i giorni. Avevano preso possesso di molte strutture civilizzate, ormai. Durante il terzo giorno di viaggio un giovane cervo tagliò loro la strada e si fermò a guardarli, come se stesse decidendo se considerarli un pericolo. Shadow meditò se sparargli e approfittarne per ottenere della carne fresca, ma scacciò subito l’idea. L’idea di far risuonare un colpo d’arma da fuoco in quel silenzio surreale sembrava quasi un sacrilegio. E poi voleva evitare di mettere di nuovo mano a un’arma il più a lungo possibile. Lasciò quindi che Alice ingranasse la marcia e mettesse in fuga l’animale con il rumore.
Loro due parlavano poco, e mai di argomenti spinosi. Gli eventi dei mesi passati non venivano mai citati, nemmeno di sfuggita, e raramente le persone che li aspettavano a Metal City venivano nominate. Non si trattava di delicatezza: avevano entrambi la sensazione di trovarsi in una sorta di bolla temporale, dove vedevano con chiarezza solo il presente e tutto il resto assumeva contorni sfumati. A pensarci di sfuggita, il periodo precedente finiva per assomigliare a un sogno (anzi, più che altro un incubo) molto realistico, mentre il loro viaggio sembrava dover proseguire all’infinito, con una meta molto distante e imprecisa.
Sì, fu un viaggio decisamente straniante.
L’unico argomento che sentivano di poter toccare con relativa tranquillità era l’ambito letterario. Nelle settimane di riposo forzato in quell’hotel, Shadow si era trovato a leggere opere che non si era mai sognato di toccare prima, tutte scelte da Alice. Molte lo avevano lasciato perplesso, ma almeno era riuscito a dare un’occhiata in quel mondo di citazioni che la ragazza faceva.
 
Quel giorno stavano parlando proprio di questo. Si stava facendo buio, e andavano piano per non correre rischi. – Quindi dici che Martin è morto prima di finire la sua saga? – Chiese Shadow.
- Esatto – rispose Alice in tono funesto. – Nessuno saprà mai chi siede sul trono di spade. Anche se non è detto che lui sia morto. Per quel che ne sappiamo potrebbe essere ancora vivo e prendere ispirazione da tutto questo per il prossimo libro.
- E’ possibile. Non possono essere morte tutte le celebrità, sarebbe impossibile.
- Appunto. – La ragazza fece una curva e frenò. – Ehi, sai che strada è questa?
Il riccio controllò e il cuore gli balzò in gola. – Questa è l’autostrada giusta. Se andiamo dritti di là e non succede nulla...Saremo a Metal City domani.
- Seriamente?
- Sì.
- Allora non fermiamoci adesso. – Alice rimise in moto il mezzo e proseguì.
 
Si accamparono per la notte in una stazione di servizio abbandonata, in modo da avere carburante a disposizione per fare il pieno la mattina dopo. Non volevano rischiare di restare appiedati a così poca distanza dalla città.
Nessuno dei due riuscì a dormire granché quella notte. Shadow rimase sdraiato nel suo giaciglio improvvisato dietro il bancone, ma Alice restò in piedi per un bel pezzo. Poteva vederla ingannare il tempo scorrendo gli oggetti esposti sugli scaffali alla luce della torcia.
Quanto a lui, era insieme elettrizzato e preoccupato. Non vedeva l’ora di tornare a Metal City e rivedere le persone che aveva temuto di non incontrare più. Tikal, Dodgeball. Sonic. Però era anche spaventato dalla prospettiva che, nonostante tutto, qualcosa fosse successo mentre né lui né Alice erano presenti. E se tornando avessero trovato la città deserta, o peggio, distrutta?
Questi pensieri lo accompagnarono fino a che non cadde in un sonno breve e inquieto, ma al mattino cercò di non darlo a vedere. Dopotutto in una manciata di ore sarebbero arrivati a destinazione e avrebbero visto cosa li aspettava. Preoccuparsi troppo non avrebbe cambiato nulla.
Anche Alice non sembrava al massimo della forma, ma il tono della loro conversazione rimase leggero, perfino troppo, mentre si preparavano. Mentre salivano sul quad, però, a Shadow venne in mente qualcosa che lo lasciava davvero perplesso.
- Cosa stavi facendo ieri notte? Sembrava che stessi cercando un tesoro su quegli scaffali.
- Non si può tornare da un viaggio senza prendere qualche cazzata in una stazione di servizio. Soprattutto se a casa c’è un bambino che aspetta.
- E questa regola dove l’avresti imparata?
- Sapessi.
- Parti, va.
- Ammetti che neanche tu avresti resistito di fronte a un macinapepe a forma di Dalek.
- Sicuramente.
Dal quel momento,però, scambiarono meno parole ancora di quanto avessero fatto prima. La tensione del non sapere che cosa li aspettava  a casa di sicuro non incoraggiava a parlare.
 
Avrebbero dovuto viaggiare per poche ore, ma un ingorgo di proporzioni notevoli (era lì da mesi, avrebbero dovuto fare qualcosa) li costrinse a fermarsi.  Non c’era modo di girarci intorno con il quad, e trovare un’altra strada avrebbe richiesto troppo tempo. L’unico modo era farla a piedi.
- Ce la fai con quella gamba? – Chiese Alice aggrottando la fronte.
- Arrivati a questo punto? Sì.
- Okay, allora muoviamoci.
E così camminarono. O zoppicarono, a seconda. Nonostante l’andatura lenta e le occasionali fitte alla gamba, Shadow riusciva a vedere un’amara ironia in quello che stava succedendo. Quella era la stessa strada che aveva percorso per arrivare in città la prima volta: sembrava fosse passata un’eternità, invece era stato meno di un anno prima. Da allora era successo di tutto: praticamente ogni cosa era cambiata, compreso il tenore dei suoi pensieri mentre camminava (allora era sull’orlo di un esaurimento nervoso e pronto a puntarsi una pistola alla tempia; ora, fortunatamente,no), ma la strada era rimasta uguale. Ciò era confortante, ma anche un po’ inquietante.
A causa dell’intoppo, era già sera quando oltrepassarono il cartello che. Si fermarono per un momento, per riprendere fiato e osservare le case e i palazzi davanti a loro. Shadow sentì un leggero brivido lungo la schiena. La città c’era ancora: e i suoi abitanti?
A quanto sembrava, anche loro. Infatti, poco più avanti una figura che imbracciava un’arma indefinita. – Chi siete? – Intimò. La sua voce era familiare, ma Shadow non riusciva a collocarlo. Per fortuna Alice prese parola.
- Non siamo nemici, Espio – disse ad alta voce. Dunque si trattava del camaleonte viola che faceva parte della polizia provvisoria. – Siamo Alice Cross e Shadow the Hedgehog. Spero che ti ricordi.
- Siete davvero voi?
- Chi altri dovremmo essere?
- Se siete davvero voi, e non è un trucco...Saprete qualcosa di cosa è successo a Metal City prima che partiste. No?
- Hai intenzione di farci delle domande per controllare che non siamo delle spie? Tipo parole d’ordine? – Alice sospirò seccata. – Ascolta, non so da quanto Tikal abbia deciso di mettere delle guardie intorno alla città e questo dovrebbe darti un’idea di quante settimane siano passate da quando me ne sono andata, e lui se n’era andato anche prima, perciò se vuoi chiederci qualcosa su, diciamo, gli ultimi due mesi caschi male. So che il nuovo capo della polizia è Antoine D’Coolette e che sta facendo un lavoro terribile. So che quando ho lasciato Metal City erano nati tre bambini e Annie Sawyer doveva partorire a momenti. So che dei bambini nati Ralph è morto e Ginevra era in pericolo di vita per l’epidemia. So che hanno offerto a Tikal di vivere nel palazzo municipale perché potesse gestire la  città da lì e che lei si è rifiutata perché non voleva governare nessuno. So che fa un freddo osceno e che vorrei andare in un posto al chiuso il più in fretta possibile. Possiamo passare?
Per un momento Espio non rispose, come interdetto. Poi sembrò riscuotersi e disse: - Tu sei Alice, sicuramente. E se lui è con te, va bene. Come diavolo avete fatto a tornare? Vi avevano dati tutti per dispersi.
- In teoria non avrebbero neanche dovuto sapere della nostra assenza.
- Le voci girano.
- Ovvio. – Alice mise una mano sulla spalla di Shadow e lo spinse avanti. – Muoviti, dai, andiamo in un posto più riparato.
Passarono oltre Espio, che non disse niente fino a che non furono lontani di qualche metro da lui. Poi esclamò : - Tikal vorrà essere informata!
- E informala. – Rispose Alice accelerando il passo. – Dille che siamo andati all’ospedale.
- All’ospedale? – Per quanto felice di vedere che tutto era rimasto alla normalità e tutti sembravano star bene, Shadow era confuso dalla piega che stavano prendendo gli eventi, e soprattutto dall’agitazione della ragazza. – Alice, per quale motivo non vuoi andare a casa? Siamo in viaggio da una vita!
- Devi far vedere a qualcuno quella gamba al più presto – replicò lei senza girarsi.
Era una spiegazione debole, e al riccio occorse un attimo per capire quale fosse il vero motivo della deviazione. -....oddio, Alice, tu hai paura di incontrare Tikal.
- Non è paura, imbecille, è spirito di sopravvivenza. Nel momento in cui la incrocerò voglio che sia alla presenza di testimoni.
- Andiamo, non cercherà di ucciderti.
- Puoi  giurarlo?
No, in effetti, per come stavano le cose, non avrebbe potuto giurarlo, perciò si arrese e si lasciò trascinare verso l’ospedale. Almeno lì avrebbe potuto trovare Sonic, pensò. E Tikal e Dodgeball li avrebbero raggiunti presto.
E così attraversarono la città quasi completamente al buio, punteggiata solo di poche finestre illuminate. Era quasi silenziosa come gli altri territori che avevano visitato, perché sicuramente molti stavano dormendo, ma si sentivano comunque quei rumori che classificavano con certezza la città come una  città viva.  Da una finestra sentirono uscire una musichetta da carillon e da un’altra il pianto di un bambino. Quando lo udì, a Shadow tornò in mente una  cosa che Alice aveva detto a Espio e si affrettò a chiedergliela, bisbigliando.
- Hai detto che sono nati dei bambini, prima che partissi?
- Già. I primi da donne che hanno concepito prima dell’epidemia. Eva, Ralph e Ginevra. Hanno festeggiato tutti...all’inizio.
- Perché, hanno....hanno preso il morbo?
- Sì. Tutti e tre, perché i loro padri non erano immuni. Eva è guarita, Ralph è morto e Ginevra era ancora in bilico.
- Stai dicendo che quindi non tutti quei bambini devono per forza morire?
- Esatto, le teorie dei medici sono andate tutte a puttane. E naturalmente tutti i bambini concepiti dopo l’epidemia vivranno, perché avranno due genitori immuni.
- E’...fantastico.
- Non fermarti a festeggiare, siamo quasi arrivati.
Era vero. Dalla parte da cui erano entrati in città, l’ospedale era molto più vicino di quanto non lo fosse la casa destinazione di Shadow. Oltretutto era riconoscibile anche a distanza, poiché era l’edificio più illuminato. Probabilmente quasi tutte le lampade della città erano finite lì.
Prima di entrare, Alice prese un braccio di Shadow e se lo appoggiò sulle spalle, anche se con il volto contratto in una smorfia. – Devi passare per uno zoppo credibile – disse in risposta allo sguardo interrogativo di Shadow.
- Okay. – Il riccio nero era anche grato di potersi appoggiare un po’ su qualcun altro, dopo ore di camminata su una gamba che tutto era tranne che salda, ma evitò di dirlo. Quel briciolo di orgoglio che aveva voleva conservarlo.
Fecero così il loro ingresso nella hall semi-illuminata da una manciata di lampade Coleman e raggiunsero in precario equilibrio il banco di accettazione. Alice si rivolse all’infermiera seduta dietro. – Abbiamo una frattura scomposta tenuta sottosforzo. Possiamo trovargli un letto e un dottore, per piacere?
- Certo, cara. – La ragazza, una giovane volpe dalla lunga chioma di capelli scuri, si alzò e si avvicinò a loro per aiutarli, ma arrivata davanti a loro spalancò gli occhi e la bocca. – Oh Signore, tu sei...
- Janine, per favore, no. Dimenticati chi siamo finché non arriverà Tikal a cercarci. Dacci un po’ di tregua.
L’infermiera rimase un attimo interdetta, poi raddrizzò le spalle e assunse un atteggiamento professionale. – Certo. – Squadrò Shadow con occhio clinico. – Sedia a rotelle?
- No, per carità. – Si affrettò a rispondere lui. – Ce la faccio, è una vecchia frattura, è lei che insiste per farmi visitare.
- Credo che abbia ragione. La tua gamba ha un aspetto strano. Beh, se proprio insisti su quella sedia...seguitemi.
Mentre tenevano dietro a Janine lungo un corridoio piuttosto buio, Shadow bisbigliò: - Com’è che adesso ti conoscono tutti, Alice?
- Tikal mi usa come assistente non pagata, devo sempre andare in giro con lei.
- Tipo first lady?
La ragazza non rispose, e quando Janine indicò una stanza vuota lo scaricò sul letto di malagrazia.
- Vado a vedere chi c’è di turno stanotte. – La giovane infermiera sparì. Shadow si appoggiò alla scomoda spalliera di ferro del letto. Ora si trattava solo di aspettare e vedere chi sarebbe arrivato per primo, se un dottore ( magari Sonic, anche se non ci sperava) o una Tikal in preda all’agitazione. Si rese conto che non gli importava. La realizzazione non gli era ancora caduta addosso, ma lo fece adesso. Non solo tutti erano vivi e in relativa salute a Metal City, ma c’erano anche loro.
Erano tornati a casa.
Tutto il resto non aveva importanza.
 
E sono riuscita a finire in fretta anche questo capitolo nonostante la gente che pressa.....E siamo quasi alla fine, ragazzi. I nostri baldi giovani sono tornati a Metal City sani (più o meno) e salvi. Il prossimo capitolo chiuderà la questione e anche la storia. Siamo alla frutta. Manca pochissimo. Fra un po' piango.
Vi saluto, prima di commuovermi. A presto!
^Ro
  
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